Una lettura critica di “Antithesi/cognord. La realtà della negazione e la negazione della realtà”1
di Claudio Paolantoni
Il testo è stato tradotto in italiano qui e ripreso qui
L’obiettivo polemico del testo in esame è “l’approccio negazionista nei confronti della pandemia” abbracciato da “molti dei nostri compagni e amici all'interno dell'ambiente radicale” “mentre non pochi di loro sono gradualmente scivolati nel pensiero cospirazionista e in assurdità sconvolgenti.”
Quindi l’obiettivo è il “negazionismo”. Ma a un certo punto del testo, a pag. 29, si passa alle “tendenze negazioniste/novax” senza avvertire particolare necessità di distinzione tra i due aspetti, o di argomentazioni diverse per contrastarle. In queste note starò in buona parte al gioco, per quanto rischioso possa essere.
L’arma delle polemica, il lungo filo rosso del documento, è inchiodare queste tendenze alla loro presunta matrice “individualista”. E’ proprio questa matrice che renderebbe intercambiabili negazionismo e antivaccinismo. L’ opera viene compiuta in gran parte dandone per scontato un presupposto, cioè che tali opposizioni siano dettate dal solo anelito alla “libertà individuale”, o alla “autodeterminazione” (che a loro volta, per definizione, sarebbero sempre nemiche della vera libertà, cosciente del vincolo sociale), altre volte articolando delle critiche puntuali (ma inconsce dei propri presupposti).
Il documento è fortemente ispirato a una “teoria” dello Stato nel merito della quale non ritengo di avere la necessità, e neanche le competenze, per entrarvi2. Pertanto mi limiterò a considerarla per quello che sembra esserne il suo precipitato nel contesto del tema affrontato:
“Nel contesto del dispiegarsi di una pandemia senza precedenti, per esempio, la necessità di riprodurre una forza lavoro sana e produttiva può entrare in conflitto con l'esigenza di una prosecuzione senza interruzioni dello sfruttamento capitalista”(pg 11)
“Lo stato è responsabile dell'attuazione di una serie di politiche per sostenere l'accumulazione capitalista [...] Ma si preoccupa anche della propria legittimità, e di quella dei rapporti sociali di sfruttamento che sorregge. La coesistenza di queste tendenze è diventata, durante la pandemia, esplosiva. In ultima istanza, le politiche che hanno prevalso non hanno rappresentato altro che un temporaneo bilanciamento di queste contraddizioni, senza mai essere in grado di superarle.” (pg 11)
“Quando lo Stato erige barriere all'accumulazione di capitale privato, non lo fa per difendere il proletariato dallo sfruttamento selvaggio. Lo fa perché il suo ruolo consiste anche nel garantire la sopravvivenza a lungo termine del rapporto capitalistico, e questo spesso si scontra con i piani a breve termine del (singolo) capitalista privato, indipendentemente dalla quota di surplus da esso prodotto [cioè non importa se ha fatturati superiori al PIL di qualche stato]”(p. 16)
Il concetto è ripetuto più volte. In sostanza lo stato - gli stati - si sono trovati a decidere tra i bisogni immediati del capitalismo (produzione e profitto subito) con la “sottovalutazione” della pandemia, e quelli strategici (mantenere in vita la forza-lavoro3) con i lockdown. Ok, questo lo stato. E i proletari, il popolo, le persone? Messa in questi termini non c’è scelta: “Contrariamente ad alcuni presunti rivoluzionari, noi non siamo contro il fatto che lo stato e il capitale ci preferiscano vivi”(p. 39). Ecco fatto. Lo Stato non è neutrale, le sue politiche non sono neutrali, ma se si tratta di lockdown (e poi di vaccinazioni o di green pass) possiamo comunque intravedere una forte convergenza tra la versione illuminata del capitale -guardare al suo futuro - e le nostre vite. Certamente la cosa non è affatto insensata! Probabilmente lo stesso approccio si può applicare a cose più corpose come l’affermarsi dei “gloriosi 30” sulle spoglie della scuola liberista di Vienna. Quello che colpisce è una sorta di “sterilizzazione” dell’azione lungimirante del Capitale, della sua dimensione conservativa a lunga scadenza e autolegittimante, dal confronto/scontro tra frazioni del Capitale, centri diversi di potere, “poteri forti”, nella definizione di questa stessa azione di lunga gittata. E soprattutto la presunzione a priori che questa autolegittimazione sia convergente, non si possa distinguere, da interessi e aspirazioni delle persone. Ci torno.
