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Dovremo diventare grillisti?

Cesare Allara

Prendo spunto dalla domanda che mi rivolge Gigi Viglino in merito al bel comunicato di Beppe Grillo sugli scontri di Roma (Soldato blu …) nel giorno dello sciopero europeo, “Quasi mi spiace, ma devo prendere atto. Onore al merito. Com'è? Dovremo diventare grillisti?”, per chiarire il mio pensiero sulla fase politica che stiamo attraversando. Viviamo una fase del capitalismo in cui tre pilastri della “tavola dei valori” che hanno caratterizzato  buona parte della seconda metà del Novecento, la democrazia, il lavoro, il welfare, sono in uno stadio avanzato di demolizione.

Come la propaganda del regime di centrodestra/centrosinistra racconta quotidianamente a mass-media unificati, questi tre elementi non sono più sopportabili nelle forme in cui li abbiamo sin qui conosciuti perché per troppi anni abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità economiche e democratiche: per ricominciare a crescere per uscire dalla crisi occorre tagliare la spesa pubblica, non quella destinata alle grandi opere inutili, ma cancellando a poco a poco lo stato sociale. Se vogliamo diventare attraenti per gli investitori internazionali e “tornare a crescere” occorre modificare in senso liberista i capisaldi della Costituzione. Se poi vogliamo un lavoro di merda con relativo salario della stessa materia non dobbiamo essere schizzinosi e dobbiamo rinunciare ai diritti acquisiti. Compresi i diritti previsti dalla Costituzione, peraltro già da tempo largamente superati con il consenso dei governi di centrodestra/centrosinistra e col vivo e vibrante sostegno di questo presidente della repubblica.


All’epoca del referendum di Mirafiori, Ernesto Galli Della Loggia scriveva indisturbato sul Corriere della Sera del 17 gennaio 2011 che sinora vi è stata una interpretazione errata,  ideologica dello spirito della Costituzione. Che vi sono diritti di serie A e diritti di serie B. Ad esempio, nel caso dell’articolo 1, la repubblica italiana deve intendersi fondata sul lavoro solo quando questo c’è, ma in presenza di crisi economiche lo Stato non può e non deve garantirlo a tutti i costi.

Questo attacco, che non ha precedenti (ventennio fascista compreso) per violenza e intensità, alle condizioni di vita di milioni di persone è partito da lontano e ha trovato la complicità e la convinta adesione una volta più mascherata, ma poi sempre più palese, di quelle forze sindacali e politiche che storicamente avrebbero dovuto essere deputate a difenderne gli interessi. Questa abdicazione alla difesa degli interessi dei lavoratori per passare con disinvoltura a condividere e ad identificarsi in quelli dei padroni si manifesta inizialmente il 26 gennaio 1977, quando per la prima volta nella storia dei sindacati, sotto dettatura di un PCI che vuole dimostrare d’essere una responsabile forza di governo, CGIL-CISL-UIL firmano un accordo (abolizione di sette festività + blocco del conteggio della contingenza sul TFR) che non prevede alcun beneficio per i lavoratori, ma regala ai padroni più profitti e più ore annuali di lavoro. Da quella data sino ai giorni nostri non vi è più stato un accordo in cui il rapporto utili/perdite sia stato favorevole ai lavoratori.

E’ proprio con quell’abdicazione, che prende avvio nella seconda metà degli anni Settanta, che la “sinistra” spiana la strada al berlusconismo. Non è Berlusconi che manda in crisi la democrazia, come recita da decenni la versione divulgata della “sinistra”, ma è la crisi della democrazia provocata da quell’abdicazione che genera il “mostro” Berlusconi. E’ lì che affondano le radici della cosiddetta “seconda repubblica”, dove l’anticapitalismo, la lotta e la coscienza di classe vengono definitivamente seppelliti e sostituiti dal famigerato, micidiale antiberlusconismo; nel frattempo però la lotta di classe resta esclusiva prerogativa di Confindustria. Capita così che, mentre gli “utili idioti” del “popolo della sinistra” vengono aizzati dall’apparato propagandistico del  Ministero della Cultura Popolare di Centrosinistra (Repubblica, Manifesto, TG3, LA7, Moretti, Eco, Flores d’Arcais, Fazio, Litizzetto, Saviano, Formigli, Gruber, Lerner, Floris, eccetera) contro il pericoloso puttaniere nemico del popolo e della “democrazia”, i dirigenti della “sinistra” si riciclano impunemente nella nota sequenza PCI-PDS-DS-PD fino a diventare i più zelanti esecutori delle politiche liberiste, i più convinti piazzisti dell’Europa delle banche, dell’euro, del pareggio di bilancio, dell’austerità, eccetera , eccetera. Che da un trentennio a questa parte le più grandi porcate contro i lavoratori sono state realizzate in prima battuta dalla “sinistra” e poi perfezionate dalla destra (contingenza, pensioni, lavoro precario, eccetera) è rimasto un mistero solo per gli “utili idioti” di cui sopra.

Dovrei a questo punto narrare anche delle miserie di quell’altra sinistra, quella comunemente definita “estrema” o “radicale”, ma sarebbe come sparare sulla Croce Rossa. I principali partitini, che non hanno ancora fatto i conti con il loro passato perché pensano di vivere ancora nello scorso secolo, continuano ad inseguire qualche seggio in parlamento per fare finta di esistere, mentre quel colossale concentrato di opportunismo, populismo e demagogia che risponde al nome di Nichi Vendola sta eseguendo a puntino il compito di coprire sul lato sinistro le scelte liberiste della eventuale, probabile futura alleanza PD-Moderati. Come diceva il poeta, non ragioniam  di loro, ma guarda e passa.

Che fare allora? Ad eccezione dei soliti “utili idioti” che pensano che Bersani si sia convertito alla socialdemocrazia e che quindi farà politiche diverse da quelle di Berlusconi e Monti; che Vendola col suo 4-5% condizionerà da sinistra Bersani e i suoi futuri alleati Casini, Rutelli, Fini, Montezemolo, eccetera; che Diliberto forte del suo strapuntino in parlamento grazie a qualche comparsata in tv con la bandierina rossa in mano indicherà al popolo la strada della rivoluzione; che ALBA e il professor Revelli, che politicamente non ne ha mai azzeccata una, siano l’embrione di un polo anticapitalista - dovrebbe essere evidente ai pochi rimasti, a coloro cioè che non ragionano ideologicamente, che se si rimane all’interno di un quadro politico dominato dalla finta contrapposizione centrodestra vs centrosinistra, non vi sono soluzioni diverse da quelle che abbiamo sperimentato sulla nostra pelle da vent’anni a questa parte.

Così come, restando all’interno delle logiche del mercato capitalistico, non vi sono soluzioni molto diverse sulla produttività da quelle prospettate da Marchionne, da Confindustria, da Monti, dai sindacati collaborazionisti. Così come, se si rimane all’interno dell’euro e dell’Europa delle banche,  non si possono fare provvedimenti in materia economica e finanziaria molto dissimili da quelli adottati da Monti e Berlusconi. Chi parla di equità, di difesa dei diritti dei lavoratori, di difesa della Costituzione nata dalla Resistenza, eccetera, senza prospettare una fuoruscita dalle gabbie (mercato, euro, Europa, eccetera) in cui sono stati presi prigionieri i ceti medio-bassi, è un populista che vuole solamente raccattare qualche voto per assicurarsi una pensione da parlamentare.

Non si tratta allora di diventare grillisti (grillini comunisti?), ma di constatare che sulla piazza c’è solo il M5S che è fuori da quella letale - non solo dal punto di vista di classe per i lavoratori, ma oserei dire per la stragrande maggioranza del popolo italiano -, finta contrapposizione centrodestra/centrosinistra in cui l’aggettivo sinistra è buttato lì solo per acchiappare gli “utili idioti” di cui sopra, ma non ci azzecca nulla con la difesa degli interessi delle classi subalterne. Il M5S, che non a caso si dice movimento e non partito, è oggi l’unico strumento in campo per riappropriarsi della politica quella locale e quella nazionale, rompere questo quadro politico, per destabilizzarlo, per cacciare buona parte di questa classe politica e, aggiungo io, demolire le catapecchie della sinistra. Da questo punto di vista evviva Beppe Grillo, con l’augurio che in tutta Italia il M5S diventi la prima forza politica, come in Sicilia!

So però, anche per averlo constatato personalmente, che all’interno del M5S sono presenti tutte quelle contraddizioni caratteristiche dei movimenti interclassisti,  posizioni assai diverse su tematiche cruciali quali ad esempio quella dell’uscita o meno dall’euro. Lo stesso Beppe Grillo, che in un primo tempo aveva dichiarato la sua netta avversione alla moneta unica, ultimamente è ripiegato su una posizione referendaria per far decidere sulla delicata materia il popolo italiano. Forse mi sbaglio, ma penso che quando il pattuglione di eletti del M5S entrerà in parlamento quelle contraddizioni emergeranno sotto la spinta di una crisi sociale che nel 2013 e negli anni successivi diventerà più che drammatica, esplosiva.

Anziché perdere tempo ed energie ad immaginare improbabili liste unitarie di sinistra che in ogni caso non supereranno il quorum, se si vuole diventare veramente alternativi, sarebbe utile cominciare a discutere dello scenario del dopo elezioni della prossima primavera, a valutare e approfondire proposte decisamente alternative e le loro conseguenze (come quella dell’uscita dall’euro ad esempio), insomma tentare di mettersi avanti col lavoro in previsione di una situazione economica che, lo si voglia o no, imporrà in ogni caso scelte drammatiche e radicali.  

Nel maggio del 1971, Salvador Allende, nel corso di una famosa intervista realizzata per la RAI dal grande maestro del neorealismo Roberto Rossellini, spiegò così le ragioni della sua elezione a presidente del Cile: “Il raccolto della vittoria è la semina di molti anni”. Constato che oggi in Italia, non è ancora chiaro quale sia il campo da seminare, cosa seminare, i semi stanno ancora nei magazzini, i tempi per la semina sono ormai scaduti, ma soprattutto i contadini non hanno voglia di lavorare e pretendono di raccogliere senza aver seminato.

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