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Lettera di "Liberazione" a Romano Prodi

 di Emiliano Brancaccio

manifestaz1Lasciare l'egemonia della politica economica al nascituro Partito democratico significherà recitare il de profundis dei consensi attorno al governo e alla sua attuale maggioranza. Ecco perché per la Sinistra è necessaria la spinta di queste mobilitazioni

Stando così le cose, sorge allora spontaneo un sospetto: non è che forse la sua lettera andasse considerata come una sorta di avvisaglia per il futuro? Non è che Lei con essa abbia voluto sondare quanto sia disponibile la sinistra a genuflettersi, e a tollerare il giro di vite prossimo venturo sui salari e sul disavanzo pubblico? Basta sollevare un po' lo sguardo verso l'orizzonte, per capire che le stime sull'import-export non fanno che avvalorare una simile congettura.

Se così fosse, caro Prodi, allora faremmo bene ad augurarci non una, ma cento e mille mobilitazioni della sinistra. E soprattutto, dobbiamo sperare che dalla spinta di queste mobilitazioni la sinistra comprenda che lasciare l'egemonia della politica economica al nascituro suo Partito democratico significherà recitare il de profundis dei consensi attorno al governo e alla sua attuale maggioranza.

 Perché diciamolo con franchezza: la politica di deflazione che Lei e il suo partito si ostinano a portare avanti, sarà pure formalmente compatibile con le 280 pagine del famigerato Programma, ma resta marcia fin dalle premesse.

Questa politica deriva infatti da un convincimento che in Lei e nel suo entourage si è radicato fin dagli anni '80, e che ha già in buona parte agito come profezia che si auto-realizza: è il convincimento che nella divisione europea del lavoro all'Italia spetti ormai uno spazio del tutto residuale, nella migliore delle ipotesi collocato nelle terze e quarte file della subfornitura. E' questa un'analisi che in fondo il Partito democratico condivide con le destre. Con una differenza decisiva, però. Per queste ultime, aggrappate come sono ai consensi di un micro-capitalismo in agonia, la crescente mortalità delle piccole imprese nazionali costituisce un enorme problema politico. Per i democratici, invece, fautori con Draghi dell'avvento dei grandi capitali esteri, la sparizione dei piccoli imprenditori marginali costituisce un dato ineluttabile e persino necessario. Il che rappresenta un indubbio segno di modernità del Suo partito rispetto a una destra nostrana arcaica e fallimentare. Il guaio tuttavia è che - per fini di sopravvivenza dei piccoli l'una, o di attrattiva per gli stranieri l'altra - entrambe le opzioni risultano logicamente incompatibili con un sistema di protezione dei lavoratori e con un contratto nazionale non velleitari, e più in generale con un sindacato capace almeno ogni tanto di attivare il conflitto sociale. Insomma, Professore, anziché mugugnare, nella prossima missiva lo dica con chiarezza: la politica di deflazione alla quale Lei rimane aggrappato richiederà, per sistemare i conti esteri, un taglio secco del costo del lavoro per unità di prodotto non inferiore al 15%. Il che significherebbe la fine del sindacato, almeno così come noi oggi lo conosciamo.

In definitiva, caro Prodi, può anche darsi che il governo meriti ancora uno scampolo di fiducia, ma la sua attuale politica economica certamente no. L'auspicio allora è che la sinistra si attivi per un autunno che sia al tempo stesso rovente e progettuale. E questo non solo per correggere la rotta del nefando protocollo del 23 luglio. Ma anche per avviare con urgenza un confronto approfondito tra gli effetti della ormai ultradecennale politica deflazionistica e le possibilità di una diversa politica di gestione del debito pubblico, tesa a finanziare un nuovo intervento statale negli assetti proprietari strategici e a riorganizzare per questa via un capitale nazionale asfittico e polverizzato. Naturalmente c'è da temere che questo rappresenti un obiettivo al di fuori delle immediate possibilità di manovra di una sinistra ancora fragile e spaccata. Ma di questo, caro Prodi, Lei farebbe bene a non rallegrarsi troppo. Dopotutto sarebbe molto ingenuo credere che le lavoratrici e i lavoratori italiani continueranno a dare il proprio voto a una politica deflazionistica che oggettivamente sta remando contro i loro interessi, immediati e prospettici.

 

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