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sbilanciamoci

Il “modello” dietro la legge di bilancio del governo Draghi

di Roberto Artoni

Dall’analisi della Nadef, risulta chiara l’impostazione del governo Draghi basata sulla crescita del settore privato o meglio ispirata al modello della “supply side economics” che tanti danni ha causato in Italia fino alla pandemia

legge di bilancio 2022Negli anni ’60 e ‘70 del secolo scorso la Relazione annuale della Banca d’Italia era oggetto di attenta analisi da parte di illustri economisti: si voleva enucleare il “modello” analitico alla base delle scelte dell’istituto di emissione. Senza pretendere di giungere allo stesso livello di approfondimento, non è forse inutile tentare di evidenziare le linee essenziali dei documenti programmatici alla base del disegno di legge di previsione del bilancio dello Stato per il triennio 2022-202.

Conviene partire dagli obiettivi dell’azione di finanza pubblica chiaramente enunciati nella premessa alla Nadef 2021 (pag. V):

la strategia di consolidamento della finanza pubblica si baserà principalmente sulla crescita del PIL stimolata dagli investimenti e dalle riforme previste dal PNRR. Nel medio temine sarà altresì necessario conseguire adeguati avanzi primari. A tal fine, si punterà a moderare la dinamica della spesa pubblica corrente e ad accrescere le entrate fiscali attraverso il contrasto all’evasione. Le risorse di bilancio verranno crescentemente indirizzate verso gli investimenti e le spese per ricerca, innovazione e istruzione.

Tutto ciò trova conferma nel quadro programmatico di finanza pubblica. All’elevato indebitamento indotto dalla pandemia (9,4% in termini di Pil nel 2021) dovrebbero seguire anni di aggiustamento che nel 2024 ridurrebbero lo squilibrio al 3,3%. Tutti i saldi di finanza pubblica migliorerebbero sensibilmente. Il saldo primario dovrebbe essere nel 2024 marginalmente negativo (-0,8) contro il 6% del 2021. Il rapporto debito prodotto dovrebbe scendere di quasi dieci punti rispetto al massimo raggiunto nel 2020 (155,6). Il riequilibrio dovrebbe poi proseguire negli anni successivi, quando si manifesteranno pienamente, nelle valutazioni del governo, gli effetti del Pnrr, sia per gli interventi diretti, sia per le riforme annunciate in molti settori della vita nazionale.

Ovviamente l’evoluzione macroeconomica dovrà essere favorevole per rendere possibili, anche solo in ipotesi, gli effetti annunciati sui conti pubblici. Il governo prevede per il 2022 una crescita reale del 4,7 % (contro il 6,1% dell’anno in corso). La crescita del Pil continuerebbe anche nei due anni successivi, sia pure a tassi inferiori e decrescenti: 2,8 nel 2023 e 1,9 nel 2024. Si stima poi che al termine del quinquennio coperto dal Pnrr il livello del Pil dovrebbe essere superiore del 3,6% rispetto all’ipotesi base di assenza di sostegno comunitario. Il risultato sarebbe rilevante, ma comunque insufficiente a colmare il divario accumulato dall’economia e dalla società italiana negli ultimi decenni.

Il quadro macroeconomico programmatico proposto dal Governo prevede un sensibile rallentamento dei consumi delle famiglie: da un incremento del 5% nell’anno in corso al 2% nel 2024. Per la spesa della PA dopo un aumento dell’1,7 nel 2022 è ipotizzato un moderato incremento nel 2023 e una diminuzione (-0,2) nel 2024. La crescita del Pil, a tassi comunque in diminuzione, deriverebbe in buona sostanza dagli investimenti, pubblici e privati, per i quali è prevista una crescita che va dal 6,8 al 4,3%.

