- Details
- Hits: 1894
“La salute e un par de scarpe nove”
di Elisabetta Teghil
… Quanno c’è ‘a salute c’è tutto
Basta ‘a salute e un par de scarpe nove
Poi girà tutto er monno
E m’accompagno da me
Tanto pe’ cantà- (E.Petrolini 1932) Nino Manfredi 1970
La lucidità di pensiero è stata destabilizzata da un virus, il Covid-19. Improvvisamente (quasi) tutti e tutte tre mesi fa, sinistra di classe compresa, sono stati colti/e dalla paura della malattia e del contagio. Il <qui si muore> è stata la risposta secca e anche violenta a qualsiasi tentativo di analisi e di riflessione sulla propaganda terroristica e sul controllo asfissiante messo in atto dal sistema di potere a cui non si è mai accompagnata, guarda caso, nessuna indagine degna di questo nome sulle cause reali e sulle ragioni della propagazione del virus soprattutto in Lombardia. C’è in ballo la salute, la salute è la cosa più importante è stato il refrain di questi mesi.
Ma che cos’è la salute? Cosa significa essere in salute, mantenersi in salute? La salute fisica e mentale, poi, sono inscindibili e sono il risultato dell’equilibrio del nostro essere. Non stiamo qui ad indagare posizionamenti e teorie, ci perderemmo nei meandri di una discussione senza fine ma sicuramente la salute non è legata ad una specifica malattia piuttosto dipende dalla qualità della vita e anche della morte in quella che sembra una contraddizione ma non lo è. E la qualità della vita proprio perché non dipende dalla presenza o dall’assenza della malattia non è altro che il rapporto intercorrente tra i nostri desideri e la possibilità di realizzarli, tra il nostro senso della vita e la rispondenza reale che a questo senso viene data.
- Details
- Hits: 714
Il nazionalista inconsapevole
di Richard Seymour
‘E’ l’economia, stupido’. Questo è stato l’impudente, ottimista slogan elettorale di Bill Clinton nel 1992. Lo slogan sembrava sintetizzare la Weltanschauung prevalente di un ordine neoliberista, una versione volgarizzata dell’”egoismo illuminato” ereditato dall’economia politica classica. Più di un quarto di secolo dopo, in mezzo al collasso neoliberista, nulla potrebbe essere maggiormente l’opposto. L’egoismo illuminato, da Londra a Mumbai, non domina più. Non è l’economia, stupido.
I Conservatori di Boris Johnson sono stati rieletti con una grande maggioranza dopo un decennio di austerità e di stagnazione dei redditi, come se Johnson non fosse stato in carica. La sola quasi sua unica promessa era stata di ‘realizzare la Brexit’, un obiettivo per il quale il 60 per cento dei votanti a favore dell’Uscita (Leave) dice che sarebbe felice di vedere danneggiata l’economia. Il 40 per cento afferma persino di essere disposto a perdere il proprio lavoro.
Queste sono minoranze, ma minoranze di milioni, sufficienti a costituire lo zoccolo duro del voto Conservatore. Gli attivisti Tory sono una minoranza ancora inferiore, ma più influente. Quando chiesto loro che cosa sacrificherebbero per ‘realizzare la Brexit’, hanno risposto chiaramente: l’economia, l’unione [Regno Unito] e persino il loro stesso partito.
Molto è stato detto dei votanti a favore della Brexit “ingannati” da promesse di maggior spesa per il Servizio Sanitario Nazionale (NHS), ma la caduta di quell’affermazione non ha danneggiato la Brexit. E in ogni caso non era su questo che la campagna per il Leave era stata condotta.
- Details
- Hits: 2108
Note su una falsa fine del mondo
di Andrea Cavazzini
Un’epidemia è un processo naturale relativamente banale: se ne può morire, certo, ma non più che di mille altre cause. Questo fatto non basta perciò a farne un evento, la cui portata dipende dal modo in cui è percepito, dalle risposte cui dà luogo, dalle ragioni o sragioni che le motivano. La crisi sanitaria mondiale del 2020 rappresenta meno una nemesi della Natura contro società inconsapevoli, che non la rivelazione, e l’intensificazione, di loro aspetti e tendenze. È peraltro il caso di tutte le Grandi Paure note attraverso i secoli: l’Anno mille, la jacquerie nel 1789, la guerra atomica negli anni Cinquanta… Ogni volta, vi sono certo dei fatti reali alla base di tali accessi di angoscia e di panico, ma questi ultimi e i loro effetti obbediscono a logiche proprie, spesso senza comune misura con i dati oggettivi. È così che in siffatte crisi ci troviamo confrontati principalmente a noi stessi, cioè alle società in cui viviamo e che le nostre azioni riproducono, ai loro rapporti di proprietà e di potere, alle loro ideologie e credenze: tutto ciò che costituisce, secondo la tradizione dialettica, la seconda natura, la quale nella specie umana sostituisce la prima, proiettando su questa i propri fantasmi e temendone il ritorno nella penombra dell’orrore mitico.
Si può così supporre che il vero evento sia meno l’epidemia che non il consenso di autorità politiche e sanitarie, di istituzioni statali e sovrastatali, di esperti e comunicatori, verso un lockdown mondiale che Marco D’Eramo definisce sulla «New Left Review» un «esperimento di disciplinamento sociale senza precedenti».1 Attuato con entusiasmo dai decisori e approvato o subito passivamente dalle popolazioni, è forse questo esperimento l’aspetto veramente inaudito di questa crisi, il fatto destinato ad avere delle implicazioni durevoli e profonde.
- Details
- Hits: 1507
Analisi macroeconomica, prospettive italiane e una valutazione di MES ‘pandemico’ e Recovery Fund
di Antonella Stirati
Prima di entrare nel merito della argomentazione, del contesto, e della valutazione di queste due misure vorrei anticipare qui a grandi linee la valutazione complessiva che emerge.
