Fai una donazione
Questo sito è autofinanziato. L'aumento dei costi ci costringe a chiedere un piccolo aiuto ai lettori. CHI NON HA O NON VUOLE USARE UNA CARTA DI CREDITO può comunque cliccare su "donate" e nella pagina successiva è presente (in alto) l'IBAN per un bonifico diretto________________________________
- Details
- Hits: 2232
Vergogna Renzi: un nuovo scudo fiscale è alle porte
di Alfonso Gianni
Se da un lato il premier Renzi tuona a parole contro la corruzione politica, dall’altra il suo governo pare abbia pronto un nuovo scudo fiscale. In molti negano ma un maxi emendamento in Parlamento parla di "voluntary disclosure", modo gentile e camuffato per un ennesimo colpo di spugna nei confronti degli esportatori illegali di capitali
In una recente intervista, tra le pluriquotidiane rilasciate da quando è insediato, il Presidente del consiglio Matteo Renzi, in questo caso parlando nel ruolo di segretario del Pd, ha dichiarato che andrebbero cacciati a calci nel culo coloro che si fanno corrompere nell’esercizio delle loro funzioni pubbliche. Riferendosi anche ai membri del suo partito colti con le mani nella mazzetta. L’espressione non era raffinata, ma, si potrebbe dire, quando ci vuole, ci vuole! Peccato che contemporaneamente indiscrezioni giunte alla stampa solitamente bene informata, ci rivelino l’esistenza del testo in definizione di un decreto che attuerebbe un nuovo maxicondono per favorire il rientro dei capitali trafugati all’estero. Un nuovo scudo fiscale.
Che ci sia ognun lo dice, di chi sia nessun lo sa. Come al solito la notizia è stata accompagnata da diversi non so, più che da vere e proprie smentite. Il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan, cui spetterebbe la titolarità della materia, dichiara di non saperne nulla. Qualcuno del suo entourage suggerisce maliziosamente di cercare dalle parti della ministra dello Sviluppo Economico Federica Guidi. In fondo non è stata proprio lei, intervenendo recentemente all’assemblea annuale della Confindustria a nome del governo, a dichiarare che bisogna smetterla di criminalizzare il profitto?! Ma sì, proprio lei, come titolava il Sole24Ore con malcelata soddisfazione. La materia non sarebbe di sua competenza, ma si sa tra ministri ci si aiuta, tanto più che la scusa per il condono è che i capitali rientrati in Italia vengano reinvestiti nelle aziende e quindi la cosa verrebbe presentata come una norma a favore dello sviluppo economico del nostro paese.
- Details
- Hits: 3051
Perchè la filosofia è necessaria
Recensione di un libro di J-F Lyotard.
Pierluigi Fagan
Il libricino uscito per i tipi di Cortina Editore nel 2013, riporta le quattro brevi conferenze che J.F.Lyotard tenne alla Sorbona nel 1964
Il tempo, in filosofia, ha una suo proprio statuto. Esiste una filosofia della fascia esterna che è più o meno in sincronia col proprio tempo storico (“il proprio tempo appreso col pensiero” diceva Hegel) ma esiste anche una filosofia del nucleo interno dove l’unico tempo esistente è il -grande istante-, una sorta di presente dilatato. In questo presente che in parte è sempre già stato, ed in parte, da sempre ancora non è, le questioni non sono soggette alle categorie dell’attuale-inattuale, sono “senza tempo”[1]. La questione sul -a cosa serve la filosofia ?- è una di queste questioni atemporali. Lo statuto della filosofia, la natura del suo nucleo interno, ovvero essere riflessione sulla riflessione, è per sua stessa condizione staccata dal tempo poiché è consustanziale al suo essere in quanto essere, prima o al di là dell’ esistenza di questa o quella filosofia specifica.
Già Aristotele ci informava che a Mileto si riteneva ben stramba l’attitudine di Talete a perdersi in quella bizzarra attività che è la riflessione sulla riflessione ed addirittura le “servette tracie” ridevano del nostro che veniva trovato la mattina, intrappolato in profondi pozzi in cui si era calato la notte, senza saper più come risalirne. Questa del pozzo è una splendida metafora del rischio che corre il filosofo ma anche del senso della sua attività, migliore di quella della caverna platonica.
- Details
- Hits: 2139
#Ross@: da contenitore spurio a progetto politico compiuto
Ovvero il cerino vs la luce piena
Oltrepassiamo le ragioni apparentemente incomprensibili della difficoltà di decollo di Ross@; una ipotesi realistica di decodifica e una proposta: procediamo!
Dopo un anno vissuto pericolosamente, ma troppo marginalmente per quanto ci riguarda, nel contesto politico e sociale italiano, Ross@ è tornata a riunirsi a Bologna.
Pericolosamente perché sono stati 12 mesi intensissimi sul piano degli assestamenti politici a livello di governo (si pensi al governo Letta, alle primarie del PD -sostitutive delle elezioni, che hanno portato all’ascesa extra-istituzionale di Renzi alla guida dell’esecutivo), dell’assunzione del ruolo e delle funzioni del regime politico che si sta costruendo, alle sempre maggiori drammatiche condizioni nelle quali versano le masse popolari, impiegate o disoccupate, alle quali si sottraggono reddito, servizi sanitari, istruzione, diritti: in una parola il “futuro”.Marginalmente perché la non strutturazione in termini politici di Ross@ a livello nazionale ha impedito che fossero portate all’onor del mondo idee, progetti e obiettivi strategici. L’inconsistenza formale e di contenuto ha relegato, ovviamente, questa nascente formazione a non avere voce autorevole. Né con i movimenti autonomi né verso altre soggettività.