Ma ora un primo appunto: se “la promozione della redditività diretta e la difesa più ampia del rapporto di capitale non sono mai stati obiettivi identici. L'inclinazione dell'equilibrio tra i due riflette, tra le altre cose, il livello e l'intensità delle lotte sociali, e le questioni di legittimità.”(pg 16), di questi tempi, a bassa intensità di lotte sociali, cosa ci dovremmo aspettare? Che prevalgano i più bassi istinti capitalistici e quindi Bergamo runs e tutti aperti? Ma no, “il tentativo di mantenere l'economia aperta, e di dare così la priorità ad un lato del rapporto di capitale, alla fine ha mostrato i suoi limiti, rendendo necessaria la protezione della sua riproduzione ad un livello più ampio.” (pg 17). Quindi lo stato ha scelto da solo per il meglio, il meglio per lui, per il capitale, per noi tutti, senza bisogno di lotte sociali.
Interessante notare un’implicazione. Spesso nella polemica politica di sinistra - radicale e moderata - si è sottolineato come gli anti-lockdown, a qualsiasi livello si esprimessero, fossero sempre un’articolazione della parte meno lungimirante del capitale - p. es. “Ioannidis, e altri come lui, hanno sposato una parte specifica di questa contraddizione” (p.14) -, qui da noi della confindustria (per quanto essa stessa non si possa dire “singolo capitalista”) - Sara Gandini, con la sua ostinazione a volere le scuole aperte, ne è un imbarazzante (per i suoi detrattori) esempio -. Ma in base a quanto ci dice questa applicazione teorica dobbiamo riservare questo atteggiamento anche nei confronti della parte più illuminata del capitale che invece ci vuole vivi. Insomma è comunque il capitale che decide, e anche gli antinegazionisti, come i negazionisti, dovrebbero essere degni di attenzione sospetta, non per le deviazioni, ma proprio per la sostanza della loro proposta: dovesse essere che nel mentre “lo stato e il capitale ci preferiscono vivi” all’interno di una strategia per “la sopravvivenza a lungo termine del rapporto capitalistico”, allo stesso tempo sacrifichino troppo allegramente qualche altro bene comune diverso dalla vita! E’ un buon punto di convergenza. Anche se non ancora abbastanza. Perchè la mia tesi è che l’azione dello stato, per quanto informata da criteri generali - che sia il mantenimento in vita della forza lavoro o l’interesse generale, a questo livello poco importa -, è comunque orientato da chi nella società detiene maggiore forza. Che è una forza di natura composita e soprattutto è in relazione alla sua capacità di egemonia culturale. La mia tesi? Ma questa cosa l’abbiamo detta e sentita mille volte! Eppure in questa pandemia ecco che magicamente l’azione dello stato diventa tout-court l’azione giusta, non è neutrale in linea di principio ma stavolta si.
Abbiamo detto gli stati. Ma quali stati? Tutti hanno assolto a questo compito strategico? No. Posizioni negazioniste hanno “chiaramente condizionato il quadro d'azione di capi di stato come Trump, Bolsonaro e Johnson. Fino a un certo momento, almeno”(p. 16). Quindi si conferma quello che anche il nostro meno raffinato ma simpatico sostenitore della “ditta” Pier Luigi Bersani chiosava: “la destra è negazionista, la sinistra ascolta la scienza”. (di scienza parleremo). Insomma, il quadro che ne deriva è abbastanza semplice: sono soprattutto gli stati guidati dalla sinistra o dal centro-sinistra quelli che hanno imboccato da subito la strada giusta.
Ma attenzione, ci avvertono, la “contraddizione” tra interessi immediati e strategici del capitale, “è emersa rapidamente” non solo “nei termini di un conflitto sulla linea politica da assumere” ma anche “nella natura contraddittoria delle politiche perseguite” (p.11). E quindi si apre il capitolo della “(mala) gestione della pandemia”. E’ bene sottolineare che tutto quanto ci sarebbe di male di questa gestione è riferibile ai cedimenti sempre all’ordine del giorno verso il negazionismo, le aperture, il lasseiz-faire, gli interessi spiccioli del capitale. Se ne da una rassegna nelle pagg 8-10. E nel momento in cui si fissano queste coordinate per la definizione di una “mala” gestione della pandemia, cioè, ripeto, non tenere fermi lockdown e limitrofi, ieri, green pass e vaccini, oggi, si spiega il senso di un’affermazione polemica precedente: “Al contrario, la maggior parte dei negazionisti finge che la loro critica riguardi la gestione della pandemia.”(p.7). A proposito: non sono forniti, almeno nella traduzione italiana e inglese riferimenti a testi di questi “negazionisti”. Dovremmo perciò confidare che rientrino nella definizione di “tanto coloro che negano l'esistenza della pandemia o il pericolo che essa rappresenta, quanto coloro che rifiutano di riconoscere il carattere sociale della nostra esistenza all'interno della società capitalista”, per il semplice fatto che una critica alla “gestione” (p.7) della pandemia debba necessariamente essere una critica alle deviazioni dall’asse lockdown-vaccinazioni, o al massimo della loro non completa esaustività. Se la critica verso la “gestione” della pandemia si azzarda ad invadere il neutrale campo delle restrizioni (e dei vaccini) allora diventa negazionismo (nel senso duplice anzidetto, negazione della pandemia e del carattere sociale della ns esistenza, cioè individualismo).