Il MES ‘pandemico’ o sanitario, nonostante l’assenza di condizionalità ex-ante (eccetto che sulla destinazione dei fondi) presenta insidie rilevanti connesse al suo prevedere una ‘sorveglianza rafforzata’ sulla politica di bilancio dei paesi debitori pienamente incardinata nel quadro normativo dei trattati e quindi in quelle regole di finanza pubblica che hanno già dimostrato la loro disfunzionalità, specialmente in periodi di crisi.
Il Recovery fund proposto dalla commissione presenta una componente estremamente limitata, nel caso dell’Italia, di risorse e ‘a fondo perduto’. Esso ha però il vantaggio importante entro il quadro istituzionale attuale di poter realizzare spese e investimenti pubblici che possono favorire la crescita dell’economia nei prossimi anni, restituendo poi tali risorse in modo dilazionato nel tempo su un orizzonte temporale lungo.
Cosa è cambiato nelle analisi macroeconomiche ‘dominanti’ e istituzionali dal 2008 a oggi
La versione standard dei modelli macroeconomici insegnata sui libri di testo sino al 2008 indicava che politiche fiscali restrittive (di ‘austerità’) hanno effetti negativi nel breve periodo, ma neutrali o positivi nel medio-lungo periodo (in quanto favorirebbero una crescita degli investimenti privati).
- Details
- Hits: 1541
L’ideologia del capitalismo ideologico. Sull’ultimo libro di Piketty
di Nicolò Bellanca
Il precedente volume di Thomas Piketty, Il Capitale nel XXI secolo, aveva una lunghezza di oltre 900 pagine. Quello appena uscito in traduzione italiana, intitolato Capitale e ideologia, consta addirittura di 1.200 pagine.[1] Le biblioteche sono piene di libri ponderosi che tanti citano, ma che quasi nessuno legge integralmente. Le opere di Piketty rischiano di subire lo stesso destino: un’analisi basata sui dati di kindle, documentò che il lettore medio lesse, del libro del 2013, appena 26 pagine.[2] Se però, con determinazione e pazienza, prendiamo in mano questa sua ultima monografia, ci accorgiamo che non è prolissa, poiché ogni suo capitolo, animato da una scrittura densa e nitida, si colloca in un disegno intellettuale unitario. Ancor più, ci accorgiamo che essa merita il tempo della lettura, poiché verte, con argomentazioni sempre pregnanti, su alcuni degli argomenti centrali nelle scienze sociali e nel dibattito pubblico: la natura del sistema economico odierno, i processi di cambiamento storico, le ragioni che giustificano lo status quo nelle comunità umane, la possibilità di realizzare un ordine sociale migliore. Nello spazio di una noterella, non posso affrontare i tanti temi che nel libro s’intrecciano. Procedo piuttosto in maniera schematica: sintetizzo alcune delle principali posizioni dell’autore in sette tesi; dopo l’illustrazione di ciascuna tesi, svolgo qualche commento critico, per concludere con poche considerazioni sull’intero ragionamento.
Tesi 1. Le vicende storiche ben documentate sono in grado di spiegarci come funziona il mondo.
Già nel libro del 2013, Piketty è apparso un ricercatore empirico estremamente preparato, con la propensione, tuttavia, a lasciare sottosviluppata la spiegazione teorica dei fenomeni: le sue due famose “leggi del capitalismo” consistono l’una in una tautologia e l’altra in una formula che non riceve alcuna fondazione, se non il riscontro statistico.[3]
- Details
- Hits: 3457
Conquistare l'operaio che vota Lega o diventare leghisti
di Alessandro Mustillo
Da alcuni mesi è in corso un dibattito in seno al Partito Comunista che ha coinvolto anche il FGC portando alla sospensione del patto d’azione tra le due organizzazioni. La richiesta di un congresso e la possibilità di svolgere questo dibattito in quella sede sono definitivamente sfumate con la decisione di non rinnovare il tesseramento in blocco a centinaia di iscritti del PC in diverse parti d’Italia, impedendone conseguentemente la partecipazione al congresso. In questi mesi molte delle vicende sono state trattate –spesso da ambo i lati – con semplificazioni. Non essendoci più prospettiva alcuna del dibattito interno richiesto, e ritengo che una parte delle questioni che hanno animato il dibattito siano elementi importanti nella discussione strategica sulla ricostruzione comunista e non costituiscano patrimonio esclusivo degli iscritti o ex iscritti al PC. Sono altrettanto e sempre convinto della necessità che la ricostruzione comunista in Italia si conduca tra lotte reali e serrato dibattito ideologico. Per questa ragione pubblicherò sull’Ordine Nuovo le principali questioni che hanno animato il dibattito in questi mesi. Forse ridare spazio alla politica contribuirà a dare a quel dibattito il livello politico dovuto, sottraendolo al botta e risposta su aspetti secondari per certi versi deleteri. La scelta di partire da questo tema è dettata più che dalla sua individuazione come elemento principale rispetto agli altri, dalla centralità che stanno assumendo nella discussione e nelle reciproche critiche. Non è dunque un ordine di priorità ma di contingenza.
La maggioranza dei lavoratori vota a destra.
La questione può essere riassunta così utilizzando le stesse parole utilizzate da Rizzo in un ufficio politico, che ebbi premura di segnare tra i miei appunti:
- Details
- Hits: 1214
Programma per una "universitas"
di Elenio Cicchini
Il testo prova a raccogliere l’invito formulato da Giorgio Agamben nel Requiem per gli studenti pubblicato sul “Diario della crisi” il 23 maggio 2020
I.
L’esigenza di una universitas, di cui si presenta qui il programma, si mostra nel momento stesso in cui il pensiero si dà coscienza del proprio rapporto col destino delle università. Queste si presentano oggi come un accumulo di conoscenze che lo studente può acquistare in qualità di cliente, e di cui può servirsi nel mercato del lavoro in veste di competenze.
