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sinistra

Interpretare Bordiga

recensione di Alessandro Mantovani

Sul libro di Pietro Basso: Bordiga. Una presentazione, ed. Punto Rosso, 2021

unnamed3616“In Italia sono più tenaci di quanto non si creda certi motivi del primo internazionalismo”. (A. Viglongo, Bordiga impolitico “La rivoluzione Liberale”, n. 33, 30 ottobre 1923

Son passati più di cinquant’anni dalla sua morte, ma parlare di Bordiga è ancora difficile. Certo, le assurde falsificazioni stalinistiche che ne facevano un controrivoluzionario quando non una pedina del fascismo, sono ormai finite nella discarica della storia; coperte da una coltre di vergogna sono anche le ricostruzioni in salsa togliattiana che lo rimuovevano, in favore di Gramsci, dal ruolo di primo piano avuto nella fondazione e direzione del Partito comunista d’Italia dal 1921 al 1923. Continua però a godere di “cattiva stampa”, e la maggior parte di chi ne parla – per lo più senza conoscerlo o conoscendolo molto poco – ripete, sotto il manto dell’autorità di Lenin e Trotzky, il mantra del Bordiga dottrinario e settario. L’intento sottaciuto di tali accuse è quasi sempre quello di giustificare le più ardite piroette politiche odierne, lo scomporsi e ricomporsi di alleanze puramente strumentali ed elettoralistiche, contrabbandate come attuali applicazioni del fronte unico e via cantando.

Ne deriva, per chiunque cerchi di analizzare criticamente, dal punto di vista del marxismo rivoluzionario, il lascito Bordiga, la necessità di smarcarsi da tali interpretazioni liquidatorie. Riconoscendo dunque, prima di tutto, a lui ed alla corrente politica che egli rappresentò (la “sinistra comunista italiana”) i grandi meriti storici e teorici che le sono propri. Percorso irto però di difficoltà, dal momento che, dall’altro lato della barricata, gli epigoni del comunista napoletano, prendendo alla lettera certe sue affermazioni paradossali (ad esempio quella di essere un semplice “ripetitore” di Marx ed Engels), o certe sue pose (come quella di non aver mai mutato opinione), non corrispondenti al vero, da una parte non fanno che puntellare l’accusa di ingessato dottrinarismo senza tempo, dall’altra mitizzano anche i limiti di quel lascito, rendendolo caricaturale.

Ecco perché questo nuovo libro su Bordiga “ci azzecca”: esso mette a disposizione del lettore italiano la densissima introduzione alla prima organica antologia in lingua inglese degli scritti di Bordigai. Dovendo presentare il grande rivoluzionario italiano ad un pubblico – quello anglosassone – che tutto o quasi lo ignora e che tutto o quasi ne ignora, il curatore dell’antologia imbocca la strettoia storiografica cui abbiamo sopra accennato con una scelta decisa: quella di narrarci in primo luogo la grandezza, la fedeltà irremovibile alla causa rivoluzionaria, la ricchezza di pensiero teorico del comunista napoletano, ossia ciò che di lui e dei suoi compagni resta come eredità del passato da un lato, come contributo teorico attuale e necessario al futuro dall’altro, lasciando in secondo piano – senza tacerli però, anzi enumerandoli puntigliosamente - gli elementi fragili e caduchi.

Ed invero, l’ammirazione e l’empatia di Pietro Basso per l’oggetto del suo studio emergono da ogni riga del breve libro. Di fronte a Bordiga ed alla “sinistra comunista italiana” egli si pone come davanti ad una componente ancora viva, che molti tesori ed insegnamenti racchiude per il domani. E tuttavia non come “bordighista”.ii

Intendiamoci: Basso non disprezza il “bordighismo”, di cui comprende il dramma di corrente rivoluzionaria coraggiosa ma sconfitta e ripiegatasi su sé stessa; gli attribuisce però, giustamente, la perdita del carattere profondamente originale del comunismo italiano di sinistra, e di quello audacemente innovatore (malgrado tutte le dichiarazioni contrarie) del pensiero del suo leader; a questo spirito il bordighismo - anche quello che ha Bordiga stesso come involontario responsabile – sostituisce la lettera sterile, l'”ortodossia” formale, una presunta “invarianza” senza tempo, l’idealizzazione del personaggio e l’esaltazione proprio delle debolezze e dei limiti del suo messaggio.

