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contropiano

Critica al “Programma di Cernobbio”

di Joaquin Arriola [1] e Luciano Vasapollo [2]

La crisi sistemica del capitalismo deve essere una opportunità tutta politica per forzare l’orizzonte verso i percorsi di transizione al socialismo. Due economisti marxisti spiegano perché il neokeynesismo non può essere l’alternativa alla crisi del capitale confermata dal forum “ufficiale” dell’establishment capitalista a Cernobbio

Nei primi giorni di settembre 2009, a fronte della Cernobbio che conta per la società del capitale, si è realizzato il Controforum dove anche quest’anno associazioni, sindacalisti ed economisti discutono della Campagna Sbilanciamoci contro le politiche di Tremonti e per esaminare le possibilità alternative alla crisi, o meglio per dare indicazione di come uscire a sinistra dalla crisi.

In molti scritti abbiamo sostenuto anche in tempi non sospetti che bisogna parlare di “normalità” della crisi perché già Marx parlò chiaramente della modalità ciclica del sistema capitalista, che ha quindi come sue fasi le crisi economiche, così come l’espansione e i picchi di crescita; ed è proprio attraverso la crisi che il sistema ripristina il suo stato di equilibrio distruggendo forze produttive, lavoro e capitale in sovrabbondanza rispetto ai processi di valorizzazione voluti;

la distruzione del capitale finanziario per esempio significa eliminare una specifica componente del capitale sovrabbondante; la crisi è quindi una regolarità distruttrice necessaria per tentare di realizzare una nuova fase di crescita economica ricostruendo ciò che era stato distrutto in precedenza e realizzando il saggio di profitto desiderato; pertanto ovviamente, quindi, tutte le misure per uscire dalla crisi sono sempre contro i lavoratori prima, durante e dopo, attraverso disoccupazione, precarietà, attacco al salario diretto, indiretto e differito; determinando l’allargamento delle aree di miseria oltre che nelle terre di nessuno anche nella semiperiferia e negli stessi paesi a capitalismo maturo ma anche distruggendo imprese, effettuando fusioni, concentrazioni, distruggendo capacità tecnico-produttive, capitale fittizio e produttivo. Ovviamente l’obiettivo del capitale è quello di espellere così forza lavoro occupata o veicolando denaro pubblico alle imprese sottraendolo alla spesa sociale, in ogni caso tentando la ripresa di una qualche crescita economica per garantire quei processi di accumulazione necessari con sempre però maggiore sfruttamento del lavoro.

Ne deriva che i tentativi di uscire dalla crisi anche applicando le ricette keynesiane hanno ormai da lunghi decenni assunto la forma dell’abbattimento della spesa sociale per favorire l’economia di guerra (keynesismo militare con il passaggio dal Welfare al Warfare) e il sostenimento dell’impresa con ad esempio rottamazioni, sgravi fiscali, aiuti alle banche, ecc. (keynesismo del Profit State con la determinazione del “Welfare dei Miserabili”).

E’ ancora possibile “tirare per la giacca” il capitalismo?

Ci sembra che anche le proposte del Controforum della Campagna Sbilanciamoci possano essere lette come un tentativo in buona fede di una uscita keynesiana a sinistra dalla crisi, basta infatti leggere :

“Le alternative alla crisi di Sbilanciamoci prevedono cinque principi per cambiare le politiche, cinque nuove iniziative economiche e sociali e cinque modi per trovare i soldi che servono: 40 miliardi per il 2010 e 2011, l'1,6% del Pil del 2010 e lo 0,9% nel 2011 (fino a ora il governo ha speso appena lo 0,8% del Pil, contro il 3,7% della media del G20).
L'obiettivo politico è uno sviluppo fondato su sostenibilità ambientale e qualità sociale, diritti e uguaglianza, un nuovo modo di produrre e di consumare. Per raggiungerlo, cinque principi di fondo. La sostenibilità ambientale dev'essere al centro della necessaria riconversione di produzione e consumi. La qualità sociale resta il tratto distintivo di un'economia che rimetta al centro il lavoro, le persone, i diritti sociali. Serve un equilibrio diverso tra consumi collettivi e consumi individuali, sacrificati i primi (tagli a welfare, sanità e scuola) e dilatati i secondi, con consumi opulenti e distruttivi per la società e l'ambiente.Il principio della cooperazione deve rimpiazzare la competizione esasperata, nei rapporti Nord e Sud del mondo, come tra persone e imprese. Infine la ricostruzione di un serio intervento pubblico per disporre di strumenti adeguati, dando regole stringenti ai mercati finanziari, disegnando una vera politica industriale, meccanismi di stimolo all'economia reale, nuove forme di redistribuzione e sostegno della domanda.”[3]

