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Nelle braccia del Leviatano
Note contro lo Stato
di Un amico di Winston Smith
Dalla rivista anarchica “i giorni e le notti”, numero 14, luglio 2022
La “volontà di potenza” è stata finora uno dei motori più forti nello sviluppo delle forme della società umana. L’idea che tutti gli eventi politici e sociali siano soltanto il risultato di determinate condizioni economiche non resiste ad un’attenta considerazione. Rudolf Rocker
[Il Capitale di Marx è] l’unico grande testo di demonologia che l’età borghese ha prodotto. Roberto Calasso
Mi rifiuto di accettare il declino del nostro ordine mondiale. John McCain (noto “falco” neocon statunitense, alla conferenza sulla sicurezza di Monaco del 2017)
Contro l’eterno presente
Se c’è una questione che la dichiarata pandemia ha rimesso all’ordine del giorno, questa è senz’altro la questione dello Stato. Non potrebbe essere diversamente. Dopo anni in cui, da destra a manca, si è vaneggiato sul suo decadimento o addirittura della sua progressiva scomparsa, lo Stato si è infatti ripresentato nella sua interezza. Se nessuno, di fronte alla sua pretesa di interferire e regolare, autorizzare o negare anche i comportamenti più minuti, ha potuto ignorare il suo carattere sfacciatamente poliziesco (con tanto di tremori e timori di rinascita dello Stato etico che, da sinistra a destra, hanno assalito anche gli statalisti più convinti), stavolta lo Stato non ha fatto sentire la sua mancanza neppure dal lato economico, tra interventi straordinari di riconversione produttiva (come per le fabbriche messe da un giorno all’altro a produrre mascherine) e santificazione del «debito buono», funzionale prima all’affrontamento della Grande Emergenza e poi a una «ripartenza dell’economia» ancora tutta da vedere. Se ai piani alti della società il ritorno dello Stato è stato salutato in pompa magna (con un investimento propagandistico che dovrebbe già bastare a intendere le reali intenzioni della classe dominante), ai piani bassi non ha fatto che dare la stura alle ipotesi più strampalate, soprattutto per quanto riguarda le diverse aree militanti che si richiamano, con varietà di accenti, al pensiero marxista.
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Tempi storici della lunga accumulazione capitalistica
di Massimiliano Tomba
Da L. BASSO , S. BRACALETTI , M. FARNESI CAMELLONE , F. FROSINI , A. ILLUMINATI , N. MARCUCCI , V. MORFINO, L. PINZOLO , P.D. THOMAS , M. TOMBA: Tempora multa. Il governo del tempo, Mimesis, 2013
Il lavoro che il capitale cerca di appropriarsi direttamente e indirettamente può presentarsi nelle forme più diverse: dal lavoro di cura svolto in famiglia, necessario per riprodurre la forza-lavoro, alla scienza, che, nel Capitale, è presentata come un caso di lavoro altrui appropriato senza pagarlo: «la scienza non costa in genere ‘niente’ al capitalista, il che non gli impedisce affatto di sfruttarla. La scienza ‘altrui’ viene incorporata al capitale, come lavoro altrui»1. Nel modo di produzione capitalistico «tutti i modi per incrementare la forza produttiva sociale del lavoro si attuano a spese del lavoratore individuale; tutti i mezzi per lo sviluppo si capovolgono in mezzi di dominio e di sfruttamento del produttore»2. L’enfasi prometeica sullo sviluppo macchinico, ancora presente nei Grundrisse3, non ha più come esito il passaggio immediato al comunismo. L’«individuo sociale», per quanto suggestivo laboratorio di ricerca su un mutamento antropologico, lascia il posto allo storpiamento del singolo operaio, mettendo così in evidenza l’esito capitalistico di quel possibile mutamento. I mezzi per lo sviluppo della produzione, scrive Marx, «mutilano il lavoratore facendone un uomo parziale, lo avviliscono a insignificante appendice della macchina, distruggono con il tormento del suo lavoro il contenuto del lavoro stesso», e non solo, ma
gli estraniano le potenze intellettuali del processo lavorativo nella stessa misura in cui a quest’ultimo la scienza viene incorporata come potenza au- tonoma; deformano le condizioni nelle quali egli lavora, durante il processo lavorativo lo assoggettano a un dispotismo odioso nella maniera più meschina, trasformano il periodo della sua vita in tempo di lavoro, gli gettano moglie e figli sotto la ruota di Juggernaut del capitale4.
