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Ci vuole una guerra?
di Rossella Fidanza
Seymour Hersh nel suo nuovo articolo paragona correttamente l'attuale congiuntura all'escalation di Kennedy in Vietnam. "Il tempo stringe."
Seymour Hersh torna a scrivere, dopo aver pubblicato un dettagliato resoconto su come gli Stati Uniti hanno organizzato il sabotaggio al Nord Stream con l’appoggio della Norvegia (link) e aver approfondito che tipo di rapporti legano da decenni la Norvegia alle operazioni militari e non gestite dai servizi segreti americani:
Nel proseguire con il suo lavoro di ricerca in relazione al conflitto che si sta combattendo in Ucraina, Hersh oggi si spinge a fare un paragone tra quello che Biden sta gestendo in questo momento e quanto ha dovuto affrontare il Presidente John F. Kennedy in un momento molto delicato della sua amministrazione.
“C'è un inevitabile divario tra ciò che un presidente ci dice su una guerra - anche una guerra per procura - e la realtà sul campo. È vero oggi, mentre Joe Biden lotta per ottenere il sostegno dell'opinione pubblica per la guerra in Ucraina, ed era vero sei decenni fa, quando Jack Kennedy lottava per capire la guerra che aveva scelto di portare avanti nel Vietnam del Sud.”
Partendo da questo preambolo, Hersh ripercorre il frangente probabilmente più critico della Presidenza Kennedy, l'inizio del 1962. JFK era appena passato dal disastro della Baia dei Porci accaduto dopo tre mesi dall’inizio del suo mandato, che aveva pesantemente danneggiato la sua immagine e la sua leadership (trovate in fondo all’articolo la sezione “approfondimenti” con i link consigliati con le informazioni storiche).
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Elly Schlein, cioè cosa?
di Michele Castaldo
C’è un entusiasmo smisurato intorno alla figura di Elly Schlein appena eletta a nuovo segretario del Pd che esordisce parlando di «una piccola grande rivoluzione», segno dei tempi.
Mettiamo però subito in chiaro un punto: che una donna rivendichi pubblicamente la propria sessualità dicendo: «Sono una donna, amo una donna, non sono madre, ma non sono meno donna per questo», rappresenta certamente un fattore di rottura nei confronti tanto del bigottismo di destra – ancora oggi rappresentato dalla Meloni che predica: «Io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono cristiana…», quanto del moralismo di sinistra e di una certa tradizione comunista contro cui oggi si scatena strumentalmente la critica della grande stampa benpensante della borghesia italiana.
E a proposito di un certo bigottismo di sinistra, tanto per non andare troppo lontano e citare Pier Paolo Pasolini, oppure il povero Aldo Braibanti (“Il signore delle formiche” di un recente film di Amelio, ricordo un episodio vissuto in prima persona nel costruendo stabilimento Montefibre di Acerra (Na) nel lontano 1976. Ero delegato eletto da oltre il 90% degli operai e durante una giornata di sciopero mi capitò di vedere Vittorio, un operaio omosessuale, piangere di nascosto dietro l’angolo di una baracca. Lui che era sempre attivo negli scioperi e sempre in prima fila nelle manifestazioni, e durante le occupazioni di cantiere si esibiva ballando e mettendo tutti di buon umore, insomma sempre sorridente e allegro, mi apparve molto strano vederlo piangere. L’avvicinai chiedendogli cosa fosse successo, pregandolo di volersi confidare. Alla fine sconfortato disse «non ce la faccio più a sopportare, prima mi insultano definendomi ricchione e poi mi chiedono di fargli i pompini».
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Solo armi: le scelte dei leader Ue, tre chiavi di lettura
di Chiara Bonaiuti
Il comportamento dei leader europei nella corsa al riarmo per la guerra in Ucraina non corrisponde né ai principi condivisi nel diritto internazionale, né agli interessi strategici, tanto meno a quelli economici. Analisti di diverse famiglie teoriche lo confermano: la mancanza di trattative è sonnambulismo e cova la catastrofe
Premessa
Il confronto tra pacifisti e interventisti viene spesso presentato come una contrapposizione tra idealisti e realisti, irrazionali e razionali. Ma è davvero realista chi ritiene che la guerra, il riarmo e l’escalation più siano l’unico modo per respingere Putin? Sono davvero così irrazionali i pacifisti che premono per l’apertura di un tavolo delle trattative oppure lo sono i decisori politici europei che stanno andando dritti verso la catastrofe come dei sonnambuli?
Con un approccio analitico vorremmo analizzare qui quali siano i fattori che spiegano questa corsa al riarmo da parte della classe dirigente italiana ed europea. Facendo riferimento alla letteratura sul commercio di armi, consideriamo tre gruppi di variabili che possono spiegare il comportamento dei leader europei: gli ideali; gli interessi strategici o gli interessi economici. Ciascun gruppo di variabili fa riferimento ad una diversa famiglia di teorie della politica estera europea: i costruttivisti, i realisti e neorealisti e i liberisti.
I principi della democrazia e della difesa dei diritti umani
Un primo gruppo di teorie ruota attorno al costruttivismo, secondo cui le idee e i valori sono importanti e possono influenzare le scelte politiche. Tra gli studiosi costruttivisti, Manners introduce il concetto di potere normativo europeo. Egli sostiene che l’identità e il comportamento dell’UE si basano su un insieme di valori comuni: pace, diritti umani, democrazia, Stato di diritto, uguaglianza, solidarietà sociale, libertà, sviluppo sostenibile e buon governo, contenuti nei trattati dell’UE. Questi valori hanno un fondamento giuridico e si trovano formalizzati nei Trattati dell’Unione.
