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ilpungolorosso

Prima ferma risposta all'aggressione padronale-statale al SI Cobas

Ora bisogna continuare, e allargare il fronte di resistenza e di lotta

di Tendenza internazionalista rivoluzionaria

piacenza 3L’azione repressiva scattata a Piacenza contro decine di proletari e di attivisti del SI Cobas ad opera della questura e della procura della repubblica, ha avuto nei giorni scorsi una forte risposta: con la proclamazione immediata di scioperi di protesta in una serie di magazzini della logistica, a iniziare da quelli Tnt-FedEx, e con la partecipata, vibrante manifestazione di sabato 13, che ha portato nella città migliaia di lavoratori e di solidali ad esprimere la ferma determinazione a battersi senza paura contro questa aggressione padronale-statale.

Gli slogan “Siamo tutti Arafat, siamo tutti Carlo”, “chi tocca uno, tocca tutti”, “la repressione non ferma le lotte”, “SI Cobas, SI Cobas”, hanno espresso la realtà viva e sempre più ramificata di un organismo sindacale combattivo che ha alle proprie spalle un decennio di prove difficili, superate solo in virtù dei suoi fermi principi classisti, della sua pratica di reale auto-organizzazione, dell’energia indomita di migliaia di proletari immigrati. Queste sue caratteristiche, uniche nel contesto del sindacalismo di base, gli hanno consentito di fronteggiare più di un attacco padronal-mafioso e istituzionale uscendo dalle difficoltà, quasi sempre, più forte e autorevole di prima, grazie anche al fiancheggiamento di gruppi di veri solidali (non parolai). La risposta di lotta di questi giorni e l’orgoglio di molti dei suoi aderenti di appartenere in qualità di protagonisti a tale storia di lotte, sono le migliori premesse per riuscire a ricacciare indietro una volta di più la pretesa degli apparati repressivi dello stato di piegare questa organizzazione, criminalizzandola e criminalizzando con essa la lotta di classe in quanto tale.

 

FedEx, Amazon e gli altri mandanti multinazionali

Ma è bene avere presente che l’iniziativa repressiva ordita con cura a Piacenza sotto il nuovo governo Draghi costituisce un salto di qualità rispetto alla precedente prassi. E per respingerla bisogna prepararsi a una resistenza decisa, organizzata, di non breve periodo, ampliando il più possibile il fronte di lotta.

Parliamo di un salto di qualità per diverse ragioni.

Innanzitutto perché dietro l’attacco del 10 marzo ci sono, perfettamente visibili a occhio nudo, due potenti multinazionali: FedEx ed Amazon. FedEx si è candidata a svolgere nella logistica, in Italia e in Europa, il ruolo che FCA ha svolto nella metalmeccanica, facendo a pezzi le relazioni sindacali che la lotta dei facchini è riuscita a strappare in Tnt e altrove, a cominciare dall’abolizione di quel caporalato semi-schiavistico che ha impazzato per anni nei magazzini con i più brutali soprusi ai danni dei proletari. Sapevamo che non avrebbe accettato di aver dovuto fare un passo indietro. A sua volta Amazon, per principio contraria alla presenza sindacale nei suoi magazzini negli Stati Uniti, sta da tempo avvertendo che a Piacenza si avvicina il momento in cui dovrà fare i conti con lotte vere, determinate, nelle quali non troverà davanti a sé esponenti sindacali pronti a svendere le necessità e le aspettative dei lavoratori e delle lavoratrici per trenta denari. Per i funzionari di Bezos, accusati anche specificamente di razzismo e di sessismo per un vile episodio di sopraffazione verso un’operaia immigrata, la grande manifestazione organizzata l’8 marzo dal SI Cobas davanti al suo magazzino di Piacenza è stata un brutto campanello d’allarme. Bisognava agire subito! Due-tre anni fa Amazon, sebbene non ci fossero stati degli scioperi ad obbligarla a un simile passo, aveva chiamato Cgil-Cisl-Uil, il comune e la provincia di Piacenza a firmare un accordo in chiave anti-SI Cobas; tanto, avere tra i piedi rappresentanti dei tre sindacati istituzionali non dà alcun fastidio, specie se può servire a sbarrare la strada al sindacalismo di classe. Dopo l’8 marzo, però, anche Amazon ha sentito sul collo il fiato di un movimento di lotta che era stato capace di dare il sostegno spontaneo immediato di centinaia di operai al gruppo di lavoratori FedEx attaccato dalla polizia.

