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Costituzione e politica economica
di Alessandro Volponi*
È possibile desumere dal testo della Costituzione i lineamenti generali della politica economica che ogni governo della Repubblica dovrebbe perseguire? Lineamenti generali ovviamente e non un articolato complesso di provvedimenti e atti valido per tutte le stagioni, per ogni fase del ciclo economico, per ogni grado dello sviluppo. Cercherò di mostrare che è possibile, anzi necessario, solo dopo avere esaminato alcuni articoli che precedono il titolo III della prima parte della Costituzione (Rapporti economici) e che determinano, nell’insieme, una notevole espansione della spesa pubblica: l’art. 7 che costituzionalizza gli onerosi patti lateranensi; l’art. 9 che impegna i governi a promuovere lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica, a tutelare ambiente e patrimonio storico e artistico; l’art. 10 che prevede il diritto d’asilo; l’art. 24 III comma che garantisce i mezzi per agire o difendersi davanti a ogni giurisdizione ai non abbienti; l’art. 28 che estende allo Stato la responsabilità civile per atti compiuti in violazione di diritti da dipendenti dello Stato; l’art. 30 comma II che impone allo Stato il mantenimento dei figli in caso di incapacità dei genitori; l’art. 31 che assicura misure economiche per la formazione della famiglia e protezione per la maternità, l’infanzia e la gioventù; l’art. 32 che fonda il diritto alla salute e garantisce cure gratuite agli indigenti (già molto numerosi si erano moltiplicati nel corso della guerra); l’art. 34 che stabilisce l’istruzione obbligatoria e gratuita, almeno per otto anni, in un paese ancora afflitto da analfabetismo e semianalfabetismo di massa e che dispone inoltre borse di studio per i capaci e meritevoli che vogliano raggiungere i gradi più alti degli studi; l’art. 35 I comma che impegna lo Stato a curare la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori; l’art. 37 I comma che assicura alla madre lavoratrice una speciale adeguata protezione; l’art. 38 che istituisce il diritto al mantenimento degli inabili al lavoro, il diritto dei lavoratori ai mezzi per vivere in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria, infine il diritto dei minorati all’educazione e all’avviamento professionale.
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Il vero volto della politica economica del governo Meloni
di Andrea Fumagalli
La fine del mese di novembre 2023 e la prima settimana di dicembre verranno ricordate dai posteri per aver mostrato il vero volto della politica economica del governo Meloni, proprio nel momento in cui la stampa mainstream e di destra si sforzavano di sottolineare come fosse stato raggiunto il più elevato tasso d’occupazione mai registrato in Italia, a riprova della bontà delle scelte governative…
1. Il mercato del lavoro in Italia
“Nonostante l’economia in frenata, l’occupazione continua a crescere: in un anno + 458mila lavoratori”, con 27 mila occupati in più nel solo mese di ottobre. Così titolava il Sole 24ore di giovedì 30 novembre 2023. Un titolo più o meno simile a quello di tutti gli altri grandi quotidiani. Tale performance ha portato il tasso di occupazione al 61,8% (+0,1 punti), toccando così un nuovo record. Nel mese di ottobre 2023, ultima rilevazione, cresce anche il numero di persone in cerca di lavoro (+2,3%, pari a +45mila unità): un aumento che coinvolge sia gli uomini sia le donne e riguarda tutte le classi d’età a eccezione dei 35-49 che registrano un lieve calo. Il tasso di disoccupazione totale sale così al 7,8% (+0,1 punti) e quello giovanile al 24,7% (+1,5 punti). Tale apparente paradosso (la simultanea crescita di occupati e disoccupati) è spiegata dalla forte riduzione degli inattivi: -69mila unità sul mese.
Occorre ricordare che a partire dal 2021, sono considerate occupate “le persone che, durante la settimana di riferimento, hanno lavorato per almeno un’ora a fini di retribuzione o di profitto, compresi i coadiuvanti familiari non retribuiti”. Il dato tanto sbandierato come il più elevato dal 1977 (anno di inizio delle serie storiche Istat sull’occupazione) dal governo Meloni non può quindi essere comparato con i dati sull’occupazione precedente al 2021. Alla luce della nuova definizione, l’essere occupato/a non è più garanzia di un reddito stabile superiore alla soglia di povertà relativa. Differenziando i dati per settore, infatti, l’occupazione cresce di più nei settori caratterizzati da “lavoro povero” a minor valore aggiunto, quali costruzioni, terziario arretrato, logistica, servizi di cura e pulizie.
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Pietra: materiale sovente impiegato per la costruzione di cuori
di Alberto Bradanini
Nelle righe che seguono è assunta quale base di riflessione la coraggiosa analisi[1] della tragedia di Gaza da parte del politologo americano di scuola realista, John J. Mearsheimer
Solo un cupo cinismo che rispecchia l’esecrabile deficit di etica umana che permea una società asservita a una capillare manipolazione consente di obliterare l’immensità dei crimini contro l’umanità che Israele (e personalmente i singoli membri del governo/esercito israeliani) continuano a commettere a Gaza contro persone inermi, uomini, donne e bambini, che muoiono sotto le bombe della sola democrazia del Medio Oriente, come i media al libro paga amano definire lo Stato Ebraico dell’Apartheid. Ciò che si dipana ogni istante sotto lo sguardo impotente del mondo eticamente evoluto costituisce un massacro deliberatamente pianificato. Insondabile è la profondità della tragedia umanitaria che si abbatte sul corpo di persone innocenti[2]. Che tale condotta cada o no sotto la definizione di genocidio è una questione che va lasciato ai legulei giustificazionisti.
Di certo non saranno queste parole di esecrazione a fermare i responsabili di tali atrocità, impermeabili come sono a ogni umana empatia. La storia, tuttavia, resta implacabile, ogni accadimento viene registrato e alla fine rimbalza. Sebbene oggi appaia improbabile, non si può tuttavia escludere che i criminali impuniti vengano un giorno tradotti sul banco degli imputati.
