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lacausadellecose

Sui morti di Mottarone

di Michele Castaldo

WhatsApp Image 2021 05 23 at 16.22.33Ci risiamo con l’errore umano, l’incuria dell’ultima ruota del carro, la ricerca del capro espiatorio e la responsabilità personale dell’accaduto. Ovvero tutto poteva essere evitato “se solo” ecc. ecc..

Siamo perciò ancora una volta alla miseria umana, alla cronaca di qualche giorno, al rimbalzo di responsabilità, alle “indagini”, alle inchieste, o – anche, perché no? - all’istituzione di una commissione d’inchiesta, visto che non si capisce bene a chi apparteneva la responsabilità della gestione politica oltre che economica della funivia, il ruolo delle regioni, dei comuni, e così via all’infinito, fino alla prossima tragedia o alla prossima strage. Tanto, una in più una in meno cosa si vuole che conti, basta che passino alcuni giorni e tutto si raffredda, tutto si dimentica, e la giostra continuerà a girare grossomodo come prima.

Ma da un po’ di tempo a questa parte alcune tragedie e disastri inducono alla riflessione persino i grandi pensatori e propagandisti dell’unico sistema sociale possibile, il capitalismo. Si avverte nell’aria una sorta di impotenza rispetto a quanto avviene. Ci sbagliamo? Può darsi, ma a leggere certi editoriali come quello di Antonio Polito sul Corriere della sera di giovedì 27 maggio, cioè pochi giorni dopo l’accaduto, ce la conferma: c’è smarrimento.

Le cose sono molto più complicate di come le si vorrebbe presentare e vanno inquadrate nella dinamica temporale per capire, cioè nella ricerca delle la cause delle cose più che la ricerca del responsabile, come sono portati a fare i grandi commentatori, che si ergono a professoroni di diritto e di etica per relegare nell’angolo buio dell’errore dell’individuo e salvare così un sistema di valori dell’attuale modo di produzione.

Qual è la preoccupazione di fondo? La spiega molto bene Antonio Polito nel richiamato articolo: « i responsabili dell’errore che ha causato l’incidente della funivia al Mottarone produrranno un danno incalcolabile, non tanto per i 14 morti, ma perché si colpisce l’immagine di un servizio del turismo che è il fiore all’occhiello dell’Italia in un periodo come quello attuale, di riapertura, dopo oltre un anno di perdite economiche causate dalla chiusura per la pandemia da Covid-19 ».

Ci sia consentito di consigliare la lettura degli editoriali della grande stampa, perché è una vera e propria scuola di cinismo politico, culturale e sociale a difesa di un sistema che comincia a scricchiolare. Seguiamo il ragionamento del signor Polito: « La scelta dei gestori di quell’impianto brucerà il profitto cumulato degli altri 1.744 che ci sono in Italia », la famosa etica capitalistica cui l’autore si richiama. Perché « Il prodotto che noi vendiamo », dice la presidente dell’associazione dei gestori, « è la sicurezza, non siamo un’autostrada dove la gente non può fare a meno di viaggiare, nessuno ha bisogno di prendere una funivia se non si sente sicuro al cento per cento ». E Polito aggiunge: « Questa sicurezza è stata fatta a pezzi. Un’intera industria è stata sabotata ». E l’etica dov’è finita, l’etica?

Il povero editorialista, si il povero editorialista, non sa dove sbattere la testa (e come lui tanti altri) e sdegnosamente scrive: « Ma trascuriamo il fattore umano. Perché dietro ogni norma, dietro ogni tecnica, c’è un uomo che compie scelte in base al suo libero arbitrio; e noi dipendiamo da quello, dalla sua scala di valori, dal rispetto per gli altri che lo anima, dal suo senso del dovere » (il corsivo è nostro).

Sia detto senza cattiveria alcuna, ma un uomo del genere andrebbe messo in pensione perché incapace di intendere e di volere. Com’è possibile scrivere simili amenità? Libero arbitrio nelle relazioni produttive e sociali nell’epoca moderna? Ma Polito vive su un altro mondo tutto a sua immagine e somiglianza. E perché mai il Corriere della sera lo paga? Per fargli fare quello che a lui piace e conviene?

Torniamo allora con i piedi per terra e cerchiamo di ragionare per aiutare a capire chi è disposto a capire e si interroga sul perché accadono certi fatti, che si potrebbero “tranquillamente“ evitare partendo dai fatti e non dai nostri desideri.

La veduta durante la salita da Stresa a Mottarone è da mozzafiato. Ma l’impianto è uno dei 1.744 esistenti in Italia e dopo un anno e passa di chiusura c’è l’ansia di riaprire perché ogni giorno potrebbe incassare circa 12.000 euro. Sicché se non funziona questo impianto, chi ha desiderio di una gita di un certo tipo si sarebbe orientato su un altro impianto. Dunque c’è una necessità “impellente” anche perché c’è un’offerta di altri “affamati” impianti concorrenti.

Viene però rilevato un rumore strano al sistema frenante, bisognerebbe perciò bloccare una cabina e procedere alla sua sistemazione; il che richiederebbe tempo e perdita di incasso. C’è un breve consulto tra i massimi responsabili che gestiscono l’impianto e si “conviene” di neutralizzare il sistema frenante, tanto «la corda tirante non si spezzerà mai». E ci si affida al fato, e la corda tirante si spezza.

