Print Friendly, PDF & Email

dazebaonews

Perché ancora Marx

di Marcello Musto

Nel corso delle ultime settimane, da quando la crisi finanziaria internazionale si è sviluppata così violentemente da sradicare, con le furie dei propri venti, non solo alcune delle più grandi istituzioni del capitalismo americano, ma lo stesso modello neoliberale spacciato come pensiero unico fino a pochi mesi fa, tutti i principali quotidiani internazionali, non importa se di tendenza riformista o liberale, hanno reso omaggio a Karl Marx e alle sue tesi. Egli è ritornato a essere citato negli editoriali dei maggiori quotidiani finanziari mondiali e a essere ritratto sulle copertine di diffusissimi e autorevoli settimanali di Stati Uniti ed Europa.
 
Alcuni di questi hanno sostituito il viso della Statua della libertà con un profilo soddisfatto di Marx, mentre l'Economist di due settimane fa raffigurava il presidente francese François Sarkozy, in visita a New York, intento a leggere avidamente una copia de Il capitale mentre, sullo sfondo, i palazzi di Wall Street crollavano inesorabilmente.

In tutte le descrizioni e le immagini in cui ho visto ritratto Marx durante queste settimane, egli appariva sempre sorridente e, nonostante il passar degli anni, mi è sembrato piuttosto in forma, anche quando a fare i conti con le sue analisi erano giornalisti che non possono certo essere definiti suoi seguaci.
È per questo motivo che sono rimasto davvero perplesso quando ho letto, invece, proprio sul quotidiano di Rifondazione Comunista, in un articolo a firma del suo direttore Sansonetti sulla crisi del capitalismo e la manifestazione dell'11 di ottobre (che ha visto sfilare 300.000 partecipanti ed è stata definita da tutti a sinistra come un successo), le seguenti parole: “Non mi pare che ci sia altra via percorribile se non quella di ripartire da zero”; non bisogna “pensare per dogmi”, ma “capire che il marxismo, che è una gigantesca teoria politica, non è più sufficiente”.

 

Nell'articolo si legge, infatti: il marxismo “non ha saputo sciogliere alcuni nodi decisivi (il rapporto tra Stato e potere, tra Stato e libertà, tra uguaglianza e libertà) [e] ha costruito tutto su una sola ipotesi di contraddizione (quella tra capitale e lavoro) ignorando altre contraddizioni … e cioè quella di sesso e quella ambientale”.

Vorrei rivolgere allora una domanda: di quale marxismo stiamo parlando? Possibile che, con oramai quasi 20 anni alle spalle, un partito che ha scelto di chiamarsi “Rifondazione Comunista” identifichi ancora il pensiero di Marx con l'ortodossia e l'economicismo del “marxismo-leninismo” o con le grigie esperienze statuali del “socialismo reale”? Di tutt'altro profilo da questi modelli sono non solo tanti marxismi critici (passati e presenti), ma lo stesso Marx, del quale andrebbe anzitutto ricordato la perspicacia della sua analisi del modo di produzione capitalistico.

Quando Marx elaborò le  proprie teorie, il capitalismo esisteva solo in Europa e negli Stati Uniti e, tranne che in Inghilterra e in pochi altri centri produttivi, era ben lungi dall'aver dispiegato una forma industriale sviluppata. Ciò nonostante, egli ne preannunciò l'espansione universale e previde la generalizzazione dello statuto del lavoro salariato che sarebbe di conseguenza avvenuta in tutto il pianeta. Non è questo - se si guarda il mondo con uno sguardo meno euro-centrico - un fenomeno più rilevante (e collegato) del declino della classe operaia nel vecchio continente? E non è anche questa una evidente ragione perché il lavoro, nelle sue mutate condizioni ma nel persistente e spesso ancora maggiore sfruttamento rispetto al passato, debba continuare a essere considerato la questione centrale per la sinistra? (al contrario, Sansonetti afferma di non essere “affatto convinto che si possa riprendere il 'discorso' sulla sinistra dalla conferma del lavoro come tema centrale”).

Ancora, proprio oggi che il capitalismo ha conosciuto uno straordinario sviluppo per diffusione e intensità, alcune analisi di Marx si manifestano con un'evidenza addirittura maggiore che nel suo stesso tempo. Basti pensare all'importanza dell'accumulazione realizzata mediante la finanza e il sistema di credito, che egli abbozzò nel III volume de Il capitale, o alle crisi di un capitalismo che, avendo esaurito la propria espansione geografica, è sempre più vittima delle sue stesse contraddizioni. Marx appare, dunque, essenziale e, dopo anni di pensieri deboli, manifesti a-ideologici di post-modernismo, generiche teorie sulla globalizzazione, solenni discorsi sulla “fine della storia” e sbornie di vacui pensieri biopolitici, il valore delle sua teorie torna a essere sempre più riconosciuto.

Perché allora questa posizione di Liberazione (purtroppo non è la prima volta)? Perché questo guardare il marxismo come a un ferro vecchio, anziché come uno strumento capace di forgiare nuove e appropriate analisi critiche del presente?

Da parte mia, provo a sgomberare il terreno da un alibi. Non si crederà mica che, quando si suggerisce il ritorno all'analisi di Marx, si propone che i comunisti dovrebbero tornare ad adottare i 10 punti programmatici elencati nelle pagine finali del Manifesto comunista? Non si tratta certo di questo, sia per gli evidenti cambiamenti susseguitisi dal 1848, sia perché, con le ricchezze prodotte nel mondo contemporaneo, oggi un partito comunista dovrebbe proporre rivendicazioni molto più radicali. Allo stesso modo, quando si parla dell'attualità de Il capitale, c'è forse qualcuno che pensa che nelle sue pagine si trovino tutte le spiegazioni dei fenomeni del capitalismo contemporaneo? Certamente no, poiché sappiamo che lo stesso Marx non ne completò i volumi II e III per potere proseguire lo studio di un capitalismo in perenne trasformazione.

Allora perché ancora Marx? E in che senso? L'opera di Marx è imprescindibile perché fornisce dei preziosissimi strumenti interpretativi per comprendere la natura e gli sviluppi del capitalismo - che non va affatto inteso come un mero processo economico, ma come un complesso di relazioni produttive, sociali e di potere (il tema della libertà individuale è dispiegato da Marx in questo contesto e molto seriamente - basta leggere i Grundrisse - e se si sostiene che il marxismo non è in grado di sviluppare una sintesi tra eguaglianza e libertà, si fa un grande regalo alla destra).

Se concepito in questo modo, non vedo teoria più attuale, e feconda di dinamiche conseguenze, del marxismo. E, infatti, negli ultimi anni, si sono sviluppati moltissimi studi che hanno messo in relazione il pensiero di Marx con questioni che non erano state affatto o pienamente considerate dai marxismi del secolo scorso. Se si parla di questione ambientale, ad esempio, è necessario tenere presente che l'opera marxiana viene sempre più riletta proprio in base alla critica ecologica in essa contenuta. Marx è il principale teorico, tra quelli del XIX secolo, dello “sviluppo sostenibile”, condizione possibile però solo attraverso il passaggio dalla proprietà privata a una società di produttori associati (ancora l'importanza del lavoro!). Se l'interesse si volge, invece, al ruolo dello Stato, allora è forse utile segnalare che alcuni dei principali e più recenti studi marxisti hanno per oggetto proprio il ruolo dello Stato nell'economia globale e muovono da fondamentali considerazioni di Marx su questo argomento. Più in generale, se si considera che il capitalismo è divenuto un sistema totalizzante, che ha invaso tutti gli aspetti della vita, allora è evidente che la critica di Marx può essere foriera di sviluppi interessanti per la questione di genere, così come per la critica della cultura dominante, il rapporto tra nord e sud del mondo e tutte le altre principali contraddizioni contemporanee.

Questo è il marxismo se davvero lo si considera “una gigantesca teoria politica”. Esso va anzitutto conosciuto e poi reinterpretato secondo i conflitti e le sfide del presente.

Per fortuna, dunque, la sinistra non deve “ripartire da zero”, se lo vuole, può ripartire da Marx. Dipende solo da che strada decide di percorrere.

Add comment

Submit