Dobbiamo comunque ringraziare chi, facendo parte del gruppo promotore di Ross@ nel 2013, ha consentito il riattivarsi della circolazione di idee ed elaborazioni.
Una partenza preziosa, prosecuzione di precedenti sperimentazioni (si pensi al No Debito) che per la loro natura aggregante su temi circoscritti – e mai portati a sintesi – non potevano proseguire oltre la propria funzione.
- Details
- Hits: 2338
Euro e pieno impiego: la conferenza di Grenoble
di Lorenzo Battisti
L’attuale situazione economica rappresenta una sfida per tutti gli economisti, compresi quelli “eterodossi” che pure avevano avvertito con anni di anticipo l’arrivo di una crisi di grandi proporzioni. In particolare va analizzata l’Unione Europea e il ritorno della disoccupazione di massa.
Il 15 e 16 Maggio alcuni tra i maggiori economisti critici a livello mondiale si sono riuniti a Grenoble, in Francia, per discutere e confrontarsi su questi argomenti.
Il pieno impiego in Europa: con o senza l’Euro?
Il dibattito sull’Euro attraversa ormai molti paesi, sia del Nord che del Sud Europa, poiché la crisi, iniziata negli Stati Uniti, sembra non trovare un termine in Europa. Molti pensano che la differenza tra la durata e gli effetti della crisi in queste due aree sia dovuta alla costruzione europea. Il dibattito tra gli economisti ha quindi cercato di indagare se questa sia davvero la causa, e, in questo caso, se sia meglio riformare l’Euro oppure abbandonarlo. Molti libri negli ultimi anni hanno trattato questi temii ricevendo sempre maggiore attenzione dal grande pubblico.
- Details
- Hits: 2472
La chimera della crescita
di Paolo Pini
Negli ultimi anni la politica di svalutazione caricata sul lavoro non ha fatto altro che aggravare gli effetti negativi dell'austerità sulla domanda interna. Eppure l'Ue, anche nelle ultime Raccomandazioni, continua a prescrivere continuità nelle politiche di flessibilità del mercato del lavoro, contrattuali e retributive
Ieri la Commissione europea ha presentato le sue “Raccomandazione 2014-2015” per i singoli paesi dell’Unione. Il responso elettorale ha ammorbidito il timing delle stesse ma non la loro sostanza. La rotta non muta: vincoli di bilancio da rispettare, consolidamento fiscale da proseguire, riforme strutturali da realizzare. D’altra parte non vi erano aspettative per un cambiamento, semmai per una “non indisponibilità” a fornire qualche forma di flessibilità a seguito della richiesta del nostro ministro dell’Economia e Finanze a seguito dell’approvazione del Def 2014. Nel caso italiano, la Commissione ha attestato che non siamo allineati nel percorso di rientro dal debito e quindi nel raggiungimento degli obiettivi di medio termine di pareggio del bilancio strutturale. Si richiede che entro settembre 2014 si realizzi questo allineamento con interventi aggiuntivi, oltre che rispetto degli impegni assunti sul terreno di tagli alla spesa pubblica, privatizzazioni, riforme sul mercato del lavoro, ed altro ancora, rinnovando le precedenti raccomandazioni e chiedendo un più attento monitoraggio e verifica degli interventi realizzati e programmati. Come dire “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”. La via dell’austerità espansiva non deve essere abbandonata!
Ricordiamo che solo due settimane orsono sono stati resi pubblici i dati congiunturali di crescita del reddito nei paesi europei per i primi tre mesi del 2014 e di crescita tendenziale ad un anno, rispetto allo stesso periodo del 2013.
La rappresentazione era sconfortante, ma allo stesso tempo non sorprendente.
- Details
- Hits: 2364
Lo spettro dell’autoritarismo e il futuro della sinistra
di Henry A. Giroux e C.J. Polychroniou
1. Si ritiene diffusamente che le società liberali avanzate stiano soffrendo una crisi di democrazia, un’opinione che tu condividi di vero cuore, anche se le ricerche empiriche, con la loro predilezione per il positivismo, tendono a essere più caute. In che modo c’è oggi meno democrazia, in luoghi come gli Stati Uniti, di quanta ce ne fosse, diciamo, venti o trent’anni fa?
Ciò cui abbiamo assistito negli Stati Uniti e in numerosi altri paesi dagli anni ’70 è l’emergere di una forma barbara di fondamentalismo del libero mercato, spesso chiamata neoliberismo, in cui non solo c’è un profondo disprezzo per i valori pubblici, i beni pubblici e le pubbliche istituzioni, ma anche l’abbraccio di un’ideologia del mercato che accelera il potere dell’élite finanziaria e delle grandi imprese svuotando contemporaneamente quelle culture e istituzioni formative necessarie perché una democrazia sopravviva. Le istituzioni egemoni della società in molti paesi, Stati Uniti compresi, sono oggi nelle mani di potenti interessi industriali, dell’élite finanziaria e di fanatici di destra il cui controllo soffocante sulla politica rende la democrazia corrotta e disfunzionale. Più specificamente, gli statunitensi vivono oggi sotto quella che il nuovo Papa ha condannato come la “tirannia del capitalismo sfrenato”, in cui le élite industriali, finanziarie e di governo plasmano la politica, aggrediscono i sindacati, mobilitano grandi estremi di ricchezza e potere e impongono un regime brutale di neoliberismo.