Sotto questo profilo il libro di cui stiamo parlando si distingue da tutte le cose pubblicate sinora, incluse quelle che per certi aspetti possono avvicinarvisi nei giudizi storici, come i contributi di Cortesi, cui manca però il pathos che sostiene ogni pagina del testo di Basso. Basta confrontarlo con il Bordiga politico di Basile e Leni (2014), che parte a sua volta con il buon proposito di fare un bilancio critico da un punto di vista rivoluzionario, per vedere la differenza: quest’ultimo lavoro – certo documentato - si presenta più come un inventario degli “errori” di Bordiga che come una giusta valutazione dei suoi meriti. E ciò finisce – lo si voglia o meno – per dare nuovo combustibile ai liquidatori dell’esperienza del comunismo italiano di sinistra, relegato a fenomeno da superare (non a caso Basile e Leni se la cavano con poche pagine sull’elaborazione teorica di Bordiga nel secondo dopoguerra). O con i pur pregevoli lavori di Saggioro e Peregalliiii, inficiati da un’ammirazione acritica del personaggio, al punto da fare diventare geniale scelta politica il dramma dell’isolamento e dell’ostinato silenzio di Bordiga dal 1926 al 1944. Per tacere della storiografia dichiaratamente bordighista, la quale, malgrado molti meriti, indulge troppo spesso all’agiografia (si pensi ai cinque volumi - peraltro di valore molto disuguale - della Storia della sinistra comunista editi da “Il programma comunista”, incluso il primo redatto da Bordiga stesso, che ha dato il la alla canonizzazione). Perfino l'imprescindibile lavoro di Gerosa (d’altra parte limitato al periodo 1911-1926, e non ancora concluso)iv diviene molto esitante ogni qual volta la sua straordinariamente puntigliosa opera di scavo e di ricerca intorno agli scritti di Bordiga rischia di lumeggiare aspetti critici e contraddittori della sua attività politica.

Bisogna poi riconoscere che l’autore di Amadeo Bordiga. Una presentazione, dimostra una conoscenza approfondita e soprattutto una comprensione puntuale del marxista partenopeo. E non sembri una notazione superflua dato che il pensiero di Bordiga, ed il suo stile, presentano difficoltà formidabili che senza studio paziente e preparazione marxista profonda sono destinati a non essere decifrabili. Il che è appunto ciò che – come notò Saggioro – è capitato e capita sovente ai suoi stessi seguaci.

Ne scaturisce un volumetto assolutamente consigliabile anche al lettore italiano, e specialmente al giovane che voglia avvicinarsi a quel lascito respirandone l’ossigeno vivificatore senza tuttavia farsene travolgere in modo acritico, rischio sempre presente visto l’estremo fascino, anche letterario, che la “passione per il comunismo” di Bordiga ha esercitato e continua ad esercitare.

Il testo è organizzato sostanzialmente in due parti:

- la prima, riuscitissimav, che verte sul Bordiga attore della storia e leader politico di statura mondiale: dalla sua adesione al socialismo, passando per la lotta al riformismo ed alla guerra, l’adesione alla rivoluzione russa ed all’internazionale Comunista, la fondazione del PCd’I, la battaglia contro i pericoli di degenerazione di quest’ultima e contro lo stalinismo incombente, fino alla sua espulsione dal PCI ed alla sua rinuncia alla lotta politica nei cosiddetti “anni oscuri”.