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Sul 24 febbraio
di Enrico Tomaselli
C’è da tempo una narrativa filoucraina e una narrativa filorussa sui fatti che precedono e seguono l’invasione dell’Ucraina del 24 febbraio e di quale fosse la reale strategia russa. Enrico Tomaselli mette in luce i limiti propagandistici di entrambe le versioni e propone una lettura diversa
Tre linee d’attacco
Può sembrare poco rilevante esaminare oggi il senso degli avvenimenti della prima fase dell’operazione speciale, eppure una interpretazione di quegli eventi può essere utile non solo per comprendere meglio le fasi successive, ma anche per mettere tutto in prospettiva e, quindi, provare a comprendere quali potrebbero essere gli sviluppi a breve-medio termine.
È interessante notare, al riguardo, come esistano sostanzialmente due chiavi di lettura di quella fase iniziale, ovviamente opposte e quasi speculari, che potremmo ricondurre a due diverse letture di parte degli avvenimenti.
Esiste una chiave di lettura, diciamo così, filo-ucraina, secondo la quale le operazioni militari russe iniziate il 24 febbraio miravano all’invasione del paese, con l’intento di rovesciarne il governo ed occuparne l’intero territorio. Come si ricorderà, in effetti, le direttrici di attacco russe furono tre, di cui soltanto una riguardava la parte sud-orientale dell’Ucraina: le aree del Donbass ancora sotto il controllo di Kiev e le altre due – da est, verso Kharkiv ed oltre, e da nord verso Kyev – territori rispetto ai quali non vi erano rivendicazioni indipendentiste. In base a questa interpretazione, sarebbe stata la formidabile resistenza delle forze armate ucraine, nonché la determinazione del governo, a fermare prima e a respingere poi le forze russe penetrate da nord e da est, costringendo quindi Mosca a ripiegare entro i propri confini, per poi ridislocare le truppe più a sud e concentrare gli sforzi sui due oblast di Lugansk e Donetsk.
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Frammenti di un discorso su Marx e le teorie novecentesche della dinamica economica
di Alessandro Volponi*
Presentiamo l'intervento svolto dal professor Volponi alla Festa Nazionale di "Cumpanis" tenutasi a Castelferretti (Ancona) dal 2 al 4 settembre scorso
Com’è noto, toccò ad Engels il duro compito di mettere ordine nel vasto lascito di Marx dando veste organica alla massa di appunti che costituirono, tra l’altro, il secondo e il terzo libro del Capitale e proprio nel secondo libro del suo capolavoro Marx espone un’idea che si rivelerà assai feconda: dividere l’apparato produttivo in due grandi settori e descrivere le relazioni che necessariamente intercorrono fra di essi in due situazioni diverse che sono quella di un’economia stagnante e quella di un sistema in crescita (riproduzione semplice e riproduzione allargata).
Proprio questa seconda rappresentazione fornisce la base di una teoria della dinamica che nel ‘900 darà i suoi frutti più maturi, in particolare dopo il terribile ‘29. Si ricordi che nel secolo di Marx il pensiero economico dominante nega la possibilità delle crisi che sarebbero, dunque, sempre prodotte da cause extraeconomiche (cause esogene). Per Marx, le crisi sono non solo possibili ma necessarie, esse producono periodicamente un temporaneo aggiustamento dei rapporti tra le grandezze fondamentali del sistema; da esse, per tutta la durata della giovinezza del capitale, si fuoriesce con rinnovato slancio verso più gloriosi destini del sistema. Egli, però, nei suoi schemi della riproduzione, non descrive la crisi ma, con esempi aritmetici, presenta un percorso ideale in cui tutto il plusvalore è consumato o investito dai capitalisti, tutto il salario è consumato dai lavoratori, i beni di consumo prodotti da un settore equivalgono esattamente alla domanda complessiva e allo stesso modo i beni di investimento prodotti corrispondono esattamente alle necessità di entrambi i settori. Nello schema della riproduzione allargata una quota di questi beni, soprattutto di investimento, è in eccesso e costituisce una base più larga della produzione nel periodo successivo.