Una considerazione particolare meritano le previsioni riguardanti gli investimenti pubblici. In una tabella della Nadef (R1, p.66) si stima che gli investimenti fissi lordi delle pubbliche amministrazioni saranno nel prossimo triennio di poco superiori al 3% del Pil. Gli investimenti in opere pubbliche saranno indirizzati, si afferma, al superamento del gap infrastrutturale formatosi nell’ultimo decennio per effetto di politiche restrittive, quando gli investimenti della PA si collocavano fra il 2 e il 2,5%. Al finanziamento degli investimenti dovrebbe concorrere il Pnrr per circa 1/3 (1% del Pil in media all’anno). I fondi del Pnrr destinati agli investimenti pubblici proverrebbero per 1/5 del totale da sovvenzioni e per 4/5 da prestiti, dunque da indebitamento in un paese caratterizzato da un elevato rapporto debito-prodotto. Nel triennio 2022-24 gli investimenti lordi delle pubbliche amministrazioni dovrebbero quindi assorbire circa 1/3 delle risorse rese disponibili dall’Europa (60 miliardi, pari a 1 punto di un Pil, nel triennio di circa 6.000 miliardi). Il costo del lavoro è previsto crescere in media dell’1,3%, associato a un incremento della produttività dello 0,3%. Con un’inflazione al momento stimata all’1,5%, salvo sorprese future di origine internazionale, non sembra che ci sia molto spazio per incrementi salariali di un certo significato.

Alla definizione dei due quadri programmatici, macroeconomico e di finanza pubblica, concorrono le misure modificative della legislazione vigente annunciate dal Governo. Fra le altre, è prevista una consistente riduzione delle imposte sia nel prossimo anno, sia in quelli successivi, compensata dal gettito derivante dalla lotta all’evasione fiscale. Il miglioramento del saldo primario richiederà poi una consistente riduzione della spesa corrente, e quindi della spesa sociale: l’accesso alla pensione anticipata di vecchiaia sarà consentito solo con requisiti anagrafici e contributivi più restrittivi, come sarà ridimensionato il reddito di cittadinanza. Negli interventi sugli ammortizzatori sociali confluiscono due componenti: da un lato, la tutela di lavoratori in difficoltà e, dall’altro, il proposito di rendere sempre più fluido, o meno vincolato, il funzionamento del mercato del lavoro.

Al riguardo, si conferma che la crescita dell’occupazione nell’ultimo anno è stata sostenuta in larghissima misura da contratti a termine, caratterizzati da basse remunerazioni e da elevata precarietà. A questa constatazione non sembra seguire nessuna ipotesi di revisione delle regole del mercato del lavoro che, accumulatesi a partire dagli anni ’90 del secolo scorso, hanno prodotto effetti negativi sotto molti aspetti, dalla distribuzione funzionale e personale del reddito (e quindi del Pil), al deterioramento qualitativo della forza lavoro, oltre ad influire presumibilmente sul tasso di natalità in forte calo nel nostro paese. Non sembrano in questo contesto sufficienti le maggiori risorse destinate all’istruzione (che forse compenseranno parzialmente anni di contrazione degli stanziamenti) o il richiamo alle mitiche politiche attive del lavoro. È infine dato ampio spazio agli incentivi agli investimenti, considerati, come abbiamo visto, fattore essenziale di crescita.

Sulla base della sintetica descrizione qui sviluppata, credo che il “modello” alla base della Nadef possa essere fatto rientrare nel filone dottrinale della supply side economics. La crescita del sistema può derivare solo da un’espansione della capacità produttiva ad opera essenzialmente degli operatori privati, che devono essere opportunamente incentivati e tutelati nei confronti di prelievi tributari e contributivi penalizzanti. Non esistono in questo quadro problemi di insufficienza della domanda aggregata, collocandosi sempre il sistema naturalmente su un sentiero di crescita naturale a condizione che le distorsioni indotte dalla mano pubblica siano circoscritte. Il mercato del lavoro deve essere reso quanto possibile flessibile, circoscrivendo la rigidità attribuibile al ruolo di sindacati. La pressione fiscale deve contrarsi rispetto agli elevati livelli fin qui raggiunti; nella composizione delle entrate le imposte personali devono essere limitate per i loro effetti sulla propensione individuale all’offerta di lavoro e sulla remunerazione netta delle iniziative lato sensu imprenditoriali. Infine, la spesa sociale, in cui la componente assistenziale si ritiene essere dominante, deve essere controllata nella sua dinamica, presupposto per l’equilibrio dei conti pubblici. I mercati finanziari internazionali liberamente funzionanti sono poi essenziale meccanismo di controllo della correttezza delle scelte pubbliche e private.

Molti dubbi, di natura teorica o fondati sull’esperienza storica, possono essere fatti valere nei confronti della visione liberista, o di supply side, del funzionamento dei sistemi economici. Con riferimento al nostro paese, è concordemente sottolineato che la crescita della nostra economia in questo secolo è stata sensibilmente inferiore a quella dei paesi europei a noi assimilabili. La minore crescita è stata a sua volta determinata da una modesta dinamica della domanda interna, il cui ruolo sia dei consumi privati sia di quelli pubblici è stato insufficiente, riflettendosi ovviamente sulla propensione ad investire delle imprese.

Sulla base delle vicende più recenti non sembra che l’ipotesi di una crescita indotta dagli investimenti, fra l’altro sostenuti da indebitamento pubblico nazionale e sovranazionale, possa portare a risultati significativi nel medio periodo. Le stesse previsioni governative al 2024 scontano un significativo rallentamento. In questo senso un maggiore attenzione ai problemi distributivi, su cui incidono sia le regole del mercato del lavoro, sia la dinamica salariale, sia una corretta interpretazione delle essenziali funzioni svolte dalla spesa sociale, appare necessaria per evitare la ripetizione delle esperienze degli anni passati.

Ad elaborazione di questo punto, si deve ribadire che in Italia la spesa sanitaria è stata fortemente penalizzata nel corso degli ultimi anni, per cui i maggiori stanziamenti sono un rispristino di condizioni accettabili, più che un’espansione della funzionalità pubblica. A sua volta il sistema pensionistico italiano è in sostanziale equilibrio e, se correttamente interpretato, allineato a quello dei maggiori paesi europei. Il problema si porrà invece nel medio periodo non tanto per effetto dell’adozione del pur criticabile metodo contributivo, quanto per l’inadeguatezza e la precarietà dei redditi di una parte consistente dei lavoratori oggi giovani (evidentemente non tutelati dallo spostamento in avanti dell’età di pensionamento anticipato).

In questo contesto, comunque problematico, devono essere lette le prospettive della finanza pubblica. È stato affermato correttamente che il problema del debito pubblico può essere risolto solo con la crescita (come è accaduto peraltro nel periodo giolittiano dei primi anni del secolo XX). Ma è evidente che la crescita utile alla diminuzione del rapporto deve essere riferita alla somma di tutte le componenti della domanda aggregata, e non solo a una componente per quanto rilevante come gli investimenti. Una crescita complessiva modesta, associata alla ricerca di avanzi primari nel giro di pochi anni, dati i saldi dei conti pubblici oggi registrati, non può che ripetere gli andamenti degli ultimi anni: significativi avanzi primari non hanno consentito un’apprezzabile riduzione del rapporto debito prodotto.

Le ultime considerazioni ci portano ad affrontare il problema delle regole europee di finanza pubblica. Nella Nadef molte pagine sono dedicate a un’analisi delle scelte effettuate in sede europea nel corso della pandemia. È stata in particolare attivata la Clausola generale di salvaguardia, che ha evitato l’avvio di procedure sanzionatorie per i numerosi paesi che hanno superato i limiti di indebitamento e di debito; sono rimaste peraltro in vigore le procedure del Patto di stabilità e crescita.

Si pone a questo punto il problema della ridefinizione di queste regole per i prossimi anni, sperando che non si voglia ritornare alla semplice riproposizione di quelle preesistenti. Nell’analisi della situazione italiana e delle sue prospettive la Nadef, sotto l’impulso delle istituzioni comunitarie, fa ampio ricorso a numerosi concetti di dubbia qualità, non solo nella loro traduzione quantitativa, ma anche negli effetti derivati dalla loro non sempre meditata applicazione a situazioni concrete: prodotto potenziale, output gap, variazione del prodotto potenziale per effetto degli investimenti, saldo strutturale del bilancio. Si aggiungono poi i problemi riguardanti l’eventuale inserimento dei fondi del Pnrr nel calcolo del debito consentito (punto certamente rilevante per l’Italia dato che il debito da Pnrr ammonta a 120 miliardi). Emerge poi la contrapposizione fra spese in conto capitale (per definizione buone) e spese correnti per definizione cattive. Su questa linea sembra che si sia attestato il nostro governo.