Il destino storico della trasmissione del sapere come circolazione di merci è preconizzato dal fatto che la conoscenza sia stata concepita, almeno fin dalla modernità, come un avere, una proprietà riposta nella memoria. L’imporsi di una digitalizzazione dell’insegnamento è, pertanto, in linea col primato della conoscenza e della nozione, interamente riproducibili attraverso un algoritmo. Così come l’algoritmo celebra l’ideale grammatico di una divisione finita della lingua in «parti», così la trasmissione di conoscenze sotto forma di podcast sembra realizzare l’ideale pedagogico-farmaceutico di “pillole” o bossoli di conoscenza. Così, di fronte a un mercato delle conoscenze digitali che ne supera di gran lunga le possibilità di circolazione, l’università non ha oggi altro mezzo per sopravvivere se non quello di produrre un grande magazzino di oggetti preconfezionati secondo ogni tipologia e sensibilità. È l’università stessa che, come in una commedia di Menandro, conia i “tipi” della conoscenza. Cosicché ognuno possa estinguere il proprio bisogno di apprendimento, dall’approfondimento alla suggestione, dalla lezione interattiva alla conferenza dall’altra parte del globo. In questa condizione, il professore diventa egli stesso una merce e i suoi dottorandi sono ridotti a pubblicitari.
- Details
- Hits: 2090
Dimensione operaia degli Stati Popolari, Sardine, ecologismo, antirazzismo, antipatriarcato...
di Karlo Raveli
Fine del lavorismo secolo XIX?
L’iniziativa Stati Popolari potrebbe riuscire a riproporre un reale percorso di lotta anticapitalista, generale e radicale pur tra tutti i condizionamenti attuali, a cominciare dai virus dell’informazione ufficiale. ‘Di sinistra’ inclusa. Superando il populismo neo-fascista ma rimettendo anche al loro posto vari inscatolamenti lavoristi dell’universo operaio, soprattutto per opera di vecchi marx-ismi chiusi tra le stantie inferriate dell’esclusività salariale produttivistica più o meno tutelata. Cioè della storica particolarità del lavoro stipendiato assunto ed innalzato a esclusività strategica operaia, anti-Capitale, dallo stesso cosiddetto “Marx politico” di un secolo e mezzo fa.
Appaiono del resto sempre più come strumenti di difesa terminale del sistema anche recenti dissertazioni di confusione e irretimento etico, teorico e politico a proposito della DIMENSIONE o CLASSE operaia globale. Per esempio attorno all’idea di un presunto ‘quinto stato’ riproposta poco tempo fa in un articolo di Allegri e Ciccarelli del Manifesto, ‘Fenomenologia della classe a venire’. Un 5° stato che, da tipici marxismi di sinistra del sistema, servirebbe come concetto valevole per eclissare il primo ed essenziale elemento classista marxiano, innanzitutto etico ma poi teorico e politico:
l’alienazione o appropriazione particolare, privata, personale e famigliare di naturali od oggettivi Beni Comuni di una società. Da cui sorge lo sfruttamento e guerre e violenze di ogni tipo.
- Details
- Hits: 1491
I don’t live today: scene dalla guerra di classe in America (e non solo)
di Sandro Moiso
Will I live tomorrow?
Well I just can’t say
But I know for sure
I don’t live today
(I don’t live today – Jimi Hendrix, 1967)
“Certo che c’è la guerra di classe, ma è la mia classe, la classe dei ricchi, che la sta facendo e la stiamo vincendo.” (Warren Buffett, 2006)
Gli eventi delle ultime settimane negli Stati Uniti hanno sicuramente costituito un severo monito, soprattutto per chi, come il finanziere Warren Buffett, uno dei tre uomini più ricchi del mondo, poteva crogiolarsi in un illusoria vittoria definitiva della propria classe su quella degli oppressi.
Le notizie di tali eventi hanno fatto rapidamente il giro del mondo e, esattamente come le lotte contro la guerra in Vietnam degli anni Sessanta, hanno infiammato le piazze dei paesi occidentali e di altri continenti.
La forza delle manifestazioni, il timore suscitato dal loro rapido diffondersi, la capacità di risposta politica dimostrata dai manifestanti (in grado di utilizzare tanto la violenza quanto l’abilità di influenzare mediaticamente e politicamente l’opinione pubblica nazionale e internazionale), la strategia messa in atto collettivamente nelle strade e nelle piazze hanno costituito una brutta sorpresa per un potere politico e finanziario che da anni si pensava ormai vincitore nel confronto con i subordinati di ogni colore e credo.
La richiesta improvvisa e radicale dello scioglimento delle forze di polizia o almeno di un loro radicale ridimensionamento e di una sostanziale revisione dell’uso della forza ad esse consentito è stato un passo di portata storica, non soltanto per i movimenti americani ma anche per quelli che in ogni angolo del mondo si oppongono ormai da anni alle violenze poliziesche e, più in generale, dello Stato nei confronti di chi difende, sul fronte opposto, gli interessi di classe, ambientali, di genere e appartenenza culturale e etnica.
- Details
- Hits: 1450
La rivoluzione comincia dai corpi
Note su Apocalisse e Rivoluzione di Giorgio Cesarano e Gianni Collu
di Lundimatin
A partire da giovedì scorso, si può trovare nelle librerie Apocalisse e Rivoluzione di Giorgio Cesarano e Gianni Collu, appena rieditato in lingua francese dalle edizioni La Tempête. Questo libro è stato scritto nel 1972, in risposta alla pubblicazione del rapporto del Club di Roma sui Limiti dello Sviluppo. Commissionato dal MIT e finanziato dalla Fiat, il rapporto preconizzava una «crescita zero» ed un limite al capitalismo. Alla sua pubblicazione, Cesarano e Collu reagirono con un'analisi tempestiva e sottile di quello che è il modo in cui il capitalismo stava cambiando in quegli anni: le sue nuove armi erano diventate il millenarismo religioso, la colonizzazione dell'individualità e lo sviluppo di un'economia del debito. Allo stesso tempo, veniva proposto anche un rinnovamento dei concetti e dei modi dell'antagonismo rivoluzionario, che non sarebbe più stato il conflitto tra le classi, ma piuttosto la lotta dei corpi della specie umana contro il loro essere messi a morte da parte del processo capitalistico. A tutto ciò che mette in discussione la sopravvivenza stessa della specie, questo libro oppone una certezza: la rivoluzione comincia dai corpi. Giorgio Cesarano, a quel tempo, è stato un autore vicino alla critica situazionista. Egli ha anche partecipato alla fondazione del Gruppo Ludd, del quale, in quest'ambito, ha parlato Anselm Jappe.
I pochi iniziati agli scritti di Giorgio Cesarano formano una comunità segreta. E questo perché sicuramente questo autore ha prodotto un pensiero totale e senza compromessi, profondo e dialettico, scritto facendo uso di una prosa infuocata che non si lascia penetrare con facilità, e che continua, per quanto sotterranea, ad affascinare da quasi cinquant'anni.
- Details
- Hits: 2344
Il problema del nostro Paese è che viviamo in un’egemonia intellettuale neoliberista
Annamaria Iantaffi intervista Carlo Galli
Presidente, il 2 giugno 2020, dati gli eventi degli ultimi mesi, è una ricorrenza unica nella storia della Repubblica. Lei come percepisce oggi il rapporto dei cittadini con le istituzioni Repubblicane?
Mi sembra che il rapporto abbia preso una doppia piega. È abbastanza tipico durante le emergenze che i cittadini guardino alle istituzioni, perché sentono il bisogno di essere garantiti. Sicuramente anche il tasso piuttosto alto di popolarità del Presidente del Consiglio dimostra che l’emergenza ha suscitato un forte bisogno di istituzioni. E questa non è una novità: in Italia buona parte dell’antipolitica e della critica delle istituzioni nasce in realtà dal bisogno delle istituzioni, dall’idea che le istituzioni siano inadeguate. D’altro canto c’è una discreta probabilità che nel momento in cui si attenuasse l’emergenza sanitaria e si presentassero le sue conseguenze economiche, il rapporto con le istituzioni tornerebbe ad essere conflittuale e che queste verrebbero sempre più interpretate come ostili.
Le chiedo di proiettarsi invece al prossimo autunno, quando si potrebbe presentare una seconda ondata pandemica a causa delle mutate condizioni climatiche. Secondo lei c’è il rischio di disordini sociali?
Molto dipenderà da come i bisogni economici di una discreta parte della popolazione siano o non siano stati soddisfatti. Se ci fossero gravi momenti di sofferenza economica, fino alla disperazione per certe categorie, e se intervenisse un secondo lockdown, francamente la situazione sarebbe davvero critica. C’è da augurarsi che nessuna delle due ipotesi si avveri, cioè che non sia automatico l’avvento di una seconda ondata della pandemia e che le situazioni di sofferenza dell’economia, e soprattutto di certe categorie, possano essere in un qualche modo sanate.
- Details
- Hits: 1019
Il bisogno permanente di autoeducazione delle masse per il superamento del capitale
di Bollettino Culturale
Il capitale e la sua crisi strutturale: un sistema di mediazione da superare
In “Oltre il capitale: verso una teoria della transizione”, István Mészáros sviluppa una critica senza compromessi del sistema del capitale, accompagnata da una strategia politica coerente volta ad aiutare i lavoratori del mondo nelle loro lotte per l'emancipazione. Ci sono innumerevoli contributi presenti nel lavoro. Ciò che forse può essere messo in evidenza in primo luogo è la concettualizzazione del capitale come un complesso di mediazioni di secondo ordine - vale a dire: mezzi alienati e obiettivi feticistici della produzione, lavoro "strutturalmente separato dalla possibilità di controllo", denaro, la famiglia nucleare, il mercato mondiale e le varie forme dello Stato del capitale - che si afferma sulla mediazione di primo ordine dell'attività produttiva, subordinandole gerarchicamente e componendo con esse una dinamica guidata dall'imperativo della "massima estrazione praticabile del pluslavoro”, in un movimento sempre cumulativo, espansivo,"automatico"- nel senso che questo processo si sviluppa senza che la collettività umana sia in grado di controllarlo coscientemente - ed è, oggi più che mai, dispendioso e distruttivo.
All'interno di questo sistema, dice Mészáros, lo Stato non è altro che l'elemento la cui specificità consiste nel promuovere la rettifica - cioè la momentanea "armonizzazione" - dei "microcosmi strutturati antagonicamente" che configurano il capitale.
Si trova all'interno del complesso in questione, partecipando attivamente allo spostamento delle contraddizioni - alcuni dei cosiddetti "limiti relativi" - inerenti a tale sistema. Per questo motivo, afferma il filosofo, è sbagliato prendere lo Stato come un'entità separata dal capitale, in grado di imporre redini e frenare la sua spinta feticista.
- Details
- Hits: 927
Domenico Losurdo tra conflitto e relazione
Un itinerario storiografico-filosofico. Parte I
di Giulio Menegoni
Il 28 giugno 2020 ricorreva il secondo anniversario della morte di Domenico Losurdo, insigne filosofo e storico italiano. Scrittore assai prolifico, la sua scomparsa ci ha lasciati privi di una voce severa, capace di giudicare con luminosa coscienza aspetti centrali della storia delle ideologie moderne, mettendo in luce gli aspetti di riscrittura della storia operati dal pensiero contemporaneo liberale e svelandone puntualmente gli imbrogli retorici e le contraddizioni (“Il revisionismo storico. Problemi e miti”,“Controstoria del liberalismo”).
Di questo pensiero Losurdo ha analizzato le tecniche propagandistiche palesando, con rigore, la resa storica, teorica e politica dei movimenti di pensiero deputati allo smascheramento e alla produzione di alternative storiche (“Il linguaggio dell’impero. Lessico dell’ideologia americana”; “La sinistra assente. Crisi, società dello spettacolo, guerra”).
Il centro speculativo dell’opera di Losurdo nondimeno si concentra nel superamento dell’idea liberale dell’avvenuta “fine della storia” (Francis Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo), concentrando i suoi sforzi nel delineamento di una “teoria generale della lotta di classe” a partire dai testi engelomarxiani. Teoria, questa, a sua volta inscritta nella più ampia ricostruzione della distinzione tra marxismo occidentale e marxismo orientale – una distinzione che ingloba e supera il mero riferimento geografico e abbraccia aspetti teorici fondamentali (“La lotta di classe. Una storia politica e filosofica”; “Il marxismo occidentale. Come nacque, come morì, come può rinascere”). Questi ultimi due testi, nati dalla viva convinzione dell’autore che la lotta di classe sia la categoria principale che anima la vita pratica, ci spingono a domandarci: che forma assume oggi la lotta di classe? [[1]] E ancora: siamo davvero sicuri di sapere che cosa sia, in sé, la lotta di classe?
- Details
- Hits: 926
Quando lo sfruttamento si fa smart
di coniarerivolta
L’emergenza COVID-19 ha portato alla ribalta un concetto, quello di “smart working” o “lavoro agile”, che fino a poco prima dell’emergenza interessava una parte minoritaria dei lavoratori.
Come noto, molte attività sono state svolte dai lavoratori – anche su input del Governo – fuori dall’usuale luogo di lavoro (generalmente in casa, data la pressoché totale impossibilità di uscire durante il lockdown). Ciò ha alimentato inevitabilmente un dibattito su questa modalità di lavoro. Se, da un lato, lo smart working può effettivamente mettere il lavoratore nella posizione di avere più tempo libero (si evitano gli spostamenti, si possono utilizzare i tempi morti della giornata lavorativa per svolgere attività utili al lavoratore stesso o al suo nucleo familiare), dall’altro può facilmente condurre ad abusi, soprattutto laddove il passaggio al modello organizzativo basato sul lavoro a distanza avvenga, come è accaduto durante l’emergenza, senza il tempo sufficiente per definire la cornice in cui la prestazione lavorativa deve svolgersi.
Divisi anche gli osservatori. Da un lato, gli ottimisti come Domenico De Masi (sociologo vicino al M5S e, quindi, animato da visioni futuristiche e senza classi sociali, nello stile dei Casaleggio) sostengono che lo smart working sia una specie di pietra filosofale o di macchina del moto perpetuo, grazie alla quale “ci guadagnano tutti”. Dall’altro, il sempreverde Pietro Ichino, che si lamenta della “vacanza pagata al 100%” di cui, secondo lui, avrebbero usufruito i lavoratori pubblici (ma di lui ci siamo già occupati). E, ancora, dal punto di vista dei sindacati, c’è chi sostiene che lo smart working può costituire un nuovo strumento di sfruttamento.
- Details
- Hits: 1515
Avanzate e ritirate. Blocco sociale, egemonia e rivoluzione
di Alessandro Visalli
Moreno Pasquinelli, su “Sollevazione”, in due consecutivi articoli[1] è intervenuto in un dibattito tra alcuni autori[2] de “La fionda” e un intervento su questo blog[3]. Oggetto del dibattito era l’azione politica ed i suoi referenti nelle condizioni contemporanee.
Questa è la mia replica.
Diego Melegari e Fabrizio Capoccetti avevano voluto sostenere una tesi profondamente radicata nella lunga ritirata della cultura di sinistra e marxista non solo italiana: che la frattura tra le classi sociali sia ormai superata, a seguito del crollo del “compromesso keynesiano”, ovvero del modo di produzione fordista. Secondo questa visione il proletariato, la classe operaia, non esisterebbe più e comunque non si esprimerebbe come classe distinta dalle classi medie. È dunque a queste ultime che bisogna ormai guardare come orizzonte di ogni azione politica possibile. Si tratta di una tesi di grandissimo successo a partire dal finire degli anni settanta e poi completamente egemone negli anni ottanta e novanta[4]. Sia chiaro, è una tesi che ha avuto grande parte nella ritirata della sinistra antagonista, o di opposizione, nelle ‘terze vie’, diventandone un caratteristico marchio di fabbrica. Ma ha avuto talmente tanto successo da diventare con il tempo un semplice fatto indiscutibile. Talmente indiscutibile che da questo partono sia i due autori de “La fionda”, sia quello di “Sollevazione”, pur nella notevole differenza di posizione politica.
Prendiamo, ad esempio, un famoso testo di Ulrich Beck del 1986:
“… la problematica dell’ineguaglianza ha perso la sua esplosività sociale. Persino di fronte a numeri di disoccupati nettamente oltre la soglia dei due milioni, considerata traumatica fino a pochi anni fa, non ci sono state fino ad ora proteste.
- Details
- Hits: 1719
Riflessioni su sinistra radicale e crisi di civiltà
Un secolo di estrema sinistra (lettere al futuro, 1)
di Marino Badiale
I. Introduzione
L’organizzazione sociale capitalistica, che da decenni si è estesa all’intero pianeta, è ormai entrata in un fase di decadenza necrotica. Essa sta distruggendo, sempre più velocemente, i fondamenti stessi dell’esistenza di ogni società umana: il legame sociale fra gli individui e il legame metabolico fra natura ed umanità. Questa spirale autodissolutiva si tradurrà in un devastante crollo di civiltà, molto probabilmente entro la fine di questo secolo [1]. Sono del tutto convinto che non esista nel nostro mondo nessuna forza sociale capace di incidere su questa traiettoria mortifera, e quindi, in sostanza, che non ci sia niente da fare, se lo scopo che ci si propone è quello di prevenire il crollo della nostra civiltà. Ci si possono però porre altri obiettivi, rispetto ai quali in effetti c’è qualcosa da fare. Credo che uno scopo generale possa essere quello di salvare elementi di civiltà dal crollo futuro. Questo significa in primo luogo creare embrioni di comunità che possano attraversare i tempi bui che ci aspettano, comunità che siano informate dal tipo di valori, idee, riferimenti spirituali che pensiamo necessario provare a salvare. Naturalmente tali comunità dovranno per prima cosa sopravvivere, e non possiamo sapere cosa saranno in grado di trasmettere ai loro discendenti. La creazione di simili “comunità di sopravvivenza” è importante soprattutto per i giovani, che probabilmente vivranno buona parte della propria vita in una situazione di crisi sempre più grave, e per le persone dei ceti medi e bassi, che non avranno nessun’altra risorsa da utilizzare se non la solidarietà e l’aiuto reciproco.
- Details
- Hits: 1400
In mezzo al guado: socialismo o barbarie
di Vittorio Giacopini
http://www.castelvecchieditore.com/prodotto/cosa-vuol-dire-socialismo-nel-xxi-secolo/
1) In filosofia, e in politica, c’è questo vecchio problema – il “cominciamento” – ma, a volte, conviene andare per le spicce e farla corta. Come avrebbe detto il Coniglio bianco ad Alice, “se non sai dove cominciare, inizia dal principio, che non sbagli”. Nancy Fraser parte da un haiku di sfida – “socialism is back” – e qui, e da subito, mi sembra che abbia ragione e torto: mixed feelings (l’aggiunta: ma il nodo vero è capire cosa intendiamo o cosa dovrebbe significare oggi socialismo è naturalmente il problema cruciale del saggio, e del presente). In via preliminare, partirei dal rovescio, storicamente. La ritornata dicibilità della parola socialismo nell’ordine del discorso politico attuale è il sottoprodotto di uno shock culturale che forse abbiamo sottostimato. Da una ventina d’anni a questa parte, più o meno (dai tempi di Seattle o di Genova, per capirci) è caduto un interdetto mentale decisivo. Dopo la stagione di Reagan e Thatcher e Bush siamo tornati a parlare, più che di socialismo, di capitalismo e quello che sembrava l’unico orizzonte possibile è letteralmente saltato, imploso, esploso (intendo come grande quadro o ricatto mentale, ipnosi mistica: nei fatti i padroni sono ancora e sempre loro, l’1%). La Grande Crisi Economica Mondiale del 2008 ha aperto gli occhi persino ai gattini ciechi della globalizzazione trionfante postmoderna: il capitalismo – adesso lo vediamo – non è l’unico scenario possibile, né auspicabile per la vita dell’uomo sul pianeta terra (e pure per il pianeta terra stesso, ca va sans dire) e conviene (non è solo bello e idealistico e poetico, ma… conviene) trovargli un’alternativa, e rapidamente. All’orizzonte altrimenti ci saranno soltanto crisi e ancora crisi e disastri, devastazioni, irrazionalità dilagante, catastrofi di ogni tipo, pandemie (nei corpi e nelle menti), e morte e lutti. Con tutto il rispetto per Bernie Sanders o Alexandra Ocasio-Cortez “socialism is back” nel senso che un’alternativa al capitalismo tocca trovarla, e se vogliamo chiamarla ‘socialismo’ (o comunismo) va bene, però – adesso che siamo al guado – bisogna agire e pensare velocemente; adesso, subito.
- Details
- Hits: 1766
Il maiale e il grattacielo, 25 anni dopo
di Marco d’Eramo
Il capitalismo sconvolge e rivoluziona tutto, tranne le regole del suo funzionamento e i meccanismi che questo induce. Già 25 anni fa la storia di Chicago si presentava come un’archeologia del capitale, “in quanto scavo nei vari strati delle macerie che esso ha lasciato, degli eserciti umani che ha spostato e mandato allo sbaraglio”. Pubblichiamo la postfazione alla nuova edizione del saggio “Il maiale e il grattacielo” di Marco D’Eramo, in questi giorni in libreria per Feltrinelli
Siamo a una sessantina di km a ovest del lago Michigan, dove i suburbi di Chicago si estendono sempre più intervallati e i pendolari si svegliano sempre più presto per andare a lavorare a downtown. Aurora è un comune di 200.000 abitanti, riproduzione frattale, in piccolo, della città di cui è suburbio: fondata nel 1845, pochi anni dopo Chicago, come la sua città madre divenne florida per le ferrovie, visto che qui nel 1856 la Chicago Burlington and Quincy Railroad aprì uno dei suoi stabilimenti più grandi e fu fino agli anni ’60 del secolo scorso il suo più importante datore di lavoro, prima di chiudere definitivamente all’inizio degli anni ‘70. Come Chicago, Aurora ospita opere architettoniche di valore (edifici di Frank Lloyd e di Mies van der Rohe, tra gli altri).
Aurora è inconfondibilmente midwestern già per il nome: qui nelle grandi piane, i comuni portano nomi che rivelano l'intensità, la speranza, il coinvolgimento che, nel costruirli, ci aveva messo chi li aveva fondati: Aurora appunto, ma anche Confidence, Mystic, Promise City, Bethelem, Chariton, Gravity, Hopeville (Borgosperanza: ancora una volta incrociamo quella potenza del nominare in cui tanto spesso ci siamo imbattuti in questo libro). Ma Aurora oggi non ha niente di biblico (né di nietzscheano, se è per questo), anche se all’inizio del ‘900 si fregiò dell’epiteto di “Città delle Luci” (City of Lights), non si sa quanto ironica parodia della Ville Lumière (Parigi), perché era stata una delle prime cittadine del Midwest a rischiarare le sue notti con l’illuminazione elettrica.
- Details
- Hits: 776
Tra mercati antichi e rotte globali
Commento a “Sulla situazione epidemica” di Alain Badiou
di Antiper
Il filosofo francese Alain Badiou ha scritto qualche tempo fa un intervento sulle conseguenze della pandemia SARS-2 in cui formula una serie di interessanti osservazioni con cui può essere interessante confrontarsi.
Dice Badiou
Non ho trovato dunque nient’altro da fare che provare, come tutti, a sequestrarmi in casa mia, e nient’altro da dire se non esortare tutti a fare altrettanto. Rispettare, su questo punto, una rigida disciplina è tanto più necessario in quanto è un sostegno e una protezione fondamentale per tutti coloro che sono più esposti: certo, tutto il personale medico curante, che è direttamente sul fronte, e che deve poter contare su una ferma disciplina, ivi comprese le persone infette; ma anche i più deboli, come le persone anziane, in particolare quelle in EPAD (European Prevention of Alzheimer’s Dementia) o immunodepresse; e inoltre tutti coloro che vanno al lavoro e corrono così il rischio di un contagio.
Si tratta di una domanda che tutti si sono posta: è giusto sequestrarsi in casa durante la pandemia, ovviamente, avendone la possibilità? Si noti che qui il filosofo francese dice “mi sono sequestrato” e non “sono stato sequestrato” (come forse avrebbe detto uno come Agamben) ponendo così il sequestro nei termini di una scelta, sia pure obbligata, e non di un obbligo subìto.
Come è noto le cose non stanno esattamente come le pone Badiou perché, a dire il vero, non si poteva far diversamente che “sequestrarsi in casa”, dal momento che le misure varate dai governi prevedevano multe salatissime ai contravventori e pattugliamenti delle città (fino al ridicolo degli elicotteri in azione su tetti di casa e spiagge deserte). Quello che Badiou intende dire, evidentemente, è che quella del lockdown è stata una scelta condivisibile.
- Details
- Hits: 3944
La favola di Liquidità e Speranza
L’illusione monetarista e la teoria del denaro di Marx
di Ludovico Lamar
Il Banditore – tutti ne tessevano gli elogi fino al cielo:
“Che contegno agevole e pieno di grazia!
Che solennità, anche! Si poteva capire quanto
era saggio, solo con un’occhiata! -
aveva comprato una grande mappa che rappresentava
il mare senza la minima traccia di terra:
e la ciurma fu molto contenta di sapere che tutti
l’avrebbero potuta usare.
(Lewis Carroll, La caccia allo Snualo)
Il grande capolavoro di far credere l’attuale crisi economica dovuta al coronavirus non ha ancora esaurito la sua carica vitale e mediatica che già subito si stanno introducendo nuovi miti, fra cui quello prossimo ad imporsi: “Se l’economia crolla, non vi preoccupate, inietteremo liquidità e tutto si risolverà!”. Il Denaro, come produttore di ricchezza, per un po’ avrà l’onore di essere celebrato come fonte inesauribile di sviluppo, di nuovo valore, di una nuova grande espansione economica, che ci porterà felicemente ad un nuovo secolo di grandi consumi, di distruzione dei mari, di inquinamento dei cieli, di povertà relegata nel Terzo Mondo, di vita virtuale per le classi medie mondiali... Grazie a Keynes e ad alcuni suoi allievi, grazie al coraggio della FED e delle sue emulatrici, grazie alla fermezza magari di un governo veramente dirigista e dei suoi legionari, finalmente anche questa volta il capitalismo sarà salvo...da se stesso. Credere che attraverso iniezioni monetarie di vario tipo il nostro amato benessere occidentale, che ben c’incanta con le sue sirene, si difenderà, è come credere però che da un tumore una persona possa guarire con una pomata per i calli. O che le statistiche sui decessi della Covid forniti dai media siano credibili. Ma Madama Speranza ha deciso ora di andar a braccetto con Madama Liquidità e a noi non resta che prenderne atto.
- Details
- Hits: 2888
Stati Generali: fuffa al veleno
di Fulvio Grimaldi
Colao and friends: governo e parlamento sostituiti da Microsoft e Vodafone. Col digitale verso la transumanità
“La sicurezza del Potere si fonda sull’insicurezza dei cittadini” (Leonardo Sciascia)
Cari amici e interlocutori, stavolta vado davvero per le lunghe. Più del solito. Ma fate finta che sia un livre de chevet, libro da comodino, come li chiamava Montaigne, da prendere a pizzichi e bocconi. Come cinque pezzi corti. Anche perché per un mese e passa non ce ne saranno altri. Non busserò a casa vostra. Sto in montagna, a rompere le palle alle marmotte.
Stati Generali per corona(virusa)re il nostro futuro
Negli Usa ormai si manifesta con crescente spudoratezza quel governo parallelo, chiamato “Deep State”, nella cui militanza confluiscono i falchi repubblicani e, ben più guerrafondai, quelli democratici. Stato profondo ben rappresentato nella serie “Saw”, formato da elementi non eletti ma più potenti degli eletti e che tiene sulla graticola, ultimamente con le sommosse, l’eterodosso Donald Trump, sebbene pure lui prodotto dallo (s)fascio statunitense. Dal momento che l’Italia, da sempre, è l’apprendista stregone minore su cui sperimentare il peggio del colonialcapitalismo, anche qui abbiamo un governicchio in vetrina, parzialmente eletto, e un Deep State per niente eletto, (in)visibile nelle varie task forces, dietro al banco. Ora questo insieme metastatico deve essere davvero bravo per fare avere ragione a gente come l’opposizione che oggi completa il nostro degrado. Eppure ci riesce quando a una conventicola formatasi alle fonti del Po, nel mausoleo di Predappio e nel ventre di Cosa Nostra ha potuto legittimamente dire “non c’è più democrazia”, o “sul Coronavirus ci marciate”, o “è tornata la Troika”.
- Details
- Hits: 1689
Femminismo neoliberale
di Salvatore Bravo
Deumanizzare
Il post-modernismo con la fine della ragione oggettiva ha comportato anche il post-femminismo. Quest’ultimo è sostenuto in modo trasversale da uomini e donne, non è impossibile imbattersi in affermazioni di tal genere: “L’universo trabocca di inutilità e gli uomini rientreranno a buon titolo nella categoria del superfluo”, tale dichiarazione è nella premessa del libro di Telmo Pievani “Maschio inutile”. Testi di questo genere devono essere inseriti nel contesto neo-liberista che ha bisogno di sostenere la lotta tra femmine e maschi, mostrando quanto le femmine per natura siano migliori del maschio, si ipotizza “per cause evoluzionistiche il suo superamento”. La lotta socio-economica è trasferita nella natura, dalla quale si evince che la femmina vince. Essere umani e natura sono posti sulla stessa linea. Il nichilismo esemplifica e deconcettualizza, utilizza messaggi-slogan, nello stile del “marketing” per raggiungere chiunque: un messaggio semplice non esige mediazione del pensiero, per cui facilmente diviene “automatismo linguistico” a cui corrisponde la pratica di comportamenti rafforzati dal consenso mediatico. Bellum omnium contra omnes è la verità del capitale. La natura è speculare al genere umano, entrambi sono mossi dalla guerra, la quale è la verità degli animali non umani come degli esseri umani. Operazione ideologica in senso marxiano, il capitale assolda le scienze per confermare i principi su cui si fonda la visione neo-liberista. Le complicità del mondo accademico sono palesi, ma vengono taciute. Mondo accademico, media, economia e politica sono un unico asse, tra di essi vi è continuità ideologica, pertanto il risultato finale è la conferma ripetuta dell’ideologia neo-liberale.