In ogni caso, se non a quello degli uomini essi dovranno rispondere delle loro nefandezze al tribunale della storia. A quel punto, insieme agli aguzzini, vedremo allungarsi le ombre dei loro complici, in prima fila le oligarchie americane che tollerano tutto ciò e a seguire quelle europee (e nella sua nota posizione del missionario anche quella italiana). A fianco di costoro vedremo quindi sfilare la schiera degli indifferenti, non certo caratterizzata da umana partecipazione, che farà i conti con la lacerazione della coscienza o quel che di essa sarà rimasto.
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L’eternità ci abbracci
di Toni Negri
Con queste parole, quattro anni or sono, concludendo Storia di un comunista 3 – Da Genova a domani, Toni parlava con serenità della propria morte
Mi sembra talora di essere completamente estraneo al mondo che mi sta attorno. Curiosa sensazione per qualcuno che ha riempito tre volumi di una storia di intensa immersione nell’esistente. Probabilmente, mi dico, avviene perché sono vecchio – per quanto mi agiti nel cercare di tenere aperta la comunicazione con amici più giovani e svegli, la mia percezione è ottusa. Poi però mi chiedo: non può darsi che questa mia considerazione del mondo e questa convinzione di estraneità non siano vere? Vere? Intendo che quella percezione di estraneità non dipenda da me, dalla mia insufficiente o ridotta attenzione, ma che il mondo che mi circonda sia davvero brutto e inconsistente. Non sarà che alla mia fiducia nell’essere, alla mia ammirazione per quello che è vivo, non corrisponda più qualcosa che si possa amare?
Brutto, bello, vivo, amato… sono aggettivi di difficile definizione e di altissima relatività. Forse allora, per confermare il mio dubbio, a questi termini non dovrei affidarmi. Forse l’unico aggettivo che vale, fra i molti che fin dall’inizio utilizzo, è “estraneo”. Un effetto di straniazione è quello che provocano in me linguaggi e umori, non importa se individuali o collettivi, che risuonano nella società, fuori di me. Penso di esser sordo e di sentire suoni confusi. In realtà, un po’ sordo sono ma i suoni confusi non li sento con l’orecchio ma con l’anima, con il cervello. Mi sfugge il mondo attorno. Ho avuto una lunga vita, ho conosciuto contraddizioni enormi e conflitti mortali, sempre tuttavia sapevo di che si trattava, gli elementi della contraddizione e del conflitto stavano dentro un quadro noto, comunque significante – perché allora il significato degli eventi che oggi si dànno attorno a me s’iscurisce e mi sfugge? In cosa consiste la loro insignificanza? A rappresentare questa estraneità c’è un mondo nuovo. Un mondo nuovo ma affaticato, prostrato davanti alle difficoltà fisiche, politiche e spirituali, della propria riproduzione.
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Chi ha scritto la regola del gioco?
Alessandro Lolli intervista Raffaele Alberto Ventura
La comunicazione ai tempi del politicamente corretto. Una conversazione con Raffaele Alberto Ventura a partire dal suo La regola del gioco
All’inizio del decennio scorso consigliai a un amico un blog che seguivo da un po’. La sua risposta la ricordo ancora oggi. Si trattava di Eschaton, un blog di commento obliquo all’attualità da una prospettiva… particolare. L’autore si chiamava Raffaele Alberto Ventura, aveva appena trent’anni, si era laureato con una tesi in epistemologia sulle dispute eucaristiche e osservava la modernità con sospetto, con uno sguardo insieme conservatore e postmoderno. Il mio amico invece era -ed è - un punk anarchico individualista e, leggendo queste riflessioni così ai suoi antipodi, mi disse: “un bellissimo blog di controcultura”.
Mi è rimasto impresso quel giudizio, un punk che conferiva la medaglia della “controcultura” a un conservatore. E lo trovavo pertinente: entrambi, da posizioni diverse, si trovavano ai ferri corti con una certa egemonia culturale. Di acqua ne è passata sotto i ponti da allora, Ventura oggi è un autore affermato con quattro libri all’attivo. L’ultimo, appena uscito per Einaudi, si chiama La regola del gioco e, dopo averlo letto, per la prima volta in tutti questi anni, ho avuto l’impressione che Raffaele non si meritasse più quella medaglia. Mi sembrava infatti che avesse scelto consapevolmente di difendere quell’insieme di norme, consuetudini, ingiunzioni esplicite e implicite che regolano il nostro mondo in modo molto più strutturato di dieci anni fa e che insomma si fosse arreso a quella cultura con cui un punk anarchico lo aveva giudicato incompatibile. Allora ho deciso di parlargliene. Questa è la discussione che abbiamo avuto.
* * * *
Alessandro Lolli: Chi è il target di questo libro?
Raffaele Alberto Ventura: Il “lettore ideale” del libro è qualcuno che non ha mai letto un mio libro e che mai lo leggerebbe, qualcuno che non cerca una “teoria” astratta ma uno strumento concreto.
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La dottrina Brzezinski e le (vere) origini della guerra russo-ucraina
Francesco Santoianni intervista Salvatore Minolfi
Pubblicato dall’Istituto italiano per gli studi filosofici e presentato in una davvero affollata serata trasformatasi in una appassionata assemblea (con interventi di de Magistris, Santoro, Basile…) il libro di Salvatore Minolfi “Le origini della guerra russo-ucraina”. Un libro basato anche su documenti diplomatici, quest’anno resi pubblici da Wikileaks e che attestano come la guerra, lungi dal nascere da “mire imperiali di Putin” (come sbandierato dai media mainstream e da qualche “anima bella” della “sinistra”) è la inevitabile conseguenza, in primis, di un accerchiamento della Russia, mirante a impossessarsi delle sue risorse, e, poi, dall’esigenza di sottomettere una Unione europea “colpevole” di commerciare con partner ostili agli USA.
Di questo e di altro abbiamo parlato con l’autore del libro.
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Poco prima di quel fatidico 24 febbraio 2022, davanti al protrarsi (avrebbe dovuto concludersi il 20 febbraio) dell’esercitazione militare congiunta Russia-Bielorussia ai confini con l’Ucraina, da una parte la CIA e alcuni organi di stampa davano come imminente una invasione russa, dall’altra il governo di Kiev e parte del governo USA smentivano questa ipotesi. Perché questa strana situazione?
<<Sulle circostanze in cui prende forma l’invasione russa dell’Ucraina circolano le più diverse e contraddittorie ricostruzioni. A esse si aggiungono sempre nuove rivelazioni sulla presenza e sulla consistenza di gruppi militari stranieri in Ucraina sin dall’inizio della guerra o addirittura prima. La verità è che, allo stato delle attuali conoscenze, mancano gli elementi per ricostruire in modo documentato e attendibile il contesto in cui il conflitto esplode ufficialmente.
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7 Ottobre: chi c'era dietro?
di Moreno Pasquinelli
Visto il prezzo inaudito che i palestinesi e Gaza stanno pagando è inevitabile porsi la domanda: perché HAMAS e gli atri movimenti della Resistenza palestinese hanno compiuto la devastante azione del 7 ottobre?
C’è chi fornisce una risposta terribile: l’attacco di HAMAS sarebbe stata un’operazione sotto falsa bandiera.
Il teorema si regge su due gambe: il falso mito della potenza militare israeliana e dell’infallibilità della sua intelligence, e una concezione sbagliata della relazione causa-effetto.
Per ciò che concerne i miti ogni ragionamento oppositivo risulta vano; impossibile convincere chi crede che i miti, per quanto degni d’attenzione possano essere, sono come minimo improbabili se non frutto di fantasia.
Riguardo alla concezione della relazione causa-effetto, salta agli occhi il meccanicismo per cui, visto l’effetto una soltanto la causa. In verità, nel mondo reale, tanto più quello storico-sociale, abbiamo sempre un concorso di cause per cui diversi e spesso imprevedibili possono essere gli effetti. Il ragionamento del cospirazionista si può esprimere in questi termini: se la reazione del soggetto A va a buon fine, se ne deve dedurre che il soggetto B, il quale ha compiuto l’azione, è oggettivamente funzionale, se non addirittura soggettivamente al servizio, di quello che ha reagito. La fallacia della deduzione è evidente: solo le azioni politiche che ottengono un successo indiscusso sarebbero genuine e prive di zone d’ombra mentre, se si concludono con una sconfitta, dietro ci sarebbe lo zampino del diavolo.
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Violenza sulle donne: perché la propaganda mainstream vince facile
di Luca Busca
Raramente una tematica suscita un fervido dibattito a “sinistra” come ultimamente è accaduto intorno alla questione femminile. Va premesso che con il termine “sinistra”, in questo contesto, tenderei a identificare quella vasta area di dissidenza al neoliberismo che va dai delusi dal voto, né di destra né di sinistra, ai “rossobruni” (termine odioso ma purtroppo appropriato in alcuni casi), dai vetero ai neo comunisti, dagli anarchici ai pacifisti, dai collettivi femministi a quelli della famigerata comunità LGBTQ+. In sostanza la sinistra un po’ persa, un po’ nostalgica ma che ancora crede in quei valori che sono incompatibili con il neoliberismo. Quella sinistra che ancora tenta di dissentire e di svincolarsi dal pensiero unico. Escludo quindi la cosiddetta sinistra di regime ormai schiava della cultura “woke” e, ovviamente, tutto il pensiero destrorso che, anche quando dissente, finisce per essere neoliberista, autoritario, gerarchico e repressivo.
Bene questa sinistra è riuscita a infiammarsi, non per una nuova proposta politica che ormai latita da diversi decenni, ma per la violenza sulle donne. Tema questo su cui si è frammentata nei consueti piccoli pezzettini isolati tra loro. Anche io ho detto la mia, rivolgendomi a quell’ampia schiera destrorsa che, tra governo e illustri pensatori come il Generale Vannacci, sta tentando di allungare le minigonne e rinchiudere le donne in casa nel loro ruolo di mamme. Purtroppo il titolo, "mai discutere con un idiota ti porta al suo livello e ti batte con l'esperienza", ha indotto più di un lettore di sinistra a immedesimarsi. Sfortunatamente, infatti, il fervido dibattito, suscitato da una campagna mediatica mainstream che ha fatto invidia a quella pandemica, ha prodotto una miriade di pareri diversi, alcuni dei quali di stampo palesemente conservatore.
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Morte e distruzione a Gaza
di John J. Mearsheimer
Traduciamo questo scritto a futura memoria sul massacro di Gaza di John Mearsheimer: “Non credo che qualsiasi cosa io dica su ciò che sta accadendo a Gaza influenzerà la politica israeliana o americana in quel conflitto. Ma voglio che sia messo a verbale in modo che quando gli storici guarderanno indietro a questa calamità morale, vedranno che alcuni americani erano dalla parte giusta della storia.” [Roberto Buffagni]
Non credo che qualsiasi cosa io dica su ciò che sta accadendo a Gaza influenzerà la politica israeliana o americana in quel conflitto. Ma voglio che sia messo a verbale in modo che quando gli storici guarderanno indietro a questa calamità morale, vedranno che alcuni americani erano dalla parte giusta della storia.
Quello che Israele sta facendo a Gaza alla popolazione civile palestinese – con il sostegno dell’amministrazione Biden – è un crimine contro l’umanità che non ha alcuno scopo militare significativo. Come afferma J-Street, un’importante organizzazione della lobby israeliana, “la portata del disastro umanitario in atto e delle vittime civili è quasi insondabile”[1].
Permettetemi di approfondire.
In primo luogo, Israele sta massacrando di proposito un numero enorme di civili, di cui circa il 70% sono bambini e donne. L’affermazione che Israele stia facendo di tutto per minimizzare le vittime civili è smentita dalle dichiarazioni di alti funzionari israeliani. Ad esempio, il portavoce dell’IDF ha dichiarato il 10 ottobre 2023 che “l’enfasi è sui danni e non sulla precisione”. Lo stesso giorno, il Ministro della Difesa Yoav Gallant ha annunciato: “Ho tolto tutti i freni – uccideremo tutti quelli contro cui combattiamo; useremo ogni mezzo”[2]
Inoltre, è chiaro dai risultati della campagna di bombardamenti che Israele sta uccidendo indiscriminatamente i civili. Due studi dettagliati sulla campagna di bombardamenti dell’IDF – entrambi pubblicati da riviste israeliane – spiegano in dettaglio come Israele stia uccidendo un numero enorme di civili. Vale la pena citare i titoli dei due articoli, che riassumono sinteticamente ciò che ciascuno di essi ha da dire:
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Hersh, Lieven e la disperata mossa di Washington per porre fine alle ostilità in Ucraina
di Gilbert Doctorow - gilbertdoctorow.com
Alcuni giorni fa, Seymour Hersh, famoso giornalista investigativo e vincitore del premio Pulitzer, ha pubblicato sul suo account substack.com un articolo intitolato “Da Generale a Generale. In Ucraina i leader militari stanno trattando la possibilità della pace”.
Per essere precisi, Hersh ha detto che i colloqui segreti su una possibile pace sono attualmente condotti dal comandante in capo militare ucraino, generale Valery Zaluzhny, e dal più alto ufficiale militare russo Valery Gerasimov.
Il paragrafo più interessante dell’articolo è il seguente:
“La forza trainante di questi colloqui non è stata Washington o Mosca, Biden o Putin, ma piuttosto i due generali di alto rango che conducono la guerra, Valery Gerasimov e Valery Zaluzhny”.
Un altro clamoroso passaggio dell’articolo riguarda il fatto che l’accordo comporterebbe l’accettazione da parte della Russia dell’adesione dell’Ucraina alla NATO, a patto che la NATO si impegni formalmente a “non collocare truppe NATO sul suolo ucraino” o a installare armi offensive in Ucraina.
L’ultimo elemento chiave dell’accordo, che bilancerebbe l’acquiescenza della Russia all’adesione dell’Ucraina alla NATO, sarebbe il riconoscimento della Crimea come irrevocabilmente russa e lo svolgimento di un referendum nelle regioni del Donbass e della Novorossiya (Zaporozhie e Kherson) che erano state liberate dalla Russia e che avevano poi aderito alla Federazione Russa, una misura che, in effetti, sarebbe una foglia di fico per definire formalmente e definitivamente il destino di questi territori come parte della Russia.
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Il crepuscolo del giardino occidentale
di Danilo Ruggieri
Gli ultimi due anni segnano uno spartiacque con il prima, con il mondo che abbiamo conosciuto. Qualcuno potrebbe obiettare, a ragione, che il movimento della storia è un processo in cui i cambiamenti sono spesso lenti e contraddittori, in cui le accelerazioni e i salti di qualità sono rari, sono l’eccezione che conferma la regola. La storia si muove attraverso tendenze, alcune principali e strategiche, che rispondono alle contraddizioni profonde che muovono le relazioni sociali tra gli uomini e altre e molteplici concause, spesso contingenti nel tempo e nello spazio.
A mio avviso, nonostante il mainstream anglosassone abbia fin dagli anni novanta raccontato con varie pubblicazioni e centri di orientamento culturale che il movimento storico fosse finito in una sintesi definitiva e pacificata, in quanto il regno del male, il comunismo, era stato seppellito dalla forza di attrazione del bene personificato dal modello capitalistico occidentale; nonostante una gigantesca manovra di diversione, falsificazione e revisione della storia a partire, guarda caso, proprio dalla lettura della Rivoluzione francese, oggi la storia si rimette in marcia e anche a passi veloci. Alla fine si dimostra una legge generale della storia umana che i fatti sono più duri della testa. Questo lo dico senza alcun credenza assoluta nell’oggettività matematica dei fatti che sono soggetti anche essi a un campo specifico della lotta di classe, la lotta delle idee, delle ideologie, delle narrazioni, delle interpretazioni. Certo la storia non si ferma e questo, è chiaro, e non porta con sé inevitabilità e necessità, ma solo possibilità. In questo, forse, dobbiamo iniziare a fare pulizia con un certo positivismo che ha albergato per molti anni anche nelle fila del movimento marxista occidentale.
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Vincenzo Costa, Categorie della politica. Dopo Destra e Sinistra
di Giulio Menegoni
“La Pace è finita” titola un fortunato saggio di L. Caracciolo recentemente pubblicato. La Storia si è rimessa in moto ed è appena il caso di starne al passo, se non si vuole esserne travolti. Ma il passo, per muoversi, ha da superare l’inciampo. La pietra che gli vieta la via. Il laccio che lo trattiene. Nulla si muove da sé, nessun ostacolo si toglie senza resistenza. Un vecchio ordine deve cadere affinché uno nuovo possa apparire.
Nel solco di questa titanica impresa si situa il saggio di Vincenzo Costa (Categorie della Politica. Dopo Destra e Sinistra, Rogas Edizioni, 2023) che qui presentiamo. L’autore, docente di Filosofia Teoretica presso l’Università Vita-Salute di Milano, non nasconde a sé e al lettore l’alta finalità e l’improbo obiettivo del testo. Si tratta, infatti, di «iniziare a sgomberare il campo da un ordine concettuale» (cit.), il pensiero binario, soprattutto quello che irretisce la sovrabbondanza del politico nelle maglie strette della diade Destra/Sinistra, vera e propria superfetazione retorica a uso e consumo delle classi dominanti, dispositivo di riproduzione del dominio trasversale del mercato contro ogni altro interesse. Nel caso specifico, la Diade Destra/Sinistra va superata, afferma Costa, «perché non rispecchia l’articolazione dell’esperienza, la sovrascrive e le toglie la parola» (cit.). Ma lo scopo del saggio è ben più ampio di questa singola rimozione, e infatti l’Autore invita con forza a «lasciarsi alle spalle l’organizzazione binaria che caratterizza il pensiero politico della modernità» (cit.) in senso globale. Non si tratta, infatti, di operare per sostituzione, optando per una diade migliore (popolo/elites; basso/alto) – azione a cui peraltro molta letteratura critica si è dedicata negli ultimi anni.
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False promesse e ristrutturazioni ai danni dei lavoratori
di Alessandra Ciattini e Federico Giusti
Prima e dopo il neoliberismo
Lavorare meno per lavorare tutti\e, era uno slogan, anzi un obiettivo, del movimento operaio per ridurre l’orario giornaliero e settimanale, allentare la morsa dello sfruttamento, favorire nuova occupazione sapendo che un esercito industriale di riserva avrebbe potuto alla lunga determinare la contrazione dei salari e un sostanziale arretramento delle condizioni di vita e di lavoro. Il progresso tecnologico, consentendo di ridurre il lavoro necessario alla produzione rende la riduzione dell’orario di lavoro non solo possibile, ma anche necessaria se vogliamo garantire il lavoro a tutti. Perciò tale riduzione a parità salariale, in un determinato contesto storico, ha rappresentato anche una richiesta legata alla riconquista dei tempi di vita a favore dello studio, del tempo libero e delle relazioni familiari e sociali. Per lo stesso motivo il capitale rifugge la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario in quanto il ricatto della disoccupazione costituisce un formidabile fattore di disciplinamento della classe lavoratrice.
Erano gli anni nei quali le ricette neo liberiste in economia e in campo sociale non avevano ancora preso il sopravvento e lo Stato sociale, costruito prevalentemente sulle famiglie monoreddito, per quanto incompleto era tale da consentire una pensione dignitosa (gli anni maturati erano calcolati con il sistema retributivo con un assegno previdenziale in linea con gli ultimi stipendi percepiti), servizi pubblici in campo educativo e sanitario tali da far studiare i figli all’università, grazie anche alle allora famose 150 ore, assicurando alla popolazione il diritto alla cura e alla prevenzione, alla tutela insomma della salute.
Erano anche gli anni nei quali si rivendicava una medicina del lavoro atta a prevenire malattie professionali o a curarle con ampio ricorso a servizi gratuiti e semi gratuiti.
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Domenico Losurdo e i marxismi
di Salvatore Bravo
Capire la catastrofe che ha condotto la sinistra comunista a essere numericamente irrilevante è la via per comprendere la sua rinascita. Il liberismo impera da sinistra a destra, l’intero impianto parlamentare è sostanzialmente monopartitico. I nomi cambiano, i volti si susseguono, le parole, pertanto, celano messaggi sempre eguali, “democrazia”, dunque, ma senza opposizione. Essa agonizza sotto i colpi del formalismo giuridico. La Stato democratico protocollare è il segno della verità del liberismo: democrazia e liberismo sono un ossimoro. Gli studi di Domenico Losurdo lo dimostrano, per porre il liberismo nella sua cornice storica reale ed effettuale, è opportuno disporsi in una prospettiva storica non eurocentrica. Vi sono dogmi che bisogna rimettere in discussione, in modo da infrangere la sudditanza al politicamente corretto e riaprire “il tempo nuovo” della storia. La verità del liberismo è espressa massimamente nel colonialismo con il suo corollario di saccheggi e genocidi. Essi sono stati la normalità truculenta non riconosciuta della storia delle democrazie occidentali. La rimozione della politica coloniale liberista e la sua insufficiente tematizzazione hanno rafforzato il liberismo e hanno indebolito il comunismo, al punto che si possono individuare due tipi di marxismi: il marxismo occidentale e il marxismo orientale che, con il trascorrere dei decenni e delle lotte coloniali, hanno assunto identità profondamente diverse. La divisione indebolisce la progettualità politica e l’impianto critico, Domenico Losurdo individua nella contrapposizione senza sintesi dei due marxismi una delle cause strutturali della crisi del comunismo:
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Re-inquadrare. Funzione intellettuale, cornice e istigazione (in una società di like e influencer) (Prima parte)
di Gaspare Nevola
(IN SALA IL BRUSIO E’ ANDATO CRESCENDO…)
Mmm… Siate comprensivi, per favore, un po’ di silenzio. Diamo subito la parola a George Orwell. Grazie.
GEORGE ORWELL PRENDE LA PAROLA… (SIAMO NEL 1948 – No, ma se volete divertitevi pure a invertire gli ultimi due numeri o a immaginare di essere nel 2023).
Gentili signore e gentili signori…
Voglio solo sottolineare che il tipo di Stato che ci governa dipende necessariamente, almeno in parte, dall’atmosfera intellettuale dominante… Sono interessato all’effetto che le idee politiche e la necessità di schierarsi politicamente producono sulle persone di buona volontà.
Questa è un’età politica…
L’autentica reazione a un libro, ammesso che ci sia una reazione, di solito è “questo libro mi piace” oppure “non mi piace”… “questo libro sta dalla mia parte, quindi devo trovarci dei pregi”. Naturalmente, quando elogiamo un libro per ragioni politiche possiamo essere emotivamente sinceri, nel senso di approvarlo davvero in modo convinto; ma spesso capita che anche la fedeltà di partito richieda una palese menzogna… A ogni modo, innumerevoli libri a favore o contro la Russia…, a favore o contro il sionismo, a favore o contro la Chiesa cattolica e così via vengono giudicati prima di essere letti, e in realtà ancor prima che siano scritti. (…)
In noi si è sviluppata… una coscienza delle enormi ingiustizie e miserie del mondo (…)
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Salario minimo e questione salariale generale: gli obiettivi di una nuova lotta di classe contro il governo e le forze sindacali concertative
Editoriale di Stefano Tenenti*
La crescita esponenziale del lavoro povero
L’Italia è l’unico Paese OCSE in cui le retribuzioni medie lorde negli ultimi trenta anni sono diminuite. Mentre in Germania sono salite del 33,7% e in Francia del 31,1% in Italia si è registrato un calo del 2,9%. Nessun Paese occidentale ha avuto un andamento peggiore del nostro, come si evince dal 55° rapporto CENSIS 2021 sulla situazione sociale del Paese. nel frattempo le cose sono ulteriormente peggiorate.
Dentro questa situazione media generale si registra l’allargamento clamoroso del lavoro povero. Il ministro del lavoro Orlando, in carica fino a ottobre 2022 che aveva incaricato un gruppo di studiosi in materia per una ricerca correlata, ha chiarito che i “lavoratori poveri” in Italia sono il 25% del totale, uno su quattro, con una significativa differenza tra gli uomini che sono il 16,5% e le donne che invece schizzano al 31,8%. I settori dove si concentra questa condizione sono quello turistico-alberghiero, il commercio, il pulimento, la vigilanza, l’agricoltura, pur estendendosi a tutta l’economia del Paese. E questi non sono i dati peggiori, perché ci sono altri studi che, concentrandosi sul solo salario, avevano stabilito che sotto la soglia d’indigenza, nel 2017, si collocava il 32,4% della popolazione. (VisitINPS Scholars).
Ovviamente c’è un dato strutturale che spiega questa diffusione del lavoro sottopagato rappresentato dalla deindustrializzazione nazionale favorita dalla dismissione di gran parte dell’economia pubblica e dalla conseguente scomparsa di una politica industriale. Ma c’è anche un dato politico che pesa fortemente: la diffusione dei bassi salari e della conseguente ricattabilità di tutti i lavoratori aiuta i governi, da ultimo quello Meloni, a perseguire linee di concorrenza interna del mercato del lavoro che aiutano a spingere le retribuzioni verso il basso.
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Dobbiamo smettere di insegnare l'economia neoclassica?
Perpetuarla non aiuta gli studenti
di Louis-Philippe Rochon, Sergio Rossi
Dobbiamo insegnarla, ma solo per confutarla, per rendere gli studenti consapevoli di ciò che vi è di sbagliato ed estraneo al funzionamento dei mercati. Occorre fare una distinzione: se è vero che i mercati non seguono le leggi dell'economia neoclassica, il mondo è però dominato dalla sua pratica. Gli specialisti del governo, i politici, i banchieri e i professori preferiscono ignorare questa linea di separazione. Ma sono proprio questa consapevolezza e questa distinzione che dobbiamo insegnare ai nostri studenti.
* * * *
Ci sono molti articoli, blog e libri che criticano l'economia neoclassica - l'economia "volgare" - e che mettono in luce i suoi numerosi fallimenti. L'elenco è troppo lungo per discuterli tutti in questa sede, ma è abbastanza facile trovarli elencati nel canone della letteratura post-keynesiana ed eterodossa.
Autori come Paul Davidson hanno messo ripetutamente in discussione il realismo delle ipotesi neoclassiche, che non sono una descrizione adeguata del "mondo reale". Altri ancora, come Vicky Chick, hanno lamentato i difetti metodologici dell'economia neoclassica e la sua dipendenza dall'individualismo atomistico, dalla convergenza all'equilibrio, da meccanismi di autoregolazione e simili. Per alcuni, l'economia neoclassica "è morta", come sostiene Steven Klees, dell'Università del Maryland.
Eppure, una rapida occhiata a quasi tutte le riviste e ai dipartimenti universitari conferma che l'economia neoclassica non è morta, anzi. Essa prospera nei dipartimenti universitari ed è ancora considerata l'unica opzione disponibile, nonostante l'ascesa di punti di vista alternativi, come la Modern Money Theory, o di idee eterodosse che lentamente si insinuano negli approcci tradizionali.
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Nemici giurati, falsi amici e veri alleati della causa palestinese
di Tendenza internazionalista rivoluzionaria
Tocca a noi internazionalisti militanti, nemici irriducibili di ogni potere borghese, dire un’amara verità: se il genocidio di palestinesi in corso a Gaza potrà andare avanti per mesi fino a rendere totalmente inabitabile quel territorio per i suoi abitanti, come ha programmato il boia Netanyahu, questo potrà succedere solo ed esclusivamente per le armi e i dollari amerikani, il petrolio azero, arabo, brasiliano, russo, la complicità degli stati e dei luridi mass media italiani ed europei, e infine per il cinismo degli altri falsi amici della causa palestinese (Turchia, Cina, Iran) che stanno alla finestra a guardare impassibili l’orrendo “spettacolo”, studiando come poter trarre profitto dal sangue versato dai palestinesi.
Con tutte le differenziazioni e le contraddizioni del caso, contro i palestinesi, il popolo più proletarizzato e irriducibile del mondo, si è venuta a saldare un’alleanza di fatto delle più grandi potenze del capitale.
Ad aiutare Israele a portare avanti la sua azione genocida, non c’è solo l’“Occidente collettivo”, nemico giurato della libertà delle masse palestinesi, con gli Stati Uniti del capo-killer Biden in testa. C’è la banda dei Brics, vecchi e nuovi. C’è la Russia, storica grande amica di Israele e soprattutto della sua destra ultra-sionista, disposta a prendere verbalmente le distanze dal massacro solo per darne la colpa a Washington, e proteggere con questo escamotage i gangster al potere in Israele. C’è il Brasile, grande fornitore di petrolio a Tel Aviv. C’è l’India che, a mattanza in corso, ha concluso un accordo di fornitura di manodopera a Israele per sostituire decine di migliaia di proletari palestinesi da licenziare e da sprofondare nella disoccupazione e nella povertà. Ci sono tutti i paesi arabi che – al di là delle frasi di circostanza – non hanno mosso un solo dito per bloccare, e neppure ridurre, le forniture di petrolio essenziali per lo sterminio.
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Film da non vedere: “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi
di Joe Galaxy
Recensioni entusiaste, elogi sperticati di amiche e amici, voci che rimbalzano per ogni dove… siamo incuriositi a tal punto che ci siamo decisi: andiamo anche noi a vedere questo mitico film, quello della Cortellesi, “di cui tutti parlano”.
“Fusse che fusse…” e ci trovassimo di fronte a un film che rompe gli schemi ed esce finalmente dai binari del conformismo lecchino e complice, della commediola soporifera e vuota e della soap opera inguardabile e avvilente che intasano i nostri schermi. Andiamo, dunque! Il cinema è persino a cinquecento metri da casa, tutto torna, gli dèi sono con noi, sarà un film bellissimo (o almeno interessante).
Passano due ore (qualcosa in più, a causa del martellamento pubblicitario che precede il film, che non ci molla neanche in questa occasione, figuriamoci…) ed eccoci fuori. Cos’è successo nel frattempo? Se può interessare, ecco le nostre impressioni:
Innazitutto, ‘sto marito che la “corca de bbotte” (per restare al romanesco del film) ci appare subito un po’ troppo marcato. Sicuramente è stato delineato con questi tratti forti perché deve soprattutto rappresentare una sorta di archetipo del maschio patriarca, e simboleggiare un mondo di soprusi intollerabili. Tuttavia questa figura così fortemente caratterizzata rischia di far svanire molte sfumature del dominio patriarcale in famiglia, spesso molto più sottili di una salva di volgari legnate, ma non per questo meno dolorose. Nonché di assolvere a priori la soggettività femminile che invece, spesso, nelle famiglie ha contribuito attivamente a rendere la vita di casa un piccolo inferno (per esempio, accettando senza reagire lo stato di fatto, e anzi mettendoci del proprio) – anche se di solito in modo diverso dal temibile patriarca.
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Ucraina: fine dell’illusione occidentale
di Roberto Iannuzzi
Kiev sta esaurendo le sue limitate scorte di uomini, armi e munizioni, e l’Occidente non può fornirle ciò di cui ha bisogno. Per americani ed europei è un duro, quanto inevitabile, risveglio
Dopo quasi due anni di guerra estenuante, con una controffensiva fallita malgrado i lunghi mesi di preparazione e i miliardi di dollari spesi dagli alleati occidentali, nella capitale ucraina emergono pericolose divisioni ed è palpabile la disillusione.
Kiev si ritrova a cercare disperatamente di richiamare l’attenzione di Stati Uniti ed Europa, focalizzata sul conflitto di Gaza e sulle rispettive grane interne, mentre un lungo e duro inverno attende le decimate truppe ucraine, ormai ridotte sulla difensiva su gran parte del lunghissimo fronte.
Che l’Occidente abbia distolto lo sguardo dall’Ucraina non è un caso. Il conflitto ha infranto gran parte delle illusioni americane ed europee. A cominciare da quella di poter replicare le controffensive ingannevolmente vittoriose che poco più di un anno fa avevano permesso a Kiev di riprendere territori, a Kharkiv nell’est ed a Kherson nel sud del paese.
La “controffensiva di primavera”, poi rimandata all’estate, nelle aspettative era stata descritta come una campagna potenzialmente decisiva contro l’occupazione russa, che ne avrebbe spezzato il corridoio terrestre che unisce il Donbass alla Crimea, addirittura minacciando il controllo russo di quest’ultima.
Lanciata a giugno, tale controffensiva ha invece intaccato solo marginalmente la linea fortificata delle difese russe, al prezzo di enormi perdite per gli ucraini.
Voci inascoltate in Occidente
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L’ULTIMO 25 NOVEMBRE. Contro la variante fucsia del disciplinamento sociale
di Il Rovescio
Dopo quest’ultimo 25 novembre, proponiamo due testi diversi, che ci sembrano consonanti nel loro essere fuori dal coro. Il primo è della Coordinamenta femminista e lesbica, ed è già stato pubblicato sul loro blog https://coordinamenta.noblogs.org/. Il secondo, scritto da una compagna comunista, è inedito.
Se condividiamo l’allergia di queste compagne verso tutte le proteste comandate, nonché la denuncia della evidente strumentalizzazione istituzionale-poliziesca della vicenda di Giulia Cecchettin (e prima ancora dello stupro di Caivano), aggiungiamo da parte nostra una nota problematica.
Se dietro le mobilitazioni dello scorso 25 novembre (e più in generale dietro la riscoperta di massa, negli ultimi anni, delle questioni di genere) è difficile non scorgere una energica e interessata spinta mediatica, ci pare anche che la questione dei femminicidi e dell’oppressione patriarcale sia tanto reale1 quanto sentita. Mentre a dircelo è innanzitutto la vastità delle manifestazioni, attraversate da centinaia di migliaia di persone di ogni sesso e genere, «le piazze più sincere e arrabbiate» sembrano covare (e a tratti comunicare) anche una eccedenza, un bisogno di stravolgimento degli attuali rapporti sociali. Ce lo dicono sia alcuni slogan (a partire dal «se non torno a casa, bruciate tutto» nato dalle parole di Elena Cecchettin, la sorella di Giulia), sia alcune azioni (come il meritorio infrangimento delle vetrine dell’associazione antiabortista Pro Vita durante la manifestazione a Roma). Insomma, pare che ormai molte persone, specialmente giovani, identifichino come patriarcato la totalità della presente organizzazione sociale, esigendo, in un modo o nell’altro, il suo superamento…
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Info-warfare, la 'terza guerra'
di Enrico Tomaselli
Un’analisi della info-warfare, la guerra dell’informazione, in relazione ai due principali conflitti in atto, quello russo-ucraino in Europa e quello israelo-palestinese in Medio Oriente. Come questa terza guerra si collega alle altre due guerre, e come interagisce con esse. Non solo propaganda, ma anche psy-ops
Nell’ambito della Grande Guerra Globale in cui ci troviamo immersi – e che segnerà certamente i decenni a venire – possiamo vedere in atto almeno tre guerre: quella europea, quella mediorientale e quella dell’informazione. Le prime due cercano di ottenere risultati politici attraverso l’uso delle armi, la terza attraverso il condizionamento delle opinioni pubbliche mondiali (e quindi dei governi).
Ma non si tratta di tre guerre separate, anzi sono strettamente intrecciate le une con le altre, e sotto molteplici aspetti. Delle relazioni tra le due guerre guerreggiate abbiamo del resto già detto in un precedente articolo [1].Le mosse tattiche e le manovre strategiche della guerra informativa tengono conto di quanto avviene sui campi di battaglia, cercano di darvi un senso inquadrandolo in una particolare lettura, sia al fine di confondere (e/o mobilitare) le opinioni pubbliche, sia nell’ambito di vere e proprie psy-ops volte a disorientare il nemico o a proteggere la parte che le mette in atto.
Se si tiene in mente questa premessa, si può provare a decifrare il significato di molte recenti mosse tattiche di questa guerra dell’informazione. E già il loro intensificarsi, per quantità e per qualità, oltre che per i contenuti, suggerisce chiaramente come le guerre guerreggiate siano in una fase critica, che richiede interventi narrativi esterni ai campi di battaglia.