Non sarebbe accaduta la disgrazia SE la cabina avesse avuto in funzione il sistema frenante che l’avrebbe bloccata piuttosto che farla scorrere sul cavo fisso a velocità aerea, sobbalzare sul pilastro e cadere nel vuoto. E il sistema frenante, cioè il “forchettone” che si sarebbe dovuto chiudere era stato neutralizzato su indicazione dei massimi responsabili dell’impianto, lo ha dichiarato “candidamente” il collaboratore storico del gestore.

Non ci sono molte domande da porsi, perché c’è una causa “impellente”, una forza “maggiore” che muove la mano dell’uomo che ha neutralizzato il sistema frenante, ed è quella economica che determina i comportamenti, a cascata, dei responsabili dell’impianto. Cosa centra il libero arbitrio? Da quando in qua l’individuo avrebbe la possibilità e la capacità di sottrarsi ad un rapporto in ambito lavorativo e agire secondo il proprio credo? Solo la smisurata fantasia di un Polito, che non sa dove sbattere la testa, può andare alla ricerca del- « l’etica protestante e lo spirito del capitalismo ». C’è un’etica unica e vera del capitalismo e si chiama profitto; il quale profitto dirige l’azione dell’individuo e lo porta – come nel caso che stiamo esaminando – ad affidarsi al fato fino al punto da ipotizzare che « mai la corda tirante si spezzerà ». Non c’è cattiveria nel comportamento umano, ma stupidità subordinata in modo animalesco all’interesse primario legato al profitto in competizione con altri con lo stesso spirito “etico”.

Sarebbe economicismo questo modo di ragionare? Beh, si tratta di una critica ideologica fatta per non affrontare la questione nella sua complessità e volersi illudere, come siamo abituati a fare da alcuni secoli in Occidente, che l’uomo sia il deus ex machina che domina tutte le altre specie della natura, sia il padrone del mondo e come risultato attribuisce all’individuo la capacità del libero arbitrio fino al punto da affidarsi al fato.

 

Capitalismo e libero arbitrio

Ci tocca fare a questo punto una digressione, perché la questione è molto più complicata di quanto si vuole far credere, in modo particolare per un certo modo di pensare di certi ambienti di “alta cultura” della sinistra che, personalizzando il capitalismo, rappresentano l’altra faccia della stessa medaglia di Polito, ovvero che una persona diversa nello stesso posto e ruolo potrebbe determinare un diverso risultato.

Sgombriamo perciò il campo dagli equivoci: è la persona che viene scelta dal ruolo e non viceversa. E qui ci pioverà addosso la critica di meccanicismo, ma abbiamo motivi da vendere per dimostrare che il vero meccanicismo è esattamente quello di chi attribuisce all’individuo il libero arbitrio nei ruoli impersonali dei rapporti produttivi della moderna società capitalistica. Vogliamo allora assolvere i responsabili dell’incidente del Mottarone o di tante immense tragedie? No, semplicemente si vuole fissare un principio teorico dei ruoli, dovuti ai meccanismi impersonali del modo di produzione capitalistico cui l’individuo viene totalmente subordinato.

Per meglio intendere il problema, vogliamo operare una “forzatura” e diciamo che le persone fisiche che stavano nella cabina e che sono morte, in ruoli diversi avrebbero potuto svolgere la parte dei carnefici, visto che non si trattava di lavoratori di colore alla mercé di piccoli capitalisti senza scrupoli. Conosciamo più o meno cosa può costare un fine settimana partendo da Israele, arrivare a Milano, raggiungere Stresa, prendere la funivia e alloggiare al Mottarone. Vittime, certo, ma in ruoli diversi, mentre in quanto difensori dello e nello Stato di Israele, assolvevano a quello di carnefici passivi nei confronti dei palestinesi della striscia di Gaza e degli arabo-israeliani, in quanto parte di un tutt’uno dell’attuale modo di produzione, che sono passati dall’essere vittime della diaspora al divenir carnefici attraverso lo Stato di Israele per finire vittime delle stesse leggi di mercato che difendono in Medioriente con l’occupazione della Palestina. Non si vuole criminalizzare alcunché, ma si cerca di guardare i fatti per come si presentano realmente e senza la finzione dell’ideologia né da una parte, i difensori dell’attuale modo di produzione, né da chi è incapace di vedere il monismo del capitalismo a questo stadio di sviluppo dell’accumulazione e sogna un nuovo soggetto rivoluzionario di classe.

Spostiamo ancora più in avanti la questione citando la corretta polemica che fa Andrea Zhok nelle note pubblicate su questo stesso sito quando scrive: « Il sistema motivazionale capitalista spinge nella direzione di comportamenti antisociali ». Il che è vero e tutti gli argomenti a suo sostegno sono validi, ma il capitalismo non è piovuto da un altro pianeta e noi non possiamo negare l’antico assunto dell’homo homini lupus per non affrontare di petto la questione, altrimenti serviamo su un piatto d’argento a Polito e ai politiani tutte le ragioni possibili e immaginabili per stroncare sul nascere ogni nostra legittima critica a un sistema sociale dove l’uomo si è comportato per il passato in modo feroce all’interno della sua stessa specie, basta solo ricordare la schiavitù e la tratta dei neri. E oggi, proprio perché l’uomo è ancora subordinato al suo istinto, tutto al più si affida al fato, come in molte “disgrazie” dovute alle leggi dell’attuale modo di produzione ovvero privo di libero arbitrio, ma con risultati altrettanto disastrosi.