Ma al di là della dubbia qualità di queste elaborazioni o della strumentalità di certe impostazioni, è evidente che il ritorno a impostazioni riconducibili al precedente concetto di austerità non potrebbe che rendere labili, più di quanto non lo siano oggi, le ipotesi di crescita.

Comments

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Paolo Selmi
Monday, 08 November 2021 19:06
Un modello maledetto e sbagliato: "prevede" infatti una crescita che, probabilmente, non ci sarà.

Non ci sarà per la Repubblica popolare cinese, anzi tutto. Attanagliata ora da problemi a dir poco complessi:

1) caro risorse, su cui si è già scritto molto, che ha portato a un

2) caro semilavorati, a volte semplice conseguenza del primo punto, a volte scelta deliberata, come nel caso dei russi che hanno imposto da fine giugno dazi del 15% in uscita su tutti i loro semilavorati metallici (per incentivare il mercato interno in affanno e su cui si prevedeva defluire la mancata vendita all'estero)
https://www.steelorbis.com/steel-news/latest-news/russia-approves-steel-export-taxes-market-tries-to-evaluate-immediate-effects-1205747.htm
facendo quindi aumentare ulteriormente i prezzi.
Misura ora parzialmente mitigata (tolto per le leghe in alluminio https://www.reuters.com/article/russia-metals-taxation-idUSKBN2H812C) ma che non cambia la sostanza.

3) Evergrande e mercato immobiliare in crisi. Attenzione, non è solo bolla finanziaria puff morta lì. Qui si parla di ECONOMIA REALE!

“The key to managing the crisis is not just to contain the risk of financial loans, but also the other two-thirds of the liabilities owed by the distressed real estate developer to a vast network of companies and enterprises in its supply chain—including providers of construction services and material as well as contractors and subcontractors supplying needs raging from labour to decoration.”

China, it said, had the world’s most complete supply chain because of its vast manufacturing range but this came with the risk that “the sudden collapse of a large non-financial company could cause cascading effects for the real economy at a scale unseen in any other part of the world.”

https://www.wsws.org/en/articles/2021/11/02/chin-n02.html

In buona sostanza, Evergrande non ha solo problemi di solvibilità con le banche, ma facendo (fare) case, ha problemi con le imprese edili che le fabbricano. Le quali fino a oggi sono andate avanti con le condizioni di pagamento tipiche dei pescicani di tutto il mondo (60-120-180 gg etc)... per poi ricevere dei "pagherò", alla scadenza. E questi "pagherò" venivano girati ai loro fornitori, infettando ulteriormente la catena di produzione e distribuzione di semilavorati e prodotti finiti... un "pagherò" evergrande... mica pizza e fichi! No, oggi come oggi pizza e fichi valgono di più.
(Ibidem)

E mo'??? E mo' son cavoli acidi. Riprendo la conclusione di sopra:
La Cina ha la catena di approvvigionamento più completa al mondo, grazie alla sua ampissima gamma di produzioni, ma ora c'è il rischio che "il collasso di una azienda non finanziaria possa causare effetti sull'economia reale su una scala mai vista in nessun altra parte del mondo". Vabbeh, problemi loro... si, ma non del tutto, visto che ormai anche i tubi di gomma li facciamo fare lì per poi lavorarli (o rivenderli) qui. E' il capitalismo globalizzato. E la guerra è solo all'inizio.

Guerra... bruttissima parola. Ma vale la pena, anche qui, fare qualche considerazione a margine di alcuni eventi, e unire i puntini. A parte i tamburi che battono sempre più insistentemente al largo delle coste di Taiwan.

A inizio settembre giunge comunicazione che le fabbriche cinesi avrebbero lavorato tre giorni alla settimana. Mizzega! E perché??? Loro che vanno avanti col 7/7 h24 da quando c'è la ripresa? Perché... "green economy". Noooo, non ci volevo credere. Lo Stato impone la riduzione delle emissioni. "Vi raziono l'elettricità!" Proprio ora che è da due anni che stanno massimizzando profitti a ritmo di decine di miliardi di dollari di surplus commerciale al mese??? Mah... tutto può essere.

