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nuovadirezione

Ricerca di una nuova direzione

Sulla logica del Cln

di Nuova Direzione

gli orizzonti perduti 1La crisi

La spinta generata dalla crisi sanitaria ancora in corso sta determinando conseguenze dirette ed indirette molto forti. In particolare, si registra un’accentuazione della divaricazione tra sezioni del paese, sia in termini geografici sia di specializzazione, e l’impatto altamente differenziato sul mondo del lavoro (principalmente sull’asse tra impieghi stabili e precari e tra lavoratori autonomi e dipendenti). È evidente l’allargamento di una profonda linea di divaricazione, già presente e costitutiva della retorica neoliberale, tra i settori dei ceti salariati ancora protetti dalle garanzie novecentesche e il vasto mondo dei lavoratori precari senza diritti, in particolare nelle imprese piccole ed a basso livello tecnologico e di competitività, i numerosissimi finti autonomi del settore dei servizi (in particolare nel turismo e settori affini), gli operatori in proprio del commercio al dettaglio, i professionisti e parte del ceto medio produttivo ed imprenditoriale in crescente difficoltà. I primi antepongono la protezione, richiedendola, alla continuità dell’impegno lavorativo mentre i secondi, impregnati dello spirito libertario e della retorica del self-help tipica del mondo neoliberale, sono impauriti soprattutto della potenziale disoccupazione, o del fallimento delle loro attività, passano in secondo piano i rischi sanitari individuali e collettivi (che tendono ad essere negati). La seconda area tende a mobilitarsi contro le misure di protezione sanitaria, percependole come una minaccia concreta e una violazione della propria libertà individuale. La prima costituisce la base, al momento maggioritaria, di consenso alle misure governative di protezione attiva nei confronti dei rischi epidemici (che riguardano molto più la tenuta del fragile sistema sanitario nazionale che non la mortalità diretta in condizioni ottimali, che resta bassa).

Sfortunatamente nessun corso di azione, come mostra anche l’analisi comparata degli altri paesi, è in grado di evitare completamente gli impatti sul sistema economico. Unica eccezione, probabilmente, le radicali misure prese in ambito estremo orientale, in particolare in Cina, che, tuttavia si giovano di una infrastruttura tecnica, di condizioni culturali e sociali, e di strutture istituzionali e politiche molto diverse da quelle occidentali.

La divaricazione nella percezione sociale nasce anche dall’esistenza di effetti molto severi sullo stato di crisi di interi settori, in particolare connessi con le aree del tempo libero, spettacolo e turismo, che avevano subito un’enorme espansione negli ultimi decenni e che sono il rifugio, a causa della loro bassa produttività media, delle forme più deboli di lavoro. Si è trattato, nel trentennio della trasformazione neoliberale, di veri e propri settori spugna, che hanno riassorbito le aree di espulsione determinate dalla sempre maggiore polarizzazione sociale. L’effetto diretto della concentrazione di tutti gli incrementi di reddito e ricchezza nel primo dieci per cento (se va bene), della popolazione. Sono infatti cresciuti contemporaneamente i consumi dissipativi e identitari, da una parte, e la deprivazione di fasce crescenti di marginali e semimarginali, dall’altro. Una intera industria è cresciuta e si è adattata a questo ambiente sociale ed economico distorto, ed ora è in gravissima crisi strutturale.

A questo impatto fortemente ineguale va aggiunto l’effetto in termini di stress psicologico determinato dall’esperienza senza precedenti del Lock Down che si è sommato, diventando particolarmente insopportabile, per i ceti e le persone più esposte e fragili. Ovvero per coloro i quali si sono trovati improvvisamente ad essere tra i lavoratori e le attività “non essenziali”. Costretti dall’organizzazione sociale già da prima in posizioni fragili e precarie, si sono trovati improvvisamente espulsi e prigionieri dentro settori morenti.