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Dov’è il fascismo oggi?
di Stefano G. Azzarà (Università di Urbino)*
Processi di concentrazione neoliberale del potere, stato d’eccezione e ricolonizzazione del mondo
1. Antifascismo degradato a propaganda
Non c’è dubbio che in Fratelli d’Italia – il partito di Giorgia Meloni che tutti i sondaggi indicano come vincitore delle prossime elezioni con il 24% circa dei consensi – ci siano forti nostalgie fasciste o fascisteggianti. Diversi suoi esponenti nazionali e locali rappresentano già per la loro biografia la continuità con il MSI, la formazione che dopo la nascita della Repubblica italiana aveva raccolto gli eredi del fascismo sconfitto e che è stato a lungo guidato da Giorgio Almirante (un funzionario della Repubblica di Salò che nel contesto della Guerra Fredda seppe subito riposizionarsi in chiave filoamericana e anti-PCI).
E la stessa Meloni è stata dirigente del Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile del MSI incline a un impegno “sociale” e “movimentista” e attiva nelle scuole e nelle Università; un’organizzazione il cui nome venne cambiato in Azione Giovani dopo che quel partito era stato a sua volta ridenominato come Alleanza Nazionale da Gianfranco Fini, allo scopo di essere ammesso al governo, e della quale la Meloni divenne a quel punto leader. Tra l’altro, se Alleanza Nazionale si presentava nel 1994 come un’operazione di fuoriuscita della destra italiana dall’orizzonte della nostalgia e di apertura a un’impostazione dichiaratamente liberalconservatrice, Fratelli d’Italia – che nasce nel 2012 proprio dal fallimento di quell’operazione – ha certamente rappresentato ai suoi esordi un ritorno verso un orizzonte più chiuso. Dobbiamo poi notare un’inquietante ricorrenza storica: il partito che sin dal simbolo si richiama all’eredità del fascismo (la fiamma tricolore che si innalza dalla bara stilizzata del Duce) potrebbe andare al potere esattamente 100 anni dopo la Marcia su Roma di Mussolini.
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Il Metaverso come il migliore dei mondi possibili
di Costantino Ragusa
Là fuori le Big Tech stanno correndo, anzi, al momento ancora la dentro nel chiuso dei loro laboratori, ma non ancora per molto. Si apprestano a fornire soluzioni, ma soprattutto prospettive al dopo emergenza sanitaria. Non tanto come la fine di una fase e la creazione di un’altra, piuttosto è la continuazione della precedente: proprio la dichiarata emergenza sanitaria rinominata pandemia ha permesso quell’accelerazione che sta permettendo inediti tempi e velocità, ma soprattutto possibilità uniche nella possibilità di trasformare il mondo.
I lunghi mesi di chiusure con i vari confinamenti che si sono susseguiti nel tempo sono stati un ottimo campo sperimentale per capire come ideare una completa immersione nel mondo digitale, per capire quali resistenze vi sarebbero state e dove sarebbe subentrata l’abitudine e, soprattutto, negli ambienti di lavoro per comprendere gli effetti del nuovo addestramento che si andava applicando.
Il proseguo dello stato di emergenza dato dalla guerra con il suo continuo rischio atomico paventato continuamente aggiunge nuove paure e inquietudini, aumenta il malessere e la confusione, abitua a costruire e indirizzare odio e rancore dietro indicazione. Come già vi era abitudine a odiare i non inoculati o chi semplicemente metteva dubbi sulla narrazione ufficiale legata alla dichiarata pandemia. Ma, nel mentre, vi è distrazione tra i più e i tecnocrati spingono veloci per nuovi processi digitali, progettano e organizzano il mondo che abbiamo intorno, senza risparmiarsi nessuna possibilità e sfera di intervento, che sia lo spazio o il nostro genoma.
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Il declino economico degli Stati Uniti e l’instabilità globale
di Fabrizio Russo
Le minacce ai pilastri su cui si reggono gli USA
Gli Stati Uniti sono emersi dalla Seconda Guerra Mondiale come la principale potenza economica e militare del mondo. Settanta anni dopo, circa, il potere americano è in declino, una diretta conseguenza di decenni di politiche economiche neoliberiste, che spendono ingenti somme di denaro pubblico per l’esercito e il raggiungimento della “parità” economico/militare con Russia e Cina. Queste politiche hanno eroso la forza economica degli USA e stanno minando il ruolo del dollaro in veste di valuta di riserva mondiale, pilastri chiave del loro potere globale. In realtà, tutti i pilastri che sostengono il potere degli Stati Uniti sono ora minacciati dai decenni di politiche economiche neoliberiste sconsiderate. Il punto nodale è il collegamento tra il continuo declino economico e sociale negli Stati Uniti/UE (collettivamente indicati come “l’Occidente”) ed una politica estera statunitense sempre più sconsiderata, oltre al ruolo svolto dalle Media Corporation nel promuovere queste politiche presso il pubblico americano/UE di fronte all’ascesa di Russia, Cina assieme ad altri paesi del sud del mondo.
