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cumpanis

Ricardo, Marx, Sraffa e i comunisti

di Ascanio Bernardeschi

Nella Sezione "Scuola Quadri" di "Cumpanis" è stato pubblicato, lo scorso 29 aprile, un intervento del professore di Economia e Diritto, e collaboratore del nostro giornale, Federico Fioranelli. Un articolo relativo al pensiero del grande economista comunista Piero Sraffa. In relazione a questo articolo ci ha inviato una propria riflessione il compagno Ascanio Bernardeschi, del giornale comunista on-line "La Città Futura". Bernardeschi è un compagno ed un intellettuale marxista che molto stimiamo e che ringraziamo per la sua attenzione al nostro giornale. Pubblichiamo l'interlocuzione di Bernardeschi, alla quale seguirà una replica del compagno Fioranelli

Antonio Gramsci e Piero Sraffa per aticolo di BernardeschiIl 29 aprile, su Cumpanis, Federico Fioranelli propone un buon sunto del contributo di Piero Sraffa all’economia politica volto a rivalutare la teoria degli economisti classici e in particolare quella di David Ricardo, di cui l’illustre economista era un profondo conoscitore, e a porre le basi per una critica della teoria economica marginalista.

La parte dell’articolo che riferisce i contributi precedenti a Produzione di merci a mezzo di merci espone succintamente alcune critiche assai penetranti di quella teoria la quale, per puri motivi ideologici, rappresentava all’epoca di quelli scritti, che dista quasi un secolo dall’oggi, l’ortodossia sciorinata in tutte le salse ai malcapitati studenti dei corsi di economia politica, o economics, come si ama dire oggi dopo aver sbianchettato la parola “politica”. Purtroppo, nonostante quelle critiche, questa ortodossia sopravvive tuttora. Credo che comunque, averne lucidamente evidenziato le falle, sia stato un grande merito di Sraffa, forse il suo maggiore, nonostante sia poco conosciuto. È cosa assai apprezzabile quindi che sia stato messo a conoscenza del lettore di Cumpanis.

Il contributo successivo dell’economista amico di Gramsci, molto più gettonato – e le ragioni potranno essere intuite proseguendo nella lettura -, pubblicato negli anni 60, ha dato luogo invece a una serie interminabile di commenti e dispute. Come afferma con una qualche dose di ragione Fioranelli, questo lavoro recupera le fondamenta della scuola classica. Sono invece meno convinto dell’altra sua asserzione secondo cui recupererebbe anche la teoria marxista.

Cercherò di spiegarne i motivi ma preliminarmente vorrei affrontare una questione terminologica e tuttavia non del tutto irrilevante. L’Autore, in compagnia con la quasi totalità dei commentatori, tra cui lo stesso Lenin, usa l’espressione, riferendosi a Marx, “teoria del valore-lavoro” che, come ha rilevato l’attendibile studioso Roberto Fineschi, il diretto interessato non ha mai usato. Questa dizione è stata invece introdotta per la prima volta dal marginalista austriaco Eugen Ritter von Böhm-Bawerk (Fineschi 2012), protagonista, secondo me, della più goffa critica alla teoria marxiana del valore avendo rivelato una presunta contraddizione fra il primo e il terzo libro del Capitale, quando invece lo scopo di Marx fu quello di dimostrare che i prezzi di produzione derivano dalla trasformazione dei valori per effetto della concorrenza fra capitali e che quindi i valori sono necessari per tale derivazione. Sarebbe una questione di ecologia comunicativa non chiamare una teoria, cui l’Autore parrebbe fondamentalmente aderire, nonostante ne denunci alcune (presunte) imperfezioni, con i termini usati da un feroce e poco documentato critico di tale teoria.

Ma passiamo alla sostanza. Una sostanza rispetto alla quale le opinioni sono molto divergenti, per cui mi accingo a illustrare la tesi che ritengo più convincente, diversa da quella di Fioranelli. Sono infatti del parere che questa ricostruzione sraffiana poco conservi del lascito marxiano. È vero che Sraffa, come del resto già Ricardo, dimostra gli interessi contrapposti fra capitalisti e lavoratori. Ma mi pare che a Ricardo torni e in Ricardo resti. Forse con qualcosa di meno. Infatti, se il grande economista classico poteva sostenere che il profitto non è che una sottrazione dal valore prodotto dai lavoratori, con il modello di Sraffa, in cui avviene la sostituzione della merce tipo al lavoro, non si riesce a chiarire se il capitalista sfrutti il lavoratore, appropriandosi di una parte del “sovrappiù” (trattandosi di merci non si può impiegare il termine “plusvalore”, né tanto meno pluslavoro) o se sia il lavoratore, qualora si impossessi di una parte di questo sovrappiù, che sfrutta il capitalista, come aveva già evidenziato a suo tempo Claudio Napoleoni. Il motivo essenziale lo indica involontariamente Fioranelli: “anziché misurare le merci in lavoro, come fanno Marx e Ricardo, Sraffa misura il lavoro in merci” e quindi scompare il lavoro come unica fonte e misura intrinseca del valore. Ma, ammesso pure che sia effettivamente salvaguardata l’importante intuizione ricardiana, fermarsi qui fa perdere di vista la cesura che Marx opera rispetto all’economia classica. Non a caso l’altro economista di Cambridge, amico di Sraffa e importante studioso di Marx, di cui aveva curato l’edizione italiana del libro I del Capitale per gli Editori Riuniti, Maurice Dobb, ebbe a dire che il lavoro del suo amico era rigoroso sul piano formale ma muto sul piano storico.

I dettagli sono sempre noiosi, ma spesso necessari. Chiedo perciò un po’ di pazienza per gli argomenti che seguono.

Il modello di Produzione di merci a mezzo di merci correttamente sintetizzato dall’Autore, consente di determinare simultaneamente i prezzi e una variabile distributiva (il saggio del profitto o il salario) purché si conosca l’altra. In tal modo si è ritenuto sia stata lanciata un’altra freccia contro la teoria marginalista. Se infatti i prezzi – quelli delle merci prodotte coincidenti con quelli delle merci impiegate nella produzione – debbono essere così determinati, non ha senso parlare di costo marginale – e produttività marginale – del capitale e del lavoro, in quanto tale costo può essere conosciuto solo a posteriori. In altri termini i marginalisti per determinare i prezzi utilizzano il costo marginale, ma per conoscere quest’ultimo dovrebbero conoscere i prezzi, e quindi il ragionamento sarebbe circolare e senza via di uscita.

Diversi economisti hanno però rilevato che questa critica si può applicare nella sostanza anche all’impostazione marxiana. Infatti, se il prezzo dei mezzi di produzione e dei mezzi di sussistenza dei lavoratori (in termini marxiani degli elementi del capitale costante e del capitale variabile) debbono essere determinati simultaneamente a quelli del prodotto, allora anche il procedimento marxiano di trasformazione dei valori in prezzi di produzione è fallace, perché presuppone come noti il valore del capitale costante e del capitale variabile che invece sono determinabili solo a posteriori. In alternativa o in aggiunta a tale lettura i più ritengono che Marx, non disponendo di questi prezzi, sia partito direttamente dai valori non trasformati, ritenendoli una buona approssimazione ai prezzi, ma compiendo così un errore sistematico che avrebbe sottovalutato. È stato infatti dimostrato che il risultato di tale procedimento diverge da quello del sistema sraffiano, considerato l’unico corretto.

Molti marxisti sono caduti in questa trappola e per decenni, dopo aver cercato di separare il bambino dall’acqua sporca, apportando rettifiche all’impianto marxiano – fra i tentativi più noti c’è quello di Ladislaus von Bortkiewicz (Bortkiewicz 1952) –, a seguito di puntuali obiezioni, hanno dovuto ammettere che anche il bambino è mal messo e hanno abbandonato la teoria marxiana del valore, approdando a un ricardo-sraffa-keynesismo che piace tanto anche a una certa sinistra di alternativa.

Perché anche keynesismo? Perché una volta abbandonata la teoria marxiana del valore la legge della caduta tendenziale del saggio del profitto rimane indimostrabile. Addirittura, sulla base di una modello di impianto sraffiano, il giapponese Nobuo Okishio (Okisho 1961) ha dimostrato un famoso teorema secondo cui un miglioramento tecnologico che aumenta il profitto per l’impresa innovatrice non può che aumentare anche quello medio del sistema quando tale miglioramento viene adottato in maniera generalizzata. Ma se non vale la legge della caduta del saggio del profitto, rimane un’unica spiegazione della crisi di sovrapproduzione, quella da domanda. Ecco dunque l’approdo a Keynes, con le necessarie conseguenze anche sul piano delle strategie politiche. Non che Marx non si fosse posto la questione della domanda, ma la considerava solo una delle cause, neppure la principale, della crisi essendo l’altra la caduta tendenziale del saggio del profitto. Approdare a Keynes significa rinunciare almeno a una metà della spiegazione marxiana della crisi e cadere nell’illusione che se ne possa uscire con politiche di sostegno della domanda, politiche che invece deprimono il saggio del profitto e per questo sono oggi rigettate nelle economie mature. Su questo aspetto mi permetto di rinviare a un mio saggio (http://www.dialetticaefilosofia.it/public/pdf/5bernardeschi_marx_crisi.pdf).

Più che “risolvere la questione rimasta insoluta” da Marx, al di là delle migliori intenzioni di Sraffa, questo approccio ha portato acqua al mulino dei suoi detrattori, oppure ha determinato “correzioni” di cui si è fatto beffa anche il premio Nobel Paul Samuelson: “(1) scriviamo le relazioni di valore; (2) prendiamo una gomma e cancelliamole; (3) infine scriviamo le relazioni di prezzo, completando così il cosiddetto processo di trasformazione” (Samuelson 1979).

In effetti la critica marxiana dell’economia politica, riscritta secondo il vangelo degli economisti di scuola sraffiana, si riduce a ben poca cosa a ben poca cosa.

Ma veramente Marx aveva sottovalutato il problema della formazione dei prezzi in regime di concorrenza fra capitali e ritenuto i valori una buona approssimazione ai prezzi, utilizzandoli perciò nel suo procedimento di trasformazione al posto dei prezzi dei fattori produttivi? Ho seri dubbi in proposito. Pur nel carattere di incompletezza e di abbozzo del terzo libro del Capitale, in cui viene affrontato il problema, la trattazione non è così naif come molti suppongono. Infatti in questa sede Marx non parte dal lavoro contenuto nelle merci che costituiscono il capitale ma dai prezzi di costo. Quindi il valore del capitale impiegato è un valore già trasformato in prezzo perché si riferisce a merci prodotte in un precedente processo produttivo, non in quello in cui vengono impiegate, e acquistate al loro prezzo che non è perciò ricavabile simultaneamente a quello del prodotto. È sorprendente che pochissimi commentatori si siano interrogati sul significato dell’espressione “prezzo di costo”.

La metamorfosi del Capitale, come è noto, assume la forma D-M-D’. All’inizio c’è quindi una quantità di denaro che viene messa in circolazione per acquistare i fattori produttivi al loro costo. Il valore del capitale è quindi corrispondente al lavoro astratto rappresentato da quella somma di denaro investita e non al lavoro speso per la produzione delle merci (mezzi di produzione e mezzi di consumo dei lavoratori) che sono impiegate come capitale. È quella somma di denaro che il capitalista intende valorizzare e a quella somma si deve rapportare il plusvalore realizzato per determinare il saggio del profitto. Ed è un valore noto, conseguente agli esiti di precedenti processi produttivi e dell’azione della concorrenza all’atto di acquisto che, ripeto, precede il loro impiego nella produzione. Sraffa, ipotizzando invece una simultaneità, e con ciò l’equilibrio generale, mutua un aspetto della teoria del noto marginalista Leon Walkras.

Le merci impiegate come capitale non sono le stesse merci che escono dal processo produttivo, sono merci già prodotte in precedenza. Spesso non sono neppure lo stesso tipo di merce, come per esempio un computer di nuova concezione prodotto utilizzando computer di precedente concezione. Il nuovo computer non può rientrare come capitale costante fra i mezzi di produzione, se non in un successivo processo produttivo. Ugualmente un nuovo mezzo di consumo, per esempio un muovo modello di cellulare, prodotto da lavoratori che ancora non possono acquistarlo perché non disponibile all’atto della sua produzione, non rientra nei beni di consumo dei lavoratori che lo producono e conseguentemente nel capitale variabile.

Torniamo a Marx.

Si era dapprima partiti dalla supposizione che il prezzo di costo di una merce sia uguale al valore delle merci consumate nella produzione di essa […]. Dato che il prezzo di produzione può differire dal valore della merce, anche il prezzo di costo di una merce, in cui è incluso il prezzo di produzione di altre può essere superiore o inferiore [… al] valore dei mezzi di produzione che entrano in quella merce. È necessario tener presente […] quindi che un errore è sempre possibile quando […] il prezzo di costo viene identificato col valore dei mezzi di produzione” (K. Marx, Il capitale, libro III, Ed. Riuniti, 1989, pp.205-206).

Marx, introducendo i prezzi di costo, non compie questo errore di identificazione!

Non è questa la sede per ulteriori approfondimenti. Il lettore interessato può documentarsi attingendo alla vasta letteratura sulla Temporal Single System Interpretation (TSSI), facilmente reperibile in rete in cui si produce un sistema generale coerente con l’impostazione marxiana e compatibile sia con un saggio uniforme del profitto, sia con un ventaglio di saggi differenziati in ragione di situazioni caratterizzate da un certo grado di monopolio. Una raccolta di contributi è disponibile qui (http://pombo.free.fr/freemancarchedi.pdf). In lingua italiana, oltre all’esilarante Pala 1988, consigliamo la raccolta di saggi a cura di Luciano Vasapollo (Vasapollo 2002).

Si potrebbe aggiungere che una serie di studi econometrici effettuati elaborando dati statistici delle maggiori economie mondiali in molteplici annualità concordano nell’asserire che i prezzi di produzione calcolati alla maniera di Marx approssimano non meno di quelli di Sraffa i prezzi reali. Riguardo al ritorno delle tecniche, di cui riferisce l’Autore, tali studi appurano che nell’economia reale il ritorno delle tecniche non si verifica in quanto l’andamento delle rispettive curve è fortemente approssimato da segmenti di retta. In italiano è possibile consultare Ochoa 1989.

Sempre a proposito di studi quantitativi, è stato verificato anche che la diminuzione del saggio del profitto (fenomeno storico incontrovertibile) normalmente precede e non segue la riduzione degli investimenti che determinano la contrazione della domanda aggregata (Carchedi 2018). Quindi la caduta del saggio del profitto parrebbe una spiegazione della sovrapproduzione non meno importante del deficit della domanda.

Ho cercato di riferire, forse con troppa sinteticità di contributi su un tema che è ancora dibattuto e che non vede concordi gli studiosi. Mi auguro che gli articoli preparati per la sezione “Scuola Quadri” di Cumpanis possano consentire di far conoscere, ai lettori in generale e ai compagni in formazione in particolare, un panorama più completo delle varie posizioni al riguardo. Questo mio contributo spero serva da stimolo per questa più completa rappresentazione dello stato dell’arte.


Riferimenti bibliografici:
Bortkiewicz 1952: L .Bortkiewicz, Value and Price in the Marxian System, International Economic Papers, no 2, MacMillan, 1952, scaricabile qui http://gesd.free.fr/bortk7b.pdf.
Carchedi-Roberts 2018: AA.VV. World in Crisis: A Global Analysis of Marx’s Law of Profitability: Marxist Perspectives on Crash & Crisis, a cura di G. Carchedi e M. Roberts, ed. Haymarket Books, 2018.
Fineschi 2012: R. Fineschi, La merce, in L’ospite ingrato del 10/09/2012, scaricabile qui https://www.ospiteingrato.unisi.it/la-merce/
Ochoa 1989: E. Ochoa, Valori, prezzi e curve salari-profitti nell’economia Usa in AA.VV. Prezzi, valori e saggio del profitto. Problemi di teoria economica marxista oggi, atti del convegno del 20/03/88 organizzato dal CITEP e dal centro Karl Marx, casa editrice Vicolo del Pavone, 1989.
Okisho 1961: N. Okisho, Technical change and the rate of profits, Kobe University Economic Review, vol. 7, 1961.
Pala 1988: G. Pala, Pierino e il Lupo. Per una critica a Sraffa dopo Marx, Ed. Contraddizione, 1988.
Samuelson 1970: P. Samuelson, The Transformation from Marxian Values to Competitive Prices: A Process of Rejection and Replacement, Proceedings of the National Academy of Science, 67(1), 1970.
Vasapollo 2002: AA.VV., Un vecchio falso problema, La trasformazione dei valori in prezzi di produzione nel Capitale di Marx, a cura di L. Vasapollo, Ed. Media Print 2002.

Comments

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Pantaléone
Thursday, 20 May 2021 22:51
Le temps de travail n’est plus la mesure de l’activité humaine et, par conséquent, la valeur est abolie!
(« Appello » et « Programma », L’Azzociazione, Nice-Londres, 1890.)
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AlsOb
Friday, 21 May 2021 22:13
Questa attesa è giusta e nella prospettiva di compimento della soteriologia di Marx: come fine della schiavitù della massa di sfruttati ridotti a topi subordinati al processo formale di valorizzazione dell'unico valore, il valore di scambio.
Tuttavia anche in una società socialista e comunista deve realizzarsi una generazione e accumulazione di surplus, ma in un quadro di rapporti valoriali e sociali di produzione e configurazione spirituale, che supera la miseria infernale filosofica e reale del capitalismo.
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Pantaléone
Sunday, 23 May 2021 13:29
"e la configurazione spirituale", ben inteso, ma quella spirituale richiede un po' più di sviluppo, cosa intendi per "spirituale"?
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AlsOb
Sunday, 23 May 2021 17:13
Secondo la teologia cristologica di Marx, che rispetto a Hegel "materializza" e storicizza dal basso l'azione del logos e la dimensione
concreta dell'accoglienza dello spirito.
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Pantaléone
Sunday, 23 May 2021 18:44
Grazie compagno per questa precisione. Ok il logos è il movimento, movimento della realtà concreta delle forze produttive. Marx, riprendendo Hegel che si è fermato allo stato razionale, riprendendo sulla base del proletariato che non esisteva ancora al tempo di Hegel, i lassalliani, fanno della dialettica hegeliana un metodo applicabile dall'esterno alla produzione capitalista, il cui principio, radicalmente antihegeliano, prende tuttavia in prestito dalla dialettica hegeliana la forma stessa del suo movimento. Quello che Marx ha visto è che il modo di produzione/alienazione sono indissociabili, e che una forma di disalienazione può esistere nella religione, diciamo che uno lascia un abito per indossarne un altro Marx, il passaggio dall'uomo fittizio all'uomo reale, è lei e solo lei che lo rende possibile. È l'operazione stessa della fede nel suo dinamismo di trasformazione dell'uomo, ecc. Più semplicemente, l'inversione della dominazione è la naturalità completata.
Tranne che la "naturlatità completata" (fine della Storia) non è totalmente compresa, dagli stessi marxisti (controrivoluzionari).
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Pantaléone
Sunday, 23 May 2021 18:54
Le renversement, c'est le retour à l'Etre.
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Pantaléone
Sunday, 23 May 2021 18:50
Dialettica delle forze produttive
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Eros Barone
Sunday, 16 May 2021 12:59
Ciò che non viene compreso da coloro che si ostinano a cercare la quadratura tra valori e prezzi, magari con l'aiuto dei concetti di Sraffa che appartengono a tutt'altro campo epistemologico (tali concetti sono infatti relativi ad una variante della teoria marginalista), è proprio il significato della legge marxiana del valore, la quale è vero che determina i movimenti del prezzo e del profitto, ma non diventa visibile in essi. Secondo Marx, la legge del valore è necessaria per capire che cosa si nasconde dietro i prezzi, giacché questi non sono autoesplicativi. E' solo l'analisi condotta sulla base della legge del valore e del plusvalore a far risultare la tendenza, ìnsita all'accumulazione capitalistica, di un saggio decrescente del profitto, la quale può essere posta in evidenza direttamente dal processo in atto. Inoltre, la legge del valore non si riferisce assolutamente a prezzi relativi a profitti di volta in volta dati, bensì alla determinazione del livello generale del prezzo e all'ammontare del saggio medio di profitto quale espressione della dinamica dovuta alla produttività del lavoro. Sappiamo però che nella realtà concreta ci sono soltanto prezzi e la teoria economica borghese contemporanea non si occupa dei rapporti di valore o di tempi di lavoro socialmente necessari. Al contrario, per i classici della scienza economica borghese il prezzo si riferiva ancora al lavoro e la concezione e le relazioni di valore non erano collegate alla produzione 'tout court', bensì alla produzione sociale sulla base della proprietà privata dei mezzi di produzione e della riduzione della forza-lavoro a merce. Sennonché la necessità di siffatta produzione sociale fondata sulla proprietà privata e sulla merce forza-lavoro, ossia l'applicazione e la ripartizione del lavoro in proporzioni tali da assicurare l'esistenza e la riproduzione sociale, si attua nel capitalismo alle spalle dei produttori. Così, importazione e domanda determinano il carattere della produzione convertendo, con una variazione che rimane inconscia, le relazioni di valore connesse a relazioni di tempi di lavoro in rapporti di prezzo, i quali determinano a loro volta una collocazione del lavoro sociale adeguata al capitalismo. E' chiaro che in questo caso si tratta di una particolare distribuzione sociale del lavoro, peculiare al capitalismo, che non si riferisce ai reali bisogni sociali, bensì a bisogni prodotti dalle necessità di valorizzazione dei capitali in concorrenza tra loro. Va da sé che bisogna porre una differenza tra la collocazione del lavoro sociale secondo una necessità naturale e la forma particolare con cui essa si è imposta nel capitalismo, subordinandosi ai bisogni asociali di valorizzazione del capitale. Detto ciò, è bene sottolineare che alla radice degli slittamenti verso la teoria neoclassica e marginalista, che pure ci si propone di criticare, vi sono due errori basilari: l’arbitrarietà della separazione tra produzione e distribuzione, che finisce col dislocare l’analisi marxiana in un àmbito ‘toto coelo’ differente da quello che è proprio del modo di produzione capitalistico, analisi che gli sraffiani viceversa pretenderebbero di rafforzare, e la confusione tra processo lavorativo e processo di valorizzazione. La mancata comprensione del nesso tra produzione e riproduzione (che presuppone la circolazione) si traduce così nella incapacità di determinare “l’espressione del movimento circolare con cui le leggi generali si realizzano in modo contraddittorio nel movimento reale e nell’apparenza” (Marx). Gli sraffiani con il loro relativismo antioggettivistico e i marxisti eclettici con il loro sincretismo senza carattere non arrivano a capire che l’opera di Marx è ben più vasta e complessa di quanto essi vorrebbero credere e far credere. Tale opera non può essere racchiusa nelle rigide strettoie quantitative del mero calcolo delle curve di distribuzione e di reddito, poiché questa sfera, una volta rescissa dal modo di produzione di cui è il correlato, di per sé non può dire nulla. Gli aspetti qualitativi dell’intero processo di produzione e riproduzione sociale non possono essere pertanto accantonati come irrilevanti o marginali. Una volta tolti, divengono storicamente e teoricamente irrecuperabili, pena la degenerazione ‘volgare’ dell’economia politica e della sua stessa critica. Scrive infatti Marx nella sua “Critica al programma di Gotha”: «Il socialismo volgare (e con esso una parte della democrazia) ha ereditato dagli economisti borghesi l’abitudine di considerare e trattare la distribuzione come indipendente dal modo di produzione, e perciò di rappresentare il socialismo come qualche cosa che riguarda essenzialmente la distribuzione. Ma dato che rapporti reali sono stati da molto tempo messi in chiaro, perché tornare indietro?». Ecco perché il discorso va riportato sul suo giusto terreno, dando rilievo al tema fondamentale della concorrenza intercapitalistica, vero asse di gravitazione della teoria della trasformazione dei valori in prezzi. Non a caso fra gli elementi teorici comuni a Sraffa e a Keynes vi è il fatto che essi considerano il "Capitale" con la C maiuscola come unico e non contraddittorio. Per essi la decisionalità capitalistica non ha una natura intrinsecamente conflittuale e quindi la pluralità dei capitali particolari rimane puramente formale e non incide sull’analisi del modo di produzione capitalistico. È allora evidente che un simile approccio, sommandosi alla mancata comprensione del significato della legge del
valore-lavoro, ha conseguenze importanti sulla rappresentazione del modo di produzione capitalistico come sistema sociale, e in particolare sulle sue crisi e sulla sua evoluzione. Ancora una volta certi marxisti, dibattendo seriamente la concezione accademica degli 'errori’ di Marx e di che cosa possa essere salvato di essa, ignorano gli argomenti e perfino l’evidenza empirica che ci condurrebbero a considerare almeno la possibilità che Marx non commise nessuno di tali errori.
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AlsOb
Tuesday, 18 May 2021 15:31
Tutto condivisibile in astratto, però è un poco forzato dire che Sraffa rientri nell'ambito di una variante marginalista, il suo modello a coefficienti fissi si richiama alla tradizione classica. E gli si può dare una interpretazione marxiana.
Per inciso la produttività marginale decrescente del misterioso capitale della pseudometafisica neoclassica impone che il profitto diminuisca al suo aumentare e eventualmente sia zero nel mondo perfetto. Keynes pure in modo confuso si auspica che vi sia abbastanza capitale fisico da annullare il profitto.

Marx con la sua distinzione tra piano esoterico della spiegazione scientifica e rapporto con la dimensione essoterica dei fenomeni apparenti propone la potente teoria del valore, che offre una visione complessiva del funzionamento e processo di accumulazione del capitalismo. In accordo con essa tautologicamente il tasso di profitto diminuisce all'aumentare del capitale (circolante o fisso, non è mai ben chiaro l'intendimento).
Tuttavia Marx sa che i prezzi non sono una illusione ottica galileiana, ma i riiferimenti oggettivi che guidano la dinamica di accumulazione e valorizzazione del valore di scambio. E sostanzialmente tutti i suoi ragionamenti e analisi sono sempre in termini di prezzi. Se dà una soluzione o suggerimento di soluzione, pure matematicamente corretta, al problema del passaggio dai valori ai prezzi non può evitare che sussista quello che venne chiamato il problema del lemma di Marx, al quale indirettamente si riferisce Samuelson, quando ironizza sul dualismo.
La vera ironia che si dovrebbe però rinfacciare a Samuelson è che la pseudometafisica neoclassica è ideologia e anti scienza.
L'analisi di Marx, invece, così rimossa e cancellata per ragioni ideologiche, la più potente e efficace rappresentazione scientifica del capitalismo.
Non a caso Rosa Luxemburg è la madre delle politiche perversamente applicate oggi per tenere in piedi l'accumulazione finanziaria
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carlo rao
Saturday, 15 May 2021 04:05
Valore, lavoro e prezzi nello schema marxiano sono combinati tra loro in modo erroneo. Questo difetto logico è evidenziato dallo stesso Marx, laddove nel III Libro del Capitale annota che nel considerare come valore il prezzo di costo (c + v) di una merce si può cadere in errore perché in quel prezzo può essere incluso il prezzo di produzione di altre merci, e se quest’ultimo differisce dal valore della merce essendovi applicato un saggio medio del profitto (r), allora anche il prezzo di costo di quella merce non sarebbe pari al valore della quantità di lavoro in essa incorporato. In altri termini dato che il capitalista paga c e v al loro prezzo di produzione, che già contiene come suo componente il saggio medio di profitto, la formula r = s /c + v è errata perché pretende di determinare r che invece dovrebbe già essere conosciuto in quanto contribuisce a comporre il prezzo di c e di v. Tuttavia sempre Marx suggerì come ovviare all'errore, e sulla base delle sue stesse indicazioni si sviluppò in seguito un ampio dibattito, di cui certamente Sraffa era a conoscenza. In sostanza, la sua definizione di "merce-tipo" non era affatto così distante, come potrebbe sembrare ad uno sguardo superficiale, dall'indicazione marxiana di una "industria media" la cui definizione rigorosa potrebbe aggirare il difetto logico di cui sopra. Non a caso lo stesso Sraffa, in scritti successivi al suo "Produzione di merci...", riprese in considerazione la teoria del valore di Marx, quantomeno nei suoi aspetti qualitativi.
Sarebbe assai interessante riprendere anche il contributo di Sraffa nella ricerca di una definizione corretta di dove si determina oggi il saggio di profitto, nel dominio attuale di capitale finanziario e capitale fittizio.
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AlsOb
Friday, 14 May 2021 00:55
Come ammesso anche da A. Bernardeschi, Federico Fioranelli ha scritto un ottimo articolo, che in modo elegante e didascalico spiega in modo logico e senza inutili fronzoli il nucleo del contributo di P. Sraffa a un pensiero economico che rivalutasse il punto di vista dei classici contro la pseudometafisica neoclassica.
La critica che A. Bernardeschi solleva ha un carattere prevalentemente politico e sentimentale e si basa su una affermazione,"Perché una volta abbandonata la teoria marxiana del valore la legge della caduta tendenziale del saggio del profitto rimane indimostrabile." abbastanza equivoca e fuorviante.
La formula aritmetica basata sulle ore lavoro è incontrovertibile, ma se si passa ai prezzi le cose si fanno più complicate.
Tuttavia ciò che conta è che si deve ricordare e assumere che il sistema dei prezzi di produzione, al di la dei formalismi matematici (e la prospettiva Temporal Single System Interpretation presenta molte problematiche, non meno o forse più di altre), si fonda sulla teoria del valore di Marx e vi è ben ancorata.
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Pantaléone
Friday, 14 May 2021 08:12
Il prezzo contribuisce alla riproduzione dell'ordine sociale (dominio).
Per la seguente ragione:
La formazione dei prezzi, permettendo ai più ricchi di pagare meno e costringendo i più poveri a pagare di più per gli stessi beni, contribuisce alla riproduzione dell'ordine sociale così com'è e quindi lo rafforza ulteriormente nel suo stato attuale.

"Il meccanismo reale di formazione dei prezzi può sempre essere modellato (più o meno adeguatamente), ma è soprattutto un meccanismo umano di cui i soggetti determinati sia dalla loro psicologia che dai gruppi sociali di cui fanno parte costituiscono il fondamento, la realtà profonda. Se le regole possono essere astratte da questa realtà, devono tenere conto di questi soggetti e non accontentarsi, per esempio, di far intersecare le curve astratte di Domanda e Offerta. Perché queste curve sono finzioni, invenzioni, mentre gli uomini e le donne che creano i prezzi sono reali.
P.Jorion
Revue du MAUSS 11 aprile 2007.


Tradotto con www.DeepL.com/Translator (versione gratuita)
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Pantaléone
Friday, 14 May 2021 08:25
Per mettere le cose in ordine, il capitale è un'accumulazione di valore, sarebbe scorretto dire che Kapital è un'accumulazione di prezzo!
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AlsOb
Saturday, 15 May 2021 14:16
Per mettere i puntini sulle i è una accumulazione (dei capitalisti e classe dominante) di valore di scambio, che da forma e contenuto al "valore".
La maggioranza della popolazione sono animali di grado inferiore e da scarto funzionali a quello scopo.
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Eros Barone
Thursday, 13 May 2021 21:20
Il neoricardismo, di cui Piero Sraffa è il principale esponente, è una variante, seppur minoritaria, della teoria marginalista. Piero Sraffa sviluppa, basandosi sulle interdipendenze settoriali e utilizzando l'algebra delle matrici, un calcolo dei prezzi che sembra diverso ed in contrasto con la dottrina marginalista. L’interdipendenza si può esemplificare attraverso l’industria del petrolio, la quale distribuisce carburanti su tutte le branche produttive e sui consumi. La somma di questa distribuzione equivale (a parità di scorte) alla quantità prodotta. Poiché questo vale per tutti i comparti produttivi, le diverse merci dànno luogo, nei loro scambi e nella riproduzione, ad un sistema di equazioni, la cui soluzione fornisce le quote produttive e quelle di distribuzione. Si tratta del sistema produttivo nel senso proprio del termine. Tuttavia, è solo associando alle merci i relativi prezzi che il sistema diventa economico. In effetti, ciò che si ottiene da questo algoritmo non è altro che una rappresentazione fotografica, quindi statica, della realtà: rappresentazione che non spiega nulla e che non segna alcun progresso rispetto al marginalismo che pur pretende di combattere. E invero, se le basi del marginalismo sono chiaramente soggettive (e soggettivista è la sua epistemologia), con Sraffa scompare qualsiasi base. Presentare quindi Sraffa come "un grande economista comunista" è una pura falsità (a meno che non si intenda estendere i meriti di un "compagno di strada" del movimento comunista, quale fu Sraffa, oltre quei confini meramente politici che ne fanno una figura complementare a quella, invece interna a tale movimento, di Antonio Graziadei). E in effetti il comun denominatore teorico dei sistemi di prezzi, vuoi marginalisti vuoi sraffiani, è un mondo statico e senza crisi. In questo senso Sraffa non solo ignora l’esistenza di Marx (altrimenti il campione dell’anticomunismo, John Maynard Keynes, suo maestro a Cambridge, lo avrebbe messo al bando), ma, da buon neokantiano, quale il suo amico Antonio Gramsci esattamente lo giudicò sul piano teoretico, di Marx egli ha combattuto categorie economiche, metodo dialettico e conclusioni. Il suo libro, “Produzione di merci a mezzo di merci”, è una sequela di equazioni priva di respiro storico, statica, formale, senza vita. Sraffa appare così come uno 'stasiota' parmenideo, dunque più statico delle posizioni marginaliste che pretende di combattere. Nelle sue equazioni lo squilibrio, la sovrapproduzione e la crisi scompaiono, esattamente come accade nella nota fiaba di "Alice nel paese delle meraviglie", in cui la ragazza può giungere ad affermare l'esistenza del sorriso senza il gatto. Del resto, nella costruzione dei suoi sistemi gli schemi marxiani della riproduzione (sviluppati da Marx nel secondo libro del "Capitale"), che persino gli economisti borghesi (ad esempio, Paul Samuelson) hanno lodato, sono del tutto ignorati. In realtà, la fortuna di Sraffa è strettamente connessa all'egemonia dell’opportunismo nel movimento operaio, dove ha 'coperto' lo snaturamento e l'abbandono del marxismo, i quali hanno rappresentato la via di passaggio al campo borghese. Così, nel mentre la teoria dello sfruttamento è ignorata, categorie quali valore e plusvalore non esistono e il salario, ridotto a fattore esogeno, non è assunto, nemmeno da un punto di vista borghese, come “fattore di produzione”. Esso compare solo quando serve alla costruzione della teoria e viene definito in questi termini: “Abbiamo finora supposto che il salario consista di quanto è necessario per la sussistenza dei lavoratori ed entri a far parte del sistema sulla stessa base del combustibile o del foraggio per il bestiame” (op. cit., Einaudi, Torino 1991, pp. 11-12). Nella riproduzione semplice per Sraffa non vi è profitto: sennonché l'economista torinese non si accorge della contraddizione con quanto accenna successivamente a proposito della ripartizione del consumo con i capitalisti, che presuppone il profitto. Tale ripartizione è menzionata solo nel capitolo sulla riproduzione allargata, che egli chiama “produzione con sovrappiù”, dove fa la sua comparsa il profitto (op. cit., p. 7). Di fronte ai tentativi di segno neo-revisionista e
cripto-liquidazionista, con cui talune forze politiche ed intellettuali sopravvissute alla disgregazione dell''old party' cercano di perpetuare la loro nefasta funzione controrivoluzionaria, occorre allora impedire, con un preciso intervento sul "terzo fronte" della lotta di classe, che la teoria economica di Marx sia derubricata da scienza a sociologia, ristabilendo i corretti princìpi e le giuste premesse da cui dipende il futuro di un movimento comunista ortodosso, tanto rigoroso sul piano ideale quanto duttile sul piano politico.
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AlsOb
Friday, 14 May 2021 01:08
È una valutazione affrettata e ingenerosa nei confronti di P. Sraffa, che scrisse il suo "piccolo librino" in modo denso e magistralmente logico, con degli obiettivi abbastanza chiari, che Federico Fioranelli enuclea con maestria.
Era una introduzione, poi per motivi anche o soprattutto di salute, Sraffa non riuscí a riprendere l'analisi e andare oltre.
Ovviamente tutte le critiche suggerite, anche con una certa foga, sono condivisibili, ma andrebbero declinate meglio, nell'ambito di un discorso più articolato e che faccia riferimento a spregiudicate appropriazioni o utilizzi.
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Eros Barone
Friday, 14 May 2021 18:08
Già, "piccolo librino", cioè, sciogliendo il diminutivo, "piccolo piccolo libro"...
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AlsOb
Saturday, 15 May 2021 14:24
Nessuno sa chi sia Sraffa da almeno tre decenni e men che meno viene studiato o ha qualche rilevanza nello studio dell'economia.
Vi è una setta che a lui si vorrebbe ispirare e che assomiglia a certa setta postkeynesiana, di norma entrambe alimentano astio nei confronti di Marx, da sembrare la conveniente e artificiale altra faccia della medaglia.
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Pantaléone
Friday, 14 May 2021 00:14
Chiaro e preciso, Eros, piacere di leggere la tua presentazione estremamente pertinente, che a dire il vero mi rende felice, e che non mi stanco mai di leggere e rileggere, una buona padronanza della materia, grande cultura, grazie ancora per questi dettagli.
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Pantaléone
Thursday, 13 May 2021 11:25
Poiché lo scopo del capitale è la produzione del profitto e non la soddisfazione dei bisogni, [...] ci deve essere necessariamente una discordanza incessante tra le dimensioni ristrette del consumo su base capitalista e una produzione che tende incessantemente a rompere questa barriera che le è immanente. [C, VI, 269]
Il sottoconsumo non è la causa delle crisi, ma una condizione dell'accumulazione. Questo può essere visto dal doppio ruolo dei lavoratori salariati come produttori di plusvalore.
Da un lato, l'aumento del loro potere d'acquisto appare come una garanzia del flusso di prodotti sul mercato. D'altra parte, la restrizione dei salari è la condizione per la valorizzazione del capitale
Ogni capitalista, sapendo che non occupa la posizione del produttore nei confronti del consumatore, cerca di limitare al massimo il consumo del lavoratore, cioè la sua capacità di scambio, il suo salario. Naturalmente vuole che i lavoratori degli altri capitalisti consumino il più possibile le sue merci.
Ma il rapporto tra ogni capitalista e i suoi operai è semplicemente il rapporto di capitale e lavoro, il rapporto essenziale. Ed è proprio da questo che nasce l'illusione di ogni capitalista, convinto che, a parte i propri operai, tutto il resto della classe operaia si presenti a lui come consumatore e scambiatore, come spenditore di denaro, e non come lavoratore. [M, I, 359-60].
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Pantaléone
Thursday, 13 May 2021 11:22
La finalité du capital étant la production de profit et non la satisfaction des besoins,[...] il doit nécessairement y avoir sans cesse discordance entre les dimensions restreintes de la consommation sur labase capitaliste et une production qui sans cesse tend à franchir cette barrièrequi lui est immanente.[C, VI, 269]
La sous-consommation est, non pas la cause des crises, mais une condition de l’accumulation. On le constate à partirdu double rôle des travailleurs salariés, comme producteurs de plus-values.
D’uncôté, l’accroissement de leur pouvoird’achat apparaît comme une garantie de l’écoulement des produits sur le marché. De l’autre, la restriction del eur salaire est la condition de la valorisation du capital
Chaque capitaliste, sachant qu’il n’occupe pas face à son ouvrier la position du producteur face au consommateur,cherche à limiter au maximum laconsommation de l’ouvrier, c’est-à dires a capacité d’échanger, son salaire. Il souhaite naturellement que les tra-ailleurs des autres capitalistes consomment le plus largement possible sa marchandise.
Mais le rapport entre chaque capitaliste et ses ouvriers est tout simplement le rapport du capitalet du travail, le rapport essentiel. Et c’est précisément de là que naît l’illusion de tout capitaliste, persuadé que,à part ses propres ouvriers, tout le restede la classe ouvrière se présente à lui comme consommateur et échangiste,comme dépenseur d’argent, et noncomme ouvrier.[M, I, 359-60]
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