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Riflessioni su alcune ideologie contemporanee
di Alessandra Ciattini*
Per alcuni viviamo in una fase storica radicalmente nuova – cosa di cui era fortemente convinto, come si vedrà, l’autorevole Zbigniew Brzezinski - che ha scavato un abisso con la fase storica precedente, caratterizzata dalla presenza consistente nei paesi occidentali dello Stato del benessere, dalla crescita economica, dalla forte presenza della grande industria anche di Stato, dall’esistenza di ben radicate organizzazioni di massa (partiti e sindacati).
Con le radicali trasformazioni che si sono realizzate sul piano economico e industriale, con l’infelice dissolvimento del cosiddetto socialismo reale e la cosiddetta fine della guerra fredda, in realtà ammorbidita da fasi di coesistenza pacifica, sarebbe emersa una nuova forma di società, nella quale i suoi apologeti scorgevano promesse di maggiore libertà, di maggiore rispetto delle specificità individuali[1], di minore conflittualità tra le diverse ‹‹culture››, che si incontrano oggi più intimamente per la magnitudine del fenomeno migratorio, per la velocità degli spostamenti e per la rapidità delle comunicazioni[2].
Negli articoli che raccolgo in questo libro e che ho scritto in occasioni diverse, in parte per un giornale on line ispirato ad Antonio Gramsci, La Città futura, ho cercato di analizzare alcune tendenze che percorrono l’attuale fase e che al contempo rappresentano sia elementi di continuità che di discontinuità rispetto al passato nel quadro di una prospettiva, che non sbriciola la storia in frammenti né si fa abbagliare dalle cosiddette novità. Prospettiva che certamente non ha la pretesa di essere nuova, se non rispetto a certe forme di relativismo estremo adottate da certi ambienti intellettuali, e che riprende l’idea della contrapposizione tra aspetti sociali di lunga durata e aspetti che in cicli storici più brevi si consumano e scompaiono in maniera relativamente rapida.
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Le chimere del frontismo e dell’antifascismo elettoralistico: il cadavere ancora cammina
di Sandro Moiso
“Il risultato peggiore, per le sorti della classe proletaria, è l’entrata nel tronfio affasciamento antifascista della parte proletaria che aveva finalmente imboccata la via originale e autonoma” (Amadeo Bordiga)
Nel corso degli anni Novanta, quando chi scrive faceva ancora parte di una ristretta compagine militante dal chiaro riferimento bordighista, che in seguito avrebbe dato vita alla rivista «n+1», un circolo politico di estrema destra scrisse al medesimo gruppo chiedendo un contatto per una eventuale collaborazione, una volta considerate le possibili affinità di vedute.
La risposta del militante più anziano, allora alla guida dello stesso, fu ferma e decisa, perché: «tra comunisti e fascisti non possono esistere punti in comune e soltanto le condizioni storiche ci impediscono di rapportarci con questi nell’unico modo possibile. Ovvero a colpi di fucile.»
Molta acqua è passata sotto i ponti da quel tempo a oggi ma, nonostante il fatto che le divergenze di vedute su molti aspetti dell’agire politico abbiano poi portato il sottoscritto a lasciare l’esperienza bordighista, quelle poche parole sono rimaste scolpite nella memoria di chi scrive come chiaro insegnamento. Perché ponevano alcuni ordini di problemi che oggi gran parte della sinistra presunta radicale sembra per molti aspetti ancora ignorare.
Il primo, naturalmente è quello costituito dal semplice fatto che tra l’interpretazione comunista e rivoluzionaria della realtà e delle sue contraddizioni economiche, sociali e politiche, e quella fascista e reazionaria delle stesse non può esistere alcunché di comune, al contrario di quanto recentemente sostenuto da formazioni che, pur rivendicando la vicinanza del proprio agire politico all’esperienza della sinistra antagonista, hanno invece fatto proprie le posizioni nazionaliste e populiste tipiche del fascismo.
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La scienza di von Neumann, o di come capiremo il mondo
Pioniere dell’IA, John von Neumann provò a superare l’impasse della scienza del suo tempo
di Roberto Paura
Ananyo Bhattacharya: L’uomo venuto dal futuro. La vita visionaria di John von Neumann, Traduzione di Luigi Civalleri, Adelphi, Milano, 2024, pp. 447, € 30,00
Benjamin Labatut: Quando abbiamo smesso di capire il mondo, Traduzione di Lisa Topi, Adelphi, Milano, 2024, pp. 180, € 12,00
Quando Roberto Calasso, dominus della casa editrice Adelphi, morì, il matematico e polemista Piergiorgio Odifreddi pubblicò una violentissima invettiva alla sua memoria su La Stampa dal titolo Cacciari, Calasso e gli antiscienza. A Calasso Odifreddi rinfacciava innanzitutto la scelta di pubblicare l’opera omnia di Friedrich Nietzsche, il filosofo del “Non ci sono fatti, solo interpretazioni” che il matematico considera un sottile veleno che ha intossicato le menti di generazioni, spingendole verso atteggiamenti antiscientifici. Da lì, poi, proseguiva stigmatizzando le scelte editoriali di Calasso, “che ‘infiniti addusse danni’ alla cultura italiana”, per la sua scelta di “opere scientifiche borderline”, come Il Tao della fisica di Fritjof Capra, Il principio antropico di John Barrow e Frank Tipler, La matematica e degli dèi di Paolo Zellini, Psiche e natura di Wolgang Pauli, accostati a “ciarlatani come René Guénon o Elémire Zolla” (Odifreddi, 2021). Con ciò ignorando o, meglio, fingendo di ignorare altre opere di scienza uscite per Adelphi, tra cui i testi di premi Nobel come Richard Feynman, Leonard Susskind, James Watson, Konrad Lorenz, insieme a giganti come Oliver Sacks, David Quammen, Luigi Cavalli-Sforza, John Bell, Carlo Rovelli, Martin Rees, Edward O. Wilson, Sean Carroll, Douglas Hofstadter, Rudy Rucker. Certo però l’invettiva colpiva nel segno, perché l’impronta dell’editore (come si intitola un libro dello stesso Calasso) non è mai stata più forte nel mondo editoriale italiano che in Adelphi, in cui ogni titolo non è mai una scelta casuale. Anche oggi che Calasso non è più tra noi, se ne può scorgere l’impronta nella recente pubblicazione di due titoli su un personaggio che meritava una riscoperta proprio negli anni in cui viviamo: John von Neumann. Di lui si è occupato Benjamin Labatut in Maniac (testo che abbiamo già analizzato in precedenza su Quaderni d’Altri Tempi) e, più prosaicamente e con un taglio più strettamente biografico, il giornalista e scrittore di scienza Ananyo Bhattacharya in L’uomo venuto dal futuro.
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La crisi sistemica dell’Ue e la necessità della rivoluzione
di Fosco Giannini
La verità è quella che appare? Si può essere rivoluzionari senza la teoria e la pratica della “preveggenza”? I comunisti debbono essere rivoluzionari e lavorare per la rivoluzione? Tre domande preliminari per un più vasto dibattito.
Tre domande preliminari: la verità è quella che appare? Si può essere rivoluzionari senza la teoria e la pratica della “preveggenza” e, cioè, senza “navigare” nei flussi carsici delle fasi storiche in cui i comunisti lottano? I comunisti debbono pensare alla rivoluzione e per essa attrezzarsi?
Sono tre domande, con le conseguenti risposte, attorno alle quali intenderemmo organizzare una prima riflessione volta esplicitamente all’apertura di una più vasta discussione sullo “stato delle cose” nell’area dell’Ue e sulla verosimiglianza o meno, in questa stessa area, di condizioni in divenire potenzialmente rivoluzionarie.
Che la verità non sia quella epidermica, quella che appare, è una costatazione ovvia e persino stucchevole, nella sua ovvietà. Ma è ovvia e stucchevole solo se la si formula da una postazione di razionalità. Poiché se formulata da una postazione di “superstizione” (che è quella della stragrande maggioranza, del senso comune di massa, “superstizione”, tanto per acuminare la precisione, che può avere come sinonimo la credenza popolare vana) la verità torna a essere esattamente quella fenomenica interpretata dai sensi e non quella profonda indagata dalla scienza e auscultata dagli esploratori dei moti carsici: i rivoluzionari, in questo senso “preveggenti”. Come il Lenin de «Lo sviluppo del capitalismo in Russia», una delle sue prime opere, iniziata nel 1896 nel carcere di Pietroburgo e terminata, in cattività, in Siberia, nel villaggio di Sciuscenkoie, un’opera che attraverso l’analisi della realtà prepotentemente in divenire, ma non percettibile dagli “avatar” della “superstizione”, evoca i moti carsici sui quali fondare, dando a esso plausibilità, il processo di violenta trasformazione sociale e ideologica che avrebbe portato, solo 21 anni dopo, all’assalto al cielo, all’Ottobre rivoluzionario.
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“Capitale, egemonia, sistema. Studio su Giovanni Arrighi” di Giulio Azzolini
di Paolo Missiroli
Recensione a: Giulio Azzolini, Capitale, egemonia, sistema. Studio su Giovanni Arrighi, Quodlibet, Macerata 2018, pp. 176, euro 18 (scheda libro)
Giovanni Arrighi non è un pensatore sufficientemente valorizzato nel panorama italiano e sono pochi i luoghi che dedicano un qualche spazio a riflessioni su questo storico ed economista. Eppure Arrighi è importante nel dibattito internazionale a proposito del capitalismo e della sua storia; esempio ne sia il suo ruolo nella discussione seguita alla pubblicazione di Impero di Toni Negri e Michael Hardt. Dai post-operaisti Arrighi era considerato, pur nel forte disaccordo, un interlocutore di prim’ordine.
Per questo la pubblicazione di una monografia su Arrighi è una buona notizia. Capitale, egemonia, sistema di Giulio Azzolini, oltre a essere una novità per il solo fatto di trattare di Arrighi, ha il pregio di affrontare la sua opera dall’inizio alla fine, cogliendone i punti salienti in un numero di pagine ammirevolmente ridotto; pone con chiarezza gli elementi di contatto con altri autori, scuole e correnti di pensiero; colloca Arrighi nel suo tempo storico e anche nella sua dimensione di militante politico all’altezza degli anni Settanta. Fare una recensione di un testo simile significa quindi porsi, non senza un qualche grado di arbitrarietà, l’obbiettivo di riportare alcuni fra questi tanti elementi. L’arbitrio sta, appunto, nel fatto che non tutti potranno essere qui trattati. Il testo che discutiamo, peraltro, si presta con facilità, data anche la buona scorrevolezza che lo contraddistingue, a essere sfogliato e letto da chiunque lo voglia. Non ci concentreremo eccessivamente sugli esiti più noti del pensiero dell’Arrighi maturo, che sono già stati trattati, su Pandora, in recensioni apposite. Qui è possibile trovare la recensione a Il lungo XX secolo e qui e qui quelle ad Adam Smith a Pechino.
Può facilitarci il compito il fatto che in effetti si potrebbe dire che il senso della riflessione arrighiana è quello di dare ragione della crisi all’interno del sistema capitalistico.
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Sul ritorno alle “crisi” nella teoria critica contemporanea
di Alessandro Volpe
1. Un ritorno alle crisi?
Nell’ambito della critica sociale, il concetto di “crisi” è per certi aspetti originario. L’intera ricerca sociale delle prime generazioni della Scuola di Francoforte può essere ricondotta a una vera e propria “teorizzazione della crisi europea”[1]. Le indagini anche empiriche della prima fase della teoria critica della società erano incentrate sulle forme di crisi che investivano le società dell’epoca: dagli studi sull’autorità e la famiglia, sino a quelli sulla personalità autoritaria e sull’antisemitismo. I frammenti filosofici che compongono Dialektik der Aufklärung (1947) possono essere considerati nel loro insieme un grande manifesto della crisi della ragione occidentale, concepito per spiegare l’avvento dell’autoritarismo in virtù delle stesse premesse della modernità illuministica. Si può dire, tuttavia, che quella radicalmente messa in stato d’accusa da Adorno e Horkheimer era una “meta-crisi”, incentrata su una critica più o meno totalizzante della ragione strumentale.
Dal punto di vista del loro allievo e prosecutore Jürgen Habermas, l’accusa nei confronti della ragione occidentale operata dai suoi maestri aveva tuttavia il limite di far implodere la critica stessa nella crisi, perché incapace di individuare una razionalità pratica alternativa a quella strumentale. [2] A riabilitare il nesso tra crisi e critica fu d’altra parte lo stesso Habermas – in uno scenario radicalmente mutato – nello studio intintolato Legitimationsprobleme im Spätkapitalismus (1973), tradotto in italiano come “La crisi della razionalità nel capitalismo maturo”[3] e in inglese “Legitimation Crisis”. In questo libro, Habermas faceva notare come nel capitalismo regolato dal welfare (tipico della stagione 1945-1975), a differenza del capitalismo liberale classico, le crisi economiche erano assorbite dallo Stato, generando tuttavia a sua volta una crisi politica di legittimazione delle istituzioni, nonché di partecipazione democratica.
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Breve storia (teologica) del lavoro
di Leo Essen
I
Il tempo, per i cristiani come per gli ebrei, ha un fine, un telos. L’avvenire – la fine – dà un senso a tutta la storia. Per i cristiani questa fine (della storia) è già cominciata. L’avvento di Cristo rappresenta una certezza, la certezza che la fine è già cominciata. Ma deve essere compiuta con il concorso della Chiesa. Il dovere missionario della Chiesa, la predicazione del Vangelo, dà al tempo compreso tra la resurrezione e la parusia il suo significato nella storia della salvezza. Cristo ha apportato la certezza dell’avvento della salvezza, ma resta compito della storia collettiva e della storia individuale compierla. Di qui il fatto, dice Le Goff (Nel medioevo: tempo della Chiesa e tempo del mercante, 1960), che il cristiano deve rinunciare al mondo, che è soltanto la sua dimora transitoria, e in pari tempo optare per esso, accettarlo e trasformarlo perché è il cantiere della storia presente della salvezza.
È l’esperienza del mondo come redenzione, come ritorno all’unità con Dio, via verso la pienezza, via della verità – Hegel. È l’esperienza del mondo come dislocazione o delocalizzazione, cacciata dal paradiso, scissione, differenza. Il corpo che diventa lo scrigno o l’arca di questo fine, di questo ritorno, di questo recupero di una condizione perduta, passata e che ci attende nel futuro, quando il percorso sarà compiuto e il corpo abbandonato, non prima di avere recuperato dall’esperienza il senso e la direzione della salvazione, il biglietto di ingresso.
II
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Microfisica del capitale
di Salvatore Bravo
Macchine desideranti
Il capitale si svela nei dettagli della vita quotidiana. Non è solo profitto, ma produce un modo di vivere, si tratta di una pianificazione del quotidiano con valenze politiche ed economiche. La solitudine dell’individualismo è il sostegno più solido all’economia di profitto. Uomini e donne soli consumano non solo per consolarsi, ma anche per “sentire di esserci nella lotta quotidiana” tra le solitudini, e specialmente, le scelte improntate alla “singolarità radicale” sono valutate “libertà irrinunciabili”. Tutto è nel segno della individualità. Il modo di produzione capitalistico non produce solo sfruttamento e merci, quindi, è una visione del mondo tentacolare che penetra nelle vite delle soggettività assoggettandole alla forma mentis individualista. Si è addestrati alla singolarità e la si gratifica con l’ipertrofia dei desideri che coltivano un senso infantile di onnipotenza.
L’in-dividuum è il risultato finale della penetrazione lenta e inesorabile del nichilismo passivo fondamento del capitalismo. Tutti i desideri sono leciti, purché producano effetti economici. Il PIL è il silenzioso imperatore di ogni vita.
Non si nasce individui, lo si diventa mediante un processo di desocializzazione. Si nasce comunitari, il capitale ci trasforma in atomi vaganti-migranti. Si migra da un’area geografica a un’altra come da un desiderio al successivo. Il capitale separa, per cui l’individuo è ciò che resta dopo un lungo percorso di disintegrazione delle unità: popoli e comunità evaporano dinanzi alla forza distruttrice del liberismo individualista.
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D-Day 2024
di Diana Johnstone*
Giudicando in retrospettiva, diventa chiaro come la “minaccia comunista” della Guerra Fredda non sia stata che un pretesto con cui le grandi potenze dell'Occidente cercavano maggior potere.
Lo scorso fine settimana si sono tenute delle celebrazioni in ricordo dell'Operazione Overlord, lo sbarco anglo-americano sulle spiagge della Normandia del 6 giugno 1944, noto come il D-Day. I russi, ostentatamente e per la prima volta, non sono stati invitati a prendere parte alle cerimonie.
L'assenza dei russi, dal punto di vista simbolico, ha mutato il significato dei festeggiamenti. Certo, il senso della glorificazione di Overlord come primo passo nel dominio sull'Europa Occidentale del mondo anglo-sassone risulta del tutto appropriato. Senza la Russia, tuttavia, l'evento veniva in realtà slegato dall'originale contesto della Seconda Guerra Mondiale.
In quell'occasione, il presidente ucraino Volodymir Zelensky è stato invitato a rivolgere un discorso, a mezzo video, al Parlamento francese. Zelensky ha utilizzato ogni strumento retorico per demonizzare Vladimir Putin, descritto come il “comune nemico” dell'Ucraina e dell'Europa.
La Russia, ha affermato, “è un territorio in cui la vita non vale nulla ... È il contrario dell'Europa, è l'anti-Europa.”
E così, 80 anni dopo, il D-Day celebra un'alleanza differente e una guerra differente - o forse, la stessa vecchia guerra, ma con il tentativo di cambiarne il finale.
Ecco un cambio di alleanze che avrebbe potuto essere gradito almeno a una parte dell'elite britannica pre-bellica. Fin dal momento in cui prese il potere, infatti, Hitler trovò molti ammiratori nell'aristocrazia britannica. Persino nella famiglia reale. Molti erano quelli che vedevano in Hitler il necessario antidoto al “giudeo-bolscevismo” russo.
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Guerra robotica e iperrealtà psicotica
di Stefano Isola
Le civiltà sono mortali, le civiltà muoiono come gli uomini, ma non muoiono alla maniera degli uomini. In esse la decomposizione precede la loro morte, mentre in noi segue la storia.
Georges Bernanos
Recentemente l’Unesco ha lanciato un allarme per le possibili deformazioni che l’intelligenza artificiale generativa potrebbe produrre sulla conservazione della memoria storica dell’Olocausto: «la facilità con cui i modelli possono generare contenuti realistici, combinata con l’ampia diffusione online, crea terreno fertile per la proliferazione di notizie false sull’Olocausto», che «potrebbero alimentare l’antisemitismo». E sollecita urgenti azioni di contrasto sulle piattaforme online e nella scuola, per il controllo della disinformazione e la preservazione della memoria1. Piuttosto che dare valore all’onestà nella narrazione storica, tali operazioni sono, al contrario e inevitabilmente, il prodotto di elaborazioni automatizzate interne a un “ambiente di scelta” predefinito e puramente operazionale. Una sorta di iper-mediazione del mondo che ambisce a costituirsi come contenitore narrativo che prende il posto del reale e della finzione, e all’interno del quale tutto ciò che si muove non significa nulla, ma nello stesso tempo agisce normativamente in modo ipermoralistico, delimitando un unico quadro di riferimento senza origine né realtà né razionalità. In tale contenitore iperreale proliferano, come germi in un brodo di coltura, anche gli emendamenti farseschi della “cultura del piagnisteo”, dove, ad esempio, insieme a certi prodotti dei modelli generativi, si esorta la censura di Shakespeare e Dante Alighieri nella scuola, perché antisemiti e islamofobici2.
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Una nota introduttiva a “Classe operaia e padronato nelle recenti vicende economiche”
di Stefano Lucarelli ed Hervé Baron
Classe operaia e padronato nelle recenti vicende economiche è un opuscolo derivante da una lezione tenuta da Augusto Graziani nell’ambito di un corso per la formazione dei quadri dirigenti della Federazione Lavoratori Metalmeccanici (FLM) di Brescia svoltosi fra marzo ed aprile nel 1974. Si tratta di una pubblicazione sindacale “a circolazione interna”, e dunque senza alcun colophon.
Fino a oggi questo testo non era stato preso in considerazione nella redazione della bibliografia ufficiale delle opere di Augusto Graziani 1 . Tuttavia, proprio per codesto motivo, rappresenta un caso editoriale interessante. Da nostre ricerche bibliografiche sull’OPAC SBN, infatti, ci risultano 4 registrazioni del testo in parola. In tutti i casi non viene esplicitamente indicato l’anno di edizione. Perciò l’attribuzione viene sempre fatta dai bibliotecari, su base ipotetica. Abbiamo:
registrazione [1], in cui la data della stampa viene indicata come: [1974?], non si dà alcun luogo di edizione e si afferma che il testo presenta 62 pp.;
registrazione [2], in cui la data della stampa viene indicata come [1974], il luogo di edizione è indicato come Pavia: Centro stampa Amministrazione provinciale, e si afferma che il testo presenta 62 pp.;
registrazione [3], il cui la data della stampa viene indicata come [1974?!], il luogo di edizione, invece, è indicato come Roma: La tipografica, mentre si afferma che il testo presenta 70 pp.;
registrazione [4], infine, ha un titolo leggermente differente, ovvero Classe operaia e padronato nelle recenti vicende economiche: corso per il conseguimento della Licenza di scuola media inferiore per lavoratori (150 ore), la data di edizione viene indicata come [1977?!], il luogo di edizione riportato è Varese: a cura della Federazione sindacale CGIL, CISL, UIL, mentre il testo in questa versione presenta ben 98 pp.
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La transizione in atto verso un mondo nuovo è ormai frenabile solo dalla guerra globale
di Francesco Cappello
Il vecchio mondo non funziona più né dal punto di vista della sicurezza globale né da quello economico e della sostenibilità delle economie estrattive neoliberiste. Esso era fondato sull’egemonia unipolare USA che, con i suoi vassalli europei da una parte e orientali (Australia, Giappone, Corea del Sud, Filippine) dall’altra, stanno cercando di frenare la riorganizzazione delle relazioni tra Paesi di cui risultano protagonisti i paesi BRICS allargati, sempre più numerosi, con un potenziale di espansione enorme. Intorno ai BRICS plus orbita ormai l’80% del mondo
Gli USA usano Israele, così come i paesi NATO-Ue
Il vecchio mondo, dominato dagli USA, sta tentando di arginare, con la minaccia militare e la violenza delle armi, l’affermazione del mondo multipolare; il risultato ampiamente pianificato consiste nella destabilizzazione di diverse aree critiche del pianeta: dal cuore dell’Europa, in Ucraina, usata come piattaforma di guerra contro la Federazione Russa, al Medioriente, ove lo strumento di conservazione del vecchio ordine occidentale è Israele, sino al mar cinese meridionale dove allo stesso scopo è utilizzata la contesa artificiosa sull’isola di Taiwan. Dinamiche analoghe sono in atto nel continente africano che si sta liberando dalla seconda colonizzazione francese e statunitense e in quello sudamericano ove è l’Argentina a svolgere il ruolo di strumento reazionario a uso e consumo del vecchio dominio USA.
Con l’espansione della NATO a Est sino ai confini della Federazione Russa, che include la volontà di inglobare l’Ucraina, è stato violato il principio di indivisibilità della sicurezza secondo cui la sicurezza di alcuni non può essere raggiunta a discapito di quella di altri. L’ultimo atto di tale follia atlantista è stata l’inclusione di Finlandia e Svezia. La Finlandia condivide con la Russia quasi 1400 km di confine. È stato, di conseguenza, provocato il collasso del sistema di sicurezza euro Atlantico che dev’essere ricostruito al più presto. In altre parole la minaccia all’Europa, lungi dal venire dalla Federazione Russa, deriva, chiarissimamente ormai, dalla sua servitù al sistema di dominio anglo americano, un giogo che la sta trascinando a velocità crescente in un baratro, un vicolo cieco evolutivo.
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Gli errori di un trentennio
di Roberto Artoni
Riflettendo sull’opera di Salvatore Biasco e su una raccolta di saggi a lui dedicata si possono individuare le scelte che hanno portato l’Europa a crescere la metà degli Stati Uniti e l’Italia la metà – o anche meno – dell’Europa. Il contributo negativo della svolta nella teoria economica
È opinione ampiamente condivisa che negli ultimi decenni il mondo occidentale sia stato guidato da un modello neoliberista, elaborato prima in alcune università americane e poi tradotto in specifici suggerimenti di politica economica.
A partire dagli anni ’70 a livello accademico è emersa infatti una modellistica in cui i sistemi economici sono naturalmente orientati a esiti ottimali nel senso walrasiano. Se i sistemi non sono vicini alla piena occupazione, ciò è dovuto a rigidità che impediscono la piena flessibilità dei salari e dei prezzi o a comportamenti dissennati delle autorità pubbliche. Non esistendo di fatto problemi di carenza di domanda aggregata, gli interventi di politica fiscale devono essere marginalizzati; lo strumento d’intervento deve essere ricondotto alla politica monetaria, stante che l’inflazione è ritenuta un fatto puramente monetario.
Il nuovo modello di politica economica doveva sostituirsi a quello precedente che, sulla base di una lettura molto parziale, non sarebbe stato in grado di garantire un adeguato funzionamento del sistema economico, essenzialmente per la pervasività dell’intervento pubblico.
Dall’elaborazione teorica sono nate le proposte di politica economica: meccanismi contrattuali compatibili con la flessibilità dei rapporti di lavoro; sistemi di produzione e scambio tendenti alla concorrenza da perseguire con la legislazione antimonopolistica. Doveva in particolare essere superata la presenza pubblica nella sfera produttiva attraverso un esteso processo di privatizzazioni. La liberalizzazione degli scambi e la deregolamentazione finanziaria dovevano essere poi il canone cui conformarsi negli scambi internazionali.
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“Il tramonto dell’Occidente”: in quale parte della notte abitiamo?
di Eros Barone
Vi sono sette parti della notte: il vespro, il crepuscolo, il conticinio, l’intempesto, il gallicinio, il mattutino e il dilucolo.
Isidoro di Siviglia, Etimologie.
Nel 1918 e nel 1922 apparvero i due tomi del Tramonto dell’Occidente, opera principale non meno che monumentale (si tratta infatti di un testo di oltre 1500 pagine) del filosofo tedesco Oswald Spengler (1880-1936): uno studioso che, muovendo da posizioni conservatrici, sarà un critico severo della repubblica di Weimar (1918-1933) e giudicherà positivamente, almeno all’inizio, salvo poi prenderne le distanze, il nazionalsocialismo. Tuttavia, poche opere hanno ottenuto un successo di pubblico paragonabile a quello che arrise a questo libro e poche opere hanno fissato in modo durevole i fondamenti di quella “critica della notte” cui, da allora fino a oggi, deve il suo enorme successo di pubblico, perlomeno fra le persone colte, questa opera geniale.
1. Dalla storia alla natura: ‘Kultur’ e ‘Zivilisation’
Nel Tramonto dell’Occidente Spengler si propone di scoprire la forma che ogni civiltà incarna nel suo svolgersi, laddove proprio il termine di civiltà è quello con cui in italiano conviene tradurre il pregnante vocabolo tedesco ‘Kultur’. Ed è in tal senso che l’autore parla di una morfologia della storia universale. Alla logica delle scienze naturali, che egli definisce meccanica, Spengler contrappone allora una logica organica che coglie il complesso delle manifestazioni di una ‘Kultur’ come un organismo biologico. Il mondo “come natura”, che risponde alla logica meccanica delle scienze naturali, è per tali scienze un insieme di fenomeni sparsi nello spazio e legati fra loro da nessi causali: è ciò che Spengler chiama sistematica.
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Il “fascismo” contemporaneo non veste l’orbace
di Norberto Fragiacomo
Una compagnia di spettri si aggira per l’Europa odierna, ma a capitanarla non è di certo una larva in fez e camicia nera, anche se qualche politicante e schiere di imbonitori mediatici sostengono allarmati (rectius: allarmisti) il contrario.
Vediamo di essere più precisi: un nuovo autoritarismo si sta per davvero affermando, e anzi a livello continentale è già dominante, ma non si identifica con i gruppuscoli di giovinastri nostalgici che marciano nerovestiti nelle vie di un borgo laziale e nemmeno con i quadri intermedi di un partito che è la versione 2.0 del MSI di Almirante. Che i meno accorti, cresciuti con quei miti, si lascino ogni tanto sfuggire un saluto romano o un Sieg Heil! è abbastanza scontato, così come non deve sorprendere che questo o quel “federale” di lungo corso sia restio a pronunciare un’abiura che striderebbe peraltro con lo spirito dei tempi. Ma come? – potrebbe ribattere il caporione di turno all’intervistatore beneducato e democratico – non siamo tutti d’accordo nel sostenere l’eroica battaglia del reggimento Azov, che la sua “fede” la esibisce con fierezza, e nel condannare il mostruoso comunismo sovietico che ha prodotto l’aggressore Putin? Non concordiamo sul fatto che il nemico sono i barbari orientali, che la NATO è un presidio di libertà e che Israele va difeso, costi quel che costi? Non abbiamo gioito insieme per la liberazione di quei quattro ostaggi, scrollando le spalle di fronte alle duecento vittime collaterali palestinesi? Noi stiamo dalla stessa parte, amico democratico: è questo ciò che conta, tutto il resto è folklore.
Ecco: se il post-missino medio muovesse oggidì una siffatta obiezione a chi, da alfiere del mainstream neoliberale, ostenta raccapriccio per certi riti e atteggiamenti, dovremmo a malincuore riconoscere che il ragionamento non fa una piega: oggetto di quotidiane reprimende retoriche, che sono a loro volta folklore, il fascismo lato sensu inteso risulta ormai nei fatti sdoganato da un sistema che tutt’al più gli chiede un minimo di compostezza e buone maniere in società.
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Attualità di Evald Ilyenkov
di Carlo Di Mascio
Tratto da Carlo Di Mascio, Ilyenkov e la filosofia marxista-leninista. Introduzione a Dialettica leninista e metafisica del positivismo di Evald Ilyenkov, Phasar Edizioni, Firenze, 2024, pp. 176.
I.
Tuttavia - ci dicono i nostri avversari - anche l’opera di Lenin è invecchiata. Oggi la scienza ha raggiunto nuove vette e non è più possibile impostare i problemi alla maniera di Lenin. No, affatto,«la questione resta ancora valida proprio come Lenin la pose nel 1908» [Evald Ilyenkov, Dialettica leninista e metafisica del positivismo. Riflessioni sul libro di Lenin ‘Materialismo ed empiriocriticismo’].
Ilyenkov è morto suicida nel 1979, circa dodici anni prima della dissoluzione dell’URSS, una dissoluzione che in realtà aveva già in gran parte anticipato con tutta la sua variegata produzione filosofica. I vertici accademici e istituzionali, intenti a vigilare dogmaticamente sull’ideologia ufficiale, accolsero con singolare ostilità la sua concezione marxista-leninista. Ilyenkov rappresentava difatti un avversario molto pericoloso, perché, diversamente da quanto inizialmente ritenuto dall’intellighenzia occidentale, egli in realtà non mirava affatto a ridimensionare il marxismo-leninismo, bensì a riattivarlo criticamente, mostrando proprio come il «marxismo ufficiale sovietico» si fosse invece incredibilmente allontanato dall’autentica eredità di Marx, Engels e Lenin, mediata peraltro anche da una accurata lettura hegeliana.
Ora, questo allontanamento per Ilyenkov era innanzitutto da ascrivere all’abbandono di fatto del materialismo dialettico, quale «portato naturale e necessario di tutto il più recente sviluppo della filosofia e della scienza sociale»1 - vale a dire di quel metodo scientifico che non solo tende a considerare una società, storicamente determinata, come un organismo vivente e non come un semplice ingranaggio da gestire meccanicisticamente dall’alto, ma soprattutto che si oppone a qualsivoglia forma di idealismo soggettivistico, essendo, come ancora sottolineava Lenin, «un processo di storia naturale retto da leggi che non solo non dipendono dalla volontà, dalla coscienza e dalle intenzioni degli uomini, ma che, anzi, determinano la loro volontà, la loro coscienza e le loro intenzioni»2.
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L’Italia s’è destra…., destrissima, anzi fascista
Alba Vastano intervista Ascanio Celestini, artista antifascista
“… la celebrazione che di più si presenta come identitaria (parola che piace tanto ai fascisti in democrazia) per l’estrema destra è il giorno del ricordo istituito con una legge del 2003 quando è presidente del Consiglio proprio Silvio Berlusconi, quello che dichiarava di aver costituzionalizzato i fascisti. Primi firmatari sono due cresciuti nel partito di Almirante, cioè Roberto Menia e Ignazio La Russa. Quest’ultimo protagonista della politica di estrema destra da molti anni anche per le sue dichiarazioni contro l’azione partigiana di via Rasella e per la bizzarra collezione di cimeli fascisti.” (Ascanio Celestini)
“Se non si può parlare di “ritorno del fascismo”, è solo perché dall’Italia il fascismo non se n’è mai andato, ma ha continuato a scorrere sotterraneo, come un fiume carsico, riemergendo di tanto in tanto. Le sue riemersioni, da una trentina d’anni a questa parte, sono diventate sempre più frequenti, e il revisionismo storico, nella sua forma estrema, il rovescismo, ha svolto un ruolo determinante”. (Angelo D’Orsi, storico, saggista, studioso del pensiero gramsciano).
E’ evidente che la subcultura di estrema destra è dominante nel nostro Paese e non solo perché oggi vige un governo marcatamente di matrice fascista, ma perché quel modo di vedere la società e la teoria del capo che tutto può e a cui tutti devono essere subalterni prevale da sempre nella storia del nostro Paese. C’è l’uomo solo al comando dalla notte dei tempi a oggi: il principe, il re, il papa, il dittatore. E poi ci sono i sudditi, il popolo ‘bue’, quella porzione di maggioranza del popolo che necessità di essere comandata, sottomessa, svilita per sentirsi protetta.
Necessita di non pensare se non con un pensiero omologato, unico. Una sorta di sindrome psicotica e masochista.
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Assange, un viaggio nel Pacifico, e le maschere dell’Occidente
di Roberto Iannuzzi
Washington e i suoi alleati europei continuano a minare quella patina di democrazia e promozione dei diritti umani che Assange ha il merito di aver smascherato con il suo lavoro di giornalista
Dopo una battaglia durata 14 anni, 5 dei quali trascorsi a Belmarsh, famigerato carcere di massima sicurezza alla periferia di Londra, il fondatore di Wikileaks Julian Assange ha dunque inaspettatamente ottenuto la libertà.
Il giornalista australiano rischiava 175 anni di carcere per ben 18 capi d'accusa presentati dall'amministrazione Trump, poi presi in carico dal successore Biden.
Per 5 anni, il Dipartimento di Giustizia americano aveva ignorato gli appelli di tutto il mondo a far cadere le accuse dell’Espionage Act rivolte contro Assange.
Un patteggiamento improvviso
Tutto è cambiato a maggio, dopo che l'Alta Corte di Giustizia britannica aveva concesso al fondatore di Wikileaks un'udienza di appello sulla richiesta di estradizione negli Stati Uniti.
L'Alta Corte aveva ritenuto che il governo statunitense non avesse fornito garanzie soddisfacenti sul fatto che Assange potesse contare su una difesa in base al Primo Emendamento, se fosse stato estradato e processato negli USA.
Il Dipartimento di Giustizia, forse temendo di perdere la causa, si è affrettato a giungere a un patteggiamento con il team legale di Assange.
I procuratori statunitensi hanno accettato una dichiarazione di colpevolezza per una singola accusa di cospirazione ai sensi della legge sullo spionaggio, senza ulteriori pene detentive rispetto al periodo da lui già scontato in prigione.
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Una teoria da ripensare?
Sul rapporto tra ricchezza finanziaria e ricchezza reale nell'epoca della speculazione
di Andrea Pannone
Ricchezza reale e ricchezza finanziaria nelle teorie economiche
La distinzione tra ricchezza reale e diritti finanziari sulla ricchezza reale (ricchezza finanziaria) è una premessa fondamentale dell’economia politica, riconosciuta sia dalle scuole di pensiero neoclassiche che da quelle di ispirazione marxista. Nonostante la radicale differenza con cui i due approcci teorici vedono la relazione tra le due forme di ricchezza nell'economia[1], entrambi sono accomunati dal riconoscimento del fatto che i diritti finanziari dipendono dalla ricchezza reale sottostante, poiché rappresentano pretese legali su beni e servizi tangibili o sui flussi di reddito generati da essi. Questa relazione di dipendenza, però, diventa molto meno chiara in contesti di inflazione finanziaria – ossia di crescita continua dei prezzi degli asset finanziari (titoli, azioni, ecc.) – e speculazione eccessiva, allorché le due forme di ricchezza mostrano andamenti progressivamente divergenti a partire dagli anni ʼ90[2]. Questo impedisce a entrambe le scuole di pensiero di spiegare adeguatamente le cause e le implicazioni del processo di finanziarizzazione dell’economia che ha luogo nel XXI secolo e che ha portato quella divergenza a livelli parossistici, accrescendo enormemente le diseguaglianze distributive (vedi Piketty 2014)[3]. Osserviamo infatti che i guadagni derivabili da questi asset non hanno propriamente la natura di redditi, almeno non come il concetto di reddito è sempre stato considerato nella letteratura economica ossia la controparte esatte del valore dei flussi di produzione. Per questo motivo la loro consistente e non temporanea espansione, che implica un trasferimento puro di moneta dai redditi dei fattori produttivi alle rendite, non sembra immediatamente riconducibile né al concetto di legittima ricompensa della produttività dei fattori di produzione – come vorrebbe la scuola neoclassica – ma nemmeno al concetto di sfruttamento dei lavoratori e al conflitto capitale/lavoro – come vorrebbero le più classiche scuole di ispirazione marxista[4].
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I cinque principi per la coesistenza pacifica e il ruolo del Partito comunista
di Gianmarco Pisa*
Un’analisi in occasione del 70° anniversario della proclamazione dei Cinque principi per la coesistenza pacifica e all’indomani del 103° anniversario della fondazione del Partito comunista cinese. Non solo la capacità del marxismo e del leninismo, attraverso gli strumenti del pensiero e dell’opera di Marx e di Lenin, del materialismo e della dialettica, di adattarsi e di corrispondere ai diversi contesti nazionali, ma anche la sua straordinaria modernità, nel costruire percorsi autonomi, originali, di pace, progresso, giustizia sociale.
Un’importante conferenza, in occasione del 70° anniversario dei Cinque principi per la coesistenza pacifica, si è svolta lo scorso 28 giugno, a Pechino, con la partecipazione di oltre seicento persone, tra rappresentanti istituzionali, diplomatici provenienti da oltre cento Paesi, studiosi, analisti, ricercatori e media.
La ricorrenza non è importante solo per il suo aspetto celebrativo, quanto, in particolare, per la stringente attualità delle questioni cui rimanda. I Cinque principi furono infatti avanzati, per la prima volta, dall’allora premier cinese Zhou Enlai il 31 dicembre 1953 in occasione di un incontro con una delegazione del governo indiano; successivamente, nel giugno 1954, lo stesso premier cinese visitò l’India e l’allora Birmania (oggi Myanmar); al termine di questo percorso diplomatico, nel mondo uscito dalla Seconda guerra mondiale, nel quale si andava sempre più consolidando la contrapposizione bipolare propria della Guerra fredda e in cui maturavano i presupposti delle grandi lotte di liberazione contro il colonialismo e per l’affermazione, a partire dal 1961, del Movimento dei non allineati, le due dichiarazioni congiunte, Cina-India del 28 giugno 1954 e Cina-Birmania del 29 giugno 1954, avanzavano i Cinque principi per la coesistenza pacifica come principi guida nelle rispettive relazioni bilaterali e, in generale, come criterio generale per le relazioni internazionali.
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Cicli secolari
di Fabrizio Russo
Rileggo continuamente, anche se a spezzoni, il bellissimo lavoro di Peter Turchin e Sergey A. Nefedov: “Secular Cycles” edito da Princeton Press. La rilettura mi provoca ogni volta (e, devo dire, mio malgrado) una scarica rutilante, una fiumana, di pensieri. Il primo però è certamente: “Abbiamo davanti ai nostri occhi la corretta interpretazione delle cause dei problemi che ci circondano, e questo è già avere a disposizione mezze soluzioni, ma non vogliamo leggerla!”. L’essere umano è fatto in questo modo: agisce secondo il principio di economia (continua ricerca del minimo sforzo e massimo risultato) e così facendo evita di affrontare i sentieri più difficili della vita, preferendo le “autostrade” che portano a cercare soluzioni evanescenti e illusorie di brevissimo periodo a problemi di lungo termine. Oppure all’altro estremo si spinge nelle varie forme di negazione della realtà: droga, alcool e dipendenze varie, edonismo para-patologico nelle sue varie forme, disperazione e lotta armata contro i mulini a vento!
Qual è il collegamento delle analisi di Turchin e Nefedov con la nostra realtà di tutti i giorni? Il punto è proprio questo: il collegamento è molto distante, quindi pressoché invisibile, ma fortissimo …… anzi, oserei dire che è un legame di tipo deterministico! Nel dettaglio, Turchin e Nefedov hanno analizzato “matematicamente” i cicli storici degli ultimi due millenni considerando le principali dinamiche sociali, demografiche e di risorse naturali ed hanno scoperto delle sconcertanti regolarità di processo, con un modello che approssimativamente risulta il seguente:
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L’intelligenza artificiale: l'innovazione del dispositivo di dominio capitalista
Un pericolo incombente sulla nostra società
di Turi Palidda
La storia dei dispositivi che memorizzano i saperi umani al fine di sviluppare le conoscenze e le applicazioni o anche storia dell’informatica è particolarmente affascinante innanzitutto perché risale alla più lontana antichità (si veda la pagina di Wikipedia in questo caso abbastanza utile.
Nell’accezione banale è la storia del progresso che però va solo parzialmente a beneficio della maggioranza dell’umanità. Come infatti suggerisce in particolare Michel Foucault, la questione cruciale riguarda sempre il rapporto fra potere e sapere: il dominio si accaparra dei saperi per perpetuarsi, per accrescere le sue risorse di ogni sorta e ovviamente l’accumulazione della sua ricchezza.
Senza risalire ai tempi remoti, l’ultima grande rivoluzione in tutti i campi si innesca all’inizio degli anni ’70. Lo sviluppo delle cosiddette nuove tecnologie e in particolare dell’informatica e dei programmi via via più sofisticati permette quella che è stata chiamata la finanziarizzazione del capitalismo e da allora quella che Harvey chiama la controrivoluzione liberista.
Da allora si è avuta la sconvolgente automatizzazione informatizzata, il boom del ricorso agli algoritmi, la possibilità di produzioni senza manodopera umana, il boom delle comunicazioni, dei trasporti, la pervasività della profilazione (o schedatura) per interessi di marketing, di controlli dell’elettorato oltre che dei soliti controlli delle polizie. Grazie alla videosorveglianza intelligente s’è approdati alla mostruosa Società di sorveglianza: sette miliardi di sospetti (vedi documentario Arte qui).
Va da sé che il business connesso alle nuove tecnologie è diventato immenso perché appunto è pervasivo e quindi penetra tutto e tutti.
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“In Italia si fa disinformazione su Gaza. Rai e La7 non mi vogliono perché accuso Israele di genocidio”
Enrico Mingori intervista Francesca Albanese
“L’Olocausto non ci ha insegnato niente: abbiamo sconfitto Hitler ma non le su idee razziste. In Occidente c’è una forte lobby pro-Israele, un sistema di suprematismo bianco che intimidisce e punisce chiunque osi criticare lo Stato ebraico. E in Italia questo sistema è particolarmente forte: nei miei confronti c’è una conventio ad excludendum. Vi spiego perché quello di Israele è un genocidio e quello di Hamas no”. Intervista alla Relatrice speciale dell’Onu per i territori palestinesi occupati
Francesca Albanese, 44 anni, originaria della provincia di Avellino, dal 2022 è Relatrice speciale delle Nazioni Unite per i territori palestinesi occupati. Laureata in Giurisprudenza a Pisa, si è specializzata fra Londra e Amsterdam in diritti umani e in diritto internazionale dei rifugiati. TPI l’ha intervistata per parlare dell’offensiva israeliana sulla Striscia di Gaza e del modo in cui il conflitto viene raccontato in Occidente.
* * * *
Albanese, in cosa consiste il suo lavoro di Relatrice speciale Onu per i territori palestinesi occupati?
«Il mio lavoro è sostanzialmente cambiato dallo scorso 7 ottobre. Prima c’era, sì, una violazione costante dei diritti umani nella Palestina occupata, ma non era tanto esasperata quanto adesso. La situazione è stata sempre grave, certo, ma ora è in atto un vero e proprio assalto costante nei confronti della popolazione sotto occupazione. Il mio lavoro consiste nella documentazione delle violazioni che hanno luogo a Gaza, ma sto raccogliendo informazioni anche su quello che succede in Cisgiordania e a Gerusalemme. Israele, infatti, sta approfittando del fatto che in questo momento l’attenzione è tutta rivolta su Gaza per accelerare con l’annessione di terre palestinesi in Cisgiordania, dove intere comunità pastorali sono state scacciate: fino a una decina d’anni fa incontrare tali comunità, incluso beduini nell’Area C della Cisgiordania (60% della terra che Israele controlla interamente) era un fatto comune, mentre oggi sta diventando sempre più difficile. Addirittura è documentata la vendita di proprietà e di terre palestinesi a compratori occidentali, con maggioranza di statunitensi o canadesi. È tutto abbastanza surreale».
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La banalizzazione dell’antifascismo
di Francesco Ricciardi
Ieri, sul palco dell’Associazione Nazionale Partigiani italiani, è andato in scena quella che definirei l’ultimo episodio della banalizzazione dell’antifascismo, che segue a quella analoga del fascismo stesso, che sta caratterizzando questo secolo
Il presidente dell’associazione, Pagliarulo, ha proposto ai segretari dei partiti dell’opposizione presenti una nuova unità antifascista contro questo governo. Allora, uno potrebbe chiedersi il perché di una tale proposta estrema. Forse, perché staranno abolendo le elezioni o vi sono violenze di piazza contro gli oppositori, si propongono leggi razziste, si chiudono giornali, partiti o sindacati, vi si vedono uomini di governo che inneggiano palesemente a Mussolini o alle “cose buone” che avrebbe fatto e cose del genere, Tra questi esempi avrei voluto aggiungervi anche l’ipotesi che ci si stia preparando a una partecipazione in guerra ma– ahimè! – quest’ultima cosa già ci coinvolge e con il consenso convinto di buona parte dell’attuale opposizione, in aperta contrasto con l’art. 11 della nostra Costituzione.
Eppure, l’attuale governo non è lì a seguito di un colpo di stato o per un atto unilaterale del Capo dello Stato, come accadde con Mussolini ovvero con Monti o Draghi. Esso è lì perché ha vinto le elezioni. E sì: oltre alla sinistra, anche la destra può, evidentemente, vincere le elezioni ed esprimere un governo. E’ la democrazia, bellezza! A chi scrive spiace constatare che queste cose le faccia notare anche la Meloni, ma la cosa più grave e che non le faccia, invece, notare la sinistra; quella stessa sinistra che è stata protagonista, di governi, appunto, a dir poco democratici e caratterizzati da riforme antisociali.
Insomma, con la predetta proposta di Pagliarulo, che pare abbia riscontrato i consensi dei presenti all’iniziativa, si sta praticamente sostenendo il principio che la destra in Italia non può andare al governo e che, se invece ci arriva al posto della sinistra – a meno che quest’ultima non trovi spazi per aggirare il consenso democratico, ritornandoci attraverso un c.d. governo tecnico – nel Paese scatta l’”emergenza democratica”.
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Le basi istituzionali di un panico morale
di Donatella Della Porta
Note sulla repressione della solidarietà con la Palestina in Germania: come si costruisce il folk devil
Nell’aprile del 2024, la filosofa Nancy Fraser, lei stessa ebrea, ha visto il suo contratto per la cattedra Albertus Magnus rescisso unilateralmente dall’università di Colonia. Nella dichiarazione firmata dal rettore dell’università si legge che: «è con grande rammarico che la cattedra Albertus Magnus 2024 non sarà assegnata. Il motivo è la lettera pubblica ‘Filosofia per la Palestina’ del novembre 2023, firmata dalla professoressa di filosofia Nancy Fraser, invitata alla cattedra Albertus Magnus. In questa lettera si mette in discussione il diritto di Israele di esistere come ‘Stato etno-suprematista’ dalla sua fondazione nel 1948. Gli attacchi terroristici di Hamas contro Israele del 7 ottobre 2023 vengono elevati ad atto di resistenza legittima. I firmatari chiedono il boicottaggio accademico e culturale delle istituzioni israeliane». Dopo una serie di proteste da parte di professori e istituzioni accademiche, che tra l’altro hanno contestato l’interpretazione del contenuto della lettera pubblica come tendenziosa, l’università ha pubblicato un’appendice in cui si poneva l’accento sull’appello al boicottaggio, citando i numerosi legami con le istituzioni accademiche israeliane come componente centrale delle attività dell’università: «Quando si considera la questione, non si tratta di decidere se alla signora Fraser viene data o meno una piattaforma all’Università di Colonia. Si tratta piuttosto del fatto che la cattedra Albertus Magnus è un onore speciale conferito dall’intera università. Naturalmente è difficile conciliare questo con l’invito a boicottare le istituzioni partner israeliane contenuto nella dichiarazione “Filosofia per la Palestina”, quando noi dell’Università di Colonia abbiamo così tanti legami con istituzioni partner in Israele». Mentre la decisione di offrire la cattedra era stata presa nel 2022 e la lettera aperta era datata novembre 2023, la cancellazione è avvenuta poche settimane prima che la professoressa tenesse la sua lezione, quando il rettore era in visita in Israele.
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