Ruolo delle Media Corporation
Primo emendamento della costituzione degli Stati Uniti: «Il Congresso non promulgherà alcuna legge sul rispetto di un’istituzione religiosa, o vietandone il libero esercizio; o abbreviare la libertà di parola o di stampa; o il diritto del popolo di riunirsi pacificamente e di presentare una petizione al governo per una riparazione delle lamentele.’
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«Parole usurate, prospettive aperte»
Massimo Cappitti e Irene Conti intervistano Guido Viale
Massimo Cappitti: Il tuo libro (Slessico familiare. Parole usurate prospettive aperte. Un repertorio per i tempi a venire, ed. Interno4, 2017) si mantiene su un doppio livello: c’è una tesi portante come ipotesi teorica che lo regge, che si compone di più voci – poi le possiamo ovviamente vedere – ma c’è anche un aspetto pragmatico, il tentativo di non chiudersi in una sorta di rifugio, una teoria che ci metta al riparo dai problemi del mondo, perché i problemi del mondo vanno affrontati.
Guido Viale: È quello che cerco sempre di fare quando scrivo un articolo, cioè di mantenere la dimensione operativa, nella misura in cui si riesce a capire che cosa si potrebbe fare o pensare di fare. La teoria pura che non abbia una dimensione operativa a me non interessa, mi sembra un esercizio inutile.
MC.: Mi sembra un po’ il filo che attraversa tutti i tuoi lavori, un’attenzione alle esperienze e non solo alle ipotesi teoriche. Questo è già un primo punto, che in qualche maniera riesce a cogliere un tratto comune in una situazione di così difficile interpretazione. Mi sembra comunque un’acquisizione importante.
Poi ero partito da questa riflessione sulla naturalizzazione dell’esistente, ovvero una sorta di insuperabilità del sistema capitalistico, che si presenta come l’incarnazione del senso della storia. Il capitalismo chiude la storia – e noi con lui – e si presenta come una sorta di fenomeno naturale insuperabile. Questo mi sembra che emerga in più voci del tuo libro.
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La Russia è un paese imperialista?
di Leonardo Bargigli (Università di Firenze)
Introduzione
L’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa ha innescato una forte controversia tra partiti comunisti. Il partito comunista greco (KKE) ha accusato il partito comunista della Federazione Russa (PCFR) di avere posizioni filo-imperialiste a causa del sostegno dato all’invasione.
L’accusa del KKE riflette l’opinione, accolta da una parte della sinistra occidentale, che individua nella Russia una potenza imperialista contrapposta all’Occidente. In particolare, alcuni interpretano il conflitto in Ucraina alla luce di un nuovo tipo di scontro inter-imperialista, quello tra debitori e creditori. Secondo questa interpretazione, l’Occidente sarebbe costretto sulla difensiva dalla crescente forza economica della Russia e della Cina, che hanno costituito un nuovo, aggressivo, polo imperialista.
Per argomentare la propria accusa, il KKE si è appoggiato sulla tesi leniniana secondo cui “la rapina imperialista è sempre l’unico contenuto e motivo reale della guerra”. Il PCFR ha ribattuto sottolineando che esistono diversi tipi di guerre e che, nel passo menzionato, Lenin si riferiva specificatamente alla Prima Guerra Mondiale.
Secondo il PCFR, accanto alle guerre imperialiste, l’esperienza storica del Novecento ha evidenziato l’importanza delle guerre di liberazione nazionale e delle guerre contro il fascismo. Spesso queste diverse guerre si sono così strettamente intrecciate da essere combattute, sugli stessi campi di battaglia, per motivazioni contradditorie1. Per questo, ogni guerra ha un carattere specifico e complesso, che deve essere individuato sulla base dei fatti.
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Lo spettro della Germania si rialza
di Diana Johnstone
L’Unione Europea si sta accingendo a una lunga guerra contro la Russia che appare chiaramente contraria agli interessi economici europei e alla stabilità sociale. È un conflitto apparentemente irrazionale – come molti lo sono – ma ha profonde radici emotive e rivendica motivazioni ideologiche. Queste guerre hanno difficoltà a giungere a termine perché sono dilatate fin oltre l’ambito della razionalità.
