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controlacrisi

Elezioni comunali e necessità di chiarezza

Proposte per un'analisi del voto

di Fabio Nobile e Domenico Moro

Elezioni comunali 2016I. Con i risultati dei primi turni elettorali delle amministrative è possibile individuare alcuni elementi che ci restituiscano il quadro della situazione politica italiana. In primo luogo si consolida l’astensionismo come segno di distacco di larghi strati popolari dal sistema politico. Circa il 40% di potenziali elettori tende a non partecipare evidenziando la completa sfiducia nel sistema politico dominante: il Movimento cinque stelle non risulta un freno a tale tendenza, se non in maniera limitata. In secondo luogo, non esistono posizioni consolidate. La mobilità del voto riflette l’espressione di una difficoltà di tenuta del sistema politico dominante che, all’interno della crisi del capitale ormai strutturale, deve fare i conti con una crisi di egemonia latente. Ne è testimonianza il PD, che subisce in diverse città perdite rilevanti. Tuttavia, il Pd sul piano elettorale complessivamente tiene, anche se a fatica, andando al ballottaggio in 83 comuni sui 111 dove si dovrà ricorrere al secondo turno. La tenuta elettorale del Pd dipende, oltre che dal forte astensionismo e dal sistema elettorale fortemente maggioritario, anche dal declino di Forza Italia e dalle divisioni del centro-destra come si è riscontrato a Roma. In questa città, se il centro-destra fosse stato unito, sarebbe certamente andato al ballottaggio.

Il risultato del Movimento cinque stelle è ambivalente. Raggiunge un ottimo risultato a Torino e Roma, ma non ottiene comparabili affermazioni nelle altre grandi città come Milano, Bologna e Napoli dove va sottolineata l’affermazione della giunta De Magistris che ha espresso una netta alternatività al PD ed una forte radicalità nelle scelte amministrative. I risultati del Movimento cinque stelle stanno dentro la dinamica di grande mobilità dei consensi.

Infatti, questa formazione politica viene ancora molto utilizzata “contro” le forze tradizionali e di governo piuttosto che essere percepita come una vera e propria portatrice di un progetto alternativo. Una eventuale vittoria a Roma e, a maggior ragione, a Torino del M5S anche se contribuirebbe a inserirlo stabilmente nel sistema politico lo costringerebbe anche a fare i conti con la mancanza di un vero progetto politico e con i limiti di un posizionamento che è incentrato soprattutto sulla critica alla casta e trascura i limiti strutturali del vigente sistema di rapporti sociali.

E poi c’è la sinistra. È evidente che la sinistra antiliberista, comunista e alternativa è ancora lontana dalla capacità di intercettare il consenso degli strati popolari e attraverso di essa riempire quello spazio che lascia milioni di lavoratori, precari, disoccupati lontani da ogni forma d’impegno politico. Ma questo non significa che il 4/5% raggiunto dalle liste di sinistra alternative al PD non possa rappresentare una base per aprire un ragionamento che dia efficacia e spazio a posizioni di classe in grado di rappresentare una vera e credibile alternativa politica.

Nei prossimi giorni ci sarà il voto sull’Europa in Gran Bretagna e poi si voterà alle politiche in Spagna, mentre in Francia e Belgio sono in atto mobilitazioni sindacali e popolari di portata straordinaria contro aspetti che riguardano il cuore della ristrutturazione capitalistica e liberista in Europa. Il quadro di riferimento generale è, quindi, mutevole e tutt’altro che fisso in molti Paesi europei. Il sistema fondato sul bipartitismo e sul bipolarismo è in crisi in tutta Europa e un po’ dappertutto emergono e si consolidano terze e quarte forze esterne al tradizionale sistema di alternanza tra centro-destra e centro-sinistra.

 

II. È proprio dentro questo spazio che si gioca la possibilità di rilanciare la prospettiva a sinistra che richiede da una parte un lavoro paziente e dall’altra la capacità di esprimere un profilo politico in netta discontinuità con il sistema politico, economico e sociale nel quale il Paese è immerso. In questa direzione la sinistra che esce dalle elezioni amministrative deve dire con chiarezza e subito che non intende dare indicazioni di voto a favore del PD in nessun ballottaggio a partire da quello della capitale. Tra i diversi soggetti che hanno costruito le liste unitarie c’è da fare chiarezza su questo aspetto. Non vi è occasione più concreta per affermare con forza la propria alternatività al PD e quindi, in questo senso, acquisire quel grado di credibilità necessario a rilanciare un progetto di cambiamento da sinistra. L’ambiguità va spezzata. Subito. Il posizionamento rispetto al PD deve essere chiarito, se si vuole davvero proseguire un percorso unitario tra le forze politiche che si sono presentate unitariamente al primo turno. Altrimenti si rischia di perdere altro tempo per tenere insieme un ceto politico che si cuoce delle sue contraddizioni. Come, ovviamente, va precisato che la costruzione di un polo a sinistra, per essere tale, non deve avere alcuna contiguità con il M5S. Questo partito rappresenta l’espressione della crisi della politica piuttosto che una soluzione alla crisi della politica. Sebbene il M5S stia svolgendo oggettivamente una funzione anti Pd, resta una alternativa confusa sul piano progettuale, privo com’è di una adeguata critica ai processi di ristrutturazione capitalistica delle città. Se il Pd è l’avversario politico principale perché esprime e ha espresso con maggiore continuità e con maggiore coerenza negli ultimi dieci anni gli interessi del settore dominante del capitale, il M5S, catalizzando gran parte della critica al Pd e all’establishment in senso anticasta, rappresenta comunque un impedimento alla ricostruzione di una forza politica di classe. Moralità e trasparenza da sole non risolvono una situazione disastrosa, in particolare negli enti locali, che deriva in realtà soprattutto dalla crisi del capitale e dai vincoli di bilancio europei (Six pack, Fiscal compact) - che hanno tagliato della metà i trasferimenti statali e raddoppiato il prelievo fiscale locale - e dai processi di esternalizzazione e privatizzazione dei servizi sociali. Di tutto questo non c’è traccia nel programma del M5S.

 

III. Ma ciò che è più importante per la ricostruzione di un percorso di unità a sinistra e per la riconquista di una vera credibilità è la definizione di due aspetti cruciali:

1) un posizionamento politico chiaro

2) un profilo politico definito che si traduca in una piattaforma politico-programmatica

Sul primo aspetto abbiamo detto. È evidente che va rafforzata l’identità politica di una coalizione di sinistra che va fondata su alcune idee forza capaci di dare spiegazione alla crisi sociale e di indicare risposte mobilitanti contro i nemici veri che impediscono il dispiegarsi di un rinnovato progresso economico ed umano. In primo luogo va individuato il nemico nel grande capitale internazionalizzato, nei suoi organismi internazionali formali (Commissione europea, Bce, Fmi, Ocse, ecc.) ed informali (Trilaterale, Aspen Institute, ecc.), nei suoi manager, e nelle forze politiche, di centro-destra (partito popolare europeo) e centro-sinistra (partito socialista europeo), che ne sono espressione coerente. Di conseguenza va presa una posizione netta sull’Europa e sull’Euro, che hanno rappresentato e rappresentano tutt’ora lo strumento strategico del grande capitale europeo per ristrutturale la società e l’economia europea scaricando la crisi sui salariati. Dunque, va rilanciata l’idea del recupero e dell’allargamento della sovranità democratica e popolare sulle questioni economiche di fondo che regolano la vita materiale di milioni di lavoratori. Prerogative che negli ultimi decenni sono state via via sottratte al controllo dei Parlamenti nazionali e poste sotto il controllo dei governi nazionali e degli organismi sovrannazionali, soprattutto europei. Il recupero della sovranità democratica costruisce l’unico terreno su cui si possano costruire rapporti collaborativi e solidali fra i popoli europei e soprattutto un nuovo internazionalismo tra i lavoratori europei, nativi e immigrati.

Per queste ragioni va rimosso l’equivoco che confonde la questione democratica in Europa con il rilancio del nazionalismo. Iniziare il processo di democratizzazione dell’Europa, riportando sotto il controllo dei Parlamenti gli aspetti decisivi della vita economica di un Paese, significa contrastare i processi che stanno ampliando le divisioni tra popoli europei e alimentando xenofobia e conflittualità tra i salariati, e porre le basi concrete per ricostruire una Europa che non sia del capitale, come è oggi, ma dei popoli.

La battaglia per il NO al Referendum sulla modifica della Costituzione deve essere inquadrato in questo contesto. Non una battaglia di retroguardia ma al contrario uno strumento per catalizzare energie politiche e rilanciare la battaglia sociale e democratica. Ma questo è possibile soltanto se si interpreta la difesa della Costituzione come momento dello scontro fra le classi e soprattutto soltanto se la si coniuga con la lotta contro l’architettura dell’euro e della Ue, che contraddicono il senso profondo della Costituzione in termini non solo di progresso sociale ma anche di protagonismo popolare nelle scelte del Paese. Oggi, il superamento della scomposizione della classe lavoratrice e della frammentazione delle lotte politiche e economico-sociali non può prescindere dalla disgregazione dell’integrazione valutaria europea, cui va collegato il rilancio degli investimenti fissi da parte dello Stato e il ritorno delle imprese e delle banche privatizzate nell’alveo del settore pubblico.

 

IV. Il ruolo dei comunisti e del PRC in tale contesto deve fare un salto di qualità. Di analisi, di profilo e proposta politica. Ha senso lavorare alla costruzione di un polo plurale della sinistra se si prova contestualmente a costruirne la parte più avanzata, più cosciente delle necessità storiche. È un percorso lungo, ma va intrapreso nuovamente. Il giusto rifiuto del PRC a sciogliersi in una formazione genericamente di sinistra va riempito di proposta e motivazioni. Rifiutarsi di sciogliersi ha senso se si costruisce una ben definita proposta dei comunisti, se si funziona da partito, cioè se si orientano con continuità i propri militanti e li si rende protagonisti di un processo ricostruttivo politico, aperto e fondato su un nuovo paradigma teorico marxista adeguato alla nuova fase storica che stiamo attraversando. È soltanto a queste condizioni che ha senso rifiutare di sciogliersi e ha senso costruire percorsi che coalizzino in forme partecipate i pezzi di una sinistra che va oltre quanto finora si è riuscito a ricomporre. E soprattutto che va molto oltre quanto si è riuscito a ricomporre fino ad ora all’interno del lavoro salariato. L’incapacità di compiere questo salto di qualità, cui si deve il grave nocumento al Partito a seguito della crisi del percorso “Noi ci siamo”, non deve tuttavia indurre alla ricerca di soluzioni solitarie. Questo, per il PRC, è il momento di definire le alleanze a sinistra attorno ad elementi chiari, superando la una discussione infinita sul come far convivere in un polo di sinistra le sue diverse componenti. L’attenzione va spostata da come a per che cosa si sta insieme, aprendo e chiudendo le interlocuzioni su questo tema. Se le elezioni amministrative danno dei segnali di apertura di spazi, questi vanno favoriti. Ma, allo stesso tempo, non bisogna perdere il senso della propria funzione di fondo che va ben oltre quella di alimentare la ripresa di un movimento politico a sinistra, caratterizzandosi soprattutto per una proposta di alternativa di società, vale a dire per la definizione di una proposta di socialismo adeguata alle condizioni dell’Italia e dell’Europa di oggi. Da questo punto di vista la sinistra italiana e noi comunisti dovremo confrontarci su quanto sta avvenendo nel nostro campo in Europa, sul ruolo di un vero coordinamento politico del Partito della sinistra europea e delle forze comuniste e del Gue. Senza dimenticare che è necessario riaprire anche una discussione sul sindacato che, come dimostra la Francia e non solo, è decisivo se riesce a trasformare in mobilitazione generale contro il governo e gli interessi complessivi del capitale le lotte specifiche e particolari dei lavoratori. Difatti, bisogna capire molto chiaramente che non si può vivere di sole elezioni, ma che bisogna soprattutto costruire il radicamento sociale tra i lavoratori e le classi subalterne. La ridefinizione di un posizionamento e di un profilo politici, così come l’elaborazione di un nuovo paradigma marxista adeguato alla nuova fase del capitale - caratterizzata dalla globalizzazione e dalla crisi sistemica -, sono elementi imprescindibili per realizzare questo obiettivo. In questo senso il congresso del PRC alle porte è un’occasione importante per provare a costituire il punto più alto di un confronto chiarificatore interno sulle questioni strategiche finalizzato a individuare le priorità programmatiche attorno a cui spingere al confronto i nostri interlocutori politici e sociali. Perpetuare ambiguità e contraddizioni politiche, in seno e trasversalmente alle diverse sensibilità politiche presenti nel Partito, mina la possibilità di esprimere quel chiaro e deciso indirizzo politico che le circostanze impongono. Subordinata alla definizione di tale indirizzo è la questione del gruppo dirigente, cui spetterà il compito di restituire slancio, determinazione e motivazione ad un corpo militante profondamente provato.

Insomma, le questioni aperte sono molteplici, ma, nella chiarezza e con l’obiettivo di far superare e sconfiggere a sinistra un tatticismo snervante e comprensibile solo agli addetti ai lavori, la strada si può riaprire.

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