- Details
- Hits: 1002
I gilet gialli e l'invenzione del futuro
di Pierre Dardot e Christian Laval
La rivolta dei Gilets Jaunes è stata interpretata e analizzata molte volte in molti modi, a volte del tutto contrastanti. E’ stata largamente considerata, dalla destra specialmente e dalla maggior parte dei media dominanti, come un movimento quasi fascista, un forma di delinquenza collettiva incontrollabile, in una parola una minaccia alla democrazia e alle istituzioni esistenti.
Ma anche tra i generalmente simpatizzanti con i movimenti sociali, tra cui molti attivisti della sinistra, sono rimaste molto forti riserve nei confronti di nuove forme di azione politica e diffidenza riguardo a persone che quadrano politicamente, a volte inducendo anche a rifiutare sostegno a quelle che considerano lotte “impure”, “confuse” o “inaffidabili”. Che i Gilets Jaunes ispirino tali reazioni mostra la misura in cui il movimento ha sorpreso, imbarazzato, disorientato e persino preoccupato le persone. I Gilets Jaunes, in altre parole, sono un movimento che ha scosso gli schemi prestabiliti e i criteri di una “sociologia politica” ben consolidata.
Il principale fattore che ha scatenato le proteste, l’”imposta sul carbonio” sui carburanti, ha indotto alcuni a pensare che i Gilets Jaunes siano virulenti antiambientalisti che difendono il diritto degli automobilisti di inquinare il pianeta. Una cosa è certa: questa rivolta popolare è un evento politico che è significativo, considerando quanto a lungo è durato, quanto diffusamente è stato appoggiato dalla popolazione, quanto ha provocato e continua a provocare effetti sia politici sia sociali.
- Details
- Hits: 2091
Le classi sociali in Europa e in Italia
di Domenico Moro
La teoria delle classi sociali nel marxismo
L’analisi delle classi sociali è pochissimo trattata. Ciò non può stupire da parte dell’economia e della sociologia mainstream, perché l’interesse a indagare la composizione di classe è considerato poco utile e soprattutto non funzionale. Il pensiero dominante tende, quindi, a rimuovere le classi sociali o a considerare la suddivisione della popolazione in classi solamente in base al livello di reddito o allo status. Sebbene il reddito percepito sia importante ai fini di una analisi delle classi sociali, una analisi delle stesse non può partire da quello, bensì dalla posizione occupata nei rapporti di produzione del capitalismo. Ciò che, invece, stupisce maggiormente è la scarsa considerazione di una analisi della composizione di classe fra la sinistra radicale. In questo caso, il limite è dovuto al frequente concentrarsi sull’immediato, che si traduce in politicismo e tatticismo elettoralista.
L’analisi della composizione di classe è, invece, necessaria se vogliamo operare in senso strategico, cioè per modificare sulla lunga distanza i rapporti di forza fra le classi e se si vuole radicarsi politicamente negli strati della popolazione che sono più interessati al cambiamento sociale.
L’analisi della composizione di classe fa parte di quel processo analitico di discesa dal modello astratto – rappresentato dal modo di produzione – alla formazione economico-sociale, che rappresenta la concretizzazione storica e spaziale dei rapporti di produzione capitalistici.
- Details
- Hits: 2538
Il piano integrato Colao-Bianchi e la riduzione della scuola a forza produttiva
di Elena Fabrizio
L’enfasi che il dibattito sulla didattica a distanza ha suscitato a livello ministeriale e tra gli organi e gli enti, senza trascurare la longa manus degli altoparlanti mediatici, che da anni premono per una trasformazione della scuola in tassello della più ampia filiera produttiva, doveva suonare subito sospetta, non fosse altro perché palesemente orientata a spostare i problemi della formazione culturale degli studenti sul bisogno di colmare il ritardo e il gap di competenze digitali, intese come esclusivo elemento di giudizio della qualità della didattica scolastica.
Un’enfasi condita dal discorso emotivamente pregnante e propagandistico che fa delle diseguaglianze economiche e sociali, pervenute alla coscienza dei nostri governanti paradossalmente proprio nella fase dell’emergenza sanitaria nei soli termini del digital divide, l’espediente sul quale fare leva per «sfruttare la crisi» dirottando la scuola in maniera ancora più incisiva sul modello impresa e assumendola quale parte attiva della ripresa economica del paese. Nessun bilancio politico di vent’anni di autonomia scolastica e delle politiche antisociali delle quali essa è espressione, nessuna iniziativa per riparare all’emergenza culturale ed educativa che si vuole strumentalmente appiattire sul possesso delle competenze digitali lette nell’ottica esclusiva di un mercato del lavoro in cerca di manodopera salariata.
La duplice direzione amministrativa che il Governo vorrebbe imprimere all’istruzione, per assecondarla ai desiderata delle classi dominanti, emerge chiaramente dalla combinazione delle iniziative proposte dal Comitato di esperti in materia economica e sociale per il rilancio "Italia 2020-2022" e dal Comitato di esperti del Ministero dell’Istruzione, rispettivamente coordinati da Vittorio Colao e da Patrizio Bianchi.
Page 167 of 552