Per decenni dopo che l’Unione Sovietica era entrata a Berlino e aveva definitivamente sconfitto il Terzo Reich, i leader sovietici si erano preoccupati della minaccia del “revanscismo tedesco”. Dato che la Seconda Guerra mondiale poteva essere vista come la vendetta tedesca per essere stata privata della vittoria nella Prima Guerra mondiale, non si poteva pensare che un nuovo aggressivo Drang nach Osten tedesco potesse ad un certo punto rinascere, soprattutto se avesse potuto godere del supporto anglo-americano ? Nei circoli di potere statunitensi e britannici c’è sempre stata una minoranza cui sarebbe piaciuto portare a termine la guerra di Hitler contro l’Unione Sovietica.
Non fu il desiderio di diffondere il comunismo, ma l’esigenza di poter disporre di una zona cuscinetto per ostacolare questo tipo di pericoli a essere la motivazione primaria per l’esigente controllo politico e militare esercitato dall’Unione Sovietica sulla sequenza di paesi, dalla Polonia alla Bulgaria, che l’Armata Rossa aveva strappato all’occupazione nazista.
Questa preoccupazione in larga parte svanì nei primi anni Ottanta quando giovani generazioni di tedeschi riempirono le strade con dimostrazioni di pace contro lo stazionamento degli “Euromissili” nucleari che potevano aumentare il rischio di un conflitto atomico sul suolo della Germania. Il movimento fu all’origine dell’immagine di una nuova Germania pacifica. Credo che Mikhail Gorbaciov abbia preso sul serio questa trasformazione.
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Il programma economico e sociale di Fratelli d’Italia
di Luca Michelini
Non esiste un’ampia letteratura scientifica sul partito di Fratelli d’Italia. Fino agli inciampi politici della Lega, del resto, FdI sembrava essere un partito privo di alcuna centralità politica. Il governo Draghi, riunendo tutti gli altri partiti (esclusa SI, certo, tuttavia marginale sul piano parlamentare e tradizionalmente succube del Pd), ha fatto il gioco di chi stava all’opposizione. Manca, soprattutto, un’indagine sistematica sulla cultura e sul profilo sociale della classe politica di questo partito. Mi concentro, dunque, solo su alcune fonti di informazione: anzitutto sul programma, che è pubblicato sul sito del partito.
La prima cosa che si può evidenziare è una certa continuità storica con una parte della tradizione della destra italiana, che affonda le proprie radici nel Ventennio. Con questo non voglio rispolverare la questione della natura ancora fascista del partito, accodandomi al coro di chi, in vista delle elezioni, sventola il pericolo nero dopo aver fatto di tutto, sul piano politico e sociale, per alimentarlo. Mi limito, invece, a constatare linee di continuità, segnalando anche quelle di discontinuità. Il mio intento non è polemico, ma analitico. In ogni caso, nel simbolo del partito ancora campeggia la fiamma tricolore, segno di una ricercata e ostentata continuità.
La destra fascista appare come il riferimento culturale e soprattutto programmatico del partito. Sì, perché il fascismo ha avuto una destra e una sinistra, che ha avuto un afflato sociale, come sappiamo. La destra fascista aveva come punto di riferimento una cultura economica saldamente ancorata alla tradizione liberale ed esaltava la cosiddetta libertà del lavoro. Negli anni venti questa libertà aveva un connotato esplicitamente e fondamentalmente antisocialista e antidemocratico, avversando qualsivoglia politica economica redistributiva.
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La Dichiarazione di Samarcanda
di Alessandro Visalli
Si è concluso il vertice dei paesi dello SCO (Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, fondata nel 1996) a Samarcanda, con la prima partecipazione in presenza del Presidente cinese XI Jimping dall’inizio della pandemia. Si tratta del 22° vertice del Consiglio dei Capi di Stato e si è concluso con una Dichiarazione e documenti su vari temi, come la salvaguardia della sicurezza alimentare, la sicurezza energetica globale, la lotta ai cambiamenti climatici e il mantenimento di una catena di approvvigionamento sicura, stabile e diversificata.
La Dichiarazione[1] sostiene che il mondo è oggi attraversato da cambiamenti globali in rapido sviluppo e grande trasformazione, e che è in corso di intensificazione la tendenza ad entrare in una era multipolare. Ciò mentre paesi sempre più interdipendenti vedono informatizzazione e digitalizzazione crescenti. Mentre ciò accade le sfide sono sempre maggiori e la situazione internazionale si sta deteriorando.
Gli stati membri (che comprendono Cina, Russia, India, Kazakistan, Kirgizistