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La La Land, o l’eutanasia dell’amore

di Filippo Bruschi

LLL D29 05187 R.0.0Ora che ha quasi esaurito il suo corso nei cinema europei, due parole su La La Land.

La La Land non è un film sull’amore; La La Land è un film sul successo. Lo scintillio che emana non è quello dell’amore ma quello della brillantezza-denaro, e del suo potere di trasformare la vita in una fluida opera d’arte. A dirla tutta La La Land celebra piuttosto l’eutanasia dell’amore, il suo superamento, ne veicola ideologicamente la fine. Ideologicamente perché questa finis amoris è instillata sotto pelle, resa apparentemente naturale, come pare accada con le visioni ideologiche[1]. E non sarebbe d’altronde assurdo che un film che doveva “rendervi felici” lo faccia raccontando un amore inconcluso? Non spezzato, no, inconcluso. Perché? Molti se lo stanno ancora chiedendo: “Perché si lasciano?”. Tutto accade nella scena in cui Mia e Sebastian, sono seduti sulla collina dell’osservatorio Griffith che domina Los Angeles. Mia ha appena ottenuto, anche grazie alla dedizione di Sebastian, la parte per un film da girare a Parigi. Mia ce l’ha fatta: partirà per Parigi, per il set, sarà un’attrice. Guardando il crepuscolo, serena come dopo un orgasmo a lungo cercato, chiede a Sebastian:

– E noi due ?
Lui risponde qualcosa come:
– A Parigi dovrai concentrarti sul tuo lavoro…

Nella scena successiva, cinque anni dopo, Mia è una star mondiale sposata a un belloccio dalle grandi mascelle, forse un produttore. L’amore tra lei e Sebastian fa parte del passato. Nel frattempo, tutte le opzioni classiche della rottura amorosa sono state eluse: lui non ha lasciato lei; lei non ha lasciato lui; né la malattia né la carriera li hanno obbligati a separarsi. Dobbiamo rassegnarci al fatto che sia stato Sebastian, per non intralciare la carriera di Mia, ad aver scelto di estinguere a malincuore il loro rapporto. Tramite i puntini di sospensione. La natura elegiaca e quasi volatile della scena ha generato domande smarrite: “Si lasciano per qualche mese che lei passa a Parigi? Non esistono gli aerei? Non potrebbe seguirla?” Invece è proprio la gratuità dell’atto eutanasico a essere significativa, riflesso dell’ideologia in silenziosa espansione al di qua dello schermo, specchio dei tempi. Se La La Land può permettere all’amore, anche nel senso di ricerca dell’altro da sé, di suicidarsi senza strepito, nel passaggio tra una scena e l’altra, è perché tale suicidio lo stiamo ormai interiorizzando sotto varie forme – l’elogio della solitudine felice, la meditazione come forma di isolamento, il disprezzo degli ideali più grandi dell’Io e la carriera, certo, che diventa tanto più sacra e desiderabile quanto più si profila difficile e precaria. Nessuno lo ammetterebbe ad alta voce, tantomeno sotto forma di programma politico, ma cresce l’impressione che le nostre società euro-americane stiano smembrando l’amore, dandone un pezzettino allo yogi, uno grosso alla ditta e il resto alle fluttuazioni dell’io, invitato a dimenticare i bisogni primari in nome di un’inafferrabile e insindacabile libertà, a mutarsi in disincantato free-lance del sentimento. È proprio per rispettare e glorificare questo profondo mutamento ideologico che il suicidio al quale assistiamo in La La Landdev’essere insieme brutale e perfetto: di una grande violenza profanatoria (ai danni dell’idillio parigino celebrato da tante commedie americane), eppure privo di testimoni, senza che il pubblico, allo stesso tempo vittima e spettatore, possa opporvisi, scegliere, discuterne. Un suicidio post-democratico.

Perfetta è anche la parabola tracciata dal maschio eterosessuale contemporaneo sul luogo del crimine. Del suo vecchio ruolo di capofamiglia gli è rimasto l’obbligo di portare a casa lo stipendio onde evitare la degradazione a inutile sociale. Così, quando i due innamorati, nella prima parte del film, si trovano a condividere una bohème che inquieta la mamma di lei, Sebastian decide di svendere il suo ideale di un jazz puro per suonare in un gruppo fusion che fa strillar gli adolescenti. Poi, però, nella scena dell’osservatorio, si mostra affatto incapace di raccogliere i frutti del suo sacrificio, di seguire Mia nel sogno parigino. Sebastian, tuttavia, bisogna capirlo: il capitalismo ha talmente sacralizzato la carriera femminile che è come se Mia, invece che a Hollywood, fosse sul punto di entrare in monastero, per unirsi finalmente con Dio, la gioia, il senso della vita, tutto insieme. Quale amoroso, per quanto impavido, accetterebbe di vivere all’ombra di una così poderosa trascendenza? In realtà le ultime scene, in cui scopriamo il marito ricco e insipido di Mia, dimostrano che, per accedere al santuario della carriera femminile, basta avere i soldi per renderlo ancora più sacro e inviolabile. Alla faccia di duecento anni di femminismo, un solido stipendio resta il migliore afrodisiaco e stimolo alla procreazione – altrimenti temuta come l’ultimo grave che trascina negli abissi recessivi.