Poi dopo neanche un mese la verità viene a galla... Questo è un articolo di 30 giorni fa
"China's power crisis hampers its economic growth
https://www.aninews.in/news/world/asia/chinas-power-crisis-hampers-its-economic-growth20211010124712/#:~:text=ANI%20%7C%20Updated%3A%20Oct%2010%2C%202021%2012%3A49%20IST,outright%20blackouts%20in%20some%20provinces%2C%20media%20reports%20said.

In buona sostanza, si diceva che si razionava non per scelta ma per necessità... 20 "province" su 31 razionavano PER CRISI DI PRODUZIONE ELETTRICA, PERCHE' LA COPERTA ERA CORTA! Anche qui, invero, la cosa mi sembrava strana... tutto può essere, ma E' MOLTO STRANO che che in un Paese dove produzione e consumo di energia elettrica, tutto sommato, rientrano in dinamiche abbastanza prevedibili (non diciamo "pianificazione" che non c'entra nulla... dinamiche prevedibili), non prevedi il caro bollette, quello si, ma non puoi non prevedere che una dinamica produttiva in crescita non necessiti, a sua volta, una maggiore produzione di energia elettrica a copertura. Il carbone costa di più ma c'è.

E invece no. Allora faccio come santommaso e vado a vedere come stanno le cose. direttamente sul sito dell'istat cinese.

From January to August, the power generation was 5,389.4 billion kwh, a year-on-year increase of 11.3 percent, an increase of 11.6 percent over the same period in 2019, and an average increase of 5.7 percent over the two years.

http://www.stats.gov.cn/english/PressRelease/202109/t20210916_1822209.html

Il che significa che RISPETTO alla RPC pre-covid, le centrali hanno pompato energia elettrica in più per un buon 11.6%! (alla faccia del bicarbonato di sodio e della grìneconomi)

Resta da capire dove vada a finire quell'energia elettrica, visto che da una parte razionano e dall'altra pompano... Maligni parlano di industria bellica che a sua volta pompa a manetta. Un complesso militare-industriale che assorbe gran parte delle risorse e non rientra nelle statistiche. Con notizie, tipo quella della sofferenza negli approvvigionamenti, usate come specchietti per le allodole in questa nuova guerra fredda...

Boh. Sweet dreams are made of this, who am I to disagree. Una cosa però registro. Che nel povero (a tutti gli effetti) Xinjiang adesso è arrivato un nuovo "giocattolo", puntualmente ripreso dai satelliti e altrettanto puntualmente riportato dal bene informato Colonel Cassad, al secolo Boris Rožin:
Учебный полигон для отработки ударов по американской АУГ (poligono di tiro per studiare gli attacchi a portaerei americane)
https://colonelcassad.livejournal.com/7199244.html
Su una rotaia larga sei metri vengono fatte girare quotidianamente sagome di portaerei (lunghe 75 m) e cacciatorpedinieri tipo Arleigh Burke, su cui vengono simulati i vari attacchi.
Quel giocattolo, insieme ad altri non rilevati, ciucciano energia. La produzione di armi ciuccia energia. Il tam tam mediatico su Taiwan non prelude a nulla di buono. Tutto questo sicuramente non influisce positivamente su chi pensa a una maggiore "stabilità" per "crescita economica". Anche perché il conto più salato lo pagano sempre i vasi di coccio, ovvero noi. E la dinamica in corso è una dinamica PREOCCUPANTE a dir poco.

Paolo Selmi

PS ogni tanto leggo i commenti anche di questi articoli... e quello della portaerei finta era troppo allettante per non sbirciare. Questo scambio di battute merita:

Commentatore A: I cinesi hanno preso sul serio la flotta USA, non mi ricordo se anche in URSS c'erano sagome in tutto simili alle portaerei nemiche. (Китайцы серьёзно взялись за флот США, не помню, чтобы в СССР было даже близко похожее на макеты вражеских авианосцев.)

Commentatore B: In URSS non c'era questa necessità, più semplicemente il ministro della difesa aveva una cartina degli USA... un modello più grande a noi non serviva! (в СССР не было в этом необходимости , у министра обороны просто была карта сша . большего макета нам и не требовалось)
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