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lacausadellecose

Il clima e le obiezioni di Gerardo

di Michele Castaldo

64667adc05991La discussione è partita parlando dell’ultimo disastro ambientale in Emilia Romagna, perché c’è da interrogarsi con serietà su un problema così gravoso.

Chi è Gerardo? Uno preso a campione fra i tanti militanti e simpatizzanti della sinistra, pensionato dopo anni di peregrinare tra collegi, seminari, Italia, Germania e Svizzera, di insegnamento e una vita spesa in cultura, che alle mie argomentazioni sul determinismo e la vacuità del libero arbitrio pone la domanda non priva di senso «ma allora siamo degli automi»?

Cercherò di rispondere a questa ed altre domande, ch’essa presuppone, senza ambiguità.

In premessa dico che la domanda di Gerardo presuppone l’uomo come soggetto esclusivo rispetto al movimento generale della materia, dunque alle altre specie della natura. Pertanto se è sbagliata la premessa tutto il ragionamento frammezzato di domande non può che seguire il percorso della premessa.

Distinguiamo due concetti fondamentali da cui partire: fatalismo e determinismo. Per fatalismo si intende una concezione filosofica per cui il mondo è governato da una necessità ineluttabile e del tutto estranea alla volontà e all’impegno dell’uomo. Mentre per determinismo si intende una concezione per cui tutto accade secondo rapporti di causa-effetto.

Il punto da aggredire, perciò, almeno per chi scrive queste note, è lo studio del rapporto causa-effetto in rapporto alla casualità che è anch’essa l’effetto di un rapporto. Dunque siamo in presenza di più fattori confluenti che contribuiscono a determinare un fatto, ovvero il participio passato del verbo fare.

Se il modo stesso d’essere della materia è il movimento, questo non può essere imprigionato nella sua meccanicistica ineluttabilità predeterminata, ma va analizzato nell’ambito complesso delle relazioni temporali. Tralasciamo l’astrazione teorica o filosofica e scendiamo sulla grigia terra analizzando alcuni fenomeni concreti per rintracciare una linea di tendenza e possibili scenari futuri. Parliamo perciò dei cambiamenti climatici con l’occasione fornita dall’alluvione dell’Emilia Romagna. Lo facciamo lasciando da parte quella percentuale, molto interessata, ottusa e reazionaria, egoistica e conservatrice, che tende a preservare i propri privilegi immediati incuranti delle conseguenze che sta provocando il modo di produzione capitalistico giunto a questo stadio di sviluppo. Non è un caso che la percentuale del mondo scientifico, che nega le conseguenze del modo di produzione sui cambiamenti climatici, è prossima allo zero, mentre la stragrande maggioranza lancia continui allarmi.

Quello che va invece evidenziato è perché di fronte ad allarmi continui da parte del mondo scientifico e non solo, e il continuo perpetuarsi di disastri ambientali l’’umanità nel suo insieme non è in grado di porvi rimedio.

Il punto da aggredire è questo: se la presa di coscienza di un problema costituisce automaticamente motivo e – innanzitutto - azione per la sua soluzione. Se si, saremmo di fronte a una logica meccanica, ovvero al fatto che la coscienza, la consapevolezza di un problema fa scattare immediatamente la molla della sua soluzione. Ci sarebbe poi da capire il modo di farlo.

Se così non è, ovvero se non è meccanico il passaggio dalla presa di coscienza di un problema alla sua soluzione, allora vanno capiti quali altri fattori si rendono necessari perché un problema venga posto a soluzione. Si tratta di una questione filosofica? La si definisca come si vuole, resta però il fatto che la sola presa di coscienza di un problema non rappresenta la soluzione.

Vorrei essere oltremodo chiaro a riguardo: tutti si interrogano su chi debba risolvere un problema che è generale, prim’ancora di capire a cosa è dovuto un problema come i cambiamenti climatici. Si rincorre perciò la soluzione dell’effetto, rimuovendo senza interrogarsi sulle cause. Facciamo qualche esempio.

«Da qui la necessità di decisioni drammatiche ed urgenti da parte del governo in carica per ripensare in maniera radicale la struttura del bilancio dello Stato partendo dall’emergenza climatica» dice Maurizio Molinari dalle pagine di Repubblica. In tanti gli fanno eco. È un modo come un altro per abbaiare alla luna.