A questo punto Andrea Zhok si domanda: « Quali conseguenze trarne è altra questione, che richiederebbe un approfondimento qui impossibile, tuttavia questo fatto sociale resta un punto che non bisogna permettere a nessuno di rimuovere ».

Ma non possiamo rimandare sine die la questione qui posta. Condanniamo senza attenuanti le motivazioni di Polito e di quanti difendono il modo di produzione capitalistico in quanto l’unico mondo possibile “nonostante” i disastri compiuti da chi non si veste d’autorità dovuta al libero arbitrio e non agisce in modo etico corretto. Dobbiamo sapere però che il permanere dell’attuale modo di produzione ha subordinato e subordinerà sempre di più l’individuo alle sue leggi. Questo è vero non solo oggi, ma lo fu anche quando all’indomani della straordinaria rivoluzione del 1917 in Russia Lenin e i bolscevichi ipotizzavano un equilibrato sviluppo della comunità agricola in armonia con uno sviluppo industriale, mentre i contadini, anche quelli poveri e poverissimi, rincorrevano l’arricchimento.

D’accordo, si trattava di una fase di ascesa del modo di produzione capitalistico, ma tanto bastò per bruciare il nostro idealismo sul comunismo, ovvero la possibilità di dirigere in modo diverso lo sviluppo capitalistico. Una valutazione teorica e politica che abbiamo pagato a caro prezzo perché la forza del capitale si è imposta in tutto il mondo e ci ha dimostrato che si tratta di leggi del tutto naturali, come certi eventi atmosferici, tipo il vento. Non era possibile frenare il vento in corsa e non fu frenato.

Oggi siamo in una fase dove l’attuale modo di produzione, rincorrendo quelle sue stesse leggi si sta avviando velocemente verso la catastrofe e noi non possiamo pensare che « senza un’alternativa coerente e credibile al capitalismo, il realismo capitalista continuerà a dominare l’inconscio politico-economico » come scriveva Mark Fischer in Realismo capitalista, alcuni anni fa, perché in natura non esiste un movimento infinito, tutto è finito e il modo di produzione capitalistico è un movimento storico che è sorto, si è sviluppato e si avvia oggi, non ieri, verso la sua fine.

Questo lo percepiscono i grandi poteri che hanno più strumenti di noi a disposizione e il povero Polito rappresenta la disperazione del mondo borghese che di fronte alla catastrofe si richiama al passato, all’etica protestante del capitalismo proprio perché intuisce che certi avvenimenti sono espressione dello scricchiolio dell’insieme del modo di produzione.

A noi spetta il compito non della ricerca dell’alternativa di modelli da mostrare, perché non ce ne sono, lo abbiamo sperimentato per il passato e siamo stati sconfitti perché stavamo sullo stesso terreno della borghesia, ovvero pensavamo di competere con essa modellando il movimento come classe alternativa, scambiando in questo modo il prodotto – le classi sociali - col produttore, il modo di produzione, o altrimenti detto col proporre di disarcionare una classe, la borghesia, dal potere politico e sostituirla con un’altra, il proletariato, con valori taumaturgici. Così non è stato, ne prendiamo atto e guardiamo avanti, alla possibilità che dalla catastrofe del modo di produzione capitalistico si possa ergere l’araba fenice di nuovi rapporti fra gli uomini con i mezzi di produzione.

Ecco la differenza reale, perché storicamente determinata, tra la visione del materialista nei confronti di chi va alla ricerca dell’etica e del libero arbitrio e sbatte con la testa contro il muro.