- la seconda che riguarda la vastissima elaborazione teorica del secondo dopoguerra, quando il Bordiga “politico” ed organizzatore, accettato con orgoglio il proprio inevitabile minoritarismo ed isolamento, lascia il posto allo studioso del marxismo, della rivoluzione russa e della controrivoluzione staliniana ed internazionale; al demistificatore delle democrazie post-belliche, dei falsi socialismi (quello sovietico in primis); al fustigatore dell’insensato “produttivismo” capitalistico sciupatore di lavoro umano; al critico feroce del rapporto di sistematica dilapidazione che il capitale instaura con la natura; al visionario “esploratore” della futura organizzazione sociale “di specie”, il comunismo, di cui egli – incurante delle stesse messe in guardia di Marx contro le speculazioni sulla società di domani – non esita a descrivere i caratteri distintivi.

Delle due parti questa seconda è a nostro avviso quella più innovatrice ma anche quella più incompleta: Basso ammette fin da subito l’impossibilità di dar conto della vastità, complessità, varietà e ricchezza del lavorio teorico compiuto da Bordiga nel secondo dopoguerra, e si concentra su tre filoni: gli scritti sulla Russia, quelli sull’evoluzione del capitalismo, e quelli (strettamente collegati) di denuncia del falso socialismo reale e di descrizione dei genuini caratteri del socialismo. Non può evitare tuttavia di accennare ad altri percorsi della riflessione compiuta dal leader della “sinistra comunista” nell’ambito della piccola organizzazione che lo assecondava nella redazione, esposizione e diffusione dei suoi studi: la questione delle rivoluzioni nazionali e coloniali, la critica della scienza al servizio del capitale, dell’individualismo borghese, del “consumismo” idiota dei “trenta gloriosi”, la critica del culto della personalità nell’ambito del movimento operaio, e molti altri che qui sarebbe troppo lungo citare. Tali accenni sono per forza di cose troppo sintetici e talvolta ellittici. Non resta che augurarsi che vengano meglio sviluppati in futuro, visto che ognuno di essi – come ha ben fatto la Grilli per la questione russavi - meriterebbe uno studio a parte.

La nostra recensione potrebbe finire qui, lasciando al lettore il piacere di scoprire da sé quali sono, nella sintetica ricostruzione di Basso, d’un lato i meriti storici ed i punti di forza teorici, dall’altro gli aspetti transeunti di Amadeo Bordiga e della corrente politica da lui incarnata, e come i primi siano di buona misura più rilevanti dei secondi. Ma essendo il nostro interesse per il libro di Basso di carattere militante, ci permettiamo ancora qualche breve considerazione, nello spirito di contribuire allo studio del pensiero e dell’azione del rivoluzionario napoletano.

***

Sì possono certo affrescare tali pensiero ed azione collocando da un lato le luci e dall’altro le ombre, e ciò è assai utile dal punto di vista “didattico”; d’altra parte è indubbio che nella traiettoria di Bordiga e della sinistra comunista vi siano contraddizioni, almeno apparenti: ad esempio quella tra il rigido determinismo in cui si relega l’azione della classe proletaria, e l’appello costante al sentimento ed alla “fede” che debbono animare i militanti comunisti; tra la dichiarazione martellante del primato della politica e la limitazione dell’azione del partito quasi esclusivamente alla propaganda d’un lato, all’attività sindacale dall’altro; tra la visione di un partito che è al tempo stesso – giustamente - “fattore e prodotto della storia”, e la pretesa di poterlo preservare dall’opportunisto predisponendo, d’un lato un rigido formulario tattico valido per tutti i tempi e le situazioni, dall’altro erigendo un divieto statutario contro la “discussione” e l’ “elaborazione individuale”; tra la tendenza a fare del marxismo una “scienza” esatta sul modello delle scienze fisiche, giungendo persino a poter prevedere non solo i tempi della crisi capitalistica, ma persino quelli, direttamente conseguenti, della crisi rivoluzionaria, e l’afflato profondamente etico col quale si esorta il militante comunista ad “identificare e confondere se stesso” con la traiettoria dell’umana specie dal suo apparire sul pianeta fino alla futura, “gioiosa” conquista del comunismo.

Ma qual è il filo che tiene insieme questi aspetti?

A noi sembra che negli studi sinora apparsi sul rivoluzionario partenopeo una cosa sia mancata: l’individuazione delle condizioni politiche ed ideologiche dalle quali Bordiga ha tratto le strutture portanti del suo particolare approccio all’attività rivoluzionaria ed alla teoria marxista.

