Tentiamo di fare il punto
di ALGAMICA*
A differenza di quanti si dilettano a lanciare proclami, noi cerchiamo di capire e aiutare, con le nostre limitate capacità, a rintracciare linee di tendenza di un modo di produzione che in Occidente mostra segni di crisi irreversibili.
Il mondo occidentale ha assistito per un’ora all’oratoria di un Trump raggiante che impartiva lezioni di pace imposte con la forza. Dunque si è presentato al parlamento di Israele come il potente che impone le sue regole anche a quello che è ritenuto il suo cane da guardia in Medio Oriente, ovvero quello stato di Israele che con Netanyahu ha compiuto il lavoro sporco per l’insieme dell’Occidente.
Analizziamo però i fatti per capire di cosa si è trattato per evitare di scambiare fischi per fiaschi.
Trump dell’oratoria alla Knesset è lo stesso che aveva dichiarato che avrebbe fatto di Gaza un centro vacanziero per nababbi, mentre è costretto a porre il problema della ricostruzione per i palestinesi. Ed è lo stesso Trump che aveva sostenuto con Netanyahu la necessità di estirpare la resistenza palestinese attraverso l’annientamento di Hamas. Ed è lo stesso che è stato costretto a trattare con Hamas e arrivare a un accordo con essa per la liberazione degli ostaggi israeliani. E il povero e miserabile Netanyahu, dopo aver mostrato all’Onu, con tanto di cartina geografica, le mire dello stato sionista, è stato costretto dal padrone americano a più miti consigli fino all’umiliazione di chiedere scusa al Qatar per aver bombardato in quel paese per uccidere un militante dirigente di Hamas. Un povero miserabile, quel Netanyahu, costretto a chiedere la grazia al padrone americano per il processo in corso. Un povero miserabile che per difendere il ruolo di Israele nell’area da cane da guardia è stato costretto a operare un genocidio e distruggere la striscia per il 90%, a cui oggi il padrone americano gli chiede di uscire di scena, perché lo Stato ebraico di Israele non potrà più elemosinare comprensione per l’olocausto per essersi macchiato di un genocidio nei confronti del popolo palestinese. Un povero miserabile, il personaggio Netanyahu divenuto vittima sacrificale per un nuovo tentativo di patto con i paesi arabo-islamici compreso addirittura l’Iran.
Questo il quadro, un quadro in movimento, dove fino a pochi giorni prima si proponeva di disperdere, per il mondo, i palestinesi sopravvissuti al genocidio, mentre oggi cercano coesi e compatti di ritrovarsi come popolo.
I cosiddetti strateghi della geopolitica cercano di leggere in una palla di vetro il futuro ricco di difficoltà e incognite, noi cerchiamo innanzitutto di capire e spiegare i fatti, e il primo fatto è che l’Occidente, nel suo insieme è stato costretto a più di un passo indietro. Pertanto vanno capite le cause di questi passi indietro, piuttosto che rincorrere i proclami trumpiani, che sono come quelli che voleva annettere Canada e Groenlandia, che cacciò a pedate nel sedere Zelensky dallo Studio Ovale, che prometteva la pace per il 15 agosto tra la Federazione della Russia e l’Ucraina, insomma il Trump del Make America Great Again.
Il vecchio Mao ripeteva che gli imperialisti sollevano un masso per farselo cadere sui piedi, e mai fu vero come nel rapporto tra gli Usa che pensavano di fare della Cina un sol boccone e si sono ritrovati con un continente che è divenuto suo spietato concorrente, e in Medio Oriente sono dovuti ricorrere a scambiare e contrattare con gli arabi e oggi sono costretti a piatire un accordo con essi per evitare una esplosione in tutta l’area partendo dalle difficoltà a domare l’eroico popolo palestinese. Così stanno realmente le cose.
Cosa è successo esattamente in Occidente dal 7 ottobre del 2023? Che le nuove generazioni hanno ritenuto l’azione della resistenza palestinese espressasi in quella giornata come un’azione necessitata da 80 anni di soprusi subiti dal popolo palestinese da parte dello Stato sionista di Israele con la complicità dell’insieme dei suoi abitanti. E si sono schierate, le nuove generazioni, contro la reazione dello Stato sionista condannandolo senza esitazione. Attenzione bene: non si è trattato di gruppuscoli ideologizzati dell’estremismo di sinistra, no, ma di ingenti masse giovanili nel cuore dell’Occidente, cioè negli Usa oltre che in Europa, che hanno rimosso in toto lo scolorito olocausto della fase precedente per condannare senza appello il genocidio in corso da parte di chi in nome dell’olocausto lo andava compiendo. C’è dunque un cambiamento epocale che solo agli stupidi schierati a priori a sostegno delle leggi del modo di produzione capitalistico può sfuggire. Pertanto la riflessione deve essere fatta su questo e ogni tentativo di comparazione col passato è privo di senso. Per tutti basterebbe ricordare la differenza col 2003, quando fu bombardato l’Iraq e impiccato Saddam Hussein col silenzio correo delle masse occidentali che si erano mobilitate contro il rischio di un paventato « scontro di civiltà » che svanito fece rifluire l’insieme del movimento e che qualche teorico di sinistra addossò la responsabilità alla sua direzione « riformista », come se i movimenti fossero dei cavalli cui mettere la cavezza e dirigerli a proprio piacimento.
Proviamo a capire come è stato visto questo straordinario movimento che si è sviluppato in Occidente contro il genocidio operato dallo Stato sionista di Israele, leggendo alcune opinioni di personaggi di rilievo o sindacali.
Su La Stampa agnelliana, di lunedì 6 ottobre, Giuseppe De Rita, il grande sociologo, fondatore e presidente del Censis, di 93 anni, alla domanda « che cosa sta accadendo per Gaza »? risponde « Se lo sapessi farei il capo del governo. » poi però si lascia andare e « È tutto così labile: ci sono milioni di persone in piazza ma non si capisce perché. Dichiarano di manifestare per Gaza ma cos’è Gaza? È un sentimento collettivo? Un’indignazione collettiva? Una paura collettiva? Un conflitto collettivo? ».
Auguriamo di vivere ancora molto a lungo a questo grande sociologo per riuscire a capire che le persone sono mosse sempre da fattori materiali e che lo stesso « sentimento è materia », anche se sfugge alla sua comprensione. Ora se il nostro sociologo dice che « Il conflitto deve basarsi su degli interessi non su logiche di sentimento » vuol dire che non riesce a capire che le masse di quest’epoca intuiscono, dai fatti del Medio Oriente e dal genocidio che si sta perpetrando a Gaza, ha a che vedere col loro futuro. E lo denunciano con forza. « L’incertezza » dice ancora il nostro grande pensatore « non è capire chi siano le persone scese in piazza ma chi potrà gestire quest’onda di sentimenti per portarla non si sa bene dove. L’unica possibilità che vedo è fragile ».
Premesso che non giuriamo sulla robustezza o meno di questo movimento, perché ogni movimento nasce e si sviluppa per cause, ma è sempre come un’onda destinata a rifluire. Il punto in questione non è questo, ma il fatto che abbia contribuito ad aggravare ulteriormente la crisi politica dell’Occidente fino a imporre agli Usa, tramite il sempre più tronfio Trump, personaggio del momento, di indurre lo Stato sionista di Israele alla tregua, perché l’Occidente è allo stremo perché il movimento contro l’azione sionista lo indebolisce ulteriormente. Domandiamo sommessamente: è o non è un fatto materiale questo, egregio dott. De Rita e quanti con lui la pensano allo stesso modo? Ma non vogliamo convincere lor signori, ci mancherebbe, da ben altre prebende si lasciano convincere. Vogliamo parlare a quanti in questa fase si interrogano seriamente su un futuro burrascoso cui si va incontro in Occidente dopo 80 anni di pace democratica e di benessere, o dopo 500 anni di rapine ai danni dei popoli del sud del mondo.
Ma il sociologo alla domanda se si tratta di un movimento come quello per il Vietnam giustamente dice «Assolutamente falso. Questi non sono figli del Vietnam né di Genova » cioè il movimento contro la globalizzazione del 2000 « Ogni generazione ha il suo destino e questo è ancora tutto da scrivere ».
Concordiamo in pieno col grande vecchio, che il destino di questo movimento è ancora tutto da scrivere. Intanto ha ottenuto uno straordinario risultato: ha imposto agli Usa, il vero padrone del sionismo, di agire con forza e imporre la tregua e lo scambio di prigionieri. Questi sono i fatti, poi ognuno li racconta secondo le proprie convenienze. Un risultato da condividere con la resistenza palestinese, Hamas e il popolo di Gaza.
Riteniamo perciò di aver scoperto il nuovo soggetto per la rivoluzione in Occidente? No, non di questo si tratta, consapevoli come siamo che il vero soggetto della rivoluzione – o per meglio dire – dell’implosione che procurerà la rivoluzione consiste nella crisi del modo di produzione in generale e in quella in Occidente più grave che mai in particolare. Non esiste, come abbiamo già detto sopra, un movimento che cresce all’infinito, ogni movimento ha un suo ciclo. E l’agenda non la dettano i cosiddetti rivoluzionari, ancor meno con le loro teorie, ma la detta la crisi del movimento monista del capitale che si va aggravando, in modo particolare in Occidente.
Il ruolo delle classi
C’è un aspetto teorico e politico che ci preme sottolineare e riguarda il ruolo delle classi nella crisi generale, con un riferimento particolare alle cosiddette borghesie arabe e islamiche o arabo-islamiche sulle quali ricadrebbe la responsabilità per aver tradito la causa palestinese. Un punto, questo, dove non si capisce perché un paese, una nazione, che entra nel vortice dello scambio del modo di produzione capitalistico e sviluppare l’accumulazione di capitale, dovrebbe negarsi come nazione per entrare in unità religiosa con altre nazioni contro il colonialismo o l’imperialismo. Siamo alla ideologia o per meglio ancora dire alla metafisica, o altrimenti detto alla totale incomprensione delle leggi che regolano il modo di produzione capitalistico, e dunque alla negazione del Capitale di Marx.
Ora i paesi che riescono a sottrarsi alla morsa del colonialismo e dell’imperialismo esprimono più classi sociali e fra esse un establishment che in modo del tutto errato il marxismo ha chiamato borghesie, le quali “borghesie” sono subordinate alle leggi del moto. E non si riesce a capire per quali ragioni dovrebbero privilegiare l’unità con altre nazioni piuttosto che entrare in competizione e in concorrenza con esse.
Se quelle leggi impongono alle “borghesie” di essere concorrenti con gli altri paesi, lo è lo stesso proletariato che vive con la “borghesia” un rapporto di doppia schiavitù per stare nello scambio. Siamo solo all’abc del materialismo storico, e certi professori della sinistra, piuttosto che salire in cattedra per impartire lezioni contro le traditrici borghesie arabo-islamiche, alla Trocky, farebbero bene a riprendere a studiare l’abc di cosa è il modo di produzione capitalistico se sono ancora in tempo.
Di riflesso, perciò, se la doppia schiavitù vale per la e le “borghesie”, a maggior ragione vale per il proletariato, e quanti si appellano ad esso per la rivoluzione socialista o comunista vanno solo a caccia di farfalle. Basterebbe osservare, con un poco di umiltà, tutte le lotte di liberazione nazionale a cosa sono andate incontro nella fase successiva all’entrata nell’agone dello scambio una volta conquistata l’autonomia nazionale.
Ci rendiamo conto che per chi ha professato per oltre un secolo e mezzo il ruolo rivoluzionario delle classi piuttosto che quello impersonale del moto oggi sia allo sbando, ma – ripetiamo – c’è la necessità di riprendersi se in tempo od osservare la storia che ci passa sotto il naso da poveri cretini.
Landini, cioè?
Detto delle “borghesie” e del proletariato nei paesi emergenti, rispetto alla questione palestinese, cerchiamo di capire il ruolo del proletariato nelle metropoli imperialiste, esaminando da vicino, in Italia, il comportamento della maggiore organizzazione sindacale, cioè la Cgil e il suo segretario, quel Landini messo sulla brace dalla destra mentre si dibatte come un forsennato alla ricerca di una nuova identità, nella nuova fase. Un discorso a parte va fatto per quanto riguarda non tanto Landini e neppure la Cgil, ma sul ruolo che svolge il proletariato, o classe operaia che dir si voglia, nella crisi del modo di produzione che si aggrava sempre di più in Occidente e che ha avuto un suo effetto negli ultimi due anni dopo il 7 ottobre 2023. Ancora una volta prendiamo in considerazione i fatti, senza alterarli o sminuirli, per capire e aiutare a capire.
Eravamo in piazza San Giovanni la mattina di quel sabato 7 ottobre 2023 quando Landini, segretario generale della Cgil condannò senz’appello l’azione dei palestinesi, diretta da Hamas, dell’alba di quel giorno. E dalla piazza, non si levò un fiato contro quella vergognosa presa di posizione del più grande sindacato degli operai italiani. Strano, molto strano. C’era di che riflettere, e durante i mesi successivi e fino al 22 settembre di questo 2025, nonostante si sviluppassero in tutto l’Occidente manifestazioni per sostenere la resistenza palestinese contro il genocidio, Landini e la Cgil si nascondevano, non vedevano e non sentivano, erano latitanti. Eppure c’era un genocidio in corso, e non abbiamo neppure visto uno striscione, uno di numero, della Cgil nelle manifestazioni. Come mai?
Ma a un certo punto Landini, dopo la grande giornata di sciopero e di mobilitazione del 22 settembre “scende in campo”, e dichiara lo sciopero generale a sostegno dell’iniziativa della Flotilla, ovvero di un’azione umanitaria sulla quale andrebbe fatto un ragionamento a parte che ci allontanerebbe dall’argomento che intendiamo qui sottolineare.
La Cgil arriva persino a dichiarare lo sciopero generale, ma francamente in Italia nessuno se ne accorse, e neppure lo stesso Landini che alla domanda del Corriere della sera (di lunedì 6 ottobre) sulla partecipazione allo sciopero nel privato del 7% dice « Cento piazze piene dicono che la gente ha scioperato ». No, caro Landini, le cento piazze erano sì piene, ma non del proletariato dell’industria e del privato, con tanto di striscioni di consigli di fabbrica o di RSU. Altrimenti mentiamo a noi stessi. Chi ha dato vita a quattro giorni di straordinaria mobilitazione ha usato uno strumento messogli a disposizione dalla storia, scendendo in piazza non in quanto movimento di lavoratori ma come un “moto d’onda” composito e necessario contro l’Occidente e la sua partecipazione al genocidio. Il povero Landini veramente non sa che pesci pigliare e sempre nell’intervista al Corriere della sera del 6 ottobre 2025, si lascia andare a una serie di dichiarazioni che vale la pena ripercorrere.
Alla domanda « Vede un ruolo per Hamas nel futuro della Palestina » risponde « Voglio ricordare a tutti che il 7 ottobre 2023 la Cgil era in piazza San Giovanni contro l’invasione russa dell’Ucraina » e già questo lo riempie di vergogna, ma « e che abbiamo immediatamente condannato questo atto di terrorismo che metteva in discussione il diritto dell’esistenza di Israele ».
Ora è vero che al peggio non c’è mai fine è un conto, ma che l’azione della resistenza palestinese dopo 80 anni di soprusi di ogni sorta, mettesse in forse l’esistenza di Israele, ce ne correva eccome. La domanda da porsi è: ma dopo due anni che sei stato totalmente assente dalla lotta contro un genocidio in atto come ti salta in mente di rivendicare ancora la condanna che dichiarasti il 7 ottobre? C’è un’unica ragione che ti costringe a separare le tue responsabilità da quelle del movimento: devi prendere le distanze da un movimento che ti ha obbligato, contro la tua volontà a scendere in piazza. Non solo ma sei sceso su una tua piattaforma che rivendica una sorta di un ritorno a uno status quo ante. È questa la verità amara per te, per la Cgil e anche per il proletariato italiano che si è sottratto sinora a una vera lotta di solidarietà a sostegno della causa palestinese. È su questo che siamo chiamati a discutere senza riserve, perché in certe fasi della storia non si può più dire « Not in my name » (non in mio nome) come nel 2003 negli Usa, tanto è ciò vero che proprio negli Usa si è sviluppata una mobilitazione contro il genocidio mentre il proletariato era indaffarato in tutt’altre faccende, ovvero attratto dalle sirene trumpiane.
Pertanto quello che Landini, e con lui la Cgil e tutto il proletariato dell’industria, devono capire che non è più possibile girarsi dall’altra parte in modo passivo o attivo. Si diventa correi. Questo lo diciamo a chiare lettere, anche perché il sindacato ha rappresentato la possibilità di contrattare la sua quota parte sulla produzione di valore in una fase in cui cresceva l’accumulazione, anche a spese del sud del mondo, mentre in una fase di crisi generale della produzione di valore c’è poco da contrattare per avere, e si è costretti sulla difensiva, ma si tratta di una difensiva generale, su più fronti, in modo particolare in Occidente, dove il proletariato è chiamato a fare fronte comune col proprio establishment contro i paesi più poveri, insomma a divenire sempre di più girasoli che guardano al capitalista e al capitalismo occidentale come i girasoli guardano il sole. E allora il Landini che ancora batte la grancassa di una piattaforma generale dicendo che « Il compito del sindacato è saldare questa domanda di fraternità, giustizia e pace con il tema dei salari bassi, della precarietà, della sanità e della scuola pubblica, del diritto alla casa » sta fuori dalla storia per due ragioni: a) non ha capito cosa vuol dire crisi generale della produzione di valore, crisi demografica, accresciuta concorrenza internazionale e così via. E che il sindacato per come si era caratterizzato nella fase in cui cresceva l’accumulazione capitalistica, non può più esistere, deve divenire altro, lo si voglia o meno, ma di questo si tratta. E, strano a dirsi, hanno cercato di capirlo alcune sigle sindacali – sorte contro l’opportunismo della Cgil – come la Usb, Unione Sindacale di Base, nata contro le organizzazioni confederali ritenute concertative. Pur trattandosi di codicilli dei movimenti del sessantottismo e settantasettismo, di fronte al genocidio del popolo palestinese non hanno avuto esitazioni, e la Usb si è fatta prendere per mano e mettersi a disposizione della causa, con tutte le sue pur limitate forze. Ed è sbagliata la posizione del giornale Il Manifesto che plekanovianamente afferma che il movimento del 22 settembre ci sarebbe stato anche senza il contributo della Usb. Noi spieghiamo le cause dei fatti, non quello che sarebbe accaduto “se”, un’alchimia che lasciamo volentieri alla fantasia del liberismo manifestino.
Tentiamo qualche conclusione
Riteniamo:
- Che lo scontro tra lo Stato sionista di Israele e la causa palestinese dopo due anni sia entrato in una fase in cui l’Occidente, per il quale Netanyahu si è battuto, stremato dalla sua crisi, aggravata da uno straordinario movimento di opposizione al suo interno, e dalla strenua resistenza palestinese, nonostante l’infame genocidio, abbia cercato di trovare una soluzione che gli salvasse la faccia, e dopo una serie di dietrofront, come abbiamo cercato di dimostrare nella parte iniziale di queste considerazioni, ha dovuto rivedere i propri propositi e bruciare sull’altare della causa di forza maggiore anche quella di un personaggio odioso senza colpo ferire. È la legge della storia.
- Che i paesi arabo-islamici imbrigliati come sono nelle leggi dello scambio e del modo di produzione capitalistico sono stati chiamati a dare una mano all’Occidente per farlo uscire dalle difficoltà in cui è ormai entrato senza vie d’uscita, “sacrificandosi” per una causa – quella palestinese - per la quale ne avrebbero fatto volentieri a meno.
- Che il movimento sorto a seguito del 7 ottobre 2023 e del conseguente genocidio, è l’espressione più nitida della crisi dell’Occidente che non ha più nulla da offrire alle nuove generazioni e che queste si vanno sempre più rendendo conto che il futuro è buio e cercano confusamente di trovare una strada verso una necessitata ribellione per una prospettiva meno catastrofica di come si prospetta.
- Che il sindacato operaio viene messo in crisi proprio per la crisi di crescita dell’accumulazione, ed è chiamato a misurarsi su un terreno più generale senza nessuna possibilità di tornare a uno status quo ante, e che pertanto è destinato, rispetto al suo ruolo nella precedente fase, a estinguersi o ad agire in funzione della conservazione a difesa delle condizioni del ciclo precedente.
- Che il soggetto che traina la storia non risiede in una classe votata alla rivoluzione, ma che scaturisce dalla crisi del modo di produzione, esattamente come sta succedendo.
- Che - perciò – è da rivedere la teoria rivoluzionaria marxista che poggiava sul soggetto classe, per rivoluzionare e abbattere il capitalismo.
Roma Algamica ottobre 2025
Domanda, ma siamo proprio sicuri che per le popolazioni della penisola italica, delle regioni della Gallia e dell’Iberia il crollo di Roma fu cosa nefesta? Siamo sicuri che le popolazioni barbare furono accolti come “ostili”? E che dire delle realtà sociali toccate dall’espansione araba nella Spagna del Califfato? Di quale rovina parliamo? A mio parere la rovina di un assetto parassitario il cui crollo è divenuto inevitabile e con esso ha liberato di nuove energie. In sostanza l’Impero romano cadde, perchè quando Odoacre depose Romolo Augustolo nessuno sentiva più la necessità di quel vecchio mondo. Solo che poi il Levante tirava stracci alla malcapitata e malmessa Europa cristiana. Sicchè a noi è piaciuto raccontare la storia così: non potendo procedere all’infinito la superiorità romana, ecco che 1000 anni di buio si sono abbattuti sull’intero globo. Ma ecco il miracolo, dal nulla e per libero moto del libero arbitrio ora l’Occidente risplende riallacciando una linea diretta con la Grecia ellenica, l’ebraismo e il cristianesimo romanico. :-))))