Comments

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Michele Castaldo
Friday, 04 June 2021 07:47
Risposta sul libero arbitrio
Che dire, è un tema ostico che da alcuni anni cerco di affrontare e mi rendo conto che l'illuminismo ha sedimentato nella cultura occidentale dei lastroni di materiali difficili da rimuovere anche perché rappresentano una delle caratteristiche dell'homo sapiens, quella di ritenersi capace di dominare tutte le altre specie della natura in virtù del fatto di essere in possesso del "libero arbitrio", ovvero di poter decidere cosa e come fare, di disporre cioè della possibilità - se posto di fronte a due o più opzioni - di decidere in un modo anziché in un altro.
Ora, l'appello che mi rivolge Alfonso in chiusa del suo commento - Sursum corda perdio! - è l'espressione di una volontà a credere alla battaglia e alla lotta piuttosto che "rassegnarsi" ai fattori oggettivi e al determinismo "fatalista".
E allora parto proprio dall’ appello per cercare di spiegare meglio il senso del mio ragionamento che non ha niente a che spartire con la rassegnazione, e ancor meno con il fatalismo, ma che si tratta di ingaggiare una vera e propria guerra teorica, politica e pratica contro l'attuale modo di produzione. Esattamente l'opposto di quanti, proprio per la difesa del libero arbitrio, continuano a portare acqua al suo mulino.
Invito perciò - il compagno, spero - Alfonso a leggere con la dovuta attenzione le dichiarazioni di tutti gli interessati, dal gestore all'ultimo operaio, fino agli inquirenti, dove tutti si nascondono, opportunisticamente, dietro la legge della responsabilità individuale, che funziona a scaricabarile, che copre la responsabilità dei rapporti del modo di produzione finalizzati al profitto.
Si tratta del cardine su cui ruota tutta l'impalcatura del modo di produzione che il signor Antonio Polito sul Corriere della sera nega. Anzi, per lui - come per Weber - ci sarebbe un'etica sana del capitalista a base del sistema capitalistico. Pertanto le tragedie non avrebbero un legame col quel cardine, no, ma sarebbero il frutto della disonestà o della disattenzione dell'individuo.
Dunque si condanna l'individuo per salvare tutto il resto, cioè l'intero sistema. Una trappola illuministica nella quale hanno sguazzato in tanti e in troppi, per ultimi, per quello che si riferisce all'Italia, i 5Stelle col buffone Grillo a fare la parte del leone e finire miseramente e giustamente ridicolizzato.
Pertanto, noi, cioè la collettività impersonale che avversa questi rapporti sociali e dunque questo sistema nella sua interezza, è tale solo se è capace di vedere nei rapporti sociali capitalistici finalizzati al profitto il nemico vero e autentico della moderna schiavitù dell'uomo sull'uomo. Perciò lo scontro sul "libero arbitrio" è uno scontro teorico, politico e pratico tra chi riconosce la responsabilità dell'accaduto alla finalità del rapporto degli uomini con i mezzi di produzione e chi no.
Sicché Polito - che difende la finalità del profitto e del modo di produzione - riconosce nell'uomo la libertà dell'arbitrio, mentre chi si riconosce nella collettività impersonale che lo avversa, proprio perché sa che rincorre il profitto, nega la responsabilità individuale per risalire alla responsabilità collettività e impersonale nella quale - ecco il punto qualificante - ci sono in modo complementare varie componenti, non esclusi gli operai; e questi - basta leggere le loro dichiarazioni - non avrebbero mai e poi mai l'arbitrio di non fare quello che gli veniva richiesto perché, vero o falso che sia, avevano il mutuo da pagare e la famiglia da mandare avanti.
Se non saltano questi rapporti, che non sono personali, ma legali, cioè legati a leggi, non c'è nessuna possibilità che l'umanità ne possa istituire degli altri a misura d'uomo.
Questa è la questione.
Non dubito affatto che ci possano essere bravi militanti o anche non militanti che per onestà individuale hanno rischiato e pagato per cosiddette scelte in circostanze determinate, ma si tratta di eccezioni che non scalfiscono in alcun modo l'insieme del modo di produzione e sue finalità.
Richiamare perciò all'azione individuale la persona, in qualsiasi ruolo collocata, equivale a stare a rimorchio di Polito, ossia a sperare che cresca la coscienza degli individui onesti per sostituire quelli disonesti. Buona fortuna caro compagno Alfonso.
Michele Castaldo
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Michele Castaldo
Friday, 04 June 2021 07:46
Risposta sul libero arbitrio
Che dire, è un tema ostico che da alcuni anni cerco di affrontare e mi rendo conto che l'illuminismo ha sedimentato nella cultura occidentale dei lastroni di materiali difficili da rimuovere anche perché rappresentano una delle caratteristiche dell'homo sapiens, quella di ritenersi capace di dominare tutte le altre specie della natura in virtù del fatto di essere in possesso del "libero arbitrio", ovvero di poter decidere cosa e come fare, di disporre cioè della possibilità - se posto di fronte a due o più opzioni - di decidere in un modo anziché in un altro.
Ora, l'appello che mi rivolge Alfonso in chiusa del suo commento - Sursum corda perdio! - è l'espressione di una volontà a credere alla battaglia e alla lotta piuttosto che "rassegnarsi" ai fattori oggettivi e al determinismo "fatalista".
E allora parto proprio dall’ appello per cercare di spiegare meglio il senso del mio ragionamento che non ha niente a che spartire con la rassegnazione, e ancor meno con il fatalismo, ma che si tratta di ingaggiare una vera e propria guerra teorica, politica e pratica contro l'attuale modo di produzione. Esattamente l'opposto di quanti, proprio per la difesa del libero arbitrio, continuano a portare acqua al suo mulino.
Invito perciò - il compagno, spero - Alfonso a leggere con la dovuta attenzione le dichiarazioni di tutti gli interessati, dal gestore all'ultimo operaio, fino agli inquirenti, dove tutti si nascondono, opportunisticamente, dietro la legge della responsabilità individuale, che funziona a scaricabarile, che copre la responsabilità dei rapporti del modo di produzione finalizzati al profitto.
Si tratta del cardine su cui ruota tutta l'impalcatura del modo di produzione che il signor Antonio Polito sul Corriere della sera nega. Anzi, per lui - come per Weber - ci sarebbe un'etica sana del capitalista a base del sistema capitalistico. Pertanto le tragedie non avrebbero un legame col quel cardine, no, ma sarebbero il frutto della disonestà o della disattenzione dell'individuo.
Dunque si condanna l'individuo per salvare tutto il resto, cioè l'intero sistema. Una trappola illuministica nella quale hanno sguazzato in tanti e in troppi, per ultimi, per quello che si riferisce all'Italia, i 5Stelle col buffone Grillo a fare la parte del leone e finire miseramente e giustamente ridicolizzato.
Pertanto, noi, cioè la collettività impersonale che avversa questi rapporti sociali e dunque questo sistema nella sua interezza, è tale solo se è capace di vedere nei rapporti sociali capitalistici finalizzati al profitto il nemico vero e autentico della moderna schiavitù dell'uomo sull'uomo. Perciò lo scontro sul "libero arbitrio" è uno scontro teorico, politico e pratico tra chi riconosce la responsabilità dell'accaduto alla finalità del rapporto degli uomini con i mezzi di produzione e chi no.
Sicché Polito - che difende la finalità del profitto e del modo di produzione - riconosce nell'uomo la libertà dell'arbitrio, mentre chi si riconosce nella collettività impersonale che lo avversa, proprio perché sa che rincorre il profitto, nega la responsabilità individuale per risalire alla responsabilità collettività e impersonale nella quale - ecco il punto qualificante - ci sono in modo complementare varie componenti, non esclusi gli operai; e questi - basta leggere le loro dichiarazioni - non avrebbero mai e poi mai l'arbitrio di non fare quello che gli veniva richiesto perché, vero o falso che sia, avevano il mutuo da pagare e la famiglia da mandare avanti.
Se non saltano questi rapporti, che non sono personali, ma legali, cioè legati a leggi, non c'è nessuna possibilità che l'umanità ne possa istituire degli altri a misura d'uomo.
Questa è la questione.
Non dubito affatto che ci possano essere bravi militanti o anche non militanti che per onestà individuale hanno rischiato e pagato per cosiddette scelte in circostanze determinate, ma si tratta di eccezioni che non scalfiscono in alcun modo l'insieme del modo di produzione e sue finalità.
Richiamare perciò all'azione individuale la persona, in qualsiasi ruolo collocata, equivale a stare a rimorchio di Polito, ossia a sperare che cresca la coscienza degli individui onesti per sostituire quelli disonesti. Buona fortuna caro compagno Alfonso.
Michele Castaldo
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Alfonso
Thursday, 03 June 2021 16:11
Cito un giudice antimafia: Devi tenerli sempre sotto pressione, appena allenti si forma una terra di nessuno dove vagano omminicchi e quaquaracquà.
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Paolo Selmi
Thursday, 03 June 2021 12:19
Ciao a tutti.