Queste origini sono state il più delle volte abbozzate superficialmente, vuoi legandole in modo troppo generico e generalizzante (nonché pretestuoso) all’”arretratezza meridionale”, vuoi cercandole nella direzione sbagliata (ad esempio nelle ascendenze culturali dell’ambiente famigliare di Bordiga quando non, più banalmente, nel suo curriculum studiorum o nella ….psicologia ingegneristica) vii; o, ancora, nei casi più avvertiti (come quello di Michele Faticaviii), collocandole nel dibattito politico della Napoli di inizio novecento, senza tuttavia preoccuparsi a sufficienza di collegarlo all’evoluzione nazionale e internazionale del movimento operaio di quegli anni cruciali. Gli anni, per dire, in cui la classe operaia europea si mobilita in gigantesche astensioni dal lavoro scoprendo l’arma dello sciopero generale, gli anni della prima rivoluzione russa e del sorgere del sindacalismo rivoluzionario.

Orbene, non ci sembra superfluo notare che il giovanissimo Bordiga si avvicina al socialismo nell’ambiente napoletano, dove sono ancora vive l’etica di Giovanni Bovio e, soprattutto, le tradizioni radicali di Pisacane, Bakunin e Cafiero ix. La “prima Internazionale”, come si sa, fu in Italia libertaria e trovò nella città partenopea la sua serra.x

In secondo luogo, è importante rammentare che il giovane Bordiga compie il suo apprendistato politico sotto l’ala della tendenza “intransigente” del socialismo italiano. Ma che cos’era e da dove veniva questa tendenza?

Non è fortuito che uno dei principali dirigenti della “Frazione Intransigente” del PSI, per molti anni segretario di quest’ultimo, sia quel Costantino Lazzari che era stato tra i fondatori del Partito Operaio italiano, una delle componenti del futuro PSI, ispirata all’inizio da un rigido operaismo apolitico. E che all’ex internazionalista (aggettivo che qualificò a lungo gli anarchici italiani) Andrea Costa si debba il primo partito socialista italiano, quel Partito Socialista Rivoluzionario di Romagna al cui programma, non a caso, Bordiga si richiama nella sua Storia della Sinistra 1912-19, definendolo sostanzialmente marxista, laddove in realtà esso conteneva ancora molti elementi di libertarismo, che di lì si travaseranno anche nel cosiddetto “intransigentismo socialista”xi, e che costituiscono l’humus del “massimalismo” barricadiero di Benito Mussolini (il cui padre era socialista ma ammiratore di Cafiero e Bakunin). Figura, quella del futuro “duce”, più rilevante di quanto non si creda nella formazione del giovane Bordiga, il cui rapporto con il romagnolo, ai tempi in cui questi dirigeva l’ “Avanti!” come portavoce della linea “rivoluzionaria intransigente”, è ancora da esplorare.

L’eclettico bagaglio della frazione intransigente si compone dunque di elementi dell’operaismo lazzariano e di motivi libertari, tinti con un pallido marxismo d’accatto e di seconda mano (pochissime le opere di Marx tradotte) intriso di positivismo. Ciò che la tiene insieme è un generico richiamo ai principi che rimane sul piano verbale e propagandistico, in cui l’incapacità di attuare un’attività politica concorrente a quella parlamentare dei riformisti viene chiamata (e mascherata con l’) “intransigenza” (ad esempio il rifiuto di alleanze e blocchi elettorali).

