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Tempus fugit

Bimbo Alieno

Il tempo è una dimensione sorprendentemente elastica: può essere dilatato, compresso, esteso talvolta addirittura fermato. Le dimostrazioni scientifiche e le spiegazioni teoriche ci sono arrivate dalle più brillanti menti della Fisica del ‘900. Le dimostrazioni in campo finanziario si sono preoccupati di regalarcele, con particolare generosità, prima Alan Greenspan e ora Ben Bernanke.

Attraverso l’utilizzo della leva dei tassi, del QE, delle agenzie di rating, degli editoriali di influenti media finanziari, della pochezza del Congresso su tematiche strettamente “tecniche”, della “printing press”, ecc. ecc. Greenspan e Bernanke hanno rimandato, e qualcuno ritiene addirittura eliminato, il momento di quel collasso di sistema che alcuni pronosticavano come prossimo, inevitabile.

Chiaramente qualunque opzione è valida quando il tema è “c’è un guaio enorme che chiede di essere risolto qui e ora” e la risposta di Alan e di Ben più o meno è sempre stata orientata a far sì che il “qui” diventasse “anche laggiù e là in fondo” e “ora” diventasse un “magari dopo”.
Buchi? stampando denaro li coprirò, pagheranno le generazioni future con l’inflazione (non ora).


Dollaro svuotato di forza per eccesso di stampa? Attento Mondo:

a. l’euro potrebbe non durare un semestre, la Grecia è un colabrodo e se anche la si salvasse ci sono altri quattro Maiaaaali
b. gli SDR esistono solo a livello teorico e sono composti anche da monete non liquide, perché non scambiate sulle piazze internazionali 24h/24
(non qui)


Se poi il rischio fosse che la politica monetaria allegra fa salire i rendimenti delle obbligazioni, allora Ben usa la dirompente forza della Fed per diventare il più grande compratore di titoli lunghi e scadenti, facendone alzare innaturalmente i prezzi (e di conseguenza abbassare innaturalmente i rendimenti). Tutto funziona finché hai le redini ben salde nelle mani e i piedi ben infilati nelle staffe.


Ma ovviamente non è così: Cina e Giappone hanno nelle loro riserve somme ingenti di debito pubblico americano.

Più ne hai e meno desideri che si svaluti, Ben fa molto affidamento su questo.

Tuttavia l’arma del ricatto è in mani estere e questo rende gli USA una ex-unica superpotenza.

Proviamo ad immaginare, per puro esercizio, che -ad esempio- il Giappone proceda alla dismissione massiva di Treasury dalle proprie riserve. Innanzitutto dovremmo chiederci di cosa potrebbero costituirsi quelle riserve al posto dei Treasury: di certo non Yen (vendendo i Titoli americani già si indebolirebbe il dollaro, di certo non si può pensare di dare pure forza allo Yen), dunque con maggior probabilità si tratterebbe di euro, sterline e franchi svizzeri oltre, ovviamente, all’oro. Oro, che vedrebbe il suo prezzo nominale salire con forza: il dollaro in discesa porterebbe automaticamente nuova forza sul metallo giallo.

Data la grande dotazione di Titoli disponibili alla vendita l’effetto sarebbe quello di un “anti-QE”, cioé esattamente al contrario del QE la continua pressione in vendita dei Titoli di Stato americani ne farebbe salire i rendimenti.

Un vero guaio per tutti gli altri detentori di Treasury bond: già il dollaro è in discesa, se poi scende anche il prezzo nominale del Treasury la velocità di svalutazione degli asset è doppia, il tutto potrebbe sfociare in un allargamento della strategia di vendita dei T-bond, Washington non potrebbe certo stare lì a guardare i propri creditori che litigano per disfarsi dei loro titoli e dovrebbe dare un messaggio forte: un innalzamento dei tassi di riferimento. Perché? Tassi più alti sono un invito a tornare a comprare dollari: si offre una remunerazione maggiore a chi ne compra. Il dollaro torna a salire e il Giappone dopo una lunga e dolorosa battaglia riesce a far tornare lo Yen su valori che rendono competitive le sue imprese.

Ma tassi più alti implicano anche una migliore remunerazione per il capitale se investito fuori dagli asset rischiosi: un incentivo a vendere le azioni ed un incentivo a consumare meno, perché i risparmi rendono di più.

In questa fase di rallentamento della crescita, con latenti rischi di “double dip”, l’effetto di un rialzo dei tassi sarebbe quindi un nuovo scossone sulle borse, ed un nuovo calo del PIL, con allegate nuove preoccupazioni sulla qualità del debito americano, che per tornare appetibile dovrebbe offrire tassi ancora più alti. Una spirale mortale.

Questo svolgimento degli eventi dovrebbe restare un puro esercizio di stile, perchè la diplomazia farà di tutto per evitare che si innesti un simile meccanismo mortale. Ma allo stesso tempo gli USA devono trovare la via per “riportare a casa” non solo le truppe dall’Afghanistan ma anche il loro debito. Per farlo occorre un tasso di occupazione in salute (e siamo molto lontani) ed una minor propensione al consumo dei cittadini, che devono diventare più risparmiatori.


Dunque possiamo intravedere la politica economica americana con più chiarezza: esistono ampie sacche di consumatori potenziali nei Paesi emergenti (emersi) che possono rendere meno importanti i consumi interni; se attraverso una progressiva svalutazione del dollaro -e possibilmente una rivalutazione delle monete di quei Paesi (non a caso gli inviti alla Cina per la rivalutazione dello yuan sono così insistenti)- le grandi industrie americane diventeranno competitive, esse potranno rivolgersi a quei mercati per vendere i loro prodotti.
Con una bilancia commerciale positiva, dopo anni di deficit, si potrà da una parte calmierare l’esposizione debitoria del Tesoro, e dall’altra indurre i cittadini a comprare, con i loro risparmi, dei bei pacchetti di Treasury, così da non dover dipendere ad ogni emissione dalla generosità dei compratori esteri.

Nel frattempo tutte le materie prime, che vengono commerciate in dollari, compenseranno nel prezzo la svalutazione dela moneta, portando inflazione un po’ dappertutto così da spalmare il problema statunitense sul globo, il che è molto americano…

Riusciranno i “nostri eroi” nell’impresa?

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