Insomma, la vera colpa di Sebastian è di essere un weak, come avrebbe detto la madre di Susan, la protagonista di Nocturnal animals (2016), parlando del primo marito della figlia, Edward, un tipo che ha la velleità di fare lo scrittore e che Susan ha deciso di sposare contro l’avviso materno. Alla fine la mamma aveva ragione. Esasperata dalla weaknesssociale in cui è caduta, Susan lascerà Edward, provocandogli un trauma indelebile. Come Mia, sceglierà la propria versione di marito mascellone e rassicurante, che le permetterà di realizzarsi nella propria carriera di gallerista, ma che la condurrà passo dopo passo verso il deserto emotivo. Sotto questo aspetto, come sotto molti altri, Nocturnal Animalssvela l’ideologia che La La Land nasconde sotto sciorinamenti di samba e colori saturi. Così, se la mamma di Mia non era che una voce angosciata al cellulare, quella di Susan esplicita a chiare lettere il cortocircuito del femminismo capitalista, rispolverando l’atavico adagio: “Mi raccomando, trovati un buon partito”. Il carrierismo femminile, quindi, non prevede affatto l’annullamento dei ruoli tradizionali, almeno a livello economico. Come le proprie antenate, Mia e Susan vogliono un uomo solido, anche a costo di rinunciare all’amore della loro vita. La differenza, rispetto a qualche decennio orsono, è che ora l’uomo solido deve essere solido anche per permettere alle donne di “realizzarsi”, perché la loro carriera non sia intralciata neppure da un’emicrania. Uno stipendio solo non basta più, specie in questi tempi duri, ma ciò non toglie che il più cospicuo dei due flussi monetari domestici debba ancora incanalarsi nei pantaloni. Se i trovatori corteggiavano le dame riprendendo le strutture sociali del feudalesimo, oggi gli uomini devono adattarsi a quelle del binomio FMI e Amnesty International. Quindi, pur rispettando fino alla paranoia ogni forma di libertà e différance, sono perfettamente consci che spetta sempre a loro, alla fin fine, presentarsi con una tripla AAA sul taschino della giacca. In caso contrario, la loro fragilità genererebbe un catastrofico effetto domino sul mercato dell’amore, una speculazione sul debito domestico, richieste dall’alto affinché si taglino libri, pannolini e profilattici.

A questo proposito è interessante accostare La La Land a un altro film del 2016, Passengers, prodotto a prima vista dall’estetica più vecchiotta e reaganiana, eppure, sotto molti aspetti, assai meno conformista. Per cominciare, Jim, il protagonista, si comporta in modo opposto rispetto a Sebastian. Pur di non restare solo sul traghetto spaziale, risveglia Aurora dall’ibernazione, osa entrare nella sua vita, non accettando di sacralizzare la sua aspirazione a diventare una scrittrice. Quando lo scopre, Aurora giustamente lo detesta ma alla fine trova che sia meglio così, che non ha bisogno di un pubblico per essere felice, le bastano Jim e un taccuino. Molti indizi fanno credere che Aurora sia la vera femminista, primo fra tutti il fatto che non abbia bisogno di un uomo per realizzare le proprie aspirazioni professionali. Certo, sulla terra soffriva di solitudine amorosa, ma nessun segno lascia credere che veda nell’uomo un arpione per scalare il muro della società. Tanto è vero che Jim, meccanico, appartiene a una classe sociale inferiore a quella di Aurora, solidamente impiantata nella middle-class d’intellettuali newyorchesi. Non è un caso che il genitore di riferimento della ragazza non sia la solita madre conformista e conformante, ma il padre, anche lui scrittore. Proprio perché emancipata da atavici retaggi femminili, Aurora sceglie (sceglie, lei!) l’amore e manda a ramengo la carriera. Notiamo come tutto questo avvenga in una navicella galleggiante nello spazio, nuova versione dell’isola di Paul e Virginie. Sarebbe stato possibile nella società umana? Aurora non si sarebbe abbassata a cercare un uomo economicamente solido capace di accompagnarla verso il successo? Il rozzo blockbuster Passengers mostra molto meglio del raffinato liberal La La Land[2]come sia la società, non l’amore, a costituire la vera forza castrante, anche al mescolarsi delle classi.

Ma torniamo sulla terra e alle disavventure economiche e amorose di Mia e Sebastian e a quelle, ancor più crude, di Edward e Susan. Torniamo soprattutto a Sebastian e Edward, i due maschi diversamente perdenti di La La Land e Nocturnal animals. Per loro, come detto, non esiste possibilità di mantenere la donna amata se non restando al comando del treno ideologico-economico; non tanto o non ancora per stretta necessità materiale[3], tantomeno per virilismo, ma semplicemente perché l’ideologia non permette compromessi: “qui non est mecum, contra me est[4], soffia il dio del mercato sulle greggi umane sempre più monadizzate e dunque sempre più incapaci di resistere all’imperiosa chiamata. A chi pretende di essere contro come accade a Sebastian e Edward, non resta che scegliere tra il ripiegamento in se stessi, laddove si ha ancora un minimo di governance sulle proprie scelte, e il finire stritolati da un sistema apparentemente aperto ma di fatto implacabile nello spezzare i renitenti.

