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I valletti dell'Apocalisse

I governi occidentali e l'impunità di Israele

di Alberto Toscano

0e99dc fb6e25d3a4154e769b53e3765793bcbfmv2La responsabilità dei governi occidentali nel genocidio in corso a Gaza è enorme. Ciò che sta emergendo con chiarezza è il fallimento conclamato del cosiddetto «ordine internazionale liberale». Un ordine che non solo non ferma i genocidi, ma legittima e protegge la violenza sistematica di Israele, che viene per definizione considerata un atto di autodifesa. Mentre si concede carta bianca a Netanyahu, i governi dell'Occidente continuano a intrecciare proficui rapporti con il suo complesso militare-industriale.

Come ci ricorda Alberto Toscano, nel suo rapporto From Economy of Occupation to Economy of Genocide la relatrice speciale dell'Onu Francesca Albanese è esplicita: «se il genocidio non si è fermato, è anche perché è un’impresa redditizia. Rende, e rende molto».

Le lezioni della guerra in Iraq sono ancora davanti ai nostri occhi: la complicità delle élite «democratiche» occidentali producono effetti duraturi, e continueranno a farsi sentire per anni.

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Il 2 luglio, il Parlamento britannico ha votato per inserire il gruppo Palestine Action nella lista delle organizzazioni terroristiche. La decisione è arrivata dopo l’ultima azione diretta del gruppo, avvenuta il 20 giugno, quando alcuni attivisti hanno danneggiato due aerei da rifornimento in volo Voyager presso la base di Brize Norton, da cui partono regolarmente voli verso la RAF Akrotiri, la base situata a Cipro da cui sono decollati centinaia di voli di sorveglianza su Gaza. Mentre il governo britannico insiste sul fatto che le operazioni di ricognizione sono finalizzate esclusivamente alla localizzazione e al salvataggio degli ostaggi, gli attivisti sostengono che la condivisione di informazioni d’intelligence con Israele implichi la complicità del Regno Unito in crimini di guerra.

In un infuocato intervento parlamentare, la deputata Zarah Sultana – che si è dimessa dal Partito Laburista del Primo Ministro Keir Starmer ed è pronta a fondare un nuovo partito di sinistra contro la guerra assieme all’ex leader laburista Jeremy Corbyn – ha denunciato la criminalizzazione di una «rete non violenta di studenti, infermieri, insegnanti, vigili del fuoco e attivisti per la pace», il cui «vero crimine è stato quello di avere l’audacia di svelare i legami insanguinati tra questo governo e lo stato israeliano genocida e di apartheid, e la sua macchina da guerra». Sultana ha ricordato che Palestine Action è stata messa al bando insieme a due organizzazioni di estrema destra e suprematisti bianchi apertamente impegnate nella violenza contro i civili: i Maniacs Murder Cult e il Russian Imperial Movement. Nella Camera dei Lord, il pari laburista ed ex attivista anti-apartheid Peter Hain ha condannato l’equiparazione tra Palestine Action e gruppi come ISIS o al-Qaida, definendola «intellettualmente fallimentare, politicamente priva di principi e moralmente sbagliata». Sono già iniziati arresti di persone accusate unicamente di aver espresso sostegno al gruppo.

Il bando britannico contro Palestine Action rappresenta l’ultimo episodio di una duratura ondata repressiva contro la solidarietà con la Palestina, che spazia dalle detenzioni e procedimenti di espulsione negli Stati Uniti fino alla brutale repressione delle proteste in Germania. Queste politiche di tolleranza zero contro l’attivismo (o anche solo le opinioni) anti-genocidio sono il sottoprodotto inevitabile – e il complemento attivo – dell’impunità illimitata che continua a essere garantita a Israele dai suoi alleati occidentali.

Queste politiche rivelano una verità brutale della politica contemporanea: che i palestinesi (così come i libanesi, gli iraniani, i siriani o gli yemeniti) non godono di alcun diritto che Israele sia tenuto a rispettare e che, al contrario, ogni atto di violenza da parte di Israele, per quanto estremo od orribile, viene per definizione considerato un atto di autodifesa. Come ha sostenuto la giurista Brenna Bhandar, questa presunzione di impunità è una caratteristica fondante degli stati coloniali, in cui i cittadini coloni sono «soggetti paradigmatici di un diritto primordiale e assoluto all’autodifesa».

Di fronte al genocidio in corso a Gaza, i governi di tutto l’Occidente hanno scelto di trattare qualsiasi forma di dissenso come una minaccia assoluta alla sicurezza nazionale e di concedere a Israele carta bianca, oltre a un sostegno materiale ininterrotto, per le sue innumerevoli violazioni del diritto internazionale.

Nel farlo, hanno trasformato il già logoro impianto del cosiddetto «ordine internazionale basato sulle regole» in una triste farsa e creato un abisso profondo tra la politica estera e il sentimento dell’opinione pubblica. Nonostante i media mainstream si sforzino in ogni modo di eufemizzare la carneficina e di offrire il beneficio del dubbio al governo di Netanyahu, la simpatia per Israele tra i cittadini europei è in rapido crollo. Nel frattempo, la maggioranza degli statunitensi ha oggi un’opinione negativa di Israele, con i giovani elettori democratici largamente solidali con la causa palestinese. Ma quando si tratta di sionismo, i governi occidentali restano incrollabilmente impegnati a difendere l’indifendibile. Sebbene questa frattura tra politica ufficiale e opinione pubblica non si sia ancora concretizzata in una vera rottura politica, è probabile che essa produca effetti di grande portata – anche se imprevedibili – negli anni a venire.

Due settimane prima dell’attacco non provocato di Israele all’Iran e della successiva «guerra dei 12 giorni», il Financial Times aveva segnalato un cambiamento nella marea del sostegno occidentale a Israele, citando la revisione da parte dell’Unione Europea dell’accordo di associazione con Israele, la sospensione dei colloqui commerciali da parte del Regno Unito, la messa al bando di un’azienda israeliana da parte del fondo sovrano norvegese e le minacce di sanzioni da parte di Francia, Regno Unito e Canada. Il Financial Times stesso si era detto favorevole a sanzioni dell’UE contro Israele, modellate su quelle imposte alla Russia per la guerra in Ucraina. Le sanzioni imposte da Regno Unito, Australia, Canada, Nuova Zelanda e Norvegia il 10 giugno contro i ministri israeliani di estrema destra Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich sono state curiosamente motivate dalle loro «istigazioni alla violenza contro le comunità palestinesi» e dagli «atti di violenza da parte dei coloni estremisti israeliani» in Cisgiordania, come se questi episodi potessero essere separati dal genocidio a Gaza e come se la violenza contro i palestinesi fosse solo l'azione di qualche mela marcia e non una politica e una prassi dello Stato.

Per quanto questi gesti di censura siano stati deboli – nel contesto dei bombardamenti continui, della fame forzata, dei massacri durante le distribuzione degli aiuti e del costante attacco a ospedali, giornalisti e infrastrutture vitali – essi sono stati rapidamente oscurati dall’attacco israeliano all’Iran del 13 giugno.

In una dimostrazione scioccante ma del tutto prevedibile di quanto il nostro discorso politico sia stato degradato da un impegno granitico nell’assicurare l’impunità a Israele, la sua guerra d’aggressione contro l’Iran è stata accolta con lo stesso ritornello meccanico che sentiamo dal 7 ottobre (e in realtà da molto prima): «Israele ha il diritto di difendersi». Ignorando allegramente il fatto che gli «attacchi preventivi» sono illegali, il presidente Emmanuel Macron ha dichiarato – prima ancora della risposta iraniana – che «la Francia riafferma il diritto di Israele a difendersi e a garantire la propria sicurezza». Come ha osservato in maniera mordace la relatrice speciale dell’ONU Francesca Albanese: «Il giorno in cui Israele, senza essere provocato, attacca l’Iran uccidendo 80 persone, il presidente di una grande potenza europea ammette finalmente che in Medio Oriente Israele – e solo Israele – ha il diritto di difendersi». L’idea che Iran (o Libano o Yemen o, in effetti, il popolo palestinese sotto occupazione) possa esercitare il diritto all’autodifesa non viene nemmeno presa in considerazione. Al loro vertice annuale in Canada, i paesi del G7 hanno diffuso una dichiarazione che ha anch’essa ignorato il crimine di aggressione commesso da Israele, trasformandolo in «autodifesa», aggiungendo inoltre che «l’Iran è la principale fonte di instabilità e terrore nella regione» – affermazione facilmente smentibile anche solo utilizzando le cifre delle vittime, per non parlare delle sentenze del diritto internazionale.

Per spiegare i doppi standard, già tanto evidenti, non basta solo richiamare la narrazione dell’impegno dell’Occidente per la sicurezza dello Stato ebraico nel dopoguerra – un impegno che la Germania considera persino una norma fondativa, o Staatsräson. E per quanto rilevanti, né la solidarietà tra stati coloniali di insediamento né la narrazione civilizzatrice che presenta Israele come l’avanguardia dell’Occidente nel mondo arabo, tanto cara a Netanyahu, sono sufficienti a rendere conto della situazione. Il primo ministro tedesco Friedrich Merz ha lasciato trapelare alcune delle motivazioni più profonde quando ha dichiarato che, attaccando l’Iran, Israele stava facendo «il nostro lavoro sporco». Un sentimento che Joe Biden aveva espresso in termini più immaginifici, affermando: «Se Israele non esistesse, l’America dovrebbe inventarlo».

Parlando con i giornalisti dopo il suo rilascio dalla detenzione israeliana – seguita al sequestro suo e di altri membri di una flottiglia umanitaria in acque internazionali – Greta Thunberg ha riassunto in modo incisivo perché la tragedia di Gaza venga accolta con crudele indifferenza dai governi mondiali. La causa, ha affermato, è «il razzismo e il disperato tentativo di difendere un sistema distruttivo e mortale che sistematicamente antepone i profitti economici a breve termine e la massimizzazione del potere geopolitico al benessere degli esseri umani e del pianeta».

Nonostante occasionali note di censura o preoccupazione, l’Occidente – ovvero l’Unione Europea, il Regno Unito e gli stati di insediamento anglosassoni come Stati Uniti, Canada, Australia e Nuova Zelanda – non mostra alcun segnale di voler frenare i progetti genocidi ed espansionistici di Israele. Le sentenze della Corte Internazionale di Giustizia vengono trattate come carta straccia, mentre i leader occidentali e i media mainstream continuano ostinatamente a ignorare il fatto che il loro alleato, Benjamin Netanyahu, è un criminale di guerra ricercato – anche se è stato incoraggiante vedere Zohran Mamdani, che ha promesso di arrestare il Primo Ministro israeliano se avesse messo piede a Manhattan, sconfiggere Andrew Cuomo, il quale ha aderito al team legale di difesa di Netanyahu alle primarie democratiche per l'elezione a sindaco di New York.

Mentre la grottescamente denominata Gaza Humanitarian Foundation ha trasformato i punti di distribuzione alimentare in zone di sterminio e l’annessione totale della Cisgiordania viene richiesta con disinvoltura dai ministri del Likud, l’UE – che solo di recente ha riconosciuto la violazione, da parte di Israele, della clausola sui diritti umani contenuta nell’accordo di associazione – sta prevedibilmente affondando in un pantano procedurale, discutendo un ventaglio di possibili misurasenza alcuna urgenza né convinzione.

Allo stesso modo, il governo liberale del Canada, pur avendo formalmente dichiarato di sostenere un cessate il fuoco e di voler sospendere contratti e forniture di sistemi d’arma che potrebbero essere utilizzati a Gaza, ha recentemente approvato nuovi contratti militari con Israele per un valore di 37,2 milioni di dollari canadesi. Non è chiaro in che modo il Canada possa monitorare l’impiego effettivo di tale materiale; inoltre, non è stata imposta alcuna limitazione al suo utilizzo aggressivo e illegale nei molteplici teatri di guerra di Israele, inclusi Iran, Siria e Libano.

Nel frattempo, il Primo Ministro Mark Carney, avendo ceduto alla richiesta di Trump dell'aumento della spesa militare al 5% del PIL di tutti i paesi della NATO, è andato persino oltre il suo predecessore Justin Trudeau quanto a fedeltà nei confronti di Israele. A marzo, poco prima di dimettersi, Trudeau aveva dichiarato: «Sono un sionista». Intervistato da Christiane Amanpour della CNN durante il vertice NATO a L’Aia, Carney ha proposto che una pace duratura richieda la nascita, accanto a Israele, di uno «Stato palestinese sionista».

Anche quando alcuni leader occidentali – come quello della Spagna – si sono spinti oltre, esprimendo critiche esplicite contro le azioni di Israele a Gaza, ben poco è stato fatto in concreto per ostacolare le basi materiali ed economiche della violenza genocida israeliana. Come hanno sottolineato attivisti per la solidarietà con la Palestina e politici del partito di sinistra Podemos, il governo del primo ministro socialista Pedro Sánchez non è riuscito a imporre un embargo sulle armi in entrambe le direzioni: le importazioni da Israele sono aumentate, mentre i porti spagnoli continuano a essere utilizzati per spedizioni di armi verso Israele.

Come ha sostenuto con forza Francesca Albanese nel suo ultimo rapporto From Economy of Occupation to Economy of Genocide, «se il genocidio non si è fermato, è anche perché è un’impresa redditizia. Rende, e rende molto».

Sin dal primo giorno, gli Stati Uniti sono stati il principale sostenitore, sia materiale che ideologico, del genocidio perpetrato da Israele. Sebbene i funzionari dell’amministrazione Biden si siano presto resi conto che il governo Netanyahu era determinato a «uccidere e distruggere per il gusto di uccidere e distruggere», non è mai stata intrapresa alcuna azione concreta, e i discorsi sulle «linee rosse» si sono rivelati una pura pantomima.

Come ha osservato l’ex ambasciatore israeliano Michael Herzog: «Dio ha fatto un favore allo Stato di Israele facendo sì che Biden fosse presidente in questo periodo. Abbiamo combattuto [a Gaza] per oltre un anno e l’amministrazione non ci ha mai detto: "cessate il fuoco, ora". Non lo ha mai fatto». Il «piano Gaza» di Trump non ha fatto che aggiungere un’ulteriore, macabra dimensione a questa politica di totale impunità.

Ma anche le altre potenze occidentali hanno svolto un ruolo cruciale nel perpetuare la distruzione di Gaza, non solo limitandosi a privilegiare il diritto di Israele all’«autodifesa» rispetto a qualsiasi considerazione legale o umanitaria – un atteggiamento iniziato immediatamente dopo il 7 ottobre, quando diversi politici europei hanno giustificato i bombardamenti indiscriminati e l’assedio totale da parte di Israele.

Questa collaborazione occidentale si manifesta anche sotto forma di vuoti e ipocriti richiami alla «soluzione dei due Stati» e di inchieste sui diritti umani prive di qualsiasi incisività. Mentre Israele si è impegnato sistematicamente a violare ogni limite morale e legale nella sua guerra contro il popolo palestinese, senza incontrare alcuna reale resistenza da parte della cosiddetta «comunità internazionale», le retoriche vuote su un futuro processo negoziale, provenienti da soggetti come l’Unione Europea o il Canada, non fanno che contribuire agli sforzi di Israele per cancellare persino l’idea stessa della libertà palestinese.

Come ha osservato l’analista politico palestinese Abdaljawad Omar, «Israele non sta semplicemente combattendo Hamas. Sta gestendo il tempo del collasso dell’infrastruttura di Gaza [e] della diplomazia regionale».

Più che offrire un orizzonte di pace, i cessate il fuoco e i negoziati – come quelli in corso al momento della stesura di questo testo – appaiono semplicemente come un’altra modalità della guerra perpetua, attraverso cui Israele spera «di esaurire l’indignazione globale così come spera di esaurire la resistenza palestinese: tramite il rinvio, la confusione, la normalizzazione del collasso e, naturalmente, la coercizione attraverso la strumentalizzazione dell’antisemitismo».

Nel frattempo, le aziende private contribuiscono attivamente alla gestione del collasso, arrivando perfino a elaborare modelli di business per la pulizia etnica.

Rifiutandosi di prendere in considerazione qualsiasi azione che possa davvero fermare – o anche solo attenuare – la violenza di Israele, i governi occidentali non solo si rendono complici del genocidio, ma svelano anche le fondamenta marce di un cosiddetto «ordine internazionale liberale», in cui il «mai più» non è un appello universale a prevenire i genocidi, ma una prerogativa esclusiva dello Stato ebraico e dei suoi alleati.

Nel farlo, persino il linguaggio è stato distorto fino a diventare irriconoscibile: i mercenari che massacrano affamati si definiscono Gaza Humanitarian Foundation, l’aggressione diventa autodifesa, e l’autodeterminazione palestinese deve essere immaginata come «sionista».

Avendo legato il proprio destino a uno Stato che celebra apertamente la propria impunità – come ha dichiarato un membro della Knesset in diretta sulla televisione israeliana: «Tutti si sono abituati all’idea che si possano uccidere 100 gazawi in una notte… e non interessa a nessuno nel mondo» – i governi occidentali hanno compromesso profondamente la propria legittimità morale, soprattutto agli occhi delle nuove generazioni.

Sembra quasi che i governi occidentali non si preoccupino più neppure di costruire il consenso: preferiscono ricorrere direttamente alla censura, all’abuso legislativo e alla repressione poliziesca. Ovunque nel mondo viene chiesto alle persone di non credere ai propri occhi, e di accettare, ad esempio, che l’IDF debba essere protetto dalle leggi contro l’incitamento all’odio, mentre preti pacifisti ottuagenari vengono trattati come pericolosi simpatizzanti del terrorismo.

Come sappiamo dalle conseguenze ancora in corso della guerra in Iraq, la corruzione e la complicità delle élite «democratiche» occidentali continueranno a farsi sentire per anni. Solo il lavoro lucido e tenace dei movimenti globali contro le guerre imperialiste e coloniali potrà impedire che questo fallimento morale e politico epocale generi ulteriore catastrofe e nichilismo.


Alberto Toscano insegna alla Simon Fraser University. È autore di vari articoli e libri sull’operaismo, sulla filosofia francese e sulla critica al capitalismo razziale, di cui è uno dei punti di riferimento nel dibattito internazionale. Per DeriveApprodi ha pubblicato: Tardo fascismo. Le radici razziste delle destre al potere.
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