Veniamo quindi al fulcro del testo.
“Le malattie contagiose differiscono dalle altre malattie in modo sostanziale: sono per definizione, sociali. Presuppongono il contatto, la coesistenza, una comunità - per quanto alienata.””Tuttavia, quello che la pandemia SARS-CoV-2 ci ha mostrato è come, nel periodo storico in cui ci troviamo, le relazioni sociali siano percepite come vuoto opprimente tra individui solidi, chiusi e inviolabili. Individualità autodeterminate, non negoziabili, non contagiose.””La critica radicale punta a smascherare il vuoto reale, in questo caso costituito proprio da questa individualità. La critica radicale percepisce le relazioni sociali come relazioni, cioè come connessioni tra persone, indipendentemente dal fatto che queste non siano prodotte e riprodotte liberamente e consapevolmente. Questo non impedisce loro di essere relazioni. Né dà credito all'idea che il nucleo centrale della realtà sociale sia l'individuo. Nessuno ha una relazione individuale con una malattia contagiosa.”(pg.7).
Intanto andrebbe detto che le malattie “contagiose” non differiscono affatto dalle altre, le NSD (Malattie non trasmissibili), per il fatto di essere “sociali”, foss’anche per “definizione”. Se vogliamo vedere le “cause” di una malattia non ci possiamo fermare al suo agente cosiddetto “eziologico”. Le patologie riconducibili all’inquinamento di biossido di azoto (NO2) che ogni anno uccidono 70.000 persone in Europa hanno o no una causa nelle “relazioni sociali” dominate dalle modalità di trasporto che conosciamo (trasporto privato ad alto consumo di consumo di fossili)?. Per la malattia del secolo, il cancro, quante determinanti possiamo individuare nelle “relazioni sociali”? Quella che il testo propone è una nozione di relazione sociale veramente minimalista. E’ il tipo di relazioni sociali che possiamo trovare in qualsiasi comunità animale, ma anche vegetale. In senso stretto non sono relazioni “sociali”, in ecologia sarebbero definite relazioni intraspecifiche. Questa definizione è la base debole su cui poggia la definizione presuntuosa di “negazionismo”, negazione della pandemia e negazione del “carattere sociale della nostra esistenza”. Questo carattere sociale sarebbe tutto nel fatto che gli esseri umani non sono tigri, le quali abbisognano ognuna di diversi km quadrati per la loro solitaria esistenza.
Ma va bene, detto questo si potrebbe comunque continuare a sostenere che i “negazionisti” negano finanche questo carattere basale della nostra socialità. Eppure va detto, perché dare a una parte (le relazioni intraspecifiche) le sembianze del tutto (le relazioni sociali) permette agli estensori del testo di rappresentare la loro negazione (presunta) come qualcosa di veramente asociale, individualista nel senso peggiore che noi umani diamo a questi termini. Peraltro analoghe considerazioni varrebbero per il termine negazionismo4.
Gli estensori del documento hanno bisogno di ancorare la loro critica ai presunti negazionisti/antivaccinisti a qualcosa di veramente profondo. Non si contentano di quanto i fautori “statali” delle restrizioni e dei vaccini siano già impegnati in questa opera di criminalizzazione. Loro fanno finta, o al più si autocompiacciono di interpretare il bene pubblico, in realtà sono solo la lunga e lungimirante mano del capitale che per vivere a lungo è costretto a far vivere noi tutti. Ma non è conseguente in questo. Cede continuamente ai piccoli interessi lobbistici di qualche associazione padronale. Le loro accuse di individualismo sono ipocrite. Sono loro che riproducono continuamente relazioni alienate, individualità sconnesse. Ora semplicemente vogliono che queste individualità sconnesse ubbidiscano. Non sanno che invece stanno scoperchiando la pentola da dove risorge la consapevolezza delle relazioni. Ma soprattutto - l’obiettivo polemico - le individualità sconnesse non sanno che dove disubbidiscono non fanno altro che sprofondare ancora di più nel loro egoismo, aggiungere alienazione ad alienazione. Era tanto tempo che non si presentava l’occasione per dimostrare come rinunciare a una libertà velleitaria sia il viatico per l’emancipazione. Lo stato pandemico ci serve questa occasione su un piatto d’argento. Quindi ricapitoliamo bene: di la ci sono singoli padroni, singole consorterie, singole associazioni a volte in combutta altre in contrasto, per il profitto subito. Tutti sono anti-restrizioni (ma non, assolutamente!, anti vaccino!). Di qua c’è lo stato che in teoria non è neutrale, ma stavolta si.