- Details
- Hits: 2600
Sognando Berlinguer
Massimo Recalcati e i «falsi miti edonistici del capitalismo»
Sebastiano Isaia
A pagina 48 del saggio Patria senza padri (Minimun fax, 2013), Massimo Recalcati ci regala una confessione che, credo, spiega molto delle sue inclinazioni politiche e psicoanalitiche: «Sognavo spesso Berlinguer. Lo sognavo proprio negli anni infuocati della mia giovane militanza politica». Recalcati ci informa che alla fine degli anni Settanta questo sogno era condiviso, con un certo imbarazzo, da molti altri suoi compagni di militanza politica (area Lotta Continua, con simpatie per il Partito Radicale e per il mondo “libertario” che stava “a sinistra” del PCI e “a destra” dell’Autonomia Operaia), ma che solo pochi lo presero sul serio, e fra questi bisogna ovviamente annoverare lui.
Per il noto psicoanalista, «massimo esponente italiano della scuola di Lacan», Enrico Berlinguer rappresentò una sorta di principio d’ordine che riuscì a salvarlo dalla folle deriva edipica che allora trascinò un’intera generazione di giovani contestatori nel buco nero del terrorismo: «I terroristi assomigliano al mostro che volevano combattere. Il terrorismo è stato la rivolta dei figli contro i padri» (p. 47). Questa tesi potrei pure sottoscriverla, anzi la sottoscrivo senz’altro, una volta però che sia stata fatta chiarezza circa il punto di vista da cui la cosa mi appare plausibile: «tutta la partita edipica si gioca all’interno della famiglia del comunismo». Non c’è dubbio.
Chiarito, beninteso, che ciò che Recalcati definisce «famiglia del comunismo» per me non ha nulla a che fare con il comunismo di Marx, da me sempre concepito come movimento di lotta delle classi dominate teso a conquistare per tutti gli individui il Regno dell’Umanità.
- Details
- Hits: 3239
Il fascino discreto della crisi economica
Intervista a Giorgio Gattei*
Continua il ciclo di interviste ad economiste ed economisti italiani sulla crisi economica ancora in corso. Dopo Joseph Halevi, è la volta di Giorgio Gattei
Domanda: L'emergere della crisi ha confermato la visione di alcuni economisti eterodossi secondo la quale il capitalismo tende strutturalmente ad entrare in crisi. Tuttavia, le visioni sulle cause del disastro attuale divergono. Una posizione piuttosto diffusa (appoggiata ad esempio dai teorici della rivista “Monthly Review”) è quella che attribuisce la crisi al seguente meccanismo: la controrivoluzione neoliberista ha portato ad un abbassamento della quota salari; per sostenere la domanda privata è stata quindi necessaria un'enorme estensione del credito e lo scoppio della bolla nel 2007 ha interrotto il meccanismo. Altri pensatori, come il marxista americano Andrew Kliman, ritengono invece che le cause della crisi non si possano trovare nella distribuzione dei redditi e che la depressione sia spiegabile tramite la caduta del saggio tendenziale di profitto, che è una visione tutta improntata sulla produzione. Lei cosa ne pensa?
Io non ho mai capito perchè gli economisti eterodossi debbano litigare sulla causa della crisi! Certamente siamo alle prese con un fenomeno complesso che può autorizzare molteplici spiegazioni, ma tutte riconducibili ad un fattore comune: che si tratta di una crisi di sovrapproduzione (di merci e di capitale), il che significa che l'offerta è venuta a superare la domanda.
- Details
- Hits: 2275
Il desiderio di morte come progetto politico
di Christian Raimo
Quello che la prima volta si manifesta in tragedia, la seconda lo fa in farsa. E la terza – la definitiva, la terminale – come lettera da Parigi. Lo psicodramma Spinelli e l’esperienza della Lista L’Altra Europa con Tsipras sono finiti ieri, nel modo peggiore che si poteva immaginare: un suicidio mascherato da sopravvivenza. Barbara Spinelli, dopo giorni di silenzio andropoviano, ha inviato una mail da Parigi, che potete leggere qui. E invito a farlo, a leggerla, dico, per intero; perché è uno dei documenti più rappresentativi della sinistra italiana, della sua incapacità a comunicare, della sua deresponsabilizzazione patologica, del suo narcisismo laschiano conclamato, del suo desiderio di morte, della sua fame saturnina.