Il capitalismo è un sistema dinamico che trova nei suoi cambiamenti costanti le condizioni per la sua perpetuazione[4]. Però in questi cambiamenti escogita sempre, per alcuni limiti precedentemente segnalati come caratteristiche essenziali, leggi di funzionamento e operatori, determinanti di sistema. Così, nelle sue diverse fasi, la storia del capitalismo può essere descritta come un processo crescente di centralizzazione e concentrazione del capitale, e quindi di centralizzazione del potere, che ha come contropartita l’esclusione delle maggioranze sociali dal suddetto potere, in primo luogo, all’interno della fabbrica, e di conseguenza in ambito politico. Non esiste nessun argomento teorico che giustifichi il pensiero per cui il sistema capitalista sia l’ultima tappa nell’evoluzione della socializzazione umana, tra le altre cose perché per molti aspetti è una regressione rispetto a sistemi precedenti; mai come con il capitalismo è stata messa in discussione la stessa sopravvivenza della specie umana, sia dalla tecnica (le uniche bombe atomiche che hanno ucciso moltissime vite sono state sganciate da un paese capitalista) che dalla distruzione dell’ecosistema (molto grave con un sistema che valorizza solo ciò che ha un prezzo, ossia, ciò di cui si appropria in forma privata, ignorando il costo dell’ampio consumo di beni naturali non rinnovabili). Ecco perchè parliamo di crisi sistemica.

Il superamento del capitalismo è una questione indubbiamente aperta. Utilizzando il termine “superare”, diamo per scontato il nostro orientamento verso principi etici e morali: è possibile intravedere un ordine sociale non capitalista che permetta il miglioramento delle condizioni di vita della gente e aumenti il benessere e la felicità?

Avviare una controtendenza fondata su alternative teoriche e lotte sociali

Questa domanda esige una risposta a due questioni: è necessario superare il capitalismo? È possibile farlo?

Premesso che si pone ormai come inderogabile incanalare la ricerca scientifica e il dibattito politico-economico verso problematiche, modalità di scelta di teorie indirizzate da pratiche di lotta sociale capaci di stimolare processi decisori politico-economici che collochino come centrale la costruzione di un diverso modello di sviluppo che si ponga immediatamente su un terreno qualitativo fuori mercato, si possono da subito sviluppare temi di riflessione e di ricerca e di un programma minimo di controtendenza per riforme di struttura che almeno realizzino ipotesi di controtendenza rispetto alla scelta di sviluppo dello Stato-Impresa.

Va rilevato allora che, già da subito, a maggior ragione per dare un senso socio-economico alla costruzione di economie fuori mercato a compatibilità socio-ambientale è necessario effettuare delle scelte strategiche di politica economica generale che operino congiuntamente sulle emergenze sociali come quelle dell’occupazione e della salvaguardia ambientale.

I principi ispiratori di un diverso paradigma politico-economico a carattere socio-ambientale si lega indissolubilmente ad un nuovo modello di progresso sociale che possa partire dalle linee di un programma minimo di controtendenza che riguardano certamente la prevenzione e il miglioramento della performance ambientale d’impresa, ma mettano al centro del dibattito non la crescita economico-produttiva, ma la crescita della valenza sociale del vivere collettivo. Questi principi fanno riferimento non alle priorità aziendali ma alle priorità sociali, al miglioramento continuo della qualità della vita, alla formazione dei saperi non incentrata sulle logiche di competitività di un nuovo darwinismo economico, ma alla valutazione preventiva degli impatti socio-ambientali, dei prodotti e dei servizi orientati a una nuova qualità dei bisogni.

È necessario, allora, già nell'immediato sviluppare teorie d'alternativa e lotte sociali per imporre la redistribuzione del reddito e della ricchezza a favore dei lavoratori, dei disoccupati, salvaguardare l'ambiente, la salute, sviluppare istruzione, formazione, cultura del sociale e saperi sociali, a partire da una rinnovata critica dell’economia applicata capace di configurarsi come economia socio-ecologia politica dello sviluppo fuori mercato e alternativo al capitalismo e quindi in grado di superare le leggi dello sfruttamento sull'uomo e sulla natura.

Le lotte sociali devono animare un dibattito sul netto rifiuto del neoliberismo ed anche e soprattutto sul superamento del sistema capitalista, che già può vantare eccellenti apporti, provenienti dal paese con il capitalismo più sviluppato del pianeta. La partecipazione o meno a queste lotte e al dibattito che si è aperto sarà la linea di demarcazione della riorganizzazione dello spazio politico tra le forze della sinistra radicale e di quella di classe, con progetti inseriti ancora nella logica capitalista e le nuove strutture sociopolitiche e organizzative alternativamente proiettate rispetto al sistema vigente e quindi in chiave anticapitalista.