E non ci vuole molta fantasia a immaginare che la stessa urgenza venga sentita dalle altre multinazionali (o transnazionali) presenti a Piacenza: oltre FedEx (che è delle poste statunitensi), Sda (poste italiane), Bartolini (poste francesi), Gls (poste inglesi), Dhl (poste tedesche). Piacenza è infatti il punto strategico della logistica in Italia per la distribuzione delle merci verso il nord est come verso il nord ovest, verso il porto di Genova come verso il sud. Tra Piacenza e Pavia, esattamente dove in questi anni è più cresciuto il radicamento del SI Cobas, c’è il polo che ruota intorno ad Amazon (ecommerce) che fornisce tonnellate di pacchi da distribuire in Italia, nell’area medio-orientale (Iraq, Siria, Turchia) e in Africa. In questo stesso territorio c’è il più grande magazzino Ikea in Europa. Va da sé che ognuno di questi colossi capitalistici ha i suoi diretti referenti nell’amministrazione comunale e nelle altre istituzioni. Per tutti bisognava agire subito per impedire che l’esempio di una lotta vincente contro FedEx diventasse contagioso.

 

Gli esecutori: questura e procura

Ed ecco scattare a stretto giro di giorni, se non di ore (quando si dice: la magistratura è indipendente, la legge è uguale per tutti…) l’operazione dell’asse questura-procura. Che è nuova per le sue caratteristiche, se riferita a uno sciopero. Perché ha messo in atto contro un gruppo di operai in sciopero le procedure tipiche di un’azione “anti-terrorismo”: perquisizioni, sequestri di pc e tablet, revoche di permessi di soggiorno, arresti, e imputazioni che possono portare a molti anni di galera. Tra queste misure di repressione quella politicamente più pesante è la notifica della procedura di revoca del permesso di soggiorno a sei operai immigrati, in applicazione dei famigerati decreti Salvini/Di Maio, mantenuti intatti dal Conte bis e ora applicati dal governo Draghi, che è un ricatto su larga scala contro tutti i proletari e proletarie immigrati che “osino” lottare.

Tutto ciò per cosa? Per una lotta contro dei licenziamenti annunciati che ha avuto qualche momento di tensione solo quando la polizia ha attaccato gli operai con gas lacrimogeni nel tentativo, fallito, di stroncare la loro protesta. Sicché non può che risultare provocatoria la motivazione del p.m. Pradella secondo cui la lotta in questione sarebbe “al di fuori di qualsiasi lecita rivendicazione di tipo sindacale, di qualsiasi vertenza o relazione industriale”! – è la spudorata menzogna contenuta nel decreto di perquisizione. Ma insieme a questa menzogna il p.m. ha dovuto confessare in conferenza stampa il vero, e cioè il carattere totalmente politico dell’operazione imbastita dalla Procura, spingendosi ad affermare: esistono sindacati buoni, come i confederali, e sindacati che non possono essere considerati sindacati in quanto “infrangono le leggi”, per prima la sacra legge del profitto. Se dovesse passare questa impostazione, non sarà più sui luoghi di lavoro e per opera dei proletari che dovranno nascere gli organismi sindacali; sarà nelle procure della repubblica ad opera dei magistrati, con la consulenza di questori, prefetti, funzionari delle multinazionali, e messi di Confindustria. Altrettanto varrà per le singole azioni “sindacali”, tipo quella che tentò di organizzare un paio di settimane fa la Cgil contro lo sciopero in corso al magazzino Tnt-FedEx di Piacenza coinvolgendo una ventina di autisti piccoli distributori (tra cui 5 suoi iscritti), e portandoli dove? In prefettura, ovviamente, a fare denuncia contro i lavoratori in sciopero. E salvo clamorose smentite, che nel caso registreremo, puzza alquanto di bruciato lo sciopero improvvisamente proclamato in Amazon da Cgil-Cisl-Uil per il 22 marzo, giusto un paio di giorni dopo la retata poliziesca…

 

Il crimine? Battersi contro i licenziamenti (e le 84 ore a settimana)

Procura, polizia, multinazionali. Ma c’entra, e come, anche il governo Draghi. Perché il nuovo governo ha messo in cantiere dapprima un allentamento del blocco dei licenziamenti (peraltro mai esistito per 800.000 precari), e immediatamente dopo uno sblocco totale in ottemperanza al principio che le “imprese zombie”, una “massa” secondo Draghi&Co., non debbono sopravvivere, e quindi i loro dipendenti debbono essere gettati per strada, con qualche elemosina di stato come benservito. Proprio in vista di una raffica di centinaia di migliaia di licenziamenti, e dei prevedibili conflitti, l’esecutivo di banche e padroni vuole mettere preventivamente fuori legge ogni lotta che faccia ricorso ai soli mezzi efficaci di cui dispone la classe operaia: lo sciopero, l’organizzazione, l’azione di piazza. Il “crimine” che lo stato intende colpire è la resistenza ai piani anti-operai delle imprese, al “libero esercizio dell’attività di impresa”, anche quando la libertà dell’impresa comporta colpire al cuore migliaia di famiglie proletarie – Tnt FedEx ha stimato in 6.300 i lavoratori da licenziare a breve in Italia e in Europa. Si riferisce ai propri dipendenti diretti, ma a cascata ci saranno i licenziamenti degli indiretti per mano delle cooperative o delle aziende srl sue fornitrici. Il profitto al di sopra di tutto!

 

Il governo Draghi

E non si tratta di un semplice episodio locale. Lo prova il fatto che nelle stesse ore in cui avveniva la retata di Piacenza, la polizia ed altri scagnozzi compivano brutali e gratuiti atti di violenza contro gli operai della TextPrint di Prato organizzati con il SI Cobas e in sciopero da decine di giorni per ottenere un normale orario di lavoro 8 per 5, al posto di giornate lavorative di 12 o 14 ore per 7 giorni di seguito. Mentre la Commissione di garanzia nazionale ingiungeva al SI Cobas di tenere fuori dagli scioperi di solidarietà con i lavoratori della TNT-FedEx gli art. 46, bissando così l’ingiunzione rivolta a tutto il sindacalismo di base di escludere dallo sciopero dell’8 marzo la scuola.

L’aggressione anti-operaia di Piacenza è il primo biglietto da visita dell’“era Draghi”, e chiarisce bene cosa comporti l’“unità nazionale”. L’operazione è un’intimidazione di massa contro i proletari, per lo più immigrati, che sono la punta più avanzata di quel tanto di conflitto di classe che c’è oggi in Italia. La forza motrice della sola opposizione organizzata che sia in campo contro il nuovo governo: quella riunita nell’Assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori combattivi e nel Patto d’azione anti-capitalista per il fronte unico di classe. Del resto, è un dato di fatto che per la manifestazione di sabato scorso siano arrivati a Piacenza funzionari digos da Milano, da Napoli e dalle altre principali città, ad osservare dal vivo la composizione della piazza e i collegamenti tra le avanguardie di lotta. Come sono altrettanti dati di fatto che i disoccupati del Movimento 7 novembre a Napoli sono “attenzionati” in maniera ossessiva con raffiche di denunce e procedimenti penali, o che a Bergamo vengano inquisiti e perseguiti i militanti che hanno denunciato i delitti di Confindustria, e così via. Il metodo Draghi non è quello dell’enfasi comunicativa: va diritto al sodo, si serve di generali, digos e celere.

 

L’attacco non è solo al SI Cobas, è generale

Sarebbe incredibilmente riduttivo presentare l’attacco repressivo come rivolto solo al SI Cobas e ai proletari direttamente colpiti. Non solo perché da anni sono centinaia e centinaia i facchini, i driver e i solidali mandati a processo dalle procure di mezza Italia (sanzionati spesso con multe salate). Anche perché la pedagogia e la metodica dello stato del capitale (in tempi ancora ordinari) è bastonarne uno per educarne 100. Non è un caso se negli scorsi mesi o in questi stessi giorni anche le polizie di Francia e Gran Bretagna si siano segnalate per interventi brutali contro iniziative di lotta e dimostranti. I governi europei, che insieme alla UE si sono coperti di vergogna per la criminale lentezza e inettitudine dimostrata nel combattere la pandemia, si mostrano molto preparati e reattivi nel funzionamento dei loro apparati repressivi; addirittura scattanti nel decidere, nel pieno mezzo di un’emergenza sanitaria dilagante, corposi incrementi di spesa bellica e ulteriori azioni di guerra contro gli emigranti e gli immigrati (la Lamorgese ha bloccato più navi di Salvini).

 

Passare dalle parole ai fatti

Il significato generale dell’attacco agli operai Tnt-FedEx di Piacenza è stato colto, ci sembra, dalla quasi totalità del sindacalismo di base e da diversi organismi politici extra-parlamentari. A differenza di precedenti circostanze di repressione, infatti, gli attestati di solidarietà ai colpiti sono fioccati tempestivi, e sembrano autentici. Ma se così è, dovranno tradursi presto in comportamenti e azioni coerenti – sotto questo profilo non si può fare a meno di rilevare che in piazza a Piacenza di lavoratori aderenti ad altre sigle del sindacalismo di base o all’opposizione in Cgil ce n’era solo una pizzicata.

Noi della Tendenza internazionalista rivoluzionaria, che siamo stati – con il SI Cobas – alle origini dell’iniziativa unitaria oggi in campo, siamo più che mai convinti che in ampie aree della classe lavoratrice, insieme con la passività e la sfiducia nella lotta, è presente contraddittoriamente anche il bisogno, finora represso o auto-represso, di reagire alla catena di attacchi che sono passati in questi anni sulla nostra pelle. Siamo altresì convinti che un sentimento unitario attraversi oggi le diverse aree del sindacalismo di base e dei piccoli circuiti solidali – quello colto e valorizzato da Aldo Milani nel suo intervento a Piacenza con il pressante invito ad assolvere insieme ai compiti che ci attendono andando al di là dei formali steccati di appartenenza. Del resto, la fulminea conclusione del patto sulla “riforma della p.a.” tra governo e Cgil-Cisl-Uil ha bruciato le residue illusioni di settori del sindacalismo di base sulla possibilità di ritagliarsi spazi di sopravvivenza concordata nel pubblico impiego – l’applicazione anche nell’ambito della p. a. di criteri manageriali di produttività sarà intensificata. E il Brunetta 2.0 non sarà certo differente da quello di dieci anni fa, potendo far leva al contrario, strumentalmente, sull’emergenza pandemica.

 

I prossimi banchi di prova

Le sfide che abbiamo davanti a breve saranno altrettanti banchi di prova della capacità e volontà di resistere agli attacchi padronali incentivati dall’avvento del governo Draghi e di contrapporsi alla abile politica di divisione del potenziale fronte di classe che il governo sta portando avanti. Queste sfide sono la continuazione della lotta per l’immediata libertà dei compagni Arafat e Carlo e far crollare la montatura contro il SI Cobas e i lavoratori immigrati combattivi di Piacenza; l’organizzazione del “no” alla bozza di accordo per i metalmeccanici intesa non come conta dei voti, ma come primo passo di un cammino di risalita e di riorganizzazione di classe; lo sciopero del 26 marzo dei riders e della logistica, per innalzare un muro contro le pretese dei padroni di imporre un balzo all’indietro di dieci anni nella condizione dei lavoratori e tessere l’unità con i concomitanti scioperi nella scuola e nei trasporti; la sempre più urgente campagna nazionale per il permesso di soggiorno incondizionato a tutti/e gli immigrati/e e la denuncia di una politica sull’immigrazione selettiva e repressiva, che in nulla si discosta da quella del governo Lega-Cinquestelle, e al danno ha aggiunto la beffa di una sanatoria che ha finora “sanato” solo qualche migliaia di immigrati/e; il rilancio della denuncia delle cause della pandemia in corso e della mobilitazione e della lotta per imporre misure generalizzate di protezione della salute dei lavoratori (dai tamponi a tappeto alla messa in quarantena pienamente retribuita dei luoghi di lavoro diventati focolai, etc.); infine le giornate del 1° e del 2 maggio come momento di sintesi di tutte le spinte di resistenza e di lotta in atto con iniziative nelle principali città e la costruzione di un momento di confronto e di collegamento internazionale e internazionalista tra organismi anti-capitalisti realmente agenti sul campo, e non declamatori.

L’intensità e la concatenazione di queste sfide richiederà a tutti/e il massimo impegno effettivo. Noi siamo pronti.

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