La domanda: ma di qua non c‘è nessuno che si fa i fatti suoi in modo del tutto compatibile con la linea “neutrale”-no-ma-stavolta-si dello stato?
Francamente mi pare che dietro tante roboanti affermazioni non ci sia molto.
Cosa manca? Qualcuno avrebbe detto un’analisi concreta della situazione concreta.
La Scienza
Non sarò certo io a proporvela, ma credo che per abbozzarla sia comunque necessario accennare all’altro convitato di questa discussione: “Infine, qualche parola sulla scienza” alle pagg. 33-35.
Tutto sommato sulla scienza gli autori fanno un discorso del tutto speculare a quello fatto sullo Stato. Quest’ultimo non fa che preoccuparsi delle condizioni generali della riproduzione dei rapporti capitalistici e di dargli legittimità, ma incidentalmente (stavolta senza neanche bisogno di lotte sociali) questo corrisponde a tenerci in vita. Riguardo la scienza gli autori premettono che “In effetti, nel capitalismo moderno il processo di produzione è stato generalmente trasformato in un processo scientifico.” e “Chiaramente, la scienza "appare come un attributo del capitale sul lavoro produttivo", come ‘il potere del capitale sul lavoro vivo’(Marx)”. Però subito i nostri chiariscono due importanti “Ma”: “Ma il processo produttivo non rappresenta solo un processo di valorizzazione, ma anche un processo di produzione di valori d'uso. E questi valori d'uso soddisfano i bisogni tanto della produzione capitalistica di merci quanto della riproduzione della forza lavoro.” e “Ma allo stesso tempo, essa è una forza produttiva sociale che soddisfa i bisogni umani e, nel caso della medicina e della farmaceutica, il bisogno più elementare: quello della salute”(p. 33).
Ecco di nuovo! Anche la scienza, come lo Stato, alla fin fine, preoccupandosi della lunga vita del Capitale, è costretta a preoccuparsi anche della “riproduzione della forza lavoro” e quindi, ancora una volta, di “preferirci vivi”.
La prima cosa che colpisce è vedere un esame critico della scienza doversi rifugiare in un accenno all’analisi marxiana. La cosa farebbe anche bene, perché ricorderebbe che la nostra scienza è nata sostanzialmente insieme al capitalismo, ne è la sua sorella più bella, e la sua bellezza ha ammagliato generazioni di anticapitalisti. Evidentemente anche i nostri autori. Ma l’equivoco, e l’incepparsi della critica, probabilmente nasce già nella sterilizzazione, anche qui, del concetto di “valori d’uso”. Sembrerebbe che il solo fatto che un qualsiasi prodotto, ancor più quelli tecnologicamente avanzati, come i farmaci, per il solo fatto di avere un valore d’uso, rispondere cioè a un bisogno, li metta al riparo dalla pervasività dei “rapporti capitalistici” e in generale dei rapporti di potere esistenti nella società. Ovviamente gli autori converranno che esista e sia ben presente il tema dei “bisogni indotti”. Ma, sembrano protestare, qui si sta parlando di “vita”, e del “bisogno più elementare: quello della salute”! Sembra fin troppo banale osservare che la questione non siano i “bisogni”, ma le modalità con cui si soddisfano, e che la trasformazione dialettica di queste modalità in “bisogni” essi stessi è proprio il terreno di scontro di classi, interessi, narrazioni e teorie diverse.