Un’altra corrente che ha avuto grande importanza nel socialismo di inizio secolo è quella sindacalista rivoluzionaria, che sorge tutta interna al PSI come reazione al riformismo e che all’inizio si colloca in opposizione al revisionismo, sostenendo la necessità di un “ritorno a Marx”. E ancora una volta tutto parte da Napoli. L’azione diretta, lo sciopero generale, l’antimilitarismo, la critica del parlamentarismo e della democrazia borghese tanto cara ai riformisti, sono temi del sindacalismo che ritroveremo, come ben illustra l'Arféxii, anche dopo l’uscita dei sindacalisti dal partito, nella federazione giovanile socialista. In seguito, con la vittoria della corrente intransigente su quella riformista, e con Mussolini direttore dell” Avanti!”, un certo numero di sindacalisti rivoluzionari, coi quali il socialista romagnolo flirta, rientreranno nel PSI. Specie nel Meridione, li ritroveremo col PCd’I a Livorno nel 1921. Ed è proprio questa FGSI dove si parla un pidgin socialista-sindacalista, il primo terreno in cui Bordiga acquista levatura nazionale: le sue critiche al militarismo, alla cultura ed alla scuola borghese, il suo appello al “sentimento” e all’ “idealismo”, gli guadagnano la direzione dell’”Avanguardia”, dalle cui colonne critica ferocemente la “democrazia”, alla quale, nella sua visione, Marx ed Engels “attribuivano ancora una importanza eccessiva”xiii. Per tutta la vita egli insisterà sullo sciopero generale come momento fondamentale della rivoluzione anticapitalistaxiv.

È questo il melting pot in cui il giovane Bordiga, che in seguito ammetterà di aver avuto una conoscenza alquanto approssimativa dei testi marxisti, riceve il suo imprinting, assumendo temi che verranno poi rielaborati all’interno di un frame marxista fino a giungere, nel secondo dopoguerra, ad un pensiero estremamente raffinato, complesso ed elaborato (verrebbe da dire barocco), ma in cui quell’imprinting tutto sommato ingenuo di radicalismo, afflato etico, anti democratismo, intransigenza dalle venature libertarie non viene superato, ma anzi ritorna potentemente in auge dopo essere rimasto in sordina negli anni della rivoluzione russa, della costituzione del PCd’I e della lotta all’interno del Comintern, che sono poi gli anni della prima autentica acculturazione marxista di Bordiga.

Accomunare un teorizzatore estremo della preminenza del partito e della dittatura del proletariato come Bordiga al pensiero libertario può apparire paradossale. C’è dunque bisogno di qualche spiegazione.

Le posizioni della “scuola” libertaria sono infatti molto più ricche e varie di quanto la vulgata comunista abbia o per ignoranza o per convenienza fatto credere. Se le varie sinistre comuniste studiassero un po’ di più le posizioni delle varie correnti anarchiche e sindacaliste scoprirebbero, ad es., che non tutti gli anarchici furono contrari a qualunque forma di “partito”, che non tutti furono contro la partecipazione alle elezioni, che non tutti furono contro forme più o meno articolate di politica o persino di dittatura rivoluzionaria temporanea, ed infine (ma questo è in verità abbastanza noto) che ben pochi negano la necessità della lotta e dell’organizzazione sindacale.

Una caratteristica però le accomuna in tutte le loro sfumature e le distingue tutte dal marxismo: quella che Marx definì “indifferenza in materia politica”. Un approccio all’azione rivoluzioria che si manifesta come “intransigentismo”, incapacità di mediazione tra obiettivi contingenti e obiettivi massimi, come rivoluzionarismo ultimativo e immediatista, secondo un motto che, rovesciando quello noto di Bernestein, potremmo definire: “il fine è tutto, il movimento è nulla”. In sostanza, con la negazione dell’utilità degli obiettivi immediati e intermedi, e dell’azione politica per ottenerli e farne il trampolino verso l’estensione della lotta di classe. Come astensionismo non solo e non tanto dalle elezioni, quanto piuttosto dalla lotta politica tout court, quale ad es. quella per ottenere determinate riforme (le otto ore, la legislazione di fabbrica, l’istruzione obbligatoria - che Bordiga considera una fonte di indottrinamento dell’ideologia borghese -, l’armamento del popolo, ecc.) e determinati diritti (sciopero, organizzazione, ecc.) favorevoli al successivo sviluppo della lotta di classe (Bordiga è ad es. diffidente verso la lotta per i diritti civili e politici delle donne).

È proprio l’intransigenza portata alle sue estreme conseguenze il filo rosso che caratterizza il “bordighismo” in tutti I suoi passaggi storici (al di là delle differenze notevolissime che si possono riscontrare nel suo sviluppo prima del 1915, durante la “grande guerra”, dopo la rivoluzione russa, nel II dopoguerra). Intransigenza intesa come un valore in sé, come una garanzia tanto di efficienza rivoluzionaria quanto di preservazione dall’opportunismo, facendo dunque dell’”indifferenza in materia politica”, del rifiuto di ogni “intermedismo”, di ogni obiettivo transitorio, di ogni convergenza o peggio alleanza, di ogni compromesso o accordo, la cifra fondamentale, la formula magica della “vera” politica (o meglio astensione dalla politica) rivoluzionaria. Senza chiarire questo punto – e sinora non mi pare sia stato abbastanza chiarito – ci si preclude una completa intelligenza della traiettoria (o forse sarebbe meglio dire parabola) politica di Bordiga e della sinistra italiana.

Per questa via il pensiero di Bordiga – che per molti altri versi se ne distanzia - si ricollega con tutta evidenza alla tradizione libertaria intesa nel senso più largo. Ed anche laddove sembra che maggiormente se ne distingua, ad es. nell’assoluta preminenza data al partito sulla classe, a ben vedere egli non ha in mente un partito politico radicato nella massa proletaria (“parte della classe” come dicono le Tesi del II Congresso dell’IC) ma un’organizzazione fondata su uno spirito etico e dogmatico, sull’abnegazionexv, su un programma immutabile, su di una tattica già decisa una volta e per sempre (il che equivale a negare l’uno e l’altra confondendoli coi princìpi). Non a caso, nel secondo dopoguerra, Bordiga, su suggestione di Camatte, si lascerà sfuggire, per definire l’organizzazione politica rivoluzionaria, una formula che risale a Bakunin: il partito è un'“anticipazione della società futura”xvi. Espressione di questa particolare concezione è la misteriosa formula del centralismo “organico”, sulla quale non ci soffermiamo perché richiederebbe una trattazione estesa, ma che trova nella “dittatura del programma”, nella cancellazione di ogni meccanismo democratico di funzionamento, nell’eliminazione dell’uso stesso della parola “democrazia”, parentele non superficiali con le teorie anarchiche e con l’utopismo, non ultima la teorizzazione dell’anonimato (anche per Bordiga, come per Bakunin, la rivoluzione sarà “anonima” e “tremenda”xvii).

Emblematica la definizione data da Bordiga del militante comunista: laddove per i bolscevichi, al loro secondo congresso, esso è il rivoluzionario che aderisce al programma e lavora all’interno dell’organizzazione del partito, per Bordiga è “chi ha saputo dimenticare, rinnegare, strapparsi dalla mente e dal cuore la classificazione in cui lo iscrisse l'anagrafe di questa società in putrefazione, e vede e confonde sé stesso in tutto l'arco millenario che lega l'ancestrale uomo tribale lottatore con le belve al membro della comunità futura, fraterna nell'armonia gioiosa dell'uomo sociale.”xviii

Una definizione poeticamente ed eticamente commovente, ma essenzialmente apolitica.

* * *

Nel suo famoso pamphlet sull’ Estremismo…, Lenin fa risalire l’infantilismo di sinistra ad una residua influenza “anarchica” sul giovane movimento comunista Internazionale. Da questo punto di vista la Sinistra comunista italiana, rappresenta, al pari delle “sinistre occidentali” quali la tedesca e l’olandese – dalle quali pur si distingue per molti importanti aspetti - un’imperfetta decantazione del movimento proletario dal libertarismo ed un’incompleta assimilazione, da parte delle sue avanguardie, del metodo marxista.

La gigantesca figura di Bordiga, che può essere considerata la più eminente del movimento comunista rivoluzionario italiano, è l’espressione della grandezza, generosità, originalità, ricchezza di pensiero del movimento proletario d'Italia, del suo straordinario contributo alla definizione internazionale dei compiti storici della classe, ma al tempo stesso della sua mai raggiunta maturità politica.


Note
iP.Basso (editor), The Science and Passion of Communism. Selected Writings of Amadeo Bordiga (1912-1965), 2020.
ii Anzi nell’Introduzione all’edizione italiana Basso, forse temendo di essere tacciato di vicinanza al bordighismo, se ne smarca a nostro avviso anche un po’ troppo.
iii A. Peregalli, S. Saggioro, Amadeo Bordiga. La sconfitta e gli anni oscuri (1926-1945), 1998. S. Saggioro, Né con Truman né con Stalin, Storia del Partito Comunista Internazionalista 1942 -1952, 2011. S. Saggioro, In attesa della grande crisi, storia del Partito comunista internazionale, 2014.
iv L. Gerosa (a cura di), Amadeo Bordiga, Scritti 1911-1926; ne sono usciti otto volumi, i primi per i tipi della Graphos, i successivi per quelli della Fondazione Bordiga.
v Gran parte dei giudizi espressi in questa parte sono condivisibili, come ad esempio la critica alla difficoltà di tradurre i principi in direttive tattiche; su alcuni punti (ad esempio l’atteggiamento del PCd’I verso l’Alleanza del Lavoro e gli Arditi del popolo, o sulla concezione bordighiana del partito), avremmo delle obiezioni o delle integrazioni da proporre, ma è impossibile trattarle in poche righe e le rimandiamo a contributi futuri.
vi L. Grilli, Amadeo Bordiga: capitalismo sovietico e comunismo, 1972.
vii Un (agiografico) esempio in tal senso è La passione e l’algebra, Amadeo Bordiga e la scienza della rivoluzione, Quaderni di n+1, 1994. Un altro (per alcuni aspetti pregevole) è la voce Amadeo Bordiga del “Dizionario biografico” Treccani.
viii M. Fatica, Origini del fascismo e del comunismo a Napoli : 1911-1915, 1971.
ix G. de Martino, V. Simeoli, La polveriera d’Italia. Le origini del socialismo anarchico nel Regno di Napoli (1799-1877), 2004. N. Rosselli, Mazzini e Bakunin : dodici anni di movimento operaio in Italia (1860-1872), 1967.
x A Napoli si formò anche il primo marxista italiano di levatura internazionale, quell’ Antonio Labriola che Bordiga ha sempre volutamente snobbato, ma che dovette comunque essergli presente, così come il “dibattito sul marxismo” che coinvolse, con Labriola, Sorel, Gentile e Croce (altra personalità gravitante all’ombra del Vesuvio) (cfr. Le origini del marxismo teorico in Italia: il dibattito tra Labriola, Croce, Gentile e Sorel sui rapporti tra marxismo e filosofia, a cura di C. Vigna, 1977). Non son queste le radici del “marxismo” bordighiano, ma in qualche modo quel dibattito influì su Bordiga: ad esempio egli continuò, lungo tutto il corso della sua vicenda, a prendere di mira Croce come antagonista privilegiato in materia filosofica.
xi V. Evangelisti, E. Zucchini, Storia del Partito Socialista Rivoluzionario, 1881-1893, 2013.
xii G. Arfé, Il movimento giovanile socialista. Appunti sul primo periodo (1903-1912), 1973;
xiii A. Bordiga, Gli insegnamenti della nuova storia, “Avanti!”, 16/2/1918.
xiv Scrive Bordiga nella sua Storia della sinistra comunista 1912-1919: “L’azione rivoluzionaria si esplica con lo sciopero generale (questa è una verità storica)”.
xv Nel 1913 egli parla del partito quale “minoranza eroica” (La nostra missione, “L’Avanguardia” 2/2/1913).
xvi Appunti per le tesi sulla questione dell’organizzazione , “Il programma comunista” n.22 del 1964.
xvii A. Bordiga, Fantasime carlailiane, "Il programma comunista" n. 9 del 1953; per la visione di Bakunin cfr. Le sue lettere a Nečaev del 2/6/1870 e ad Albert Richard del 1/4/ dello stesso anno.
xviii A. Bordiga, Considerazioni sull’organica attività di partito quando la situazione generale è storicamente sfavorevole, “Il Programma Comunista” n. 2 del 1965.

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