Da un punto di vista teorico è possibile concepire un sistema nel quale la divisione del lavoro si stabilisca attraverso un sistema di relazioni orizzontali, basato su atti di reciprocità; dove il mercato non faccia a meno della gratuità e dove il conflitto non sia basato sulla dicotomia possesso/non possesso. Questo significa che qualsiasi siano le forme di un sistema post-capitalista, per rappresentare un avanzamento sociale e umano dovrà colmare la separazione capitalista tra l’economia e la politica, la quale permette soltanto a pochi privilegiati di passare da una regione all’altra come cittadini. Per questo, la democrazia partecipativa, politica ed economica è una dimensione chiave di qualsiasi progetto del futuro post-capitalista.

La particolarità è che questa crisi è strutturale e sistemica e determina quindi sicuramente la fine del predominio del capitalismo e imperialismo statunitense e allo stesso tempo preannuncia la fase terminale del sistema stesso capitalista proprio perché le possibilità di accumulazione reale del sistema hanno raggiunto il loro limite. E se nella lunga fase espansiva il modello fordista-keynesiano e gli Stati di welfare keynesiani hanno permesso la crescita quantitativa del capitale, è anche vero che la finanziarizzazione dell’economia, le privatizzazioni forzate, l’attacco ai diritti e al costo del lavoro,al salario diretto, indiretto e differito in tutte le sue forme non ha potuto risolvere questa crisi attraverso distruzione di valore del capitale proprio perché è crisi di sistema.

Il “Programma Minimo di Classe”

Nelle tendenze attuali non rimane da scoprire nessuna forza interna al sistema che permetta di pensare alla possibilità di una ricomposizione delle condizioni del Patto Sociale del periodo post-guerra, che ha dato origine al cosiddetto Stato sociale Keynesiano dei paesi centrali, molto meno per un’eventuale estensione dello stesso verso la maggioranza espropriata e impoverita del pianeta.

L’alternativa possibile e necessaria richiede un “Programma Minimo di Classe”, quindi una maggiore qualificazione e sofisticazione nelle richieste e nelle analisi dei lavoratori e dei loro rappresentanti, dei cittadini e delle loro organizzazioni. Richieste di miglioramento sociale, ma anche di ampliamento degli spazi di decisione democratica partecipativa, per inaugurare la fase della trasformazione tecnologica, le decisioni di produrre e distribuire sotto il controllo di tutti i lavoratori; decisioni subordinate ad un processo politico e sociale di discussione sul ruolo che devono occupare le macchine e la scienza nelle nostre vite. E’ inaccettabile che l’avanzamento tecnologico, invece che liberare l’umanità dal lavoro pesante, provochi la disoccupazione; invece di migliorare la qualità di vita, provochi nuove forme di inquinamento, invece di incrementare il sapere globale, sequestri la conoscenza nascondendola tra il muro dei brevetti e i diritti di proprietà.

Se le nuove richieste si dirigono verso lo spazio di produzione e distribuzione della ricchezza sociale, prima o poi si concretizzeranno in una strategia di rottura con lo stesso capitalismo.

E allora la risposta alla crisi non può avere altro carattere che quello del rafforzamento politico del conflitto di classe internazionale, nelle sue diverse forme di rappresentazione sociale e politica. Un’alternativa mondiale per la trasformazione radicale deve essere un progetto che contenga un significato di classe transnazionale, con da subito una strategia che si muova in un orizzonte capace di determinare processi politici che, anche nei momenti rivendicativi tattici, abbiano sempre chiara la strategia politica per il superamento del modo di produzione capitalista e di costruzione del socialismo.

Per questo, una alternativa globale ridefinisce il discorso politico nel terreno del sociale e subordina a questo discorso politico sul sociale, il discorso economico e il discorso politico sull’economia.

Costruire in maniera indipendente le proprie prospettive muovendosi da subito nella piena autonomia da qualsiasi modello consociativo, concertativo e di cogestione della crisi. Solo così l’autonomia di classe assume il vero connotato di indipendenza dai diversi modelli di sviluppo voluti e imposti dalle varie forme di capitalismo, ma soprattutto da sempre lo stesso sistema di sfruttamento imposto dall’unico modo di produzione capitalistico;e quindi in tal senso il movimento dei lavoratori non può e non deve essere elemento cogestore della crisi ma trovare anche nella crisi gli elementi del rafforzamento della sua soggettività tutta politica.

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[1] Professore università del Pais Vasco, Bilbao
[2] Professore università Sapienza di Roma
[3] Si veda SBILANCIAMOCI Le proposte del contro-forum di Cernobbio 40 miliardi e 15 mosse contro la grande crisi, Giulio Marcon - Mario Pianta, e i documenti disponibili sul sito www.sbilanciamoci.org
[4] Molte delle considerazioni degli argomenti trattati in questo articolo fanno riferimento ai contenuti del testo di Joaquin Arriola e Luciano Vasapollo. “Crisi o Big bang? La crisi sistemica del capitale: perché, come e per chi”, Quaderno del Laboratorio Europeo per la Critica Sociale , nuova serie n. 5, Edizioni Mediaprint, Roma, aprile 2009
 

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