”La maggior parte dei negazionisti di destra e di sinistra cerca di contrastare le prove scientifiche rispetto ai pericoli della pandemia (e dell'efficacia dei vaccini) utilizzando le parole di altri scienziati.”(p.34). Gli autori danno atto che c’è una bella differenza con quelli che “cercano nella metafisica religiosa le risposte ai problemi posti dal virus” e che questo approccio possa “essere separato dai (molteplici) discorsi pseudo-scientifici”5. Ma siccome il punto di arrivo di questo approccio è che “il negazionismo sia esso stesso un risultato dell'evidenza scientifica” (p.34) - negazionismo inteso come negazione della pandemia e delle relazioni, per quanto si possa spacciare come critico della gestione della pandemia -ecco che anche “le parole di altri scienziati” cadono nel purgatorio, o forse inferno, già confezionato per la sinistra radicale che li chiama in ballo.
Poichè quindi la questione del negazionismo (della pandemia e delle relazioni) è stato già risolto, in sostanza si afferma che non è sul piano del dibattito scientifico che si dirime tale questione. Infatti si aggiunge: “Il quadro in cui si svolge la critica all'autorità degli esperti non è l'idea delirante che ognuno di noi possa esprimere opinioni ugualmente valide su questioni di epidemiologia, immunologia o malattie trasmissibili. Si parte, infatti, dal riconoscimento che ogni posizione scientifica esista all'interno di un determinato quadro storico e rifletta determinate relazioni sociali. La questione chiave è capire bene il quadro storico e strutturale [...] Semmai, e da un punto di vista puramente metodologico, la direzione della ricerca medica, gli investimenti spesi e le scelte in base alle quali vengono diffusi i risultati, esprimono dinamiche e rapporti determinati dal modo di produzione capitalista predominante” (p. 35). Bene, sarebbe una metodologia sana, ma ecco che “Come abbiamo dimostrato qui, la nostra posizione nei confronti delle misure e dei vaccini non è il risultato dell'essere diventati improvvisamente esperti di epidemiologia [...] Essa deriva essenzialmente dallo studio del ruolo storico del meccanismo statale, dal punto di vista di un approccio complesso alla scienza all'interno di una società capitalista e da una posizione comunista rispetto alla questione dell'esistenza collettiva.” (p. 36). Lo studio del ruolo storico del meccanismo statale sarebbe quello che abbiamo visto prima. Dell’approccio complesso alla scienza non vi è traccia. La posizione comunista sarebbe che riconosciamo l’esistenza di relazioni intraspecifiche. Mi domando: possibile che negli autori del testo non suoni la campana di tutta la critica alla “neutralità della scienza” e allo “scientismo” maturata negli anni 70? In Italia ancora rimpiangiamo Marcello Cini dell’”ape e l’architetto”. Per non parlare della più ampia riflessione, nell’ambito della “filosofia della scienza”, che ha discusso la pervadenza e i determinanti sociali dei “paradigmi” scientifici. Ma non per riconoscerla formalmente, come gli autori immagino possano fare. Piuttosto per seguirne concretamente, per davvero, l’ispirazione! Un esempio su tutti: la “direzione della ricerca” e gli investimenti: chi li stabilisce? Chi li dirige? Ormai siamo andati molto oltre i tempi in cui Cini già criticava. Per esempio la situazione ora è che i ricercatori di un dato settore, sono anche importanti azionisti del capitale finanziario che lo promuove. Nel testo non si fa cenno a uno dei leitmoitiv dei cosiddetti no-vax: i conflitti di interesse di molti ricercatori estensori di importanti articoli ripresi poi da media e politica. Ma non ho difficoltà a vedere anche loro storcere la bocca di fronte a questo noioso argomento. Amici e “compagni” mi hanno qualche volta obiettato, “ma vabbè, da qualche parte bisogna pure essere finanziati”. Nella “Dichiarazione di conflitti di interesse” riportata da ogni articolo scientifico, dopo l’immancabile elenco di multinazionali sovvenzionatrici, c’è sempre la rassicurazione che non siano vincolati agli obiettivi della ricerca. Può bastare per la “critica”? Può bastare che non sia lecito mettere in dubbio - nella stragrande maggioranza dei casi (non in tutti!) - la buona fede dei ricercatori? E cosa sarebbe allora l’egemonia delle classi dominanti?
Cosa ci farà Pfizer dei 36 miliardi di profitti del 2021? Forse non li userà meritoriamente per fare altra ricerca? Ovviamente all’interno del paradigma medico e scientifico nel quale esso prospera. E’ per questo che trovo, detto per inciso, la parola d’ordine “No ai brevetti sui vaccini - vaccini per tutti” assolutamente fuorviante. Sacrosanto nella massima misura assumere l’obiettivo della scomparsa dei brevetti dai vaccini come da molte altre fonti di extraprofitti per le multinazionali hi-tech (come le farmaceutiche). Ma un esito positivo di questa battaglia sarebbe proprio quello di mettere in discussione l’opportunità del “vaccino per tutti”, e ancor più di assumerlo come parola d’ordine qualificante. La vaccinazione diverrebbe nel migliore dei casi uno tra tanti strumenti, nel “peggiore” il lascito di un vecchio paradigma nelle modalità di affrontamento di pandemie da virus a RNA (come lo fu il paradigma del vaccino anti-batterico, sospinto dai grandi scienziati tedeschi della scuola di Koch, uscito sconfitto nella lotta all’influenza “spagnola”).