In particolare, esamineremo sia dichiarazioni ufficiali, come quella del Segretario alla Difesa USA Lloyd Austin, che una serie di indiscrezioni e analisi giornalistiche, con riferimento sia al conflitto russo-ucraino che a quello israelo-palestinese.
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L’ombra della guerra si allunga in Sudamerica?
di Paolo Arigotti
La storia del Venezuela è molto tormentata, il canale di Nova Lectio le ha dedicato un paio di video di approfondimento circa due anni fa[1]. Assai meno conosciuta, invece, è quella di un altro paese ai suoi confini, la Guyana, per meglio dire la Repubblica cooperativa della Guyana, per distinguerla da quella francese, uno dei territori d’oltremare, residuo dell’immenso impero coloniale di un tempo, e il Suriname, ex Guyana olandese, indipendente dal 1975.
Questa nazione grande più o meno 100mila kmq quadrati in meno rispetto all’Italia (all’incirca 214mila contro i 301mila nostrani), con una popolazione di poco più di 800mila abitanti – il 40 per cento dei quali ancora nel 2017 viveva in condizioni di povertà – si affaccia sull’oceano Atlantico e confina con Venezuela, Brasile e Suriname. Il suo territorio è costituito in buona parte da foresta amazzonica ed è ricco di giacimenti petroliferi, ma anche di altre risorse naturali come gas, oro, diamanti, acqua e legname, con un sottosuolo e una piattaforma continentale in buona parte ancora da sfruttare.
La sua storia è molto articolata. Tra le curiosità che vogliamo citare, forse poco conosciuta, è che in conclusione di una delle diverse guerra combattute nel ‘600 tra inglesi e olandesi, i Paesi Bassi riacquistarono una serie di territori perduti, compreso quello corrispondente all’attuale Suriname, cedendo in cambio all’Inghilterra la città di Nuova Amsterdam, che poi sarebbe stata ribattezzata New York in onore del Duca di York.
La colonia britannica della Guyana sarebbe stata formalmente costituita nel 1831. Furono i nuovi padroni ad avviare la bonifica del territorio e impiantarvi colture intensive, a cominciare dalla canna da zucchero, che favorì l’industria dei derivati di rum e melassa.
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Nella striscia di Gaza si sta consumando un genocidio?
di Paolo Arigotti
Una premessa importante.
Nessuno qui ha la benché minima intenzione di avallare e/o giustificare una serie di azioni criminali, di qualunque provenienza, ma soltanto di fare un ragionamento per quanto possibile fondato sui fatti e sul diritto.
Naturalmente il focus si concentra su quanto sta avvenendo, sotto gli occhi del mondo, in Terra Santa, e tenteremo di capire se possa, o meno, essere corretto parlare al riguardo di “genocidio”.
Caitlin Johnstone, giornalista australiana, ha scritto di recente che: “Se decidessi di commettere un genocidio, mi assicurerei di uccidere più donne e bambini possibile per eliminare le generazioni future delle persone che sto cercando di spazzare via. Ora che si penso, immagino che farei sostanzialmente quello che Israele sta facendo a Gaza”[1].
Il contributo, ripreso e pubblicato in un articolo[2] dell’Ambasciatore Alberto Bradanini, ci porta dritti alla questione.
Il cosiddetto mainstream subito dopo l’attentato terroristico del 7 ottobre, attribuito ad Hamas, ha sposato senza riserve la tesi secondo cui la reazione dello stato ebraico possa essere avallata per il principio che “Israele ha diritto di difendersi”: potremmo citare numerosi interventi in questa senso, ma preferiamo lasciar perdere, rimandando – per chi lo desidera – ai singoli contributi.
Il diritto alla difesa legittima è, in via di principio, indiscutibile, essendo previsto anche dall’art. 51[3] della Carta delle Nazioni Unite: il problema non riguarda il principio, ma la sua applicazione, che deve necessariamente essere valutata rapportandola al caso concreto.
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Pandemia e complottismo: la zoonosi
di Alessandro Bartoloni
I commenti pubblicati su Sinistrainrete alla relazione del compagno Alessandro Pascale intitolata Le menzogne sulla pandemia COVID ben testimoniano lo stato dell’analisi da parte della cosiddetta sinistra. Per molti, troppi, compagni, pensare che il SARS-CoV-2 sia un prodotto artificiale è ancora sinonimo di complottismo e irrazionalismo antiscientifico. Un po’ perché a rilanciare per primi la tesi dell’origine artificiale del virus sono stati gli esponenti della peggior destra (ad es. Matteo Salvini), dimostrando con ciò che anche tra le nostre fila c’è chi guarda il dito e non la Luna. Un po’ perché la sinistra più o meno antagonista ha da tempo abbracciato il paradigma epistemico popperiano che contrappone la scienza ad una presunta “teoria cospiratoria della società”[1]. E poi perché, dettaglio non da poco, prove concrete dell’origine artificiale del virus non ne sono ancora emerse.Pertanto, la maggior parte delle voci critiche predilige la teoria che vuole il SARS-CoV-2 nato tra i pipistrelli e arrivato all’uomo attraverso il cosiddetto “salto di specie” (zoonosi o spillover, che dir si voglia), con la complicità di qualche pangolino e del mercato di Wuhan. In pratica, saremmo di fronte ad un fenomeno naturale la cui probabilità di accadimento è aumentata a causa delle attività umane. Una posizione apparentemente inoppugnabile e chiaramente espressa dagli specialisti. «Se il momento esatto e la natura della comparsa di una malattia non può essere previsto, è necessario considerare seriamente l’aumentata probabilità di rilevare e affrontare una precipitazione degli eventi fino all’emergenza a causa di ambienti antropizzati»[2]. Così alcuni ricercatori nel 2018 che hanno studiato proprio l’interazione tra pipistrelli, Coronavirus e deforestazione e per i quali «la probabilità di insorgenza del rischio di infezione è in aumento a causa dei cambiamenti ambientali e della maggiore pressione sull’ambiente».
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