Il dibattito che emerge da questo lavoro di Michele e dal commento di Alfonso è a mio avviso dirimente. Nel senso che tocca un nervo scoperto di fronte al quale è possibile definire i connotati di una POSSIBILE azione. Concordo con Alfonso che non possiamo ricondurre TUTTO a un movimento impersonale. Aggiungo, questo è il modo migliore per dire è colpa di tutti, quindi colpa di nessuno. Aggiungo anche che c'è chi non aspetta di meglio. Tanto dopo il Cermis la strada è spianata, e solo per citare una tragedia che coinvolge una funivia, con venti morti sulle spalle e gente a piede libero e portata fuori dalla nostra giurisdizione a sovranità limitata.

A maggior ragione, dopo che sono stati acquisiti agli atti filmati di un appassionato svizzero che ci è salito nel 2014, nel 2016 e nel 2018... sempre coi forchettoni rossi attaccati.
https://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2021/06/01/mottarone-gip-ringraziate-che-il-sistema-e-garantista-_666cebd5-5416-44cd-9256-3bd0d44af2ae.html
Secondo tra l'altro le affermazioni dell'operatore, quei forchettoni erano attaccati da tre settimane.

Questo, senza nulla togliere alla responsabilità individuale di ciascuno, responsabilità che ANZI qualcuno comincia già a negare, o ad annacquare nel brodo del "così fan tutti", deve farci riflettere su meccanismi che ogni volta che succedono queste cose sembra che cadiamo tutti giù dal pero. Meccanismi, per inciso, che nessuno ha intenzione di toccare. Meccanismi che, in gran parte dei casi, limitano il nostro "libero arbitrio" a decidere se accettare lo status quo, pacchetto completo e indivisibile, o quella è la porta.

Partiamo dalla risposta dell'operatore Emanuele Rossi, alla presentazione del suo "libero arbitrio" di fronte all'osservazione (per il momento solo "osservazione"...) dei giudici che sostengono che «gli addetti sapevano della prassi del caposervizio Tadini di lasciare inseriti i ceppi per bloccare il sistema frenante, ma forse potevano rifiutare di assecondarla».

(https://www.open.online/2021/05/30/strage-del-mottarone-accertamenti-dipendenti-funivia-forchettoni/)



Quei problemi tecnici ai freni, «disattivati una quindicina di volte in dieci giorni», sono stati il preludio della tragedia? «Non sono ancora in grado di dire perché si sia verificato questo evento – precisa la procuratrice Rossi al Messaggero -. Gli accertamenti tecnici sono finalizzati a capire perché la fune si è rotta e si è sfilata e se il sistema frenante aveva dei difetti». Intanto, tra le carte che rimbalzano tra i pm e il gip Donatella Banci Bonamici, emergono i nomi di altri dipendenti delle Ferrovie del Mottarone che «poteva benissimo rifiutarsi», scrive la giudice, di lasciare inserite le ganasce. È il caso di Fabrizio Coppi, manovratore della funivia, che ha dichiarato: «Tadini voleva fermare l’impianto, ma sia il gestore che il direttore volevano proseguire».


L’operaio si difende


Ma anche l’operaio Emanuele Rossi viene tirato in causa. «Mi ero ripromesso di parlare solo con gli investigatori di questa storia, ma adesso che ho letto certe cose, mi è venuta voglia di dire la mia», spiega a Repubblica. Rossi era in servizio la domenica della tragedia, il 23 maggio. «Ci trattano come criminali, tutto allo stesso modo, non solo gli indagati ma anche noi operai che siamo solo pesci piccoli. Ho paura che vogliano indagare anche noi, ma facciano quello che devono. Però, io non potevo comportarmi diversamente, noi bloccavamo i freni quando ci veniva chiesto». L’operaio racconta del mutuo da pagare, della moglie senza lavoro, e «se parli ti danno un calcio nel sedere e finisci sotto i ponti. Noi prendevamo ordini e basta».