Benintesi che non si tratta di avere fiducia cieca nei confronti della scienza, ci mancherebbe, ma basta solo usare un minimo di buon senso per stabilire che tra buona parte degli uomini di scienza e tanti ciarlatani che sbraitano dai fogliacci della destra o anche dal cosiddetto liberismo democratico, sono certamente più affidabili i primi, ovvero degli uomini di scienza, nei confronti dei quali c’è “solo” la riserva mentale dovuta al fattore “filosofico”, ovvero che non basta avere coscienza di un problema, ma sono necessari fattori determinati per portarlo a soluzione. Facciamo un esempio pratico: il premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi in una intervista al Corriere della sera sentenzia senz’appello: «gli eventi estremi dipendono dalla CO2». E alla domanda «Perché l’aumento comporta disastri ambientali» argomenta «nelle regioni polari la temperatura è aumentata di 3, anche di 4 gradi per via dell’aria calda che arriva dall’equatore. All’Equatore va l’aria fredda che arriva dal nord. Succede quindi che sempre più aria calda va verso il nord e sempre più aria fredda verso sud. Questa circolazione a cui non siamo abituati aumenta l’energia che si accumula nell’atmosfera e che si sfoga negli eventi estremi». E allora? La prima cosa che viene in mente anche a un premio Nobel per la fisica non è la denuncia di cosa ha prodotto e continua a produrre l’emissione della CO2, ovvero della produzione e consumo di idrocarburi dello sviluppo industriale, no, ma si preoccupa di ridurre questi in un continente, come quello asiatico, in modo particolare Cina e India, che hanno raggiunto lo sviluppo industriale con ritardo rispetto all’Occidente. In che modo? «Realizzare un piano mondiale facendo un accordo climatico soprattutto con l’India e la Cina che insieme fanno quasi la metà dell’umanità». Altrimenti, leggiamo in filigrana, si decuplicano le emissioni e con esse i rischi per tutta l’umanità. Conclusione: quel che a me è stato concesso dalla storia passata a te deve essere vietato per quella futura. È la cosiddetta legge della democrazia liberista consegnata da dio all’umanità occidentale.

Oltre a una proposta per tutto l’insieme del mondo l’illustre fisico ne ha anche una concreta per l’Italia «Una transizione energetica reale. Bloccare la nostra dipendenza dal gas, dal petrolio e passare alle energie rinnovabili» ahi Russia e paesi arabi, la lingua batte dove il dente duole. Ma non è finita, perché l’esimio scienziato ha il colpo in canna: «Cominciamo da una cosa semplice: mettere i doppi vetri a tutte le finestre d’Italia. E su tutti i tetti impianti ad energia solare. Con questa mole di lavori si darebbe anche molta occupazione» leggiamo sul Corriere della sera 19 maggio 2023. Insomma a un «problema concreto», sembra dire il premio Nobel, bisogna trovare una «soluzione concreta», dunque niente fumisterie ideali. È la stessa logica dello Stato di Israele che accerchiato dai paesi arabi e islamici è costretto a difendersi con un esercito fra i più potenti al mondo, a costruire bunker per i più ricchi piuttosto che concedere una patria ai palestinesi dopo averli depredati del loro legittimo territorio.

Vorremmo solo far notare al lettore meno ingenuo, di quanto crede Giorgio Parisi, che tanto la proposta per l’insieme del mondo quanto quella per il patrio suolo sono espressioni di un preciso punto di vista tutto occidentalista: «tutto va bene, madama la marchese», viviamo nel migliore dei mondi possibili, basta con gli allarmismi, bastano pochi accorgimenti volta per volta che questo modo di produzione necessita e la vita continua.