Tre scivoloni
Torno brevemente sui “discorsi pseudo-scientifici”(p.34). Qui si apre un capitolo ghiotto. C’è una gara tra i divulgatori e commentatori scientifici a fissare l’asticella di confine tra la scienza e pseudo-scienza. Forse il falsificazionismo popperiano non è più in grado, semmai lo è stato fino in fondo, di darci un valido criterio. Per esempio in anni recenti molti hanno rubricato l’opposizione agli OGM come antiscienza. Molti anche l’opposizione all’energia nucleare. I nostri autori, la cui “posizione nei confronti delle misure e dei vaccini non è il risultato dell'essere diventati improvvisamente esperti di epidemiologia” ritengono però di poter dire cose inconfutabili, e nel loro elenco mettono “microchip nei vaccini, persone vaccinate che si trasformano in magneti, vaccini mRNA che modificano il DNA umano, ecc”. microchip e magneti... vabbè... “vaccini mRNA che modificano il DNA umano”... mmmhhh. Possiamo certo ridere di quell’immagine girata tra i no-vax che illustrava la trasformazione di un volto umano in una testa di cavallo! Ma in uno di quelle tante "10 risposte ai no-vax"6 ho sentito pure pontificare sulla "incompatibilità biologica" tra RNA e DNA. Peccato che di questa “incompatibilità” non mi pare ci sia traccia nei manuali di biologia molecolare, anzi non mi pare una novità che nei genomi vegetali e animali, nella loro lunga storia evolutiva, siano stati "assorbiti" genomi virali.7 Ne sanno meno di me? Ma certo che no! Ma la divulgazione è semplificazione, giustamente. Se devi semplificare lo fai avendo in mente quelle che ritieni le cose principali. Se la cosa più importante sono i benefici indubitabili della vaccinazione non c’è motivo di seminare preoccupazioni inutili. Tanto più che al momento non c’è nessuna evidenza che si possano innescare tali iatture con i vaccini a m-rna. E’ la divulgazione “paternalistica” messa in luce p. es dalla sociologa Zeynep Tufekci8.
“Al momento non si possono...” ho detto. Qui c’è materia per chiosare un’altra affermazione dei nostri autori “Contrariamente all'illusione che i vaccini contemporanei siano sperimentali la realtà è che non è mai esistito vaccino più testato nella storia dell'umanità. Con 7,5 miliardi di dosi già somministrate, e un interesse legale nel prestare molta attenzione agli effetti avversi questi vaccini sono più testati e più sicuri della maggior parte dei farmaci consumati quotidianamente”(nota 41 a p. 53). Veramente sconcertante! In realtà il trial sperimentale di Pfizer si conclude il 15 maggio 2023 (accorciato rispetto ai 5 anni canonici), ma secondo protocollo i dati verranno rilasciati solo 24 mesi dopo, nel maggio 2025!9; Pfizer si è permessa di comunicare che il gruppo di controllo (quello sotto placebo) è andato perso10, senza che si avvertisse orrore per questa farsa; l’autorizzazione “condizionata” (Reg. 507/2006) avrebbe potuto richiedere una farmacovigilanza “attiva” ma non l’ha fatto; la farmacovigilanza passiva è un colabrodo disgustante, tra medici che a priori escludono correlazioni “tanto il vaccino è sicuro” - per le reazioni avverse nei tempi brevissimi, non parliamo di quelle nei tempi medio-lunghi! -, autopsie che si fanno solo se si ha la caparbietà e i soldi per avere un avvocato, oscurità dell’algoritmo dell’OMS che seleziona gli eventi che nonostante tutto vengono denunciati.
Terzo: “Vale la pena menzionare qui l'ossessione sull'origine del virus Sars-CoV-2 come prodotto in qualche laboratorio segreto” (nota 21 a p. 49). Si, ne vale la pena. Gli autori ci ricordano lo spillover zoonotico e di come questo sia in ultima analisi riconducibile allo “sviluppo della produzione, della circolazione e dell'asservimento capitalista”. Tutto vero. Ma non è tutto il vero. Che nei laboratori di ricerca virologica, affatto “segreti”, siano perseguiti esperimenti di “gain of function”, non viene detto serenamente ma si sa. Che questi esperimenti, fioriti dopo la prima SARS, tentino di comprendere come un virus di pipistrello possa passare a un ospite intermedio e di qui agli esseri umani, e lo facciano ingegnerizzando i virus, cioè precorrendo noi ciò che potrebbe accadere in natura, pure si sa. Che qualcosa possa sempre andare storto anche si sa! Non si sa se sia stato questo il caso. Ma si sa benissimo che “l’inchiesta” OMS del gennaio 2021 ha lasciato più dubbi che certezze11. Su tutto ciò c’è un serissimo dibattito scientifico12, e non mancano anche recenti rivelazioni imbarazzanti, incluso per l’onnipresente Fauci13. Quindi: sarebbe bene che invece di essere ossessionati dall’ossessione contro il complottismo, la sinistra radicale scegliesse di aderire alla campagna internazionale per la moratoria del “gain of function”, al di la di tutto, perchè per i laboratori di virologia di livello 4 si può dire lo stesso, o forse peggio, delle centrali nucleari di nuova generazione: rischio basso (quanto?), ma rischio di catastrofe.
“Un ammasso di individualità” è il capitolo in cui precipita la polemica degli autori. Voglio premettere una cosa. Aderisco pienamente a quella riflessione (p. es. in Nancy Frazer) che ha voluto vedere nell’ipertrofia della nozione di “diritti civili”, con speculare sacrificio dei diritti “sociali”, il terreno di arretramento della sinistra “radicale”, e finanche del mutare - oltre il dovuto - dei suoi riferimenti di classe. Le libertà individuali fanno in un certo senso parte di quella partita. Cionondimeno non accetto che possano essere così allegramente sbeffeggiate ricordandoci che le nostre sono libertà immerse nell’alienazione del mercato, del capitalismo, del comando statale. Anzi, in queste roboanti prediche vedo esattamente il riproporsi di quella saccenza distaccata dalle vite “proletarie” che ha informato tanti cultori dei diritti civili. In altre parole credo che persino la voglia di un ragazzo di tornare a vedere, toccare, annusare gli amici all’ombra di un centro commerciale - persino quella! - senza la restrizione di un lockdown o il cappio di un green-pass (la spinta per niente “gentile” che li ha indotti in massa a vaccinarsi), abbia una legittimità tanto piena da dover essere raccolta dai “critici”. Per non parlare di chi voglia prendere un maledetto caffè, o addirittura andare al lavoro (alienato) senza il super-green-pass! Ma invece i nostri autori creano attorno a queste pulsioni sociali una doppia camicia di forza. Dapprima questa relazionalità basale, intraspecifica, è declamata come la quintessenza della socialità, delle “relazioni”, e quindi della sua caratteristica più infida, la contagiosità. Poi è sospinta all’inferno per il suo essere “alienata” e quindi immeritevole di essere rivendicata.
Ma non è tutto! Tutto questo bel castelletto è fondato sull’assunto che le restrizioni e le vaccinazioni, grosso modo nelle modalità con cui ci vengono proposte e imposte, siano la strada unica per affrontare la pandemia, che lo Stato e la Scienza, per magnifica convergenza tra lunga vita del capitale e lunga vita degli umani, ci indicano e conculcano. E’ proprio fuori dai radar cognitivi dei nostri autori immaginare che l’opposizione a restrizioni e vaccinazioni (pur ai vari gradi in cui può essere formulata) sia non semplicemente una rivendicazione della “libertà personale di fregarsene della realtà sociale” (p. 31) ma pratica costituente di identità collettiva. Non come somma, “ammasso di individualità”, ma proprio come indicazione di un’alternativa nella gestione e narrazione della pandemia, non subalterna alla gestione e narrazione inculcata da potenti centri del capitale, paradigmi e propagandisti scientifici selezionati e funzionali, istanze autoritarie e di controllo sociale sempre presenti nelle classi dominanti.
Ecco, a proposito di quest’ultime. Non c’è bisogno di pensare ad un Grande Complotto per capire che nella misura in cui è possibile, in cui la realtà te ne offre la possibilità - e la pandemia è un occasione - le tendenze autoritarie e di controllo sociale non tardino a giocare le loro carte, quasi si affermano naturalmente, tanto più se anche le ultime forme di resistenza - la sinistra “radicale” - vacilla (anzi “poco” più, vista la sua sostanziale residualità). Peraltro il quadro globale del perdurare di una crisi economica che promette maggiore disuguaglianza, disoccupazione e povertà non mancherà di qualche think-tanks globale che riflette seriamente sulla necessità di maggiore regolazione dei conflitti spontanei che ne sorgono. Di che stupirsi? Sono decenni che siamo in questa traiettoria! Addirittura da prima che la grande crisi del 2008 creasse la prospettiva fosca cui accennavo. Cioè da quando sono venuti meno i contrappesi sociali e internazionali.
Ma a proposito di “complottismo”. E’ mirabile che nel testo “teoria del complotto” sia citata solo una volta, per dire che "bollare tali fenomeni”, cioè “avere “un'immagine mal interpretata della società capitalista ...“, “con la facile liquidazione di ‘teorie del complotto’ non risolve molto” (p. 28). Ma “non risolve” per motivi del tutto diversi da quelli proposti dagli autori. Si, è troppo facile e quindi “non risolve” ridicolizzare il “big reset” del cardinale Viganò. Per capirci voglio citare l’elenco che il Gallino14 faceva dei think-tanks neoliberali, per nome e indirizzo, che dopo la vittoria di Keynes non smisero di spendere milioni di dollari alla luce del sole ma spesso nell’ombra, per foraggiare centri studi, pubblicazioni, università, rapporti con politici, ecc. Creando la massa critica per un cambio di egemonia appena gli eventi degli anni 70-80 glie ne fornirono l’occasione. Non fù un complotto? Con la “c” minuscola! E quanti ce ne sono? L’ENI ha un servizio di intelligence che fa impallidire quello di molti stati, (forse pure quello “italiano” in senso stretto), la Pfizer, con il suo Bourla unico non capo di stato invitato all’ultimo G20, non ha i suoi “pensatoi” con cui garantisce lunga vita ai suoi prodotti e alle sue azioni in borsa? Ognuno gioca le sue carte, c’è chi ha gli assi, c’è chi li prende dalla manica, e chi li gioca sotto il tavolo (i circa 300 doc delle trattative con UE ancora secretati sono solo una goccia). Proprio noi che qui in Italia dovemmo scoprire Gladio e P2 ci dobbiamo scandalizzare se molti siano indotti a “non fidarsi”? Non sarà ancora una volta che il gramsciano “senso comune” serpeggiante nel “popolo” ci faccia intravedere una via?
Conclusioni (ingenerose)
Complessivamente, a mio modestissimo avviso, il documento offre molto meno di quello che dichiara. Vorrebbe incardinare una critica all’interno di robusti riferimenti - una teoria dello stato e una concezione altisonante delle “relazioni” sociali - evitando di dover fare gli apprendisti scienziati, in realtà ripete malamente luoghi comuni mutuati dalle politiche dominanti e dal main-stream della divulgazione scientifica. Al di fuori di queste vede solamente, con ossessione, la vacuità della rivendicazione di libertà personali e non ne indaga minimamente le possibiltà costituenti e convergenti verso una moderna critica anticapitalistica.
Probabilmente non sono stato efficace nel mostrarlo e molte domande rimangono sul terreno. Ma credo che questa debba essere la linea di ricerca.
Roma 17-01-2022 (aggiornamento 07-02-2022)
PS: ho lasciato inaffrontate alcune questioni spinose, prima fra tutte quella dei “dati”, nel cui contesto avrei cercato di recuperare anche il vituperato Ioannidis15. Mentre meriterebbe davvero una fatica di Sisifo analizzare le attuali contorsioni della politica italiana e i segnali di sfaldamento del suo selezionato contorno di propaganda “scientifica”, tra una omicron che annuncia la fine e il perdurante estremismo vaccinista, arrivato al nuovo delirio del super-green-pass persino per i bambini: i vaccinati in classe, i “no-vax” in DAD!
“È attualmente in corso una sperimentazione di fase III sulla popolazione di più regioni con diversi partecipanti con l'obiettivo di verificare l'efficacia del vaccino cinese.”
Fonte: Vaccini: Lancet, nuovo cinese ArCov è 'sicuro ed efficace' - Dalla Cina - ANSA
I protocolli di controllo per la sicurezza della sperimentazione dei farmaci di EMA sono pubblici e, come si può vedere, ci sono varie fasi (in vitro, in ex vivo e poi in vivo sull’animale) prima di passare alle varie fasi sull’uomo 00fc6054-ded3-5de8-d32f-59bf69d73b02 (iss.it)
Immagino che anche i protocolli di sperimentazione di SFDA (l’agenzia del farmaco cinese) siano sicuri, ma lo si può solo immaginare vista la nota trasparenza cinese.