Rossi racconta che a quasi tutti è capitato di dover inserire i forchettoni per disattivare i freni, ma «mai su iniziativa» degli operai stessi. «Era sempre il caposervizio Tadini che li metteva o ci diceva di farlo. Sono contento che lo abbia confessato perché è così: è stata una sua scelta e si è preso le sue responsabilità». L’operaio, impiegato nella funivia da 19 anni, aggiunge: «Noi ci fidavamo del caposervizio, se parlava lui, eravamo tranquilli. D’altra parte, io ho fatto l’alberghiero, cosa ne so di queste cose? Il caposervizio è perito, poi c’è un ingegnere».


L’operaio spiega poi di non aver «mai fatto corsi di formazione. Qualche cosa ci veniva detta a voce, ma mai un vero corso. D’altra parte, in 19 anni mi hanno dato solo un paio di scarpe antinfortunistiche, le altre me le sono comprate io. È sintomatico di come andassero le cose. C’era un clima pessimo là dentro, gelosie, tensioni. Io ero entrato come stagionale, poi sono passato fisso, ma non sa quante volte ho pensato di andarmene». Il grado di consapevolezza dei rischi degli operatori è diventato un elemento di indagine della procura: possibile che nessuno abbia mai mosso obiezioni?


(https://www.open.online/2021/06/01/strage-mottarone-procura-cambia-strategia-parla-operaio/)

"Fai così, altrimenti quella è la porta." Su una pratica che qualcuno dall'alto gli IMPONE di fare, magari senza lasciare nulla di scritto ("son mica fesso!"), da ALMENO sette anni. Senza che nessuno dica niente. Senza che succeda nulla.

Peccato che il giorno di Pentecoste "qualcosa" è successo. E cadono tutti giù dal pero. Quello che fa il tonfo maggiore è, ovviamente, il direttore:
Se avessi saputo non avrei avallato quella scelta. Lavoro negli impianti a fune da ventuno anni e so che quelle sono cose da non fare mai, per nessuna ragione al mondo». «Quando mi lo hanno spiegato [cosa era successo] mi sono sentito morire. “Non è possibile”, pensavo. Se avessi saputo che venivano adoperati i blocchi dei freni, i cosiddetti forchettoni, avrei fermato immediatamente l’impianto. Scoprire questo adesso è un enorme macigno sullo stomaco»

https://www.open.online/2021/05/31/strage-del-mottarone-intervista-direttore-della-funivia-nuovi-indagati/

E' da 21 anni che lavora negli impianti a fune ma non sa che dal 2014 documentato, ma è facile anche prima, si fanno andare gli impianti coi forchettoni rossi.

E allora c'è qualcosa che non va. Il pesce puzza dalla testa. Mettiamoci ora nei panni di quel ragazzo di allora. Non è uno stupido. Come non è uno stupido chi toglie lo schermo protettivo da una fresa verticale, perché gli dicono di farlo. Come non è uno stupido chi, senza morire come Luana D'Orazio, ci lascia "solo" qualche falange perché infila il dito dove non deve senza fermare la macchina, perchè è andata sempre bene, basta stare un po' attenti. I compagni di Luana non sapevano che lei stava lavorando su una macchina senza sicure? Cambia la situazione, cambiano i contesti, cambiano le responsabilità, ma la logica è sempre la stessa.

Entriamo quindi in una realtà, dove l'alternativa, il "libero arbitrio", in questi casi estremi, è fra morire di lavoro, morire sul lavoro, o andarsene a casa. Ma quanto sono estremi questi casi? Non sono solo i cosiddetti "lavori usuranti". Ormai basta poco per morire. Anche una testata contro un muletto che ha i forconi alzati.

PER ENTRARE NEI PANNI DI EMANUELE ROSSI O DELLA POVERA LUANA DOBBIAMO ASPETTARE IL MORTO? O si verifichi una tragedia di queste proporzioni? I GIUDICI che dicono che gli operatori "potevano rifiutare"... hanno mai lavorato in una fabbrica? O ci hanno messo piede per sbaglio? Sanno cosa vuol dire una sirena che suona ogni due minuti perché la materia prima sulla linea è difettosa e tu ogni due minuti per otto ore senti quella sirena suonare, che vuol dire fermare la macchina controllare e ricontrollare tutto, ripartire e, dopo due minuti, rifermare con la testa che ti scoppia? e il capoturno che ti dice quanto abbiamo prodotto oggi ci fa ritardare sulla tabella di marcia, il piano di produzione va completato costi quel che costi altrimenti fanno lo scalpo a me, ma tu me la paghi? STACCA QUELLA SIRENA! E tu la stacchi? Cambiamo ambiente, ma non logica. I GIUDICI hanno mai lavorato in un magazzino? Quando apri un container dove i cinesi hanno stipato tremila cartoni sbancalati, sfusi, e tu devi tirarli fuori uno a uno e ti cadono tutti addosso? Cosa dici? Mi rifiuto di scaricare? I GIUDICI hanno mai lavorato in un ufficio? Dove ti dicono, di fronte a una schifezza "fa niente..." "chiudiamo un occhio..." eccetera eccetera? e sai che se non lo fai dall'altra parte c'è la porta? Cosa fai anche in quel caso?