In questo senso il Sebastian di La La Land è molto più intelligente dell’Edward di Nocturnal Animals: riconoscendosi weak e rinunciando a Mia, evita di farsi umiliare da un inutile, anzi dannoso piano di ristrutturazione e di salvare almeno il proprio malinconico idillio privato (uno sporco protezionista, in fondo). Abbiamo già detto come questo sia il vero momento orgasmico del film; è qui che, nel silenzio dei puntini di sospensione, lo spettatore vola verso la felicità promessa, quando l’ingombro dell’amore viene infine rimosso e le azioni di Mia, libere da ogni dazio, schizzano alle stelle, tra le stars. E prima? C’è stato davvero un amore tra Mia e Sebastian, o solo una dimostrazione che l’amore ormai non è più possibile? Balletto tra le nuvole a parte, i due danno l’impressione di essere talmente corrosi dalla precarietà che anche la loro storia non sia altro che un diversivo. Ogni loro litigio o atto mancato suona insensato e risibile; sembra quasi che aspettino soltanto di liberarsi l’uno dell’altro, lui per tornare infine a se stesso, lei per trovare un nuovo mascellone (ce n’era già stato uno, all’inizio del film) capace di proteggerla dalle recessioni presenti e venture; l’amore non è nient’altro che una parentesi, un breve fuoripista più faticoso che inebriante. Altro che le fonti citate – Grease, Singing in the Rain, Rebel without a Cause -, dove l’amore era la cura, non la malattia.

Sorge il dubbio che dopo i sindacati, le aziende in loco, la democrazia a suffragio universale[5] e la famiglia, il bio-capitalismo, ormai anche cyber, abbia deciso di liquidare l’ultimo residuo di arcaico collettivismo: la coppia fondata sull’amore, o sulla semplice solidarietà.

La cosa più notevole di La La Land, va ripetuto, è come questo passaggio epocale avvenga nell’assenza assoluta di contrasti, senza un sacrificio visibile che riconcili con la perdita o permetta al pubblico di capirne la portata. Anche nel finale la tristezza è tutta contenuta. Avesse la sfiga deciso di cadere tutta dalla parte di Sebastian, la rinuncia dall’amore avrebbe almeno prodotto una vittima. Invece no, la rinuncia all’amore non provoca assolutamente nulla; lei diviene una stella, lui apre il suo bar anacronistico. Gesto d’intesa finale : ci siamo capiti, va bene così. Ogni lacerazione è stata scrupolosamente esorcizzata. La scena più incredibile, tuttavia, quella dove si registra il massimo deprezzamento dell’amore alla borsa (dei) valori, resta il flash-back in cui riviviamo cosa sarebbe stata la vita di Sebastian e Mia se fossero rimasti insieme: artisti, felici, ricchi senza essere ricchissimi. Alla fin fine l’eutanasia dell’amore non vale nemmeno la fuga dalla miseria, o dallo scacco sociale, come negli archetipi Traviata o Bohème; vale uno zero in più in banca anche quando se ne hanno già cinque o sei, uno scolastico triple A. Ma quanti Sebastian e soprattutto quante Mia ci sono nel mondo? Nella realtà non finirebbe nella desertificazione dei cuori dei Nocturnal Animals? Sebastian non farebbe la fine di Violetta Valery? Quanti piani dell’FMI, invece di arricchire, hanno intaccato, mangiato, divorato le risorse di una nazione?[6]


[Immagine: Ryan Gosling e Emma Stone in La La Land di Damien Chazelle]


Note
[1] Come affermato da Engels e Marx nell’ Ideologia tedesca (1845-46).
[2] Pare che al cinema, come nella vita, la libertà e l’umanesimo abbiano abbandonato i democratici. E quale bislacco femminismo nel chiamarsi Rodham e farsi eleggere come Clinton!
[3] Anche se, come dimostrano le analisi di Thomas Picketty e del gruppo di ricercatori del wid(word wealth & income), la cerchia dei beneficiari del capitalismo si restringe sempre di più: oggi il 10%, domani forse l’1%. Non è escluso che l’eutanasia dell’amore sia in fondo un riflesso anticipato di esigenze che presto non saranno più soltanto ideologiche.
[4] Matteo XII, 30; Luca XI, 23.
[5] Sull’inconciliabilità tra democrazia e neoliberalismo di sinistra, vedi il bellissimo e più che mai profetico Après la démocratie, (Gallimard, 2008) di Emmanuel Todd.
[6] Ringrazio Giulia Manasse per i consigli e le correzioni.

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