Con questa lettera, Spinelli accetta ciò a cui aveva rinunciato: ossia di diventare parlamentare europea in caso fosse stata eletta. Dopo aver fatto una lunga campagna elettorale spiegando il senso delle candidature (che abbiamo accettato di chiamare testimoniali per essere buoni e dovevamo chiamare civetta per essere precisi), il 26 maggio – all’indomani del risultato del 4,03% -, mentre Marco Furfaro (di estrazione Sel) e Eleonora Forenza (di estrazione Rifondazione) festeggiavano il loro secondo posto dietro Spinelli e quindi la loro elezione a Bruxelles, Spinelli apriva il telefono della doccia fredda e urticante, insinuando che invece no, contrordine compagni, forse era meglio che andasse lei. Il resto è la cronaca di quindici giorni deliranti. Va, non va, esclude Furfaro, esclude Forenza, ci sarà una lotteria fra i due, ci sarà una consultazione alla base, ci sarà una discussione…
- Details
- Hits: 1972
Ragionando di elezioni
Carlo Formenti
Un paio di mesi fa era apparsa su queste pagine una mia “Lettera aperta ai compagni della sinistra radicale sulle elezioni europee”. Si trattava di un documento in cui spiegavo le ragioni per cui la lista Tsipras non suscitava il mio entusiasmo:
1) perché riproponeva la vecchia logica di un accordo puramente elettorale fra le varie componenti di una sinistra radical-istituzionale (scusate l’ossimoro ma non saprei come altro definirla) priva di identità sociale e progetto politico;
2) perché irritato dall’ipocrisia con cui si spacciavano come “costruite dal basso” liste raffazzonate all’ultimo momento con un occhio all’appeal mediatico dei candidati (molti dei quali “falsi”, in quanto dichiaravano a priori la propria intenzione di rinunciare ove eletti) e l’altro agli accordi fra le correnti in campo;
3) perché alimentava illusioni riformiste nei confronti di istituzioni europee palesemente irriformabili e irrimediabilmente oligarchiche;
4) perché ambiva a rappresentare una generica “società civile”, priva di ogni caratterizzazione di classe.
Quell’intervento provocò una pioggia di critiche (e qualche insulto) alle quali ho scelto di non replicare perché non volevo venisse interpretato come una “campagna contro”, limitandomi a dire che l’avrei votata anch’io, sia pure turandomi il naso, dando la preferenza a qualcuno dei candidati degni di stima (che in effetti non mancavano).
- Details
- Hits: 3454
Un external compact per rilanciare l’Europa
Alberto Bagnai*
Abstract: La crisi dell’Eurozona è ormai certificata dalla sua performance estremamente deludente in seguito allo shock esterno provocato dalla crisi dei subprime. La richiesta di un ridisegno delle regole è unanime, e in parte già accolta dalle stesse istituzioni europee. La diagnosi sulle cause della crisi è largamente condivisa dalla letteratura scientifica e dalle istituzioni multilaterali, e vede la causa nell’eccesso di indebitamento privato estero intra-Eurozona. In questo articolo sosteniamo che se questa diagnosi è corretta, allora il ridisegno delle regole europee deve partire da un cambio radicale di prospettiva, che parta dalla tutela della domanda interna nel Mercato Unico, anziché dalla rincorsa della domanda estera fra i mercati nazionali dei paesi membri, e riconosca il ruolo ineludibile della flessibilità del cambio come strumento di enforcement degli accordi economici intrapresi, e come strumento di signaling, essenziale ai mercati per assicurare una corretta allocazione delle risorse finanziarie.
Introduzione
Il fallimento dell’Eurozona è nei numeri. L’ultima edizione del World Economic Outlook certifica che l’Eurozona è l’unica macroarea dell’economia globale a non essersi ripresa dallo shock Lehman del settembre 2008 (Tav. 1), e i tempi di recupero si presume siano di diversi anni.
Questo se per recupero intendiamo il ritorno al livello di reddito pro capite precedente alla crisi. Se invece per recupero intendiamo il ritorno sul precedente trend di crescita, allora, in tutta evidenza, occorreranno diversi decenni: nel 2018 il gap rispetto alla tendenza pre-crisi apertosi con lo shock del 2008-2009 sarà ancora ben lungi dall’essere colmato (Fig. 1). Tutto questo, beninteso, nelle previsioni spesso rosee degli analisti del Fondo Monetario Internazionale (2013).
- Details
- Hits: 2473
Sudditanza e contro
di Mario Monforte
Elezioni del 25 maggio 2014 (europee, ma di primaria valenza interna al paese, pur nel rapporto con l’Ue, e inoltre estese amministrative): al Pd una messe di voti, verso il 41%; «successo storico» (tutto è ormai detto «storico», quanto meno lo è); Renzi, «commosso e determinato», si presta ai «bagni di folla» e va allo «sblocca Italia»; la Boschi parla di «partito rivoluzionario», beninteso «nelle idee» (ormai discorsi e misure, peraltro piú che discutibili, sono detti «rivoluzionari», nella banalizzazione pubblicitaria dei termini) – e via sciorinando retorica e scempiaggini.
Verso il 41%, sí, ma dei votanti, i quali, in base ai dati (quelli ufficiali), sul complesso degli aventi diritto (49.250.169), sono stati il 58,69% (28.908.004), di cui il 5,30% (1.536.257) ha posto nell’urna schede nulle, bianche, contestate. Il votovalido è stato il 54,39% (27.371.147), mentre il non-voto (astenuti, voti nulli, bianchi, contestati) è stato il 45,61% (21.779.002). Dunque, il Pd di Renzi ha avuto il consenso del 22,19% degli elettori; per l’insieme di M5S, Lega Nord, Lista Tsipras, Fd’I-An, ha votato il 20,06% degli elettori; per Forza Italia, Ncd, Idv e altri, ha votato il 12,14%. Detto questo per la precisione, che ridimensiona la “storicità” del successo di Renzi-Pd, fatto invece apparire come maggioranza totale, o comunque travolgente.
- Details
- Hits: 2302
Renzi trionfa, noi rilanciamo il conflitto
di Piotr Zygulski e Alessandro Volpi
Non c’è dubbio: il vincitore delle elezioni europee è Matteo Renzi e di conseguenza hanno vinto anche le oligarchie economiche che hanno sostenuto la sua scalata a Palazzo Chigi; da questo dato di fatto deve partire ogni valutazione politica.
Il significato della tornata elettorale, come era prevedibile, è stato prevalentemente nazionale: il boom del PD ha fornito la tanto agognata legittimazione popolare che mancava al “sindaco d’Italia”, e a tutti gli indecisi l’occasione per salire sul carro del vincitore. Con il senno del poi risulta evidente che la sostituzione della marionetta Letta – il quale, a un anno dal giuramento, avrebbe sofferto di una fase ciclica negativa – con Renzie era stata fatta con una puntualità svizzera. L’esplosione dei consensi era annunciata. Si è verificato quel processo che tecnicamente viene definito «overconfirmation», secondo la teoria dei politologi Schmitt e Reif che nel 1980 mostrarono la correlazione tra consenso ai partiti di governo e tempo che intercorre tra entrata in carica del governo e “elezioni di secondo ordine” come, nel nostro caso, le europee.
Forte dell’entusiasmo delle prime settimane di governo, delle promesse appena lanciate – dalla nuova legge elettorale agli 80 euro in busta paga – e dell’ampio sostegno mediatico di regime, «l’ebetino di Fi-Renzi» non poteva che fare il boom: è stata una perfetta operazione di marketing che ci ricorda i tempi d’oro del Berlusca.
- Details
- Hits: 2249

Uscire dall’euro? C’è modo e modo
Emiliano Brancaccio con Chiose1[in rosso] di Antiper
Il tentativo di salvare la moneta unica a colpi di deflazione salariale nei paesi periferici dell’Unione potrebbe esser destinato al fallimento.
Brancaccio sembra attribuire la “deflazione salariale” (cioè la diminuzione dei salari che sta avvenendo nei “paesi periferici”) al tentativo di “salvare la moneta unica”. Ma qui sorge subito una prima questione: la politica della riduzione dei salari è davvero una novità dovuta alla “moneta unica” (ed al tentativo del suo salvataggio)? Nei paesi in cui non vige questa questa “moneta unica” (leggi Gran Bretagna o USA) la deflazione salariale non si è realizzata?
Ovviamente le cose non stanno in questo modo. La riduzione del salario è infatti un obbiettivo permanente di ogni capitalista visto che minore è la quota salari pagata e maggiore è la quota profitti incassata; e del resto, in Italia, la “politica dei redditi” – come fu eufemisticamente battezzata - ha avuto anche l'imprimatur della sinistra istituzionale e del sindacato di regime fin dalla lontana “svolta dell'EUR” del 1978: da lì in poi, imprese, sindacati e governi si sono coordinati neo-corporativisticamente per impedire l'aumento del salario dei lavoratori italiani che infatti è, oggi, lo stesso di 24 anni fa (nonostante la maggiore ricchezza prodotta in questi anni). La stessa “scala mobile” ovvero il meccanismo di adeguamento automatico del salario al costo della vita (e che oggi sarebbe tanto di aiuto per i lavoratori) venne introdotta soprattutto per impedire che l'aumento dei salari superasse quello dei prezzi e quindi che vi fosse una crescita della “quota salari”.
L’eventualità di una deflagrazione dell’eurozona è dunque tutt’altro che scongiurata.
- Details
- Hits: 3348
Il turbocapitalismo all’assalto dell’essenza della vita e dell’umanità
Riccardo Achilli
Introduzione
E’ una opinione che si sta consolidando, e che trova riscontro anche nei dati di mercato, che il capitalismo finanziario, in uscita dalla crisi, cerchi nuovi sbocchi di mercato ancora intonsi, sui quali ritagliarsi nuovi spazi. Ora, il mercato immobiliare, quello delle carte di credito e quello della spesa pubblica, sui quali questa sovrastruttura parassitaria ha fatto crescere, rispettivamente, la bolla del mattone, quella del debito privato e quella del debito pubblico, appaiono oramai non più sfruttabili. La speculazione borsistica, con la sua appendice riferita alla borsa tecnologica del Nasdaq, è oramai rischiosa, e largamente limitata dalle varie Autorità nazionali di Vigilanza. Così come quella sui tassi di cambio.
Quali spazi nuovi trovare, quali terre vergini aggredire per piazzare un cronico eccesso di offerta di capitali, che nel solo comparto degli investimenti di portafoglio, al netto delle riserve, raggiunge 1.174 miliardi di dollari nel solo anno 2007 [1], e che non può trovare sfogo soltanto sui mercati Otc dei derivati? Un campo ancora libero, dopo aver sfruttato merci e servizi? Quello dell’uomo in sé stesso, del suo corpo, della sua personalità, della sua umanità.