Molto rispetto per chi ne sa di scienza, ci mancherebbe, ma il senso dell’umiltà consiglierebbe, anche chi ne sa solo di scienza, di non avere la pretesa di estendere le sue comprensioni anche in campi a lui sconosciuti quale la storia dell’uomo con i mezzi di produzione e i progressi scientifici da esso espressi. Detto in modo brutale la scienza o è parte di un movimento storico generale o non si capisce bene da cosa è prodotta; dunque non può essere neutra perché è parte del moto che esprime il modo di produzione. Vale per la scienza come per le arti in generale, basta osservare i percorsi della musica, della pittura e della scultura per rendersene conto. Pertanto quella che viene definita scienza non è al di sopra di tutto e tutti, perché al di sopra di tutto e tutti ci sarebbe solo dio ma nessuno lo ha mai incontrato né visto. Al fisico Parisi consigliamo perciò di prendere in considerazione la tesi per cui il rapporto dell’uomo con i mezzi di produzione è un movimento storico, come il vento, perciò è nato, si è sviluppato ed oggi mostra tutta la pesantezza dei suoi anni producendo non più progresso, ma regresso, si muove in modo sconclusionato come un bue in un negozio di cristalli, in modo particolare nel suo centro vitale, cioè l’Occidente, citiamo tre fattori che sono la prova evidente di un moto che da progressivo sia diventato regressivo: a) calo demografico; b) riduzione dell’aspettativa di vita dopo una crescita continua; c) disastri ambientali su tutto il pianeta per i cambiamenti climatici e ambientali dovuti al modo di produrre, ovvero alle sue leggi di funzionamento. Sicché delle due l’una: o i cambiamenti climatici sono non solo veri e dipendenti dai consumi del combustibili fossili che il modo di produzione capitalistico avvitato intorno all’aumento continuo della produttività per estrarre il massimo profitto per accrescere l’accumulazione capitalistica all’infinito, oppure i disastri ambientali non c’entrano, fanno parte dell’andamento atomistico e irrazionale del modo d’essere della natura, di cui l’uomo è parte d’essa, e allora il libero arbitrio dell’uomo è una pia illusione edulcorata ipocritamente per nascondere il proprio nullismo. E allora anche il fisico Parisi va ad arricchire il lunghissimo albo dell’imbelle positivismo incapace di riconoscere l’impersonale azione del vento della storia ed è alla ricerca di soluzioni illusorie e illusioniste quando non apertamente partigiane per i potentati della terra, come nel rapporto coi paesi asiatici.

Tanto per essere concreti citiamo un solo esempio: l'argomento principale dei sostenitori dei veicoli elettrici è che i treni elettrici non bruciano carburante e quindi non inquinano l'ambiente. Ma in realtà non lo è! Dopotutto, anche l'elettricità deve essere portata da qualche parte, ma viene prodotta principalmente in centrali elettriche che bruciano olio combustibile o carbone. Non abbiamo perciò l'eliminazione del problema dell'inquinamento atmosferico, ma il suo trasferimento in un altro luogo. Parallelamente, crescendo la flotta globale di veicoli elettrici, crescerà anche il consumo di energia elettrica, il che significa che cresceranno anche i veri e propri “scarichi” che verranno creati dalle centrali termiche. Oltre a bruciare combustibili fossili, le centrali termoelettriche hanno bisogno anche di acqua, e in abbondanza. Secondo i calcoli dell'Agenzia Internazionale dell'Energia, a causa dell'aumento della capacità delle centrali elettriche, entro il 2035 le riserve idriche saranno spese il doppio. A Roma per descrivere questo fenomeno usano un esempio un po’ macabro ma che rende bene l’idea: «si sveste un morto per vestirne un altro»

C’è un altro fisico, Carlo Rovelli, un altro premio Nobel, di cui si è discusso ultimamente per un suo intervento dal palco del concertone del Primo maggio, sul quale fermiamo la nostra attenzione. Il fisico denunciò – in quella occasione – che un ministro della Repubblica produttore di armi si era fatto promotore di una propaganda per vendere armi dell’industria italiana con una manovra navale della Marina italiana nell’oceano Pacifico.

Certo, tra uno che denuncia un produttore di armi e tanti cavalier serventi del capitale c’è una certa differenza. Che ci sia anche una certa “sudditanza” psicologica da parte di ambienti politici al punto da disdire la sua partecipazione al Salone del libro a Francoforte nel 2024 per poi smentirsi immediatamente e reinvitarlo, la dice lunga sul rapporto tra la scienza, le leggi del capitale e la politica. Il punto in questione è che il fisico mostra meraviglia. Al che verrebbe da chiedergli «Ma tu che te credivi ca ch’era» alla maniera di Nino Taranto nei panni del finanziere corrotto a Totò che interpretava l’integerrimo poliziotto in un famoso film degli anni ’60..

Ci era già capitato di commentare, sia su «sinistrainrete.info » che su «La causa delle cose» in L’umanità tra paura, stupidità e follia, nel 2020, un suo scritto, sempre sul Corriere della sera, a proposito dei cambiamenti climatici e dell’atteggiamento “neutrale” della scienza rispetto al modo di produzione capitalistico. Lo riprendiamo in queste note come spunto per aggiornarlo rispetto alle sue ultime posizioni sulla guerra in Ucraina e per rintracciare un filo conduttore sia per il suo smarrimento che della sua illusione su guerra e pace tipica di una mezza classe come la piccola borghesia allo sbando di fronte alla crisi.

A fine febbraio del 2020 sul Corriere della sera scriveva: «Il valore del Green Deal europeo è centrato sull’idea di trasformare la sfida ambientale in opportunità anche economica. Non è presentato come limite alla crescita ma come una nuova strategia di crescita». Eravamo allora alle prime notizie che giungevano da Wuhan e l’emerito scienziato si avventurava in una nuova proposta per una nuova crescita dell’economia.

Dopo poco più di un mese lo stesso scienziato pubblicava, sempre sul Corriere della sera (del 2 aprile), un articolo al cui cospetto l’urlo di Munch ci fa la figura dell’oca giuliva.

Leggiamo solo qualche passaggio «La realtà forse più difficile da accettare è che quello che sta succedendo non è colpa di nessuno. Non è come la guerra, scatenata dalla follia di noi umani. […] Ma la realtà è che questo disastro non ha colpevoli. […] siamo nelle mani della natura, che a volte ci riempie di regali, a volte ci maltratta brutalmente, con sovrana indifferenza».

Alla faccia del libero arbitrio su cui l’Occidente ha sviluppato una cultura pari alla sua prepotenza per alcuni secoli. L’esimio scienziato passa dalla sudditanza alle leggi della natura alla personalizzazione della concorrenza espressa in conflitto armato, come in Ucraina, come se niente fosse. Va però dato merito a Carlo Rovelli di aver intuito una delle questioni più complicate del rapporto degli uomini con i mezzi di produzione quando scrive: «La realtà forse più difficile da accettare è che quello che sta succedendo non è colpa di nessuno. Non è come la guerra, scatenata dalla follia di noi umani. […] Ma la realtà è che questo disastro non ha colpevoli. […] siamo nelle mani della natura, che a volte ci riempie di regali, a volte ci maltratta brutalmente, con sovrana indifferenza». In quel caso, nel 2020, parlava del Covid, mentre in questo caso, siamo nel 2023, parla sulla guerra e la produzione di armi denunciando addirittura un ministro della Repubblica..

Come sempre concediamo il beneficio della buona fede al fisico e studioso Rovelli e cogliamo anche la differenza tra il suo giudizio sul Covid come sulla guerra in Ucraina, e affermiamo senza giri di parole che lui coglie l’effetto di un fenomeno fondamentale come il Covid, dovuto a leggi impersonali, anche se non riesce a chiarirlo sino in fondo, mentre sulla guerra in Ucraina diventa più specifico e per questo subito ripreso duramente dagli addetti ai lavori dei potentati economici che lo invitano a volare basso. La guerra, egregio professor Rovelli, non è follia ma espressione della concorrenza capitalistica come la storia finora ha dimostrato.

Il punto che intendiamo porre all’attenzione del lettore e di quanti si interrogano seriamente sulla crisi del modo di produzione e sui disastri che è avviato sempre più a compiere, non riguarda la sostituzione di un combustibile con un altro, come è successo nel corso degli ultimi 5/6/ 7cento anni, no, ma il modo di produrre, ovvero la finalità di produrre condensata in una semplice espressione: aumento della produttività in funzione di un aumento all’infinito dell’accumulazione di capitali in funzione del profitto privato. Un meccanismo che ha avuto sul piano storico una sua ragion d’essere indipendentemente dai riflessi causati. Lo diciamo proprio perché non amiamo rincorrere i se e i ma, ma assumendo la storia come dato di fatto. Si sarebbe potuto produrre diversamente? È una domanda che non dà luogo a procedere, la fanno gli imbecilli, ai quali riteniamo di non appartenere.

Ora è vero che i disastri – paliamo di quelli ambientali, ai quali ci stiamo riferendo – non hanno colpevoli, come per il Covid, se per colpevoli si vuole intendere la personalizzazione della colpa, ma proprio in ciò sta il problema, perché si tratta di una colpa collettiva incentrata su un meccanismo impersonale del modo di produzione che sottomette gli uomini ai ruoli piuttosto che i ruoli alla volontà dell’uomo. In ciò consiste – da parte del determinista – la negazione del libero arbitrio.

Siamo così arrivati a tentare di spiegare a Gerardo e a quanti si interrogano allo stesso modo che le leggi del modo di produzione capitalistico non erano scritte in natura, o del fato, ma sono il frutto di movimento del rapporto fra gli uomini incentrato sullo scambio. Un modo di produzione e un rapporto che ha retto per secoli, potremmo dire fin dalla ripartenza della caduta dell’Impero romano. Non solo, ma che in quanto meccanoismo ha prodotto progressi straordinari per l’umanità anche se a costi altissimi per una parte di essa. Ma si è trattato di una progressione storica che si determinava volta per volta con l’intervento dell’uomo assoggettato sempre ai ruoli che quel rapporto si determinava. Oggi siamo al dunque: lo scambio non è più in grado dei produrre progresso ed è destinato a implodere proprio per le leggi che ha sviluppato.

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Alessio Galluppi
Tuesday, 30 May 2023 17:23
Mentre in molti si affrettano a “svelare” le responsabilità soggettive, dolose o anche di pianificazione del disastro, oppure ad assolvere tutti rimettendo l’uomo al volere di Dio e dei suoi insondabili disegni divini, mi limito a riprendere tre concetti esposti da Michele Castaldo, più un quarto.

Indipendentemente se si volessero ricercare le cause del disastro naturale, che naturale non è, e le si volessero ascrivere ad una volontà pianificatrice dolosa, in ogni caso al fondo c’è la parossistica produttività infinita rincorsa da un modo di produzione che ha esaurito il suo tempo storico del ciclo ascendente e di sviluppo e che volge verso il suo declino per impossibilità a riprodurre quel plus valore necessario alla sua accumulazione: dunque le sue leggi impersonali cozzano fragorosamente con lo spazio finito della natura trattata da centinaia di anni come merce separata dall’umanità, soprattutto in maniera sempre più rapace e violenta nel corso dell’ultimo secolo.

La prima questione ovviamente è quella di questa stessa premessa, ossia il rapporto del uomo con i mezzi della produzione e la natura, per cui la ricerca dell’accumulazione del valore impone un livello di produttività non più sostenibile per la natura stessa di cui siamo parte.

La seconda questione riguarda il chiarimento che la consapevolezza di un problema – per il mezzo dell’intelligenza degli umani – non fornisce di per sé una soluzione al problema stesso, fintanto che non si aggrediscono le cause che lo hanno fatto sorgere, fintanto che si è costretti a reiterare la causa.

La terza questione è che proprio perchè quella consapevolezza è comunque sottoposta alla causa del problema, la soluzione che ne discende non può che essere in ossequio alla causa stessa, che in Occidente significa affrontare appunto la questione climatica secondo gli interessi delle economie Occidentali contro il resto del mondo, e contro quelle nazioni, che liberatesi nel secolo scorso dell’oppressione coloniale, si sono sviluppate e ora competono sul mercato nella produzioni di merci. In sostanza la questione climatica non può che essere affrontata difendendo il privilegio esclusivo dei “bianchi” e degli europei-occidentali a “usufruire” (ossia a detenere il frutto della rapina) delle risorse ambientali con soluzioni connotate dal carattere colonialista e imperialista nei confronti degli altri popoli.

E aggiungo una quarta questione, che vorrei porre all’attenzione e sulla quale Parisi inciampa quando affronta le possibili soluzioni alternative. E’ la questione del consumo (della merce) il tema su cui tutti battono e inciampano nella loro indeterminatezza. Non è l’uso di un bene il problema, bensì il suo “consumo”, il che significa che è un modo di consumare a generare inquinamento. E il modo di consumare dipende dalla merce, e questa non può che dipendere da come la si produce e poi da come la merce stessa viene scambiata attraverso il mercato, che è un complesso fisico spazio temporale e di intrecciate relazioni sociali. Ed è proprio su questo punto decisivo che le soluzioni alternative per il consumo dell’energia elettrica che Giorgio Parisi propone, mostrano il loro limite fondamentale. Nonostante egli sia un illustre fisico, le personalità scientifiche contemporanee più di quelle del passato subiscono i limiti storici che la scienza assume in questa fase del modo di produzione.

Il modo di produzione per aumentare la produttività sociale generale ha dovuto realizzare una divisione sociale del lavoro al massimo grado in tutte le attività produttive, scienze incluse, che altro non sono che attività produttive dell’uomo. Vieppiù la produttività e la divisione sociale del lavoro hanno segmentato e specializzato ogni fase del processo, quasi autonomizzandola dall’insieme della attività. Ora le scienze, in questo livello parossistico della produttività, sono sempre meno incentrate sulla analisi, studio, ricerca e teoria dei sistemi nel loro insieme di relazioni determinate, e sempre più scienze specialistiche, settoriali. Lo scienziato, anche il più luminare come Parisi, diviene sempre più esperto del suo settore specifico, ma sempre meno abituato a conoscere l’insieme e a concepirlo nel complesso delle sue relazioni.

Parisi propone per il consumo domestico di energia elettrica l’utilizzo dell’impianto fotovoltaico e dell’energia solare come soluzione per i problemi ambientali e climatici da adottare alla scala di massa. Certamente, la produzione di energia elettrica attraverso l’energia solare inquina decisamente meno di un impianto alimentato attraverso la combustione. Il punto, però è l’insieme, che a Parisi sfugge in questo caso (sebbene egli sia studioso della fisica dinamica dei sistemi complessi), e non può che sfuggire fin quando la scienza è il risultato e fattore determinato della produttività generale.

Il modo in cui si consuma l’energia elettrica è dettata dall’abitare e dallo sviluppo urbano, che storicamente si è determinato secondo le necessità del modo di produzione, che ha aumentato la densità e la concentrazione della popolazioni nelle aree pulsanti della produzione del valore, della circolazione dei capitali e della ricchezza concentrata. Non è possibile consumare alla scala di massa l’energia basata sul fotovoltaico senza rivoluzionare interamente l’assetto urbanistico delle attuali città, soprattutto delle grandi metropoli che sono l’epicentro dell’inquinamento e del dissipamento delle risorse naturali di acqua e aria, dunque senza rivoluzionare un modo di vivere in rapporto ad un modo di produrre quei beni utili. Questo è abbastanza chiaro, è la morfologia storica della città e del suo modo di consumo dissipatrice delle risorse idriche e del suo scambio super concentrato di ossigeno e carbonio il nocciolo del problema, che si erge anche come una immensa barriera architettonica contrapposta all’adozione del fotovoltaico. Lo si potrà applicare facilmente nella propria casa in campagna o in aree a bassa densità di urbanizzazione. Diventa decisamente complicato, se non irrealizzabile – ossia senza compromettere la parossistica produttività – nelle metropoli capitalistiche. In sostanza l’uso di un bene come l’energia, affinchè possa essere appunto usufrutto e non un consumo, realizzando un fotovoltaico sostenibile, richiederebbe una decurtazione netta di tutti i fattori della parossistica produttività sociale e la necessità degli uomini di dover essere asserviti ad essa, inclusa quella che costringe la specie a vivere in un modo troppo densamente popolato in limitati spazi geografici per servire il turbinio della produzione e dell’accumulazione mondiale della ricchezza per pochissimi.
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Franco Trondoli
Friday, 02 June 2023 11:31
Grazie Sig. Galluppi,
Bellissime note, complimenti.
Completamente d'accordo con Lei.
Cordiali Saluti
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Terzo dato
Wednesday, 31 May 2023 08:46
Lei affronta il problema in maniera precisa e analitica, in specie quando pone l'attenzione sul ciclo di vita dei beni di consumo, dalla progettazione al riciclo/smaltimento.

Il problema ovviamente non è il "cambiamento climatico" tal quale ci viene propinato dalla società dello spettacolo, con i guitti spettacolari che fanno la parte dei "giovani ribelli". I problema è il modo di produzione capitalistico e non bisogna ingannarsi sulla scelta delle fonti energetiche: il capitalismo le assomma tutte e non le scarta nessuna. Le auto elettriche sono l'ennesima truffa pseudo-scientifica dopo gli pseudo-vaccini genici, che tanti danni alla salute ancora stanno determinando (a proposito di determinismo).

Se bisogna stare attenti alle premesse, come l'ineffabile arbitrio personale del professor Cataldo insiste ad insegnarci, basarsi solo su un approccio grossolanamente quantitativo nel valutare un'potesi scientifica, cioè sul numero di scienziati che la sostengono, parebbe quasi una sciocchezza.

E' questo approccio grossolano e monocriteriale per problemi estremamente ampi e complessi, come reiterato dall'arbitrio autoreferenziale del professor Cataldo, fa il pari con l'attribuzione alla CO2 come "unica causa" di uno scenario cataclismatico utilizzato a piene mani per la nuova causa del nuovoproduttivismo emergenziale capitalistico occidentale a corto di saggio di profitto e con un ingarbugliata montagna finanziaria di debiti verso i paesi creditori.

A noi altri imbecilli, diversamente dal professor Cataldo, non ci riesce di capacitarci come un premio Nobel, un premio borghese, come l'ostentato Parisi esperto in teoria del caso, cioè della complessità imprevedibile, se ne esca con favolette semplici come l'efficacia di pseudo-vaccini e la monocriterialità della CO2 come "causa unica scatenante".

Come se la vita sulla terra non si fondasse sul ciclo della CO2, che quindi non è una scoria che si accumula all'infinito, e come se il bilancio energetico dell'atmosfera fosse solo dovuto all'energia in uscita e non anche a quella in entrata; come se l'alterazione qualitativa, per svariati agenti chimici industriali da scarico, anche alle alte quote, fosse irrilevante sui flussi energetici dell'atmosfera che è un sistema estremamente complesso e multifattoriale.

In definitiva, anche se non ci fosse alcun "allarme climatico" e tutto fosse improbabilmente pulito in regime capitalista, cionondimeno il sistema sarebbe da abbattere ugualmente, secondo il vecchio adagio per cui è inutile avere il mare e l'aria pulita se bisogna viverci da schiavi.

Ma così non è, come pregievolmente spiegato da lei, perchè il modo di produzione capitalista ha come effetto la catastrofe sociale e ambientale ed è per questo che "noi altri imbecilli" diffidiamo radicalmente da qualunque narrazione della borghesia dominante, dai loro guitti e dai loro apologeti. Perchè non può essere che sia l'assassino a raccontarci chi è il colpevole e come si è svolto l'omicidio.

L'uso della scienza da parte del dominio attuale è comunque feticistico e gli scienziati "buoni", tali perchè comunque stipendiati, sono presentati come feticci sacerdotali. Gli scienziati "cattivi" che invece non ci stanno sono esecrati e messi alla gogna. Eppure sempre scienziati sono e la scienza è anche un fatto qualitativo, non solo meramente quantitativo. Per lo meno finchè il criterio di quantità resti congruo al principio di causa-effetto tanto caro alla determinazione delle cose.
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Alessio Galluppi
Wednesday, 31 May 2023 14:13
Scusa non capisco cosa vuoi dire. Tu diffidi che esista un problema ambientale o diffidi della soluzione?

Se la soluzione che viene proposta non è valida, perchè non aggredisce la causa, non vuol dire che non ci sia un problema. Ci sono scienziati infatti, che viceversa sostengono il surriscaldamento che provoca certi fenomeni climatico sia per il normale ciclo geologico della terra. Molti di questi sono anche al libro paga della Exxon e Shell, ossia non negano il dato ma affidano la questione al disegno divino o a madre natura incontaminata dall’uomo.

Quindi di cosa diffidi?
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Geronimo
Tuesday, 30 May 2023 00:40
E così abbiamo scoperto che tal Michele Castaldo, probabilmente laureato al CEPU come quelli di Open, può dare patenti di “scienziato” a destra e a manca. È assai grave, ma forse nn se ne rende conto, catalogare gli scienziati in base al loro credo politico. Solo così si può capire il disprezzo per i Prof. Franco Battaglia, Carlo Rubbia, Antonino Zichichi e Franco Prodi mentre eleva al rango di divinità Parisi, quello degli spot a favore della 4 dose del siero velenoso ma tanto caro alla sinistra fucsia. E ho detto tutto.
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ndr60
Tuesday, 30 May 2023 12:49
Il passaggio da scienziato-guru a vecchio rincoglionito è questione di un attimo. Per questo, bisogna sapere a memoria l'Agenda 2030 e comportarsi di conseguenza :)
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