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La Comune di Parigi

Qualche lezione da un'insurrezione passata per un'insurrezione futura

di François Martin

[La Commune de Paris : quelques leçons d’une insurrection passée pour une insurrection future, ciclostilato, 1970; trad. it. in Karl Marx et alii, La Comune di Parigi del 1871 e la guerra civile in Francia, Edizioni La Vecchia Talpa, Napoli 1971, pp. 7-14; traduzione riveduta e corretta]

jk952odj«I proletari della capitale, di fronte alle deficienze e ai tradimenti delle classi governanti, hanno compreso che era giunta per essi l'ora di salvare la situazione prendendo nelle proprie mani la direzione degli affari pubblici... il proletariato... ha compreso che era suo dovere imperioso e suo assoluto diritto prendere nelle proprie mani i suoi destini, e di assicurarsene il trionfo impadronendosi del potere».

Così si esprimeva il comitato centrale della Guardia Nazionale nel suo manifesto del 18 marzo 1871. Alcune settimane dopo, questo stesso proletariato1 che aveva fatto tremare tutti i poteri reazionari d'Europa, veniva schiacciato. È proprio questa «situazione», che bisognava salvare, ad aver determinato la disfatta.

È in questa «situazione», nella sua concreta particolarità, e nella condizione del proletariato del tempo che bisogna cercare il segreto degli avvenimenti e in definitiva le cause del suo fallimento.

Da un secolo a questa parte, tutte le battaglie di classe, per poco che siano state vittoriose, sono state seguite dalla ricostituzione e dalla dominazione sempre più estesa del modo di produzione e di scambio capitalistici. Tanto meglio! Nella misura in cui la classe operaia non giungeva a porre le premesse di una trasformazione radicale, a instaurare il comunismo, le sue stesse lotte sembravano creare le condizioni di questa dominazione sempre più compiuta del capitalismo, distruggendo gli ostacoli che esso trovava sul suo cammino e dissolvendo le strutture arcaiche2.

Ma parallelamente, lo sviluppo impetuoso e la concentrazione delle forze produttive che hanno seguito le sconfitte operaie, hanno contribuito a modificare la «situazione». Per questo stesso motivo, le condizioni della lotta rivoluzionaria del proletariato si sono considerevolmente trasformate.

Oggi, il rapido progresso del capitalismo in Russia3, la sua integrazione nel mercato mondiale, realizza infine «l'unificazione» capitalistica del nostro pianeta. L'interdipendenza economica di tutti i paesi del mondo è ormai un fatto acquisito e irreversibile, che tende ad unificare obiettivamente il proletariato mondiale.

Allo stesso tempo, lo sviluppo capitalistico ha creato le condizioni di una società nella quale l'abbondanza dei beni necessari è finalmente possibile, ed ha comportato uno sviluppo considerevole della sola classe della società moderna che possa essere spontaneamente comunista: il proletariato.

Nel 1871, il proletariato era troppo isolato per poter sperare di vincere. Avrebbe potuto sconfiggere militarmente Versailles, ma si sarebbe immediatamente dovuto confrontare, da un lato, con la controrivoluzione europea, di cui l'esercito prussiano non era che un avamposto, e dall'altra, soprattutto, con i problemi della trasformazione comunista dell'apparato di produzione e di ripartizione, laddove all'epoca il capitalismo aveva appena cominciato la socializzazione della produzione. Sebbene vincitore, il proletariato parigino si sarebbe trovato al potere in condizioni ben peggiori di quelle che dovette affrontare il proletariato russo dopo aver conquistato il potere con l'aiuto delle masse contadine.

Negli anni 1917-'20, rispetto al 1871, le forze produttive si erano eccezionalmente accresciute e, tra esse, la principale forza produttiva, il proletariato, aveva decuplicato la sua potenza, e anche la sua lotta si estendeva a paesi interi, a tutto un continente; ma la lotta rivoluzionaria dei proletari russi non poté fondersi con quella del proletariato tedesco, austriaco, italiano. L'ineguaglianza dello sviluppo del capitale divideva il proletariato in differenti frazioni, che non riuscirono a collegarsi in una lotta continentale.

Nel 1871, il comunismo appariva come un sogno, mentre oggi è il capitalismo ad assomigliare a un incubo. Ciò che nel 1871 avrebbe comportato una lotta titanica – la trasformazione comunista della società – oggi è a portata di mano4.

Già nel 1917, il rapporto di forza su scala mondiale non permise di battere militarmente il proletariato rivoluzionario di Russia. Trovandosi oggi a dover fronteggiare un'insurrezione in Europa, che metterebbe in movimento milioni di proletari, gli eserciti dei vari stati europei non possiederebbero individualmente le capacità tecniche e morali per trionfare, e verrebbero ben presto sbaragliati5.

Ai giorni nostri, non è a Versailles che la controrivoluzione potrebbe radunare le proprie forze, e neppure nelle caverne del Massiccio Centrale o delle Alpi dove l'esercito installa le sue centrali di comando operativo.

Su scala del continente europeo, la sola forza realmente capace di costituire la spina dorsale del mantenimento dell'ordine e del potere del capitale, sono le forze armate russe6. In queste condizioni, l'azione controrivoluzionaria di fronte ad un movimento proletario che investa di primo acchito l'Europa occidentale e centrale7, potrebbe ben presto assumere la forma di un intervento russo diretto in accordo con gli USA, oppure di una cordiale ripartizione delle rispettive zone di intervento (non nuova del resto) in cambio di accordi economici e politici globali; o ancora, la forma di una guerra russo-americana sul teatro di operazioni europeo, la cui principale funzione sarebbe quella di massacrare e scannare le masse del proletariato europeo.

Perciò lo sviluppo delle lotte attuali assume una grande importanza per le lotte a venire. È attraverso queste lotte che il proletariato impara ad identificare i propri nemici. Fin d'ora un gran numero di mistificazioni sono state smascherate, e in particolare quella dell'esistenza del socialismo in Russia o del carattere proletario dello Stato russo. È nel corso di queste lotte che si vengono manifestando i primi nuclei del partito dei proletari e che si ricostituirà, nel corso delle lotte stesse, la teoria del proletariato8.

Questo «partito» non ha niente in comune con un partito di tipo bolscevico, né – questo è certo – con i suoi ridicoli e meschini succedanei attuali. Il suo compito sarà, tra gli altri, quello di sbarazzarsi di tutte le organizzazioni dette «operaie» e delle loro appendici pseudo-sinistre e gruppuscolari. Di questo partito inafferrabile, che nessuna forma giuridica od organizzativa consente di circoscrivere, ma che vediamo riapparire ed agire ogni volta che il proletariato interviene in quanto classe, la Comune di Parigi offre un esempio insostituibile.

Il partito «nasce spontaneamente dal suolo della società borghese» (Marx), è il prodotto della lotta di classe. È sufficiente guardare l'insurrezione parigina del 1871, per osservare la formazione del partito.

A partire dal 1868, numerose riunioni, ciascuna di parecchie centinaia di operai, hanno luogo a Parigi, più volte nel corso di uno stesso mese, e ciò fino al 4 settembre 1870. Queste riunioni, che all'inizio hanno come oggetto la condizione della donna nella società attuale, si trasformano rapidamente in centri di discussione sul socialismo. È nel corso di queste riunioni che per la prima volta l'Internazionale fondata alcuni anni prima, nel 1864, da un pugno di operai sconosciuti, fa la sua apparizione. Dunque la Comune non è apparsa all'improvviso, ma è stata preceduta da parecchi anni di fermento d'idee, di lotte sociali (lo sciopero di Le Creusot) nel corso delle quali molti legami si erano intessuti e rinsaldati. Attraverso le riunioni pubbliche, le «marmites»9, le casse di solidarietà per gli scioperi, le associazioni operaie professionali, si assiste alla manifestazione vivente del partito proletario sotto la forma che esso assume in quell'epoca. Allorché il 4 settembre l'Impero crolla e si costituisce un governo di Difesa Nazionale, la notte stessa, in un locale presso la Place de la Corderie du Temple, i membri dell'Internazionale e i delegati delle camere sindacali operaie si riuniscono per definire il loro atteggiamento di fronte a questo nuovo Governo. Il loro primo atto fu di redigere un indirizzo al proletariato tedesco, chiedendogli di porre termine alla lotta fratricida. L'indomani essi lanciano un appello per la costituzione, nei venti arrondissements di Parigi, di comitati di vigilanza, incaricati di controllare le attività di riorganizzazione della difesa da parte del governo. Questi comitati formarono un Comitato Centrale, con sede presso il locale di Place de la Corderie du Temple. Così, sette mesi prima dell'insurrezione del 18 marzo, si può constatare che gli elementi più radicali del proletariato sono già «sul piede di guerra». Nello stesso periodo, i volontari affluiscono in gran numero nella Guardia Nazionale e si formano ben presto più di 200 battaglioni; ciò significa che la quasi-totalità della Parigi operaia è armata. Di fronte all'assenza di una reale organizzazione della difesa di Parigi da parte del governo, si costituisce, nell'ambito stesso della Guardia Nazionale, una Federazione della Guardia Nazionale. In questa Federazione si ritrovano membri dell'Internazionale, blanquisti, membri delle associazioni operaie. Il 24 febbraio, la Federazione della Guardia Nazionale si da un organo esecutivo: il Comitato Centrale della Guardia Nazionale. Da queste riunioni di compagnie, battaglioni, legioni, vengono eletti sessanta delegati. Questi delegati non sono né oratori né politicanti. Per la maggior parte operai, essi sono il prodotto delle circostanze: sono i capi delle barricate. Il solo veramente conosciuto fra loro è Varlin, operaio rilegatore, membro dell'Internazionale e del Comitato Centrale dei venti arrondissements. A partire da questo momento, non avendo interessi particolari da difendere, i membri dell'Internazionale, delle associazioni operaie, dei comitati dei venti arrondissements, e i blanquisti10 sono tutti strettamente legati all'attività del Comitato Centrale della Guardia Nazionale. Il Comitato Centrale è veramente l'espressione del partito proletario. E questo partito rappresenta già, prima di incarnarlo praticamente, il potere reale della società.

È proprio questo partito che il potere reazionario vuole distruggere quando cerca di impadronirsi dei cannoni di Montmartre. Ed è nel corso di quella giornata, il 18 marzo, che il partito proletario si manifesta e che, conformemente al suo essere, dirige la propria attività contro la totalità dello Stato borghese. In quel momento, il proletariato non ha capi distinti, né rivendicazioni particolari, né organizzazioni separate dal movimento pratico: in tal modo realizza la vera comunità umana (la Gemeinwesen di Marx).

La borghesia in quanto classe non ha, in senso stretto, alcuna esistenza «umana». Essa non è che l'incarnazione del capitale. Gli atti della borghesia non sono determinati dalla natura umana dei suoi membri, ma dalla logica astratta del capitale che si impone ad essa, così come le transazioni commerciali del borghese individuale non sono determinate dai suoi desideri umani, ma dalla logica del mercato. Viceversa, è per realizzare i propri «bisogni umani» che il proletariato deve distruggere un modo di produzione nel quale la sua forza-lavoro, le sua capacità umane non sono altro che una merce. Il proletariato non deve solamente distruggere il potere della borghesia, ma deve distruggere le condizioni d'esistenza di questo potere, cioè l'economia capitalista, e quindi le condizioni materiali che danno vigore all'economia capitalista. Non può esservi società senza classi, finché non siano scomparse le condizioni d'esistenza delle classi. Ed è proprio a queste condizioni che il proletariato parigino è stato incapace di sferrare un colpo decisivo. Attaccare Versailles non è soltanto un'operazione militare. Attaccare Versailles, significa in realtà attaccare le banche, le industrie, la grande proprietà terriera, ma anche la piccola proprietà terriera, il piccolo commercio, la piccola industria, l'artigianato, fino alla moltitudine di piccoli produttori di merci che costituiscono ancora una parte rilevante della produzione sociale e che ricreano in permanenza le condizioni stesse dello scambio mercantile, quindi del capitalismo. La frazione più radicale della classe operaia non poteva assumere come compiti pratici immediati delle misure radicalmente comuniste, quando una parte non trascurabile degli insorti, del popolo di Parigi, era composta precisamente da artigiani, da piccoli produttori seguaci di Proudhon, e non da proletari comunisti. In queste condizioni, la frazione più radicale della classe operaia non avrebbe potuto conservare il potere se non a prezzo di una spietata dittatura. Ora, questa dittatura era verosimilmente irrealizzabile, e per di più senza sbocco né prospettive reali a lungo termine. La sua logica di potere, allorché le condizioni stesse del comunismo non erano date, avrebbe rapidamente trasformato questa dittatura del proletariato in una dittatura sul proletariato.

Versailles non è altro che il cane da guardia di tutte le potenze reazionarie coalizzate d'Europa. Il proletariato parigino è abbastanza forte per intraprendere da solo questa lotta? I grandi centri industriali della Francia e dell'Europa sono pronti anch'essi ad insorgere? I segnali che vengono da Lione, da Marsiglia etc. sono assai deboli. È questo isolamento che conduce il proletariato parigino a cedere l'iniziativa delle operazioni. Questo rapporto di forza, che sul piano mondiale rimane favorevole alla reazione, è il prodotto stesso del capitale a quell'epoca. Il proletariato è quindi costretto a schierarsi su posizioni difensive. Non ha scelta, in quel frangente. È ciò che avviene il 18 marzo. Abbandonare le armi il 18 marzo, avrebbe significato essere immediatamente schiacciati dal potere della reazione. Il Comitato Centrale è l'espressione di un proletariato in lotta che ha un suo potere materiale – i battaglioni operai della Guardia Nazionale. Il Comitato Centrale è esso stesso il prodotto di un rapporto di forza in un momento dato, laddove l'iniziativa pratica dal punto di vista del proletariato è possibile. La Comune è il prodotto di una situazione nella quale il proletariato non può più agire solo, e per tale ragione è per forza di cose portato a perdere l'iniziativa e a porsi su posizioni difensive. La forma nella quale si esprime questa posizione difensiva è la Comune: elezioni, rispetto della legalità e della democrazia.

Da questo momento in poi, il potere proletario, fino ad allora concentrato nel Comitato Centrale, non è più un potere reale. Le forze piccolo-borghesi che aveva trascinato nel suo movimento, finiscono coll'imporre il loro punto di vista. Il potere proletario è il movimento che distrugge la società borghese. Questo potere è essenzialmente pratico: non deve elaborare norme giuridiche o istituzionali per il proprio esercizio che siano valide in ogni tempo, perché distrugge le proprie stesse radici; non si scinde in potere legislativo e potere esecutivo. Ora, la Comune è stata l'espressione di questa separazione. Essa ha legiferato. Solo il decreto sull'abolizione dell'esercito permanente interviene in seguito alla sua esecuzione pratica. Tutti gli altri decreti, sull'insegnamento e sul lavoro in particolare, non fanno che riflettere una tendenza. Questa tendenza esprimeva confusamente ciò che il proletariato avrebbe cercato di realizzare nelle condizioni di allora, qualora si fosse mantenuto al potere.

Nel 1871, il gigantesco movimento del proletariato, rinchiuso nei limiti dell'epoca, sfociò in una Comune dove la «gente» onesta dell'epoca si ritrovò immersa in una comunità umana che, di fronte alla vecchia merda di Versailles, preannunciava il comunismo. Essa ebbe una grande importanza nella misura in cui il proletariato poté manifestare il suo essere, nella misura in cui poté elaborare e realizzare una parte del suo programma: ma paragonato al movimento che potrebbe prodursi oggi, ciò non potrà che sembrarci cosa da poco.

La nostra epoca è quella del comunismo, vale a dire della realizzazione pratica di quanto, sotto la Comune, non fu che un abbozzo. Il movimento rivoluzionario della società non potrà dunque prendere la forma «comunale»: esso prenderà la forma della realizzazione pratica, immediata e senza discussioni del programma comunista del partito proletario. La nostra epoca è quella dell'abolizione della divisione sociale del lavoro, il che significa la soppressione dei limiti di impresa nella produzione, l'abolizione del contrasto tra città e campagna, la sintesi sociale di scienza e attività umana pratica.

Ogni tentativo proletario che non distrugga da cima a fondo l'ossatura attuale del mondo economico, si condannerebbe a rimanere prigioniero dei limiti inerenti alle forme capitalistiche attuali, e nello stesso tempo ad essere controrivoluzionario. Infatti, delle Comuni di produttori indipendenti le une dalle altre non farebbero che perpetuare lo scambio mercantile fra di loro invece di abolirlo. Nella società comunista non c'è più posto per l'autonomia dei produttori, per gli interessi particolari, ma si manifesta unicamente l'interesse della specie umana nel suo insieme, e per essa il solo problema è quello di instaurare le migliori condizioni per la produzione collettiva dei mezzi necessari alla vita. Con il fuoriuscire della storia dal dramma delle classi, è la società come un tutto, e non certe sue singole componenti, a liberarsi da impotenze millenarie , a dirigere la tecnica e il lavoro e l'immensa attività di tutti. Ed è in ciò l'unica, la vera, la prima liberazione: perché rompendo le barriere spietate della necessità, gli uomini si leveranno verso un campo sterminato di attività multiformi e grandiose, superando i risultati deformi e distorti che fino ad oggi hanno generato l'uso e l'abuso dell'intelligenza, e l'ipocrisia del controllo delle coscienze, al punto da essere a giusto titolo ascritti alla preistoria: solo allora la storia potrà veramente cominciare.


Note
1 Proletariato: diciamo proletariato e non classe operaia. Non si tratta qui di una «categoria economica». Che il «salariato» possa essere «quantificato» è cosa che dal nostro punto di vista non è essenziale. Ciò che invece è essenziale, è che il salariato è un rapporto sociale di cui il proletariato nel suo movimento storico costituisce la negazione. Vedi il numero 3 di Invariance (luglio-settembre 1968) sulla teoria del proletariato. Alcuni testi si possono reperire in italiano nell'opuscolo I fondamenti del comunismo rivoluzionario edita da «Il programma comunista». Il giornale di questo movimento, definitosi Partito Comunista Internazionale, non riveste praticamente più alcun interesse dal 1966, poiché non riflette più le posizioni della Sinistra comunista italiana. Talvolta vi appaiono riproduzioni di vecchi articoli: è l'ultimo sforzo teorico che costoro si possono concedere. Dopo la morte di Amadeo Bordiga, che vi aveva lungamente collaborato, essi si servono del suo nome per affermare le loro banalità (la banalità eretta a... programma!). Molto interessante è invece la prefazione di P. Guillaume ai testi di Rosa Luxemburg e Franz Mehring, Scioperi selvaggi, spontaneità delle masse, La Vecchia Talpa, Napoli 1970.
2 Vedi la recentissima rivoluzione culturale cinese, sedicente «proletaria», che ha investito un intero sub-continente.
3 Il capitalismo si è sviluppato in URSS sotto forma di capitalismo «di Stato». Tuttavia, precisare tale questione nel testo avrebbe comportato una lunga digressione. Vogliamo porre l'accento sull'aspetto determinante del modo di produzione vigente in URSS, la cui essenza è costituita dal salariato, e quindi dal capitale. Il capitalismo «di Stato» è l'involucro nel quale il capitalismo ha potuto manifestarsi nelle particolari condizioni della Russia; come il capitalismo «privato» è stato, durante la rivoluzione borghese in Europa occidentale, la forma nella quale il capitalismo si è sviluppato contro la proprietà di tipo feudale. Su questo aspetto vedi, di Amadeo Bordiga, Dialogato con Stalin (1952), La Vecchia Talpa, Napoli 1971; Dialogato con i morti, Edizioni Il programma comunista, Milano 1956, e Struttura economica e sociale della Russia d'oggi (1955), Editoriale Contra, Milano 1966.
4 Vedi James Boggs, La rivoluzione americana, Jaca Book, Milano 1968; «Invariance», n. 2, aprile-giugno 1968 (trad. it. Jacques Camatte, Il capitale totale. Il capitolo VI inedito de “Il Capitale” e l'opera economica di Karl Marx, Dedalo, Bari 1977), e Thèses sur la révolution communiste. IV: La développement du capitalisme, in «Invariance», n. 6, 1969.
5 È sufficiente rilevare che lo Stato russo ha dovuto fare ricorso a venti divisioni corazzate ultramoderne (una potenza di fuoco equivalente a quella dell'intero esercito francese attuale) per venire a capo dell'insurrezione ungherese del 1956. Ricordiamo che l'Ungheria conta otto milioni di abitanti.
6 L'occupazione della Cecoslovacchia, portata a termine in tre ore, nell'agosto del 1968, ha ampiamente dimostrato le sue notevoli capacità operative.
7 Vedi Quarant'anni di un'organica valutazione degli eventi di Russia nel drammatico svolgimento sociale e storico internazionale. 7 novembre 1917-57, «Il Programma Comunista», n. 21, 8-25 novembre 1957.
8 Teoria del proletariato: la teoria del proletariato non è il prodotto della dinamica propria del lavoro degli intellettuali (kautskismo e leninismo). Essa è il prodotto della lotta del proletariato. È l'insieme dei vari elementi di questa lotta (atti, scritti, parole) che rende esattamente conto di ciò che avviene, di ciò che è, dal punto di vista del proletariato. Il suo presupposto è la dinamica di sconvolgimento della società borghese, che tende a investire alla radice il fondamento stesso della società: il lavoro salariato.
9 Les marmites erano ristoranti-cooperative per operai, organizzati da Varlin.
10 I blanquisti: si tratta, in realtà, soprattutto di Blanqui. Blanqui ebbe una grande influenza sul movimento rivoluzionario prima della Comune. È certo che la sua presenza in seno alla Comune avrebbe evitato parecchie stragi, perché sarebbe stato senza dubbio l'elemento più adatto ad organizzare la difesa di Parigi. L'immagine che ne ha dato il movimento «marxista» ufficiale, descrivendolo come un «putschista» illuminato, è molto lontana dalla realtà. Il proletariato dell'epoca era lungi dall'essere omogeneo, il problema del comunismo si poneva molto meno chiaramente che ai nostri giorni. Se la sezione francese dell'Internazionale ebbe il merito di essere realmente il centro di raccolta degli operai più radicali, essa era d'altro canto ancora largamente influenzata dalle idee proudhoniane, che nella Francia piccolo-borghese ebbero una grande influenza. I blanquisti, invece, per quanto abbiano sopravvalutato la situazione, hanno avuto il merito di considerare i problemi dell'insurrezione in termini immediatamente pratici. Si vedano, a questo riguardo, i lavori di Dommanget su Blanqui, e il testo di Blanqui, Istruzioni per il sollevamento in armi (1868).

Comments

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Pantaléone
Friday, 02 July 2021 21:23
"In una società comunista non c'è spazio per l'autonomia dei produttori, per interessi particolari, ma solo per l'interesse della specie umana nel suo insieme, e per essa l'unico problema è quello di stabilire le migliori condizioni per la produzione collettiva dei mezzi necessari alla vita. "Bella sintesi e bel lavoro
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