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Neomarxismo italiano: soggettività di classe, autovalorizzazione, bisogno di comunismo
di Alberto Sgalla
Esplorare le infinite possibilità della voce per raggiungere gli estremi confini del canto … è l’universo dei valori d’uso che si scontra con la fabbrica e la produzione (N. Balestrini)
La ricerca neo-marxista
I Grundrisse, pubblicati in Occidente nel 1953, sono stati indispensabili come fonte di riferimento per la ricostruzione complessiva del grande laboratorio di pensiero marxiano e, in particolare, per quel movimento di ricerca, che si è sviluppato in Italia lungo gli anni ’60 e ‘70 (Panzieri, Tronti, Asor Rosa, Negri, Alquati, Bologna, Ferrari Bravo, Daghini, Luperini, Berti, Marazzi, Meriggi, Virno, Castellano, Màdera … “Quaderni Rossi”, “Quaderni piacentini”, “Classe Operaia”, “Contropiano”, “Aut aut”, “Primo Maggio”, “Sapere”, “Ombre Rosse”, “Controinformazione”, “Rosso” …), movimento di riflessione teorica, di analisi concreta, di critica della scolastica rigida in cui certo marxismo era rinchiuso, di recupero dei temi marxisti della prorompente soggettività di classe, della libertà, della ricerca della felicità. Quel neo-marxismo ha assunto in pieno il metodo dialettico critico e rivoluzionario, che “nella comprensione positiva dello stato di cose esistente include simultaneamente anche la comprensione della negazione di esso”.
Ha rinnovato il marxismo come teoria scientifica dello sviluppo capitalistico e della classe operaia come soggetto collettivo, sintesi di corpi, intelletti, volontà, come agente del cambiamento.
Ha analizzato la fenomenologia dei rapporti di forza fra i soggetti sociali, la nuova autonoma soggettività di classe nel nuovo assetto concreto dei rapporti che s’andavano instaurando nel processo di produzione in cui era protagonista la grande impresa fordista verticalmente integrata, poi avviata verso una forma “flessibile”, delocalizzata, specializzata per fasi, condizionata dal capitale finanziario, sovrano nell’orientare l’allocazione delle risorse.
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Diario della crisi | Guerra e moneta
di Maurizio Lazzarato
Il quinto appuntamento del Diario della crisi – progetto nato dalla collaborazione di «Effimera», «Machina» ed «El Salto» – è dedicato alla questione della guerra. A occuparsene è Maurizio Lazzarato, con un testo che costituisce l’introduzione al suo nuovo volume di prossima pubblicazione per DeriveApprodi: Guerra e moneta. Imperialismo del dollaro, neoliberalismo, rotture rivoluzionarie. L’autore, a partire dai limiti della riflessione e delle ipotesi del pensiero critico sul tema, analizza quello che lui definisce «imperialismo del dollaro», spiazzando decisamente il campo rispetto all’identificazione tra capitalismo e neoliberalismo. Il testo, offrendo una lettura in chiave genealogica e di prospettiva della guerra in corso, aggredisce l’attualità senza scadere nelle convulsioni della cronaca; al contempo, presenta diversi spunti di discussione attorno a cui allargare e approfondire il dibattito sulla crisi contemporanea
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* La guerra (e tutte le sue variazioni, guerra di classe, di razza, di sesso, neocoloniale ecc.) è il regime di verità del capitalismo.
* Il capitalismo non si può in nessun caso identificare con il neoliberalismo. Il misfatto di confondere i due è stato operato per primo da Michel Foucault, creando una catastrofica confusione teorica e politica nel pensiero critico che non ha fatto che aggravarsi con il passare del tempo. Il capitalismo si è sbarazzato della governamentalità neoliberale, come un secolo primo aveva fatto con il liberalismo classico, a cui ha preferito, per difendere gli interessi delle classi proprietarie, populismi, nuovi fascismi, guerre civili e da ultimo la guerra.
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Dietro ed oltre la guerra in Ukraina
di Giorgio Ferrari
Ad un anno esatto dallo scoppio della guerra in Ucraina Giorgio Ferrari scrive un articolo che è la prosecuzione di Comparazione tra due guerre: l’annullamento della dialettica e l’inversione della storia. Si tratta di un ragionamento su cosa si cela (anche) dietro questa
guerra, ma soprattutto è un ragionamento sull’Occidente, la sua costruzione e i suoi valori
Le argomentazioni svolte precedentemente (Comparazioni tra due guerre - L’annullamento della dialettica e l’inversione della storia)i, per quanto circoscritte ad una analisi comparata tra gli avvenimenti che precedettero la II guerra mondiale e quelli che hanno portato all’attuale guerra in Ucraina, forniscono già un esempio della presunzione e del manicheismo di cui è pervaso il pensiero dominante.
C’è un solo aggressore, la Russia, ed un solo aggredito, l’Ucraina; quest’ultima è la vittima, l’altra è il carnefice. Di più non è consentito dire, pena l’iscrizione tra i seguaci di Putin con tutte le dannazioni conseguenti che in questi mesi sono state utilizzate dalla stragrande maggioranza degli organi di informazione, i quali hanno fornito un’informazione monotonica sullo svolgimento del conflitto con descrizioni raccapriccianti della barbarie russa.
Sono talmente tanti ed estremi i giudizi nei confronti della Russia, che si è superato un punto di non ritorno per cui viene da chiedersi se sarà mai possibile, un domani, ripristinare una qualche relazione con questo paese; se, insomma, non sia questo dell’Occidente, un atteggiamento risolutivo volto a precludere una qualsivoglia soluzione del conflitto che non sia la capitolazione della Russia e/o la sua disgregazione.
Lo scontro di civiltà
Il secolo scorso, improvvidamente definito “breve” da Hobsbwan, non sembra avere una fine. L’ultimo suo lascito, quello del 1989, grava ancora sul presente nonostante i numerosi tentativi di esorcizzarlo.
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Credere, Obbedire, Soccombere
di Gianandrea Gaiani
Dopo un anno di guerra in Ucraina non è ancora chiaro chi potrà forse vincere il conflitto sul campo di battaglia ma tra gli sconfitti senza appello, “senza se e senza ma” ci sono i media occidentali, in particolare quelli europei, in special modo la gran parte di quelli italiani.
Studi televisivi riempiti con bandiere giallo-blu, anchor-man che tolgono l’audio in diretta a un discorso di Vladimir Putin atteso dal mondo intero “per non dare spazio alla propaganda russa”, conduttori che prendono le distanze dalle dichiarazioni di ospiti che indugiano nello sposare ogni tweet della propaganda di Kiev o nell’accusare solo i russi per ogni responsabilità e nefandezza di questa guerra.
Che dire poi delle interviste al presidente ucraino Volodymyr Zelensky talmente in ginocchio da far apparire equilibrata e pure aggressiva la “mitica” intervista di Gianni Minà a Fidel Castro del 1987?
Nessuna domanda scomoda sulle opposizioni messe al bando, il patrimonio personale del presidente e di diversi ministri e generali, le leggi che soffocano la libertà di stampa ed espressione, la corruzione dilagante anche a danno dei militari che ha portato alla rimozione di molti funzionari, il rapporto di Amnesty International che accusa le truppe ucraine di crimini di guerra, le armi donate dall’Occidente rinvenute su fronti bellici in altri continenti, le rappresaglie sui “collaborazionisti” nelle città riconquistate, i video che mostrano le truppe di Kiev ferire o uccidere prigionieri…solo per citare alcuni dei temi più eclatanti.
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Didattica russa
di Piero Pagliani
Ricevo dall'amico Piero Pagliani questo bell'articolo che, prendendo le mosse dalle traiettorie divergenti che hanno imboccato i sistemi formativi russo e americano (il primo che si prepara a tornare al modello sovietico, il secondo allegramente in marcia verso il degrado), approfondisce le riflessioni geopolitiche che Piero ci aveva ha già regalato in precedenti occasioni sulle ragioni profonde del conflitto, vale a dire sull'incapacità/impossibilità della superpotenza statunitense di adattarsi a un mondo multipolare. PS. Ho lasciato il titolo dell'autore anche se io avrei preferito qualcosa come "Usa: il declino inizia sui banchi di scuola"[C.F.].
* * * *
Vorrei porre l'accento su un passaggio del recente discorso di Putin alla Duma che è stato trascurato dai nostri media e dai nostri “esperti” cavernicoli (cioè che pensano solo la clava, di cui parlerò solo dopo). Il passaggio riguarda la necessità di una riforma del sistema formativo russo:
«Il primo punto è tornare alla formazione di base di specialisti con istruzione superiore tradizionale per il nostro paese. Il periodo di studio può essere da quattro a sei anni. Allo stesso tempo, anche all'interno della stessa specialità e di un'università, possono essere offerti programmi che differiscono in termini di formazione, a seconda della specifica professione, e della richiesta dell'industria e del mercato del lavoro. In secondo luogo, se la professione richiede una formazione aggiuntiva, una specializzazione focalizzata, allora in questo caso il giovane potrà continuare la sua formazione in un corso magistrale o residenziale. In terzo luogo, gli studi post-laurea saranno assegnati come livello separato di istruzione professionale, il cui compito è formare il personale per le attività scientifiche e didattiche».
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Discorso di Putin del 21 febbraio. Traduzione integrale in italiano
a cura di Marinella Mondaini
Traduzione integrale del discorso di Putin del 21 febbraio*
Un Messaggio epocale e carico di amore, per il proprio popolo e per l’umanità.
Non c’erano giornalisti italiani al 18º Messaggio di Putin perché il Cremlino ha accettato solo la presenza dei paesi amici della Russia.
Il messaggio del Presidente all’Assemblea Federale è un discorso pubblico annuale del capo di Stato, rivolto a entrambe le Camere del Parlamento e ai capi di tutte le regioni della Federazione Russa.Esso valuta lo stato delle cose nel paese e determina le principali direzioni della politica interna ed estera. Il primo discorso che Vladimir Putin ha enunciato davanti ai deputati e ai senatori è stato a luglio del 2000 e recava l’emblematico titolo: “Quale Russia costruiamo?”
Quest’anno all’evento sono stati invitati anche i partecipanti all’Operazione Speciale Militare russa in Ucraina.
Putin ha parlato per quasi due ore di fila, interrotto da 53 applausi, di cui 4 in piedi. Un discorso impressionante e potente per contenuto e per carica emotiva, che ha toccato tutte le sfere: politica interna ed estera, situazione mondiale e in particolare valutazione sull’Ucraina, l’Operazione Speciale militare, le riforme interne, anche nel campo dell’Istruzione, dove è proposto un ritorno alla preziosa esperienza sovietica, dove il maestro, il professore ritorna al suo valore originario: quello non solo di insegnante, ma anche di educatore, una figura che non dev’essere “emanatore di servizi”! Inoltre si raggiunge così anche lo scopo di distogliere giovani e bambini dalle reti sociali.
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La guerra capitalista. Considerazioni di un profano
di Mimmo Porcaro
Uno dei più importanti problemi teorici di questi tempi è quello di mostrare il legame necessario tra guerra e capitalismo e di fare in modo, quindi, che tra la cosiddetta geopolitica e la critica dell’economia politica non si crei un fossato tale da indurle ad andare ognuna per la sua strada, dimenticando l’una le classi e l’altra gli stati. Il libro che qui esamino[i] entra di fatto nel merito perché, proprio mentre sottolinea la cogenza della marxiana legge di centralizzazione del capitale, costruisce immediatamente un nesso tra questa legge “economica” e la funzione “politica” del banchiere centrale. Il risultato, come vedremo, non è del tutto convincente: vengono chiarite importanti questioni, ma altre vengono offuscate. Il ragionamento degli autori è comunque di quelli che impongono di andare all’essenza delle cose, il che è esattamente quello che dobbiamo fare. E oggi più di ieri.
Centralizzazione, una riscoperta opportuna
Cominciamo col riassumere alcune delle tesi fondamentali del volume, anche se esse dovrebbero essere ormai note agli happy few che si interessano di queste cose. Come gli autori ci ricordano, se in Marx la concentrazione del capitale è il processo di crescita del capitale singolo attraverso l’autonoma accumulazione, la centralizzazione – spesso erroneamente chiamata anch’essa concentrazione – si ha quando numerosi capitali già formati, sconfitti nella competizione, cadono nelle mani del capitale vittorioso attraverso liquidazioni, fusioni e acquisizioni; oppure si ha quando una proprietà formale assai frammentata si trova di fatto riunita in poche mani vuoi per il meccanismo dell’outsourcing , vuoi per effetto della gestione del capitale di una miriade di azionisti da parte dei vertici di Spa o banche.
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Marx e Hegel
di Roberto Fineschi
Conferenza al Ghislieri, dicembre 2018
Trascrizione leggermente rivista della relazione dal medesimo titolo presentata al convegno internazionale “Marx e la tradizione filosofica” organizzato in occasione del bicentenario della nascita di Karl Marx presso l’Università di Pavia, Dipartimento di Studi Umanistici – Sezione di Filosofia, dal Consorzio di Dottorato in Filosofia Nord-Ovest (FINO) e dal Collegio Ghislieri (Pavia, 13-14 dicembre 2018).
§1
Ringrazio innanzitutto per il gradito invito. È per me un vero piacere essere presente in questa conferenza, sia per il tema che per un risvolto personale: il mio maestro Alessandro Mazzone fu allievo del Ghislieri e, poiché il rapporto Marx-Hegel era uno dei temi a lui più cari, essere qui a parlarne un po', confesso, mi emoziona.
L’argomento che mi è stato assegnato è ovviamente molto, troppo complesso per essere affrontato in 40 minuti; chi ha familiarità con l'opera di Marx sa benissimo come il rapporto con Hegel attraversi tutto lo sviluppo della sua produzione scientifica e come sia stato inevitabilmente al centro di vastissimi dibattiti nella tradizione successiva; inevitabilmente non potrò che essere sommario.
Vorrei partire proprio con un accenno alla ricezione, perché chi si avvicina a questo tema attraverso la letteratura critica onestamente non può che rimanere disorientato: si è praticamente sostenuto tutto e il suo contrario.
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Germania. “Mettiamo fine a questa guerra”
Der Spiegel intervista Alice Schwarzer e Sahra Wagenknecht
I giornalisti dello Spiegel, Susanne Beyer e Timo Lehmann, hanno curato una lunga intervista ad Alice Schwarzer e Sara Wagenknecht. La prima nota giornalista, la seconda parlamentare della Linke spesso dissonante rispetto alla linea ufficiale del Partito della Sinistra tedesca.
Le due donne hanno lanciato un appello per fermare la guerra in Ucraina e stoppare la fornitura di armi da parte della Germania. L’appello ha raggiunto le 500.000 firme ed è diventato un fatto politico. Per sabato prossimo, 25 febbraio, i firmatari dell’appello hanno convocato una manifestazione contro la guerra alla porta di Brandeburgo a Berlino.
Contro la manifestazione di sabato a Berlino si sta scagliando il fronte conservatore e quello guerrafondaio, quest’ultimo assai più trasversale. Il politico della Cdu Roderich Kiesewetter ha lanciato un suo appello contro il corteo di sabato prossimo.
Tra i primi firmatari figurano lo scienziato Joachim Krause dell’Istituto per la politica di sicurezza dell’Università di Kiel e l’ex parlamentare dell’FDP Hildebrecht Braun. Ma anche il gruppo parlamentare della Linke ha preso le distanze della manifestazione.
I giornalisti dello Spiegel incalzano le due esponenti del movimento contro la guerra a tutto campo, inclusi alcuni colpi bassi riservati in questi dodici mesi a tutti coloro che nei vari paesi, Italia inclusa, si sono opposti alla logica guerrafondaia.
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La guerra capitalista. Alcune note di lettura
di Raffaele Sciortino
Continua il dibattito su La guerra capitalista, il libro di Emiliano Brancaccio, Stefano Lucarelli e Raffaele Giammetti di cui abbiamo dato conto su Machina a partire dall’intervista che il curatore di questa sezione, Francesco Maria Pezzulli, ha condotto con uno degli autori (https://www.machina-deriveapprodi.com/post/la-guerra-capitalista). Pubblichiamo oggi, invece, l’interessante contributo inviatoci da Raffaele Sciortino che mette in evidenza i pregi e alcune problematicità di questo fondamentale lavoro collettivo.
* * * *
Nell’attuale temperie politica e culturale in cui, anche e forse soprattutto a «sinistra», per discutere di guerra è d’obbligo prima genuflettersi un consono numero di volte alla vulgata atlantista sull’«aggressione russa», su «Putin criminale al servizio degli oligarchi», sulla «difesa della democrazia ucraina» e via sproloquiando in volgare american-english – un libro come quello di E. Brancaccio, R. Giammetti, S. Lucarelli (BGL), La guerra capitalista, offre una boccata d’aria pura oltre a far tornare coi piedi sulla terra[1]. E non è forse un caso che la riflessione lì contenuta sulle radici profonde del conflitto in corso non provenga da ambienti di radical left, intrisa di neo-progressivismo woke di importazione anglo-sassone e oramai distantissima da ogni riferimento classista. Ma proviene da studiosi seri (sì, studiosi) che mostrano di saper ricercare e ragionare in gruppo, capacità oggi pressoché scomparse, senza paura di nuotare, oggi, contro la corrente.
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Cul-de-sac
di Enrico Tomaselli
Mentre le classi dirigenti europee fanno tristemente mostra di una smisurata pavidità nei confronti di Washington, negli Stati Uniti cresce invece il dibattito – e lo scontro politico – tra le due attuali fazioni (trasversali) del bellicismo imperialista: i russofobi neocon ed i super-falchi anti-cinesi.
Il punto di partenza, anche se i primi tendono ovviamente a nasconderlo, è la consapevolezza che la strategia messa in atto in Ucraina contro la Russia si è rivelata un fallimento, politico e militare. Per i neocon ciò significa che bisogna rilanciare, alzare il livello dello scontro, sino a portarlo – se necessario – ai limiti di un nuovo conflitto mondiale. Mentre per i secondi significa trovare il prima possibile una via d’uscita dal pantano ucraino, cercando di salvare la faccia (e non solo quella) e prepararsi per lo scontro con Pechino.
* * * *
Due errori
Può apparire tragicamente incredibile, ma in fondo all’origine del prolungamento del conflitto ucraino ci sono due clamorosi errori; uno, politico, di Mosca, ed uno, militare, di Washington.
È ormai abbastanza chiaro che, nel momento in cui la Russia dava il via all’Operazione Speciale Militare, l’obiettivo era quello di forzare la mano (non solo a Kiev, ma anche e soprattutto agli europei ed a Washington), portandoli rapidamente ad un tavolo di trattativa, con l’intento di ottenere ciò che non era stato possibile avere sino a quel momento: autonomia per il Donbass, riconoscimento della Crimea come parte della Federazione Russa, e garanzia di sicurezza (no all’Ucraina nella NATO).
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Introduzione a Frattura metabolica e Antropocene
di Giuseppe Sottile
Autori vari: Frattura metabolica e Antropocene.Saggi sulla distruzione capitalistica della Natura, a cura di Alessandro Cocuzza e Giuseppe Sottile, Ed Smasher, 2023
La crisi nelle condizioni naturali dello sviluppo umano è dovuta alle caratteristiche fondamentalmente antiecologiche del lavoro salariato e dei rapporti di mercato.
Paul Burkett
Il giovane Marx formulò l’idea dell’unità tra umanità e natura nella società futura nei termini d’un pienamente compiuto umanesimo = naturalismo, una concezione che Marx conservò anche dopo i vari successivi cambiamenti della sua prospettiva teorica.
Kohei Saito 1
Il termine «Antropocene» comincia ad essere assai diffuso anche nel nostro Paese. È probabile esso prenda la veste di una parola tanto più innocua nel significato quanto più usata dai mass-media. La genesi che ne consente un uso appropriato la si può rintracciare in una serie di documenti che negli ultimi decenni sono scaturiti come esito della ricerca scientifica. Qui ne vogliamo citare solo tre, tra i più importanti e recenti: When did the Anthropocene begin? A mid-twentieth century boundary level is stratigraphically optimal, The Trajectory of the Anthropocene: The Great Acceleration e Planetary Boundaries: Guiding Human Development on a Changing Planet2.
Il primo documento fa iniziare quella che l’AWG, il 21 maggio del 2019, ha ufficialmente indicato come un’epoca successiva all’Olocene3 a partire dalla metà del secolo scorso, per via della dimensione globale, durata e sincronicità del cambiamento stratigrafico.
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Il nuovo irrazionalismo
di John Bellamy Foster
A più di un secolo dall'inizio della Grande Crisi del 1914-1945, rappresentata dalla Prima Guerra Mondiale, dalla Grande Depressione e dalla Seconda Guerra Mondiale, stiamo assistendo a un'improvvisa recrudescenza della guerra e del fascismo in tutto il mondo.
L'economia mondiale capitalistica nel suo complesso è ora caratterizzata da una profonda stagnazione, dalla finanziarizzazione e da un'impennata delle disuguaglianze. Tutto questo è accompagnato dalla prospettiva di un omnicidio planetario nella duplice forma dell'olocausto nucleare e della destabilizzazione climatica. In questo pericoloso contesto, la nozione stessa di ragione umana viene spesso messa in discussione. È quindi necessario affrontare ancora una volta la questione del rapporto dell'imperialismo o del capitalismo monopolistico con la distruzione della ragione e le sue conseguenze per le lotte di classe e antimperialiste contemporanee.
Nel 1953 György Lukács, la cui Storia e coscienza di classe del 1923 aveva ispirato la tradizione filosofica marxista occidentale, pubblicò la sua opera magistrale, La distruzione della ragione, sulla stretta relazione dell'irrazionalismo filosofico con il capitalismo, l'imperialismo e il fascismo.[1] L'opera di Lukács scatenò una tempesta di fuoco fra i teorici della sinistra occidentale che cercavano di adattarsi al nuovo imperium americano. Nel 1963, George Lichtheim, un sedicente socialista che operava all'interno della tradizione generale del marxismo occidentale, pur opponendosi virulentemente al marxismo sovietico scrisse un articolo per «Encounter Magazine», allora finanziata segretamente dalla Central Intelligence Agency (CIA), in cui attaccava con veemenza La distruzione della ragione e altre opere di Lukács.
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Da Mao a Xi: un socialismo vivo
di Diego Angelo Bertozzi
Prefazione al volume" "Il pensiero di Xi Jinping come marxismo del XXi secolo" (LAD edizioni (euro 14,00) e-mail a: This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.; This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.)
Per introdurre, spero degnamente, questo importante e originale lavoro faccio un salto all'indietro nel tempo. Nella sua recensione del libro “La sinistra assente” del compianto Domenico Losurdo, pubblicata sul Corriere della Sera del 3 novembre, il professor Luciano Canfora, pur riconoscendo i meriti del testo, ne criticava a più riprese le posizioni relative alla Repubblica popolare cinese. Secondo Canfora infatti, il vertiginoso sviluppo economico del Paese asiatico sarebbe avvenuto in forte contraddizione con le premesse teoriche del socialismo cinese e della rivoluzione maoista. Un giudizio che nulla ha di sorprendente: con le sue affermazioni lo studioso si inserisce in un filone di pensiero ben consolidato – anche a sinistra – di condanna degli sviluppi di quello che si auto-definisce “socialismo con caratteristiche cinesi” e, quindi, di rigetto di un tradimento che si sarebbe consumato nel post-rivoluzione culturale per sfociare in una restaurazione autoritaria all'insegna del liberismo capitalista. La Cina, secondo una lettura divenuta negli anni senso comune, non solo non rappresenterebbe un'alternativa reale alla restaurazione liberista in atto dal 1989, ma ne sarebbe, invece, parte attiva con il suo bagaglio di sfruttamento, diseguaglianze raccapriccianti e pulsioni imperialiste.
In fondo basterebbe poco per dimostrare che l'affermazione di Canfora “lo stato di cose che si è affermato in quel grande Paese, trasformatosi ormai nell'esatto contrario di ciò che si proponeva di essere alla metà del Novecento” concede troppo alla vulgata dominante. Si potrebbe partire dal discorso di Mao che il 1° di ottobre del 1949 sancì ufficialmente la nascita della Repubblica popolare cinese: “Ci siamo uniti, con la guerra di liberazione nazionale e con la grande rivoluzione popolare, abbiamo abbattuto gli oppressori interni ed esterni e proclamiamo la fondazione della Repubblica popolare cinese. Da oggi il nostro popolo entra nella grande famiglia di tutti i popoli del mondo, amanti della pace e della libertà”.
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Le strategie fatali dell’Occidente in Ucraina
La decifrazione della situazione da parte del colonnello Jacques Baud
Laurent Schong intervista Jacques Baud
Saggista “complottista” per Conspiracy Watch e “agente della lobby filorussa” per la RTS, Jacques Baud è ora sulla lista nera di Mirotvorets, un battaglione di “esecuzioni extragiudiziali” per conto del governo ucraino. Questo non sembra smuovere molto i difensori professionisti della libertà di espressione. Colpa sua? Per aver ricordato al “campo occidentale”, lui che nel 2014 era a Kiev in qualità di colonnello svizzero in missione presso la NATO, la sua pesante parte di responsabilità nello scoppio della guerra in Ucraina. Con l’avvicinarsi del primo anniversario dell’operazione militare speciale russa, era necessario un nuovo aggiornamento.
* * * *
ELEMENTS: All’epoca della nostra prima intervista (Elements n. 196), il conflitto in Ucraina stava raggiungendo il sesto mese e lei stava per pubblicare Operazione Z, un libro che faceva il punto sulla realtà dell’OMS: i suoi prodromi, i suoi attori, le sue poste in gioco. Dalla sua pubblicazione sono passati altri sei mesi e la situazione si è naturalmente evoluta, apparentemente a vantaggio delle forze armate ucraine…
JACQUES BAUD. Prima di tutto, dobbiamo sottolineare un aspetto che in Francia fingiamo di ignorare: il modo in cui intendiamo una crisi determina il modo in cui viene risolta. L’insopprimibile tendenza a sostituire le spiegazioni dei protagonisti con le nostre “impressioni” distaccate dai fatti ci porta invariabilmente a un peggioramento della situazione.
Questo è ciò che ha alimentato il terrorismo jihadista in Francia nel zoi5-zoi6 e dovrebbe servire da lezione.
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Continuare l'attacco imperialistico alla Siria con altri mezzi
di Maurizio Brignoli
Riceviamo e con grande piacere pubblichiamo
Per quanto spacciata dalla disinformazione occidentale come “guerra civile” quella che si è sviluppata in Siria dal 2011 è un’aggressione imperialistica, che andrebbe meglio collocata nel contesto di un grande conflitto interimperialistico che in Siria si è combattuto in buona parte per interposta persona fra quello che si può definire un asse occidentale-sunnita (Usa, Ue, Israele e petromonarchie) volto a far cadere Bashar al-Assad alleato di Russia e Iran (e Cina). Un conflitto che si connette col progetto statunitense di mantenere un assetto mondiale unipolare e che prevedeva di ridisegnare le mappe del potere e in alcuni casi anche quelle geografiche del Grande Medioriente rovesciando governi non subordinati per mezzo di aggressioni dirette o per tramite delle formazioni jihadiste o attraverso le cosiddette “primavere arabe” condotte con la complicità dei Fratelli musulmani. Ultimo ma non meno importante la contrapposizione al grande progetto del capitale cinese della Nuova via della seta per fronteggiare il quale la destabilizzazione di questi territori è cruciale.
Il concetto di “guerra civile” perde di significato nel momento stesso in cui ci si trova di fronte a un conflitto progettato anni prima della sua effettiva conflagrazione a opera di paesi esterni e tramite un’aggressione condotta con miliziani in buona parte stranieri. Le origini più dirette dell’Isis risalgono a quando la Nato, con la collaborazione di Israele e petromonarchie, ha finanziato e addestrato queste milizie per rovesciare Gheddafi nel 2011 e che poi, a lavoro fatto, si sono spostate in Siria per abbattere Assad.
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Alle Regionali ha vinto Pirro
di Luca Busca
Analisi del voto
Normalmente il giorno dopo le elezioni ogni partito celebra la propria vittoria. Dopo le regionali 2023 alcuni di questi si sono dovuti esimere dal rito scaramantico per totale mancanza di voti. La sinistra di destra, il M5S e l’aborto democristiano di Renzi e Calenda sono entrati nella fascia Cites 1 della rappresentanza politica in via di estinzione. Quindi grande vittoria della destra. Come al solito, però, non sempre le cose sono come sembrano:
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«Gli Usa hanno attaccato il North Stream»
Fabian Scheidler intervista Seymour Hersh
Il premio Pulitzer Seymour Hersh racconta a Jacobin il suo scoop sulla missione segreta ordinata da Biden per danneggiare il gasdotto che dalla Russia conduce alla Germania e lasciare al freddo l'Europa
Il 26 settembre 2022, nel mar Baltico, il gasdotto North Stream dalla Russia alla Germania è stato in gran parte distrutto da diverse esplosioni. La scorsa settimana, il pluripremiato giornalista investigativo Seymour Hersh ha pubblicato un articolo, basato su informazioni provenienti da un’unica fonte anonima, nel quale sostiene che ne sono responsabili l’amministrazione Biden e la Cia.
Hersh ha vinto il Premio Pulitzer nel 1970 per il ruolo che ha svolto nel raccontare la storia del massacro di Mỹ Lai, in cui i soldati statunitensi ammazzarono dai trecento ai cinquecento civili disarmati. Ha accettato di parlare con Fabian Scheidler di Jacobin delle accuse contenute nel suo ultimo articolo e dell’influenza che la Cia e lo stato di sicurezza nazionale hanno sulla politica estera statunitense.
* * * *
Per favore, spiegaci le tue scoperte in dettaglio. Cosa è successo esattamente secondo la tua fonte, chi è stato coinvolto e con quali le motivazioni?
Mi sono limitato a spiegare l’ovvio. Era una storia che chiedeva soltanto di essere raccontata. Alla fine di settembre del 2022, otto bombe avrebbero dovuto esplodere; sei sono finite sott’acqua vicino all’isola di Bornholm nel Mar Baltico, nella zona dove l’acqua è piuttosto bassa. Hanno distrutto tre dei quattro principali oleodotti del Nord Stream 1 e 2.
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Diario della crisi | Il collasso del paradigma postfordista
di Christian Marazzi
Christian Marazzi torna a misurare la temperatura della crisi globale infinita. In questa quarta puntata del «Diario», Marazzi analizza il nuovo ordine energetico e monetario mondiale, spiegando la sua genealogia, gli attori principali, il conflitto attorno ai processi di de-dollarizzazione. In questo contesto, si colloca la crisi delle nuove politiche industriali, delle strategie produttive e di creazione del valore inaugurate nella fase del postfordismo
Nuovo ordine energetico (e monetario) mondiale
È dal 1945 che l’alleanza geopolitica tra Usa e Arabia Saudita ha garantito agli Stati Uniti sicurezza militare nel Medio Oriente e, soprattutto, petrolio ancorato al dollaro. Quella alleanza diede inizio al regime del petrodollaro. Nel 1974, quando un gruppo di paesi arabi impose l’embargo sul petrolio come rappresaglia per il sostegno statunitense a Israele nella guerra del Kippur, Richard Nixon garantì di nuovo armi e un accesso preferenziale ai titoli del tesoro americani, ottenendo in cambio che l’Arabia Saudita si impegnasse a indicizzare tutte le vendite di petrolio in dollari. Nel 2003, tra le accuse rivolte a Saddam Hussein, ci fu anche quella di aver cominciato a vendere petrolio in altre valute. Sappiamo come è andata a finire. In ogni caso, è qui che si incomincia a parlare di de-dollarizzazione. Dal 2018 la Russia ha iniziato ad affrancarsi dal dollaro, regolando le forniture di petrolio in euro. Per questo motivo la prima sanzione contro la Russia è stata il congelamento di una parte delle riserve valutarie della Banca centrale russa. Questo precedente di «militarizzazione» (weaponisation) delle riserve valutarie in dollari fa intravedere un cambio di direzione del sistema monetario ed energetico internazionale. Il 2023 potrebbe essere ricordato come l’anno in cui prende forma un nuovo ordine energetico mondiale tra Cina e Medio Oriente, con la nascita del regime del petroyuan1.
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Usa, profondo rosso
di Claudio Conti - Guido Salerno Aletta * - Robert Kuttner **
Quando la potenza fin qui egemone sul pianeta cerca di “salvarsi” agendo come un normale paese produttore di idrocarburi… vuole dire che quella potenza è alla frutta, economicamente parlando.
La propaganda in stile Rampini omette accuratamente ogni dato che dimostra questa realtà, dunque diventa indispensabile rivolgersi fuori dal mainstream giornalistico italico per trovare qualche ricostruzione attenta ai numeri, anziché alle parole.
Come spesso ci capita, abbiamo trovato in Guido Salerno Aletta – sulla testata specializzata TeleBorsa (nulla di bolscevico, come si può verificare…) – un analista serio della struttura attuale della bilancia commerciale Usa, ossia della voce più indicativa dello stato di salute di quell’economia.
“Non solo il deficit commerciale complessivo, per merci e servizi, è peggiorato di 103 miliardi di dollari, passando dagli 845 miliardi di dollari del 2021 ai 948,1 miliardi del 2022, ma si è verificato un andamento particolarmente negativo: il maggior deficit complessivo non è stato determinato solo dal peggioramento di 101,5 miliardi di dollari del deficit relativo alle merci (+9,3%), quanto anche dalla riduzione, a dire il vero marginale ma significativa, del surplus relativo ai servizi, con -1,6 miliardi di dollari (-0,6%).”
Detto brutalmente, ciò che viene consumato negli Usa è in gran parte prodotto altrove, come peraltro avviene da decenni. La novità sta nel fatto che questo scarto tra import ed export continua ad allargarsi e persino i “servizi” – settore terziario che fin qui aveva compensato la caduta delle esportazioni industriali, e stiamo parlando di “specializzazioni” storiche come le assicurazioni e i servizi finanziari – è finito in rosso, sia pur di poco.
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Il Marx "teologo" di Enrique Dussel
di Carlo Formenti
Argentino di Mendoza, filosofo ed esponente di punta della Teologia della Liberazione, il quasi novantenne Enrique Dussel insegna Etica alla UNAM di Città del Messico dopo avere vagabondato fra diverse università europee (Madrid, Parigi, Friburgo) e lavorato per due anni in un kibbutz israeliano. Una parte cospicua della sua monumentale produzione intellettuale è dedicata ad una meticolosa esegesi del testo marxiano che Dussel concepisce come una sorta di teologia occulta, intrecciata con, e nascosta dietro, le argomentazioni della critica dell'economia politica, in un impasto inestricabile di analisi scientifica e giudizio etico sui mali della civiltà capitalista. Fra i testi tradotti in italiano segnalo, fra gli altri, L'ultimo Marx (Manifestolibri, Roma 2009) e Le metafore teologiche di Marx (Shibboleth, Roma 2018). L'influenza della Teologia della Liberazione in generale (1) e di Dussel in particolare sui processi rivoluzionari latinoamericani degli ultimi decenni è innegabile, al punto che, senza conoscerne alcune idee fondamentali, è difficile afferrare il senso del processo politico che in America Latina va comunemente sotto il nome di socialismo del secolo XXI, così come è difficile capire le ragioni per cui i partiti marxisti tradizionali (siano essi stalinisti, trozkisti o maoisti) non sono stati alla guida dei processi in questione. Ecco perché ritengo utile integrare l'analisi che il mio ultimo libro (2) dedica alle rivoluzioni bolivariane con questo articolo sul pensiero di Dussel. Mi occuperò qui in particolare del libro Le metafore teologiche di Marx.
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Il linguaggio belligerante e il diritto di dissentire
Un estratto dal libro Guerra alla guerra
di Matteo Pucciarelli
[Esce in questi giorni per i tipi di Laterza il nuovo libro di Matteo Pucciarelli, Guerra alle guerra. Guida alle idee del pacifismo italiano.
Il capitolo 8, di cui riportiamo ampi estratti e che s’intitola «Guerra nelle parole. Il linguaggio belligerante e il diritto di dissentire», è in larga parte imperniato su un’intervista a WM1 realizzata nel settembre 2022 e sul lavoro critico fatto da Wu Ming nel pieno dell’emergenza pandemica, durante un coprifuoco dell’anima durato un biennio. Pucciarelli getta uno sguardo retrospettivo su quel lavoro, lo riconsidera e ne prolunga diverse linee.
Non capita ogni giorno – anzi, non ci era ancora capitato – di veder riconoscere legittimità e valore a quelle nostre riflessioni e prese di posizione in un testo pubblicato da una delle principali case editrici del Paese.
Il fatto che a riconoscerlo sia un giornalista che lavora a Repubblica, il quotidiano che più si mostrò forsennato nella caccia all’untore – ossia, nelle varie fasi: al «furbetto», al «negazionista», al «nomask», al «novax», al «nogreenpass» ecc. – e che oggi ha il primato della retorica guerrafondaia rende l’evento ancor più importante.
Grazie dunque a Matteo, e buona lettura. WM]
* * * *
«Narrazioni tossiche»*: è questa la definizione che il collettivo di scrittori Wu Ming ha dato a tutta una serie di distorsioni e mistificazioni di parole, in questa guerra che solo dopo si combatte con i fucili o con i droni telecomandati, con la violenza e la prevaricazione, ma prima è fatta di un sapiente e costante lavoro di decostruzione culturale.
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A cura di Daniela Danna: Il nuovo volto del patriarcato
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Qui una recensione di Giovanni Di Benedetto