- Details
- Hits: 2293
Il Governatore Visco alle imprese: avete i soldi, cacciateli!
di Pasquale Cicalese
Ottimista, meno cupo dello scorso anno, anche se afferma che il 2013 è stato un altro anno duro. Keynesiano, non monetarista, fautore delle riforme strutturali (anche se non cita quelle del lavoro, ma della P.A.), ma non deflazionista. Invita ad una politica europea e nazionale espansiva, basata sugli investimenti nelle infrastrutture, di cui il nostro Paese risente della scarsità e che incide sulla produttività dei fattori produttivi, sulla ricerca e sull’istruzione. Ma in due passaggi sottolinea anche che è l’ora di implementare politiche di sostegno al reddito a lavoratori e famiglie, è la prima volta che da Banca d’Italia escono queste frasi. Sarà la crisi, sarà che vi è una disoccupazione spaventosa, sarà che abbiamo perso il 15% della capacità produttiva. Ma non è pessimista il napoletano: stanno affluendo molti capitali esteri, gli ordinativi nel settore manifatturiero sono buoni, l’export è ritornato ai livelli pre-crisi. Resta il crollo della domanda interna, da qui la sua svolta keynesiana, del resto lo stesso Draghi due mesi fa invitava gli europei a non fare la gara a chi più deflazionava i salari, ma a basare la strategia sugli investimenti.
Evidentemente Palazzo Koch avrà sussurrato qualcosa a Francoforte nell’ultimo anno. Già, ma dove trova il governo i soldini per sostegni al reddito e per investimenti? Da corruzione, criminalità ed evasione fiscale, il sistema trasversale fattosi governo negli ultimi vent’anni. Tradotto: rastrellamento di fondi dal capitale commerciale a favore del capitale industriale… E poi fondi europei, magari centralizzati, visto che il napoletano è per la semplificazione amministrativa che, tradotto, significa una cosa: il federalismo è stato una totale idiozia.
- Details
- Hits: 2279
Dialoghi con Georges Corm
Intervista di Lorenzo Carrieri*
Riportiamo qui di seguito un'intervista a Beirut con Georges Corm, economista, storico ed intellettuale libanese, professore presso la Saint Joseph University. Profondo conoscitore della realtà mediorientale e delle sue dinamiche, lo intervistiamo spaziando dalle primavere arabe al balance-of-power in medio-oriente, analizzando quella che è la questione sociale ed economica del mondo arabo, e per una critica delle categorie epistemologiche occidentali sul medio oriente.
D: Tempo fa abbiamo visto l'esplodere delle primavere arabe: di quelle esperienze cosa sopravvive oggi? Ha ancora senso, oggi, parlare di primavere arabe dopo il colpo di stato militare in Egitto (e in questi giorni la vittoria di Al-Sisi alle elezioni, segnate da un fortissimo astensionismo), la vittoria degli islamisti di Ennhada in Tunisia e il sempre crescente potere delle milizie islamiste in Libia?
Uno, nel breve termine, è tentato di essere pessimista guardando a cosa è successo. Ma non dobbiamo dimenticare che le primavere del 2011 sono un evento storico che può ancora produrre molte ondate di riflusso, una serie di tentativi rivoluzionari da parte delle classi sociali arabe: le rivolte del 2011 rappresentano un'impronta, un' inizio, all'interno del mondo arabo. Se guardiamo ad ogni rivoluzione, la russa, la francese, anche la cinese, ognuna di queste ha avuto le sue tappe, lo stesso sta accadendo nel mondo arabo: la rivoluzione non può darsi in 3 giorni, è un processo di lunga durata!
Credo comunque che gli eventi del 2011 siano importantissimi: essi hanno contribuito a ricostituire ciò che io chiamo “la coscienza collettiva araba”, che è qualcosa di totalmente differente e antagonista rispetto al modo in cui i paesi arabi sono stati governati.
- Details
- Hits: 1935
Vogliono tutto!
Un appunto su Confindustria, Bankitalia, Renzi e la fase post-elettorale
Clash City Workers
Queste giornate post-elettorali ci consegnano uno scenario politico quanto mai in fermento. E non ci riferiamo tanto al dibattito interno ai partiti, costretti a riconfigurare il loro intervento alla luce dei risultati delle Europee – pensiamo alle polemiche che stanno attraversando il Movimento 5 Stelle (su cui fanno pressione i media mainstream nella speranza che il giocattolo di Grillo finalmente si rompa), alle spinte “centriste” di SEL che vuole entrare nel PD, allo spostamento di Forza Italia verso la Lega etc…
Ci riferiamo piuttosto a una certa fibrillazione di tutti gli attori del mondo padronale che, preso atto del grosso score del PD di Renzi, su cui pure hanno investito un bel po’ in questi mesi, ora vogliono passare velocemente all’“incasso”. Consapevoli che elezioni europee hanno dato un consistente (per quanto a nostro avviso momentaneo) sostegno alle politiche dell'ex-sindaco di Firenze e al suo giovane governo del fare, ora vogliono tutto!
Ecco quindi che Confindustria e Bankitalia fra tutti vanno giù di analisi e prescrizioni che puntano a dare la linea al Governo, a spingerlo a intervenire sui campi più diversi, ed ecco che prontamente Renzi “traduce” alla direzione del PD di stamattina le loro volontà.
- Details
- Hits: 3310
Riflettendo su "Capital" di Piketty
di David Harvey
Pubblichiamo la traduzione del commento di David Harvey al tanto discusso “Capitale nel Secolo XXI” di Thomas Piketty. Harvey, con spirito critico e un'impostazione di ragionamento marxiana, ha il merito di evidenziare l'erronea concezione di capitale secondo Piketty – il capitale non viene inteso come processualità relazionale – e le contraddizioni che ne scaturiscono. In sintesi, l'amplio e ben documentato lavoro dell'economista francese offre una preziosa descrizione della diseguaglianza economica in chiave storica, ma non ne spiega né le ragioni immanenti né propone soluzioni politicamente viabili. Di sicuro, il fatto che il discorso sulla spropositata diseguaglianza strutturale abbia perforato il velo della comunicazione mainstream – libro best seller su Amazon, Piketty-mania tra giornalisti e commentatori, un terremoto dentro l'accademia egemonizzata dal pensiero neoliberista – è sintomatico di una nuova sensibilità diffusa e potenzialmente antagonista. Il merito non va tanto alla crisi finanziaria globale del 2008 quanto a Occupy e ai movimenti che dal 2011 in avanti hanno alterato la percezione collettiva, imponendo con forza il discorso “we are the 99%!”, rinnovando il concetto di lotta di classe in un tempo in cui la concentrazione della ricchezza non è storicamente mai stata così polarizzata.
- Details
- Hits: 3243
Di classe, quindi nazionale
Per una politica all’altezza dei tempi
di Mimmo Porcaro
In un paese abitato da gente meno disposta a farsi ingannare dalle evidenti bischerate dei propri governanti, le elezioni di fine maggio avrebbero visto non il 60, ma il 100% di affluenza e avrebbero premiato non col 40, ma col 50% e più un partito capace di dire l’opposto di quanto strombazzato dal trionfale, ma precario, vincitore di oggi.
Capace di dire, cioè, che l’Italia, se vuole interrompere la sua costante discesa, deve mutare la propria collocazione internazionale e trasformare decisamente i propri rapporti sociali. Deve uscire dall’Unione europea e dall’euro trovando nuovi partner e cercando anche (se possibile) di ricostruire l’europeismo su basi paritarie. Data la tirchieria del capitalismo nostrano e l’inaffidabilità dei capitali esteri, deve sostituire l’iniziativa pubblica all’inerzia privata, riappropriandosi del sistema bancario e nazionalizzando le più grandi imprese. Deve tornare alla repressione finanziaria e ad un ragionevole controllo del flusso dei prodotti, ma soprattutto dei capitali. Deve creare le condizioni occupazionali, salariali e giuridiche perché i lavoratori cessino di essere umiliati e divengano invece protagonisti attivi del processo produttivo, e quindi fonte di innovazione. Deve centralizzare molte delle competenze attualmente attribuite alle Regioni (che sono origine, come disse a suo tempo l’inascoltato Ugo la Malfa, di innumeri sprechi) e con i conseguenti risparmi finanziare un ammodernamento dell’apparato di stato fatto sia di occupazione giovanile sia di moduli organizzativi basati sull’interazione cittadini/amministrazione.
- Details
- Hits: 2679
La fabbrica della disperazione
di Alexik
Ci sono tradizioni Fiat (pardon, FCA) che sfidano lo scorrere del tempo, uniscono memoria e innovazione, fondano il “nuovo che avanza” su solide radici piantate nella storia. Sono la tradizione dei reparti confino, quella dei licenziamenti politici, della persecuzione degli operai più combattivi, delle espulsioni di massa.
E’ su questo know how, tutto orgogliosamente made in Italy, che la “fabbrica del futuro” di Marchionne produce ancor oggi uno dei suoi risultati di eccellenza: il progressivo annientamento fisico e psicologico sia di chi rimane nel ciclo produttivo, sia di chi ne è espulso.
L’annientamento degli espulsi, dei cassaintegrati, dei licenziati, è fatto di miseria, paura del futuro, mancanza di prospettive, di suicidio. L’annientamento di chi resta sulle linee è fatto di turni/ritmi/orari, di sudore ed infortuni, degli insulti dei capi, di umiliazioni sopportate in silenzio. Entrambi sono legati in un binomio indissolubile: la disperazione dei primi è garanzia della sottomissione degli altri.
A debita distanza dalla fabbrica vera e propria, come un lazzaretto di appestati, il reparto confino si erge a monito permanente per chi è rimasto in produzione: “puoi finire qui”, sembra dire. Ancor più che a punire i riottosi, esso serve a disciplinare la fabbrica.
- Details
- Hits: 2791
La torsione neoliberale del sindacato tradizionale e l’immaginazione del «sindacalismo sociale»
Appunti per una discussione
di Alberto De Nicola, Biagio Quattrocchi
Introduzione
Lo scopo di questi appunti è quello di stimolare una duplice riflessione. Assistiamo, oramai da lungo tempo, ad una profonda trasformazione della funzione del sindacato tradizionale. Con esso intendiamo le organizzazioni eredi del movimento operaio: come la forma sindacale confederale e le esperienze “cogestionarie” tedesche. Questa trasformazione sembra essere profondamente segnata da una torsione in chiave neoliberale del soggetto sindacale, divenuto “istituzione” attiva nel sistema della governance, al pari degli altri soggetti che in essa vi operano. In quanto tale, questa istituzione, sembra sempre di più introiettare quella razionalità governamentale tipica dell’impresa. Dal sindacato come soggetto autonomo per il conflitto sul salario, si assiste alla formazione di una organizzazione manageriale che svolge una funzione attiva nella segmentazione della forza-lavoro e nel processo di trasformazione del welfare.
Il contesto storico in cui questo processo sembra accelerarsi e giungere a compimento è quello della crisi e delle politiche dell’austerity. Le politiche fiscali restrittive e la ferrea disciplina di bilancio hanno momentaneamente raggiunto i risultati stabiliti: in termini redistributivi tra le classi sociali e nello stabilizzare alcuni rapporti di forza in Europa, tra le aree centrali e quelle periferiche.
- Details
- Hits: 2623
Gli ultimi giorni di Pompei
di Carlo Donolo
Gli ultimi giorni di Pompei sono sempre un grande spettacolo che ha il vantaggio di far coincidere attori e spettatori. Li abbiamo visti spesso al cinema in anni recenti, ma lo schermo è efficace solo nella misura in cui gli spettatori si identifichino con i protagonisti: si tratta di cose che ci riguardano. Pompei si presenta in varie forme: la guerra, il dissidio permanente e violento, la crisi ambientale e climatica, il disordine sociale endemico, la crisi economica, l’incidente puntuale ma sistemico a modo suo (come nel caso delle centrali atomiche). Inoltre e sempre di più la “catastrofe”, che poi è svolta, fatalità, metamorfosi, miscela di fine e inizio, si manifesta come incertezza oltre che come rischio. Questo lo conosciamo e ne stimiamo la probabilità, ce ne difendiamo con protezioni e assicurazioni. L’altra, invece, è un processo indefinito che si coagulerà in un indistinto futuro, in un tempo-spazio inconoscibili. Lo ignoriamo, però sappiamo solo che può avvenire. Questo getta un’ombra su tutta la vita sociale, che resta in attesa dell’evento improbabile, ignoto, ma certamente possibile. E, infine, solo per introdurre il tema “Pompei”, c’è anche tra i rischi percepiti e indefiniti quello del “declino”, letto come blocco del motore economico della crescita, come invecchiamento sociale, come necrosi culturale. Il declino riguarda non un tramonto dell’Occidente, ma un lungo processo che porta al decentramento dell’Europa, alla fine di questo baricentro politico e culturale, a favore dell’emergere di altre nazioni e di altre macroregioni.
- Details
- Hits: 1900
L’insostenibile leggerezza del PD
Fabrizio Marchi
E’ trascorsa una settimana dal voto europeo e mi sembra giusto cominciare a fare qualche riflessione relativamente a “freddo”, a bocce ferme, come si suol, dire, o quasi, sui risultati ottenuti dalle varie formazioni politiche. E’ bene iniziare dal risultato più eclatante e politicamente più rilevante (insieme alla sconfitta del M5S che però merita anch’essa una riflessione a parte) e cioè il trionfo del Partito Democratico in versione renziana
Andiamo per ordine.
Ho sentito in questi giorni molti osservatori ed analisti politici avanzare dei parallelismi tra il PD renziano e la vecchia Democrazia Cristiana. Sono solo parzialmente d’accordo, perché è vero che ci sono degli elementi che li accomunano ma è altrettanto vero, a mio parere, che la natura e in parte anche la “mission” dei due partiti sono profondamente diverse.
La Democrazia Cristiana, come il PD, era un partito interclassista che però, a differenza del secondo, operava una reale mediazione sociale. La conciliazione o il tentativo (in parte riuscito) di conciliazione fra le parti sociali e fra stato e mercato, costituiva il cuore e la natura di quel partito nonché il baricentro della sua azione politica.
- Details
- Hits: 2892
La dignità? che si fotta!
Franco Senia
Uno dei più importanti aspetti della critica, sviluppata dall'Internazionale Situazionista (IS), riguardava il problema della rappresentazione della classe operaia nelle lotte rivoluzionarie. Anche se la consapevolezza di tale problema, esisteva già fin dall'avvio del progetto, l'IS si concentra su di esso dopo il 1961, quando intraprende il suo periodo di attività che avrebbe portato agli eventi del maggio 1968. L'orientamento in tal senso, corrisponde all'arrivo nell'IS di un nuovo membro, Raoul Vaneigem, che più tardi sarà l'autore del "Trattato del saper vivere ad uso delle nuove generazioni" (1967), e col periodo immediatamente successivo allo sciopero generale in Belgio del 1960-61. Il fatto che Vaneigem provenga da un luogo e da un tempo specifico, il Belgio industriale del XX secolo, e che arrivi in questa storia in un momento particolare, è sempre stato trascurato dalla letteratura critica. Ma è attraverso questo contesto - il momento in cui emergono i problemi legati alla rappresentazione della classe operaia e alla rivoluzione - che può essere compreso il nuovo orientamento dell'IS, che porterà il gruppo ad influenzare gli eventi del maggio 1968.
Raoul Vaneigem, nato il 21 marzo del 1934 al n°9 di Rue des Carrières a Lessines, nella provincia di Hainaut, Belgio, era figlio unico di Marguerite Tilte e di Paul Vaneigem, operai.
Page 471 of 612