In tutti e tre i casi, davvero i giudici pensano che quei lavoratori che non tolgono la sirena, quei lavoratori che fermano le macchine ogni due minuti, o che non fanno andare le macchine senza sicure o protezioni, o che si rifiuteranno di arrampicarsi sui cartoni per liberare la prima fila del container, o prenderanno carta e penna e denunceranno il tutto, continueranno poi a lavorare tranquillamente in quello stesso posto di lavoro? Oppure saranno portati, visto che han tolto anche l'articolo 18, a uscirsene con una buona uscita e poi tutto tornerà come prima?

O forse, invece, i giudici lo sanno benissimo e questa è l'ennesima variante di "forti con i deboli e deboli con i forti" per redistribuire un po' le colpe (privatizziamo i profitti, socializziamo le perdite...) e dire che sì, "tutto sommato", la colpa è un po' di tutti?

Cari Alfonso e Michele. A me è sempre andata bene. L'unica ritorsione che ho subito è stata passare gli ultimi due mesi di servizio civile dal CPA dove ero dislocato in un un reparto di malati terminali di AIDS. Il mio "libero arbitrio" l'ho sempre esercitato pagandolo in prima persona, precludendomi strade e prendendone altre dove sapevo già cosa mi attendeva, e facendolo consapevolmente. Perché preferisco caricare camion piuttosto di finire in un Istituto Confucio a tessere le lodi del capitalismo con caratteristiche cinesi o, peggio ancora, a scrivere di "gender issues" per non toccare i fili scoperti. Anche qui, "libero arbitrio"... Ma non sempre si è così fortunati. E non mi sento in una posizione da cui possa giudicare alcunché.

Il pesce puzza dalla testa. Analizziamo le parole di Emanuele Rossi: "se parli ti danno un calcio nel sedere e finisci sotto i ponti. " e "C’era un clima pessimo là dentro, gelosie, tensioni. " Nessuno si diverte a essere sfruttato. E nemmeno a essere manipolato. Né tanto meno a dire "signorsì" e "comandi" senza chiedersi il perché delle cose, come un automa, che "non è pagato per pensare", come si sente dire nel momento di massima umiliazione. Ma che fare se il ricatto investe oltre che lui anche i suoi cari, togliendo quindi gran parte di quel "libero arbitrio"? E che fare se i colleghi ("compagni" è una parola grossa, "amici" poi lasciam perdere...) ti fanno terra bruciata intorno, perché non vogliono rotture di coglioni, che son già pieni di problemi e ci manchi solo tu? CHE QUEI CAVOLO DI FORCHETTONI E' DAL 2014 (o anche prima) CHE LI METTIAMO E NON HA MAI ROTTO I COGLIONI NESSUNO?

E CHE DIRE DI CHI GONGOLA, AI PIANI ALTI, nel creare "un clima pessimo", un clima che si respira in gran parte delle realtà lavorative? Dando un contentino a uno e non a un'altro? "Divide et impera": anche qui, perché un padrone deve essere così autolesionista da esser felice di aver tutti gli operai uniti contro di lui, che gli fermano le macchine ogni due minuti quando suonano le sirene, che se ne fregano se ogni giorno si perdono 12 mila euro ma le cose o si fanno bene o non si fanno, o se vedono un tentativo di illecito lo denunciano uniti e compatti a una sola voce? Lui ha sicuramente responsabilità, E LA RESPONSABILITA' MAGGIORE, per come si stanno configurando le cose. Ma aspettare da lui che faccia anche il sindacalista e si autoaccusi, ANCHE DI COSE CHE NON HANNO RILIEVO PENALE MA CHE NELLA VITA LAVORATIVA SONO EGUALMENTE GRAVI, è forse chiedere troppo.

Il pesce puzza dalla testa. E' il sistema, è la società che abbiamo creato a essere marcia. E investe anche il sistema giudiziario. Ma non lo si può dire. Non è "igienico" dirlo. Io sono un giudice, non faccio politica. Ci mancherebbe. MA DEVO ESSERE IN GRADO DI VALUTARE I DIVERSI GRADI DI RESPONSABILITA'. Devo essere in grado di distinguere tra il mentecatto che per 5.000 euro passava chiavette di segretucoli ai russi, perché "teneva famiglia", UNO CHE PRENDEVA TREMILA EURO DI STIPENDIO AL MESE E NON GLI BASTAVANO!!! Devo essere in grado di distinguere tra lui e uno che in casa lavora solo lui, per giunta in un ambiente marcio dove ogni giorno ingoia rospi, con moglie disoccupata e mutuo da pagare. DEVO!!! Non sarò io a fare il processo al Capitale, ma non posso nemmeno dire che "poteva benissimo rifiutarsi".

Che fare allora? Io direi, per un militante comunista, per un sindacalista, per uno che abbia fatto una scelta di campo. Mettiamoci nei panni di Emanuele Rossi. E da lì cerchiamo di dare UNA RISPOSTA ORGANICA al che fare, non la risposta alla domanda: il 23 maggio perché non hai detto al tuo responsabile "vai al diavolo, io quel forchettone lo tolgo."

Posso dire una cosa, rubando l'espressione al mio amico Sergio Manes, che diceva - a ragione - che noi compagni polentoni capiamo poco di mare e siam capaci di andare solo col vento in poppa. E invece bisogna imparare ad andare di bolina., me per primo. La nostra è e sarà sempre più una guerra asimmetrica. Nel muro contro muro finiamo schiacciati. Anzi tutto a partire da chi ci sta intorno e, come già ricordato, non vuole "rotture di coglioni".

Ecco allora che, senza pretendere né di convertire nessuno, né di farlo con tutti, perché far ricredere un crumiro, un leccapiedi, un ruffiano è già materia decisamente più complessa, il primo passo è proprio quello di costruire relazioni di solidarietà, anche nel piccolo, coi propri colleghi. Farli tornare, in misura maggiore o minore, compagni. Facendogli capire che non siamo un pericolo, che non vogliamo fottergli né soldi né posizioni, vincendo la loro diffidenza e il loro astio, facendogli capire che o se ne esce fuori tutti insieme, o non ne uscirà fuori nessuno. Fermandosi a dargli una mano anche fuori dalle otto ore, non puntando l'indice immediatamente contro di loro a ogni piè sospinto, cercando insieme soluzioni e non colpevoli, guadagnando la loro fiducia e ascoltando i loro sfoghi, senza pretendere di avere sempre noi il monopolio delle sfighe. Come diceva Tol'stoj: Все счастливые семьи похожи друг на друга, каждая несчастливая семья несчастлива по-своему. "tutte le famiglie felici si assomigliano l'una con l'altra, ogni famiglia infelice lo è a suo modo". Costruire relazioni sempre più umane e solide, dando e ricevendo rispetto, stima, solidarietà.

Già così il clima è meno pessimo. Già così, di fronte a uno che ti impone di togliere la sicura puoi, potete, possiamo rispondere diversamente. Non ancora muro contro muro, ma si può sempre dire: "visto che io, NOI non sono, SIAMO pagati per pensare, mettilo per iscritto con copia per conoscenza tutti". E già lì, forse, uno tira giù due bestemmie, ma le macchine per due giorni le ferma. Altrimenti, mettere per iscritto di fermare le macchine, o di farle andare, diventa materia di chi oggi può sostenere di non saperne nulla, come il direttore della funivia di cui sopra che "lavora da ventuno anni" nell'ambiente.

Il pesce puzza dalla testa. Ma ogni sforzo, e non solo di corifei e pennivendoli, cerca sempre di far risaltare la coda. Il primo passaggio per venirne fuori è usare quel poco di "libero arbitrio" che ci è concesso per unirlo agli altri pochi "liberi arbitri", senza fare come i polli di renzo, ma anzi beccando uniti chi ci tiene per le zampe. Per fare questo occorre sentirsi tutti Emanuele Rossi, occorre sentirsi tutti Luana D'Orazio, a partire dal proprio posto di lavoro, a partire dai loro bisogni, dai capestri che gli stringono il collo, piccoli o grandi che siano. A partire dallo stabilire che UNO CHE NON HA FORMAZIONE, NON HA PROCEDURE OPERATIVE SCRITTE, ED ESEGUE DA SETTE ANNI (se non più) GLI STESSI ORDINI impartiti dall'alto non solo senza produrre alcun danno, e senza poterli discutere, ma QUEL CHE E' PEGGIO senza avere la benché minima percezione di quello che potrebbe accadere se si stacca un cavo (tanto ce ne sono altri tre o quattro... oppure pensiamo davvero che uno si diverta a perdere un dito o una mano in una pressa?), non è perseguibile penalmente, a differenza di chi sapeva a cosa si andava incontro. A partire dal FAR VALERE tramite controlli capillari (vogliamo parlare di quanti ispettori sul lavoro ci sono?) una rinnovata coscienza di ciò che si sta facendo, del perché lo si sta facendo, e delle conseguenze che farlo o non farlo possono determinare. A partire dal prevedere ed esigere l'obbligatorietà (non solo sulla carta) di riunioni periodiche fra i soli lavoratori, senza capi, senza padroni, in tutti i posti di lavoro, anche l'officina con 5 persone. E se si lavorerà bene il muro contro muro sarà solo questione di tempo.

Un abbraccio

Paolo
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Alfonso
Wednesday, 02 June 2021 23:37
"A noi spetta il compito non della ricerca dell’alternativa di modelli da mostrare, perché non ce ne sono, lo abbiamo sperimentato per il passato e siamo stati sconfitti perché stavamo sullo stesso terreno della borghesia, ovvero pensavamo di competere con essa modellando il movimento come classe alternativa, scambiando in questo modo il prodotto – le classi sociali - col produttore, il modo di produzione, o altrimenti detto col proporre di disarcionare una classe, la borghesia, dal potere politico e sostituirla con un’altra, il proletariato, con valori taumaturgici. Così non è stato, ne prendiamo atto e guardiamo avanti, alla possibilità che dalla catastrofe del modo di produzione capitalistico si possa ergere l’araba fenice di nuovi rapporti fra gli uomini con i mezzi di produzione."
Noi chi? Quanti c'eravamo, direbbe un investigatore, di sconfitti?
Se "è la persona che viene scelta dal ruolo e non viceversa", essere sconfitti che ruolo è?
Michele, il capitale impersonale quanto ti pare, E gli assassini hanno nome e cognome. Hanno eseguito un ordine? Peggio. Cosa ne poteva sapere quello che fa 'solo' l'ingegnere? Ricorda quanto prova Edelman: il cervello agisce sempre secondo il criterio vita/morte secondo un progetto di vita. Non esiste la libera volontà SALVO RIFIUTARSI: sempre, fino all'ultimo respiro, per ogni forma vitale. E il tuo demone capitale sta in persone in carne e sangue. I ruoli che tanto feticizzi non determinano neanche la loro stessa riproduzione, sono effimeri. Sii radicale: bisogna andare a fondo.
No te dejes confundir
Busca el fondo y su razón
Recuerda se ven las caras
Pero nunca el corazón
Sursum corda perdio!
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