In relazione a questi macro-fenomeni è stato registrato l’emergere in piena luce di fenomeni macroscopici di polarizzazione dell’opinione. Fenomeni di polarizzazione resi particolarmente forti dalle piattaforme social sulle quali avvengono gli scambi e dagli algoritmi ad apprendimento automatico, orientati a massimizzare il tempo di navigazione e fidelizzare al mezzo. Sistemi tecnici che “vendono” storie attraenti e vistose, mettendo in contatto persone che le seguono, per sviluppare una sorta di droga compensativa: la meccanica della dipendenza passa per il potenziamento della autostima tramite l’effetto gregge e l’annullamento del senso critico. Si formano veri e propri pensieri di gruppo, concentrati su narrazioni semplificate e altamente consolanti, normalmente connessi con la creazione di nemici esterni.

 

Il contesto europeo

È indubbio, e merita di essere confermato sempre, che la crisi italiana deriva solo in parte da caratteristiche e carenze interne ma in parte preminente è effetto dell’inserimento del paese in posizione non sufficientemente autonoma nel sistema mondo. Ed in particolare in quel suo centro con aspirazioni imperiali (tuttavia in buona misura velleitarie) che è l’Unione Europea. Progetto ricco di contraddizioni che nasce all’indomani del collasso sovietico e nel clima trionfale di un occidente che si pensava dominante (per cui veniva in agenda la lotta per il predominio in esso). Progetto incoerente e dominato internamente dai potenti spiriti animali del sistema finanziario-industriale continentale, e dalle propaggini di quello atlantico. Venduto come difesa dai rischi della competizione globale, ma in realtà orientato geneticamente e attraverso il disegno istituzionale, oltre che le principali agenzie, per disarmare tutti quei presidi, istituzionali e normativi (in grande misura nazionali) che potevano farvi fronte.

Questa critica è stata portata avanti per anni, rintracciando le fonti, inseguendo e ricostruendo i vecchi dibattiti, producendo argomenti e una compatta narrazione. Nuova Direzione ha partecipato, e le organizzazioni dalle quali è nata, in prima fila alla creazione di questa narrazione, e ne conferma i caratteri essenziali. La gran parte dei problemi che i ceti subalterni e medi stanno attraversando nei paesi occidentali, sia centrali (Usa) sia semicentrali (Germania, Francia, Uk) sia semiperiferici (Italia, Spagna, Olanda) sia periferici (Grecia, Irlanda, Portogallo, Polonia, Ungheria), derivano dal modo nel quale è stata gestita la crescita della mondializzazione. A vantaggio e secondo la cultura e obiettivi del grande capitalismo finanziario ed industriale multinazionale e delle forze, politiche, culturali, sociali ad esso connesse. Asservendo ogni funzione sociale e riproduttiva (di vita e cultura) al fine di riprodurre ed accrescere solo il capitale, mercificando ogni relazione, creando ovunque dipendenze e servitù (per lo più volontarie). È sembrato a molti, ed in particolare alla sinistra, che questo indicasse e rappresentasse nella sua essenza la modernità. E quindi, incorporasse le direzioni del progresso. Nuova Direzione ritiene che qui affondi la ragione più profonda del fallimento del pensiero emancipatore: bisogna che sia possibile vivere senza restare prigionieri del mito del ‘progresso’ lineare, mutuato dalla tecnoscienza, che traduce l’aumento di potenza in promessa di benessere e libertà. Creando un mondo nel quale ciascuno e tutti insieme si possano coltivare le capacità, sviluppare i talenti, portare a compimento la propria natura, maturare le migliori tradizioni comuni. Occorre, però, superare la narrazione mondialista, promossa da un potentissimo network e dal sistema della cultura e comunicazione quasi al suo completo, senza farsi catturare dall’agenda di una narrazione territorialista che si sforza di ottenere i medesimi risultati di dominio e sfruttamento (insieme di popoli e classi lavoratrici) con altri mezzi.

 

La narrazione incentrata sulla “sovranità”

Nuova Direzione conferma la sua critica, contenuta nelle tesi, alla mondializzazione, al progetto imperiale europeo, al neoliberismo in ogni sua forma (di destra e sinistra), ma non può più nascondersi che l’insieme dei fenomeni brevemente descritti stia da tempo portando ai suoi estremi limiti, e rendendo evidente, il fallimento di una ipotesi di lavoro che alla metà circa degli anni dieci era stata formulata nell’area della sinistra eurocritica: che si potesse affrontare il problema del raggiungimento di una massa adeguata a modificare i rapporti di forza, e mettere in crisi il dispositivo europeo, attraverso la costruzione di alleanze eterogenee “di scopo”. Saltando il passaggio della creazione di una cultura politica comune e di visioni concordi delle priorità e destini del paese.

L’idea ed il tentativo di aggregare in un’unica formazione “patriottica” tutti coloro che condividono, anche per ragioni diverse e talvolta opposte, l’ostilità per il progetto europeo nato a Maastricht in Italia è stata propagandata in particolare dal senatore Alberto Bagnai (esterno ai circuiti della sinistra radicale, anzi fino al momento del suo impegno antieuro tranquillo professore associato a Pescara, specializzato in econometria), che negli anni alla metà del decennio ha guadagnato un’obiettiva centralità con il suo blog “Goofynomics” e con la sua predicazione antieuro. Questa ipotesi si è imperniata su alcune affermazioni o postulati:

  1. che il problema del paese sia determinato in ultima analisi da un dispositivo tecnico-economico, l’Euro, o istituzionale, la Ue;
  2. e da un approccio ideologico-culturale, l’ordoliberismo;
  3. quindi, infine, da una dominazione esterna, la Germania.

Il nemico, in questa prospettiva, è quindi ben definito, ha uno strumento, una voce ed un volto.

Questa scaletta implica, però, importanti conseguenze:

  1. tutti coloro che non condividono questa priorità (Euro, ordoliberismo e Germania come nemici principali) diventano degli ostacoli e quindi nemici essi stessi;
  2. viceversa, tutti coloro che la condividono (qualsiasi cosa pensino su tutti gli altri temi non principali, e qualunque sia la ragione effettiva della loro opposizione sui principali) sono degli alleati;
  3. infatti, bisogna unire le forze di tutti coloro i quali si sono “risvegliati”, qualunque cosa pensino in generale del mondo e qualunque posizione di interesse abbiano in esso;
  4. casomai sarà nel ‘secondo momento’, quando saremo “liberi”, che si deciderà la direzione da far prendere al paese e che la politica potrà essere riattivata;
  5. ora è il momento della lotta di liberazione unitaria.

Si trovano in questo modo ad essere chiamati ad un’alleanza tattica coloro i quali ritengono fondamentale l’alleanza con gli Usa, contro la minaccia del socialismo cinese (e degli altri), e del semiegemone russo (ma anche iraniano, siriano, e via dicendo), insieme a coloro che ritengono essere proprio la potenza imperialista statunitense il principale problema del mondo (ovvero il nemico principale, anche se non il più prossimo). Oppure, coloro che vedono essenzialmente il sacrificio della capacità di potenza e di riproduzione del capitale italiano, nello scontro con quello nordico (tedesco e francese in primis), insieme a coloro che identificano la crisi di civiltà nel capitalismo stesso, nella preminenza della competizione e della costante esposizione dei lavoratori alla “durezza del vivere”. Ancora, coloro che pensano al sistema delle imprese private, medie e piccole, e del lavoro autonomo e professionale che vi ruota intorno come alla parte più dinamica del paese, schiacciata dalle burocrazie (europee nella fattispecie, ma anche nazionali, a ben vedere) insieme a coloro che ritengono l’apparato pubblico drasticamente sottodimensionato, in estensione e competenze, e compito dello Stato garantire una crescita equilibrata e soprattutto sana, ed i lavoratori essere la parte fondamentale e dinamizzante del paese stesso.

Provando a interrogare più attentamente questa strana alleanza ne emergono i seguenti presupposti impliciti, ma necessari:

  1. che l’Italia sia un soggetto, sia potenzialmente unito ed omogeneo, e lo scontro sia solo questione di nazioni (una sorta di nazionalismo ingenuo o metodologico);
  2. che “il”popolo ne sia l’attore, e sia esso stesso un soggetto unitario, cosa per ottenere la quale bisogna identificare ed espellere i corpi estranei, identificati con i politici servi dello straniero e la grande finanza (una forma ingenua di populismo);
  3. che, quindi, la “liberazione” sia questione di sconfiggere tutti insieme un nemico esterno, espellendolo dal “popolo” e scacciandolo oltre le Alpi;
  4. che, fatto questo, dalla fonte riattivata della ricchezza nazionale goccioli su ognuno la ricchezza che veniva sottratta dall’esterno e si torni, ciascuno ed insieme, ai tempi nei quali era possibile vivere bene (una sorta di idealizzazione del passato mitico che qualcuno colloca agli anni ottanta, altri nei primi novanta).

Se si concede questa struttura, infatti, la strategia logica a questo punto diventa:

  1. bisogna neutralizzare tutte le differenze ideologiche, culturali e di interesse dei diversi ceti, posizioni e classi, nel superiore interesse della “nazione” e del “popolo”, schiacciato dall’occupazione straniera (e dai suoi alleati collaborazionisti);
  2. è necessario unire destra e sinistra, nord e sud, imprenditori e lavoratori salariati, ricchi e poveri, in un unico obiettivo, con un’impostazione fortemente interclassista che sceglie quindi una linea di conflitto completamente esterna (secondo il gergo, una ‘faglia di antagonismo’ collocata esattamente dopo quelle fratture, al fine di costruire delle ‘catene equivalenziali’ che uniscano le rivendicazioni, altrimenti disparate ed anche opposte, dei diversi soggetti);
  3. a questo fine è indispensabile restare intenzionalmente vaghi su tutte le questioni “divisive” che potrebbero rompere le ‘equivalenze’ (come quelle sopra elencate);
  4. in questo modo si tornerà “liberi”.

 

La svolta necessaria

Questa logica sta manifestamente fallendo. Non solo in circa dieci anni non ha raccolto forze significative, a meno di considerare tali il consenso spesso aleatorio (e, dove non tale, fondato su solidi interessi opposti direttamente a quelli dei lavoratori subordinati) che raccolgono nel nostro paese le destre. Ma è anche un’illusione rispetto all’obiettivo dichiarato come principale di favorire l’uscita dall’Euro o dalla Ue. Un consenso fondato su retoriche aleatorie, sistematicamente costruite per aggirare e trascurare i veri nodi di interesse e quindi di conflitto, meramente identitarie e consolatorie, non ha in sé la forza per resistere alla prova severissima di una riarticolazione generale delle élite e dei poteri, degli equilibri di interesse, susseguenti all’eventuale rottura dell’Unione Europea. E’ del tutto evidente che non appena l’obiettivo si è avvicinato di un solo centimetro, nel 2018, le determinatissime forze rivolte a tale missione hanno fatto, e di fatto fanno oggi e faranno sempre, un immediato passo indietro.

Si è trattato in sostanza di una scorciatoia, ma illusoria, e quindi di un errore. L’autonomia delle rappresentazioni, postulata da Laclau ed implicitamente presupposta da Bagnai, non è tale. Come è noto ad ogni pubblicitario, a medio termine qualche relazione con i duri fatti si impone sempre. Una rappresentazione non è solo un effetto egemonico di una pratica discorsiva. O meglio, una pratica discorsiva può esplicare un effetto egemonico solidamente efficace solo se ha un qualche riferimento reale. E non ha alcun riferimento reale l’unità del “popolo” intorno alla ‘faglia di antagonismo’ europea.

Dobbiamo quindi ripensare i nostri discorsi, e con essi la realtà alla quale intendiamo riferirci. Bisogna ridurre intenzionalmente la vaghezza e identificare referenti più precisi, ma anche, conseguentemente designare nemici più precisi, molto più vicini nel tempo e nello spazio. Molto più concreti. Al contempo dobbiamo scegliere un posizionamento specifico, e organicamente coerente, nel quadro del conflitto terminale della crisi strutturale in corso da decenni nel mondo, e giunta ad una transizione di potenza dai grandissimi rischi.

Si può dire in altro modo. Guardando insieme all’articolazione di interessi e soggettività che informano e strutturano la società italiana ed europea ed alla dinamica di scontro ed interconnessione ineguale internazionale: noi non siamo, non possiamo essere, e non siamo mai stati, per liberare il capitale nazionale dal controllo “straniero”, né per quello grande né per quello piccolo. Noi riteniamo che il proprio dei capitali siano i rapporti sociali di dominazione che istituiscono, di chiunque siano. E riteniamo che il punto sia liberarsi del controllo da parte del capitale, ovvero di questi rapporti sociali che esso istituisce e rappresenta.

Il nostro fine è quindi del tutto diverso da quello dei finti alleati temporanei che erano stati postulati. Nessuna egemonia è possibile se si assorbono i fini del nemico.

In altre parole. La Ue non è essenzialmente un nemico esterno. Ma è il potente strumento di un nemico che attraversa interamente, da nord a sud, dai centri alle periferie, da una classe all’altra, sia il nostro paese sia gli altri. Un nemico fatto di interessi concreti e identità politico-sociali ancorate ad essi che si muovono entro forme di vita interessate alla conservazione dei propri privilegi attraverso la creazione di vincoli (siano essi “esterni” o meno), la disattivazione sociale e politica che ne consegue, e l’economia deflattiva, qualunque sia la cornice statuale entro la quale opera.

Dobbiamo fare egemonia per liberarci di questo nemico, distruggendo anche il suo strumento. Ma ciò non significa in alcun termine o forma ottenere in modo aleatorio un voto una mattina, o la presenza ad una manifestazione, o un “mi piace” su un post, un clic o retweet. Né significa entrare in una giunta comunale, o avere un consigliere regionale, accedere ad una alleanza politica di governo in posizione marginale, subalterna, di supporto. Tutte cose degne, ma inutili. Significa cambiare il cuore e la mente.

Significa creare un “popolo” che sappia quel che vuole, dove vuole andare, contro chi. Un “popolo” che ovviamente non preesiste alla propria creazione egemonica, non è prodotto automaticamente dalla crisi (anche se questa, nel medio termine può riarticolare alcune strutture di personalità che inibivano in profondità l’azione e che sono state rese dominanti dalla fase ascendente della società del welfare), non esiste in sé, ma non può essere neppure aggregato alchemicamente da basi eterogenee ed opposte. La narrazione non può prescindere dalle relazioni materiali. Uno sforzo egemonico va compiuto per rendere possibile, o almeno favore, questa creazione di “popolo” (o di blocco sociale) ma muovendo da un’analisi strutturale (schematica ma non dottrinale) degli interessi sociali; da un’analisi capace di puntare all’individuazione e denuncia di leggi di mutamento storico-concrete ed esattamente situate. Una legge di mutamento che è comprensibile in concreto solo a partire dai conflitti e dalle contraddizioni dello stato delle cose presenti e non può essere desunta scolasticamente da alcuna dottrina.

Cambiare il cuore e la mente, per fare “popolo” è tutto il contrario della ‘produzione discorsiva del vuoto’ di cui, ancora, parla Laclau. O di creare “miti”, secondo una sorta di neo-sorelismo dalla sinistra memoria storica. Abbiamo visto dove ci portano.

Il popolo che dobbiamo creare deve averlo un fondamento, ma deve essere lui questo fondamento, solidamente materiale.

Dobbiamo trovare, se vogliamo davvero produrre egemonia e non solo mimesi, il fondo che è capace di resistere all’indefinita manipolazione dei discorsi. Identificare, tentando e ritentando, le fratture in questo fondo. Identificare i conflitti di interesse e non solo di senso. I funzionamenti sociali, i concatenamenti resistenti, solidi, che possano proporsi come primari, almeno difficilmente aggirabili, capaci di determinare opposizioni nelle cose e non solo nelle rappresentazioni. Che non siano riconducibili alla, largamente illusoria, frattura tra “popolo” ed “élite”, nella sua problematica insufficienza. Sforzarsi di identificare i luoghi ed i temi nei quali, intorno agli assi ordinatori centro/periferia ed alto/basso si stanno comunque polarizzando estetiche, linguaggi, priorità e valori, quindi soggettività di gruppo incompatibili con lo stato delle cose presenti.

Non dobbiamo farci ingolosire da immediate traduzioni elettorali, ma lavorare alla cultura politica, ovvero alla creazione di una struttura sociale densa e ad una rete di impegni e riconoscimenti con la necessaria decisione e passo.

Dobbiamo sempre usare semplificazioni e costruzioni retoriche, discorsi, ma anche fare attenzione che non ci ‘catturino’.

I discorsi populisti fondati sull’opposizione interno/esterno ci hanno catturato con il loro potente geografismo apparentemente ovvio e naturale. In questo modo abbiamo fatto scomparire dal campo politico nessi e meccanismi decisivi, ma non per questo essi sono scomparsi. La mancanza di strumenti per vederli ci ha solo reso inermi, ci ha messi nelle mani dei nostri nemici, proprio al nostro fianco e quindi non visibili. Anzi lupi travestiti da agnelli.

Nel frattempo tutte le fratture costitutive hanno continuato ad operare dietro le nostre spalle, secondo la loro logica propria, che attraversa diagonalmente i corpi sociali, creando instancabilmente meccanismi di creazione e cooptazione subalterna, strutture di collaborazione ed espulsione. Frazionando e dividendo, a vantaggio della base di potere del paese che attraversa diagonalmente le categorie proposte.

Guardando troppo lontano abbiamo dimenticato la vicinanza del potere. Dei poteri non grandi, non pieni di etichette, altisonanti, ma di quelli che si diffondono e circolano attraverso tutti i corpi e in tutte le menti, determinano ogni rapporto e prendono forme sempre nuove. Il punto è che se non se ne comprende la dinamica, i molteplici livelli, i luoghi in cui si sono addensati, le metamorfosi in corso e quelle che prenderanno, l’azione andrà fatalmente incontro al più cocente smarrimento. Se non si nominano si rischia poi di non poterli vedere dove si presenteranno, sorprendendoci. Detto con altre parole, in politica restare vaghi può significare restare disponibili ad essere addomesticabili. Ad essere colonizzati, come probabilmente è avvenuto o avverrà.

Dobbiamo prendere un’altra direzione.

Comments

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Alessandro Visalli
Monday, 19 October 2020 13:31
Provo a rispondere.
Nel testo è scritto che la logica brevemente sintetizzata, ed alla quale non si aderisce e non si è mai aderito, ha fallito. In cosa? In primo luogo ha fallito nei suoi stessi termini, ovvero nell’obiettivo (loro e non di ND) di favorire l’uscita dall’Euro o dalla Ue. Fallisce perché unisce forze eterogenee e che vogliono cose diverse intorno a retoriche aleatorie.
La Nuova Direzione da ricercare (chi l’avesse già trovata può fare un fischio) parte da “identificare referenti più precisi” e “nemici più precisi”, concreti. Scegliendo un posizionamento coerente nel conflitto in corso (che si abbrevia normalmente con “geopolitico”). Perché sia chiaro è stato scritto di seguito che “noi non possiamo essere, e non siamo mai stati, per liberare il capitale nazionale dal controllo ‘straniero’, né per quello grande né per quello piccolo. Noi riteniamo che il proprio dei capitali siano i rapporti sociali di dominazione che istituiscono, di chiunque siano. E riteniamo che il punto sia liberarsi del controllo da parte del capitale, ovvero di questi rapporti sociali che esso istituisce e rappresenta”.
ND non vede la Ue come un nemico esterno (e la “nazione” come l’oppresso da questo nemico), ma la vede come uno strumento dell’oppressione agito da un nemico che ci attraversa interamente (e l’attraversa interamente). È lo strumento per la conservazione dei privilegi, la creazione di vincoli insuperabili (per esempio ora impediscono di sostenere l’economia e di ristrutturare la sanità), disattivano la politica (che non può cambiare le cose), genera una struttura economica deflattiva (la cosiddetta “austerità”). Ma lo farebbe anche se la Ue non ci fosse, perché a farlo sono forze che non sono “esterne”.
Il resto è presa di distanza dalla tecnica populista, e quindi polemizza con gli autori di riferimento di questa.
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Ale
Monday, 19 October 2020 11:58
@Fabrizio Marchi

Sì è vero, ho letto frettolosamente e interpretato male quell'elenco di propositi che si riferiva al fronte “rossobruno“. Tuttavia l'articolo si limita a constatare che la strategia seguita da questa “strana alleanza” (unione di destra/sinistra, imprenditori/lavoratori) contro “l'imperialismo europeo” non ha prodotto l'obiettivo desiderato che presumo sia lo stesso condiviso da Nuova Direzione e cioè distruggere l'Europa e tornare agli staterelli nazionali.
Se non è così, spiegami tu, allora, quale sarebbe la “nuova” direzione.
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Napoli
Sunday, 18 October 2020 11:28
Anna, secondo me hai letto sbrigativamente. Avresti pienamente ragione si ti limiti alla parte dell'articolo intitolata "La narrazione incentrata sulla sovranità” . Ma poi l'articolo prosegue...
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Anna
Saturday, 17 October 2020 14:33
Commentare la tesi e gli argomenti di questo articolo non ha molto senso. Se mai credo sia opportuno capire come si è potuti arrivare ad una tale dose di grossolanità e squallore neofascista e rossobruno.
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Duri e puri
Saturday, 17 October 2020 13:14
Quoting Roccosantagiuliana:
Ma certo. Continuiamo a fare i duri e puri. È ovvio che il problema non è l'euro. Ci vuole "ben altro". Dobbiamo cambiare il popolo. Per rovesciare finalmente il sistema. E poter scrivere sulle nostre bandiere " da ciascuno secondo le proprie capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni". E poi come la mettiamo se la sinistra dura e pura dovesse superare , non si sa mai, la fatidica soglia del 6% oltre la quale scatta inesorabilmente la scissione? No, meglio rimanere coscienza critica del proletariato e sottoproletariato, non mischiamoci con i servi del capitalismo, e non dimentichiamo ovviamente "l'Italia fuori della Nato" e "solidarietà al compagno Maduro". Ma perché ragazzi , io che voto a sinistra dal 1978, quando vi sento mi vien voglia di votare lega? Non vi stancate mai del vostro mondo letterario, farsesco, teatrale, fantasy? Prendetevi un anno sabbatico, non pensare e non scrivete più nulla , tacete e meditate, per voi e per la sinistra.


Torni da Civati o dal maggiordomo di Vendola, magari si trova più a suo agio.
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Roccosantagiuliana
Saturday, 17 October 2020 12:30
Ma certo. Continuiamo a fare i duri e puri. È ovvio che il problema non è l'euro. Ci vuole "ben altro". Dobbiamo cambiare il popolo. Per rovesciare finalmente il sistema. E poter scrivere sulle nostre bandiere " da ciascuno secondo le proprie capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni". E poi come la mettiamo se la sinistra dura e pura dovesse superare , non si sa mai, la fatidica soglia del 6% oltre la quale scatta inesorabilmente la scissione? No, meglio rimanere coscienza critica del proletariato e sottoproletariato, non mischiamoci con i servi del capitalismo, e non dimentichiamo ovviamente "l'Italia fuori della Nato" e "solidarietà al compagno Maduro". Ma perché ragazzi , io che voto a sinistra dal 1978, quando vi sento mi vien voglia di votare lega? Non vi stancate mai del vostro mondo letterario, farsesco, teatrale, fantasy? Prendetevi un anno sabbatico, non pensare e non scrivete più nulla , tacete e meditate, per voi e per la sinistra.
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Fabrizio Marchi
Saturday, 17 October 2020 12:18
@ Ale: Non hai capito nulla, rileggi meglio l'articolo e facciamo attenzione prima di sproloquiare di fascismo e nazionalsocialismo. Quando parlava di superamento delle categorie di destra e sinistra si riferiva appunto a quell'area politica "sovranista" che si è aggregata in questi anni mettendo insieme i personaggi più disparati (Paragone, Fusaro, Pasquinelli, Bagnai, Boghetta, Fazi ecc. ) e che l'articolo sottopone a dura critica.
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Ale
Friday, 16 October 2020 07:41
La direzione che vogliono prendere è quella del fascismo e del nazionalsocialismo è chiaro!
Mi chiedo che ci stia a fare un articolo che auspica il superamento destra/sinistra su “sinistrainrete”.
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Francesco zucconi
Thursday, 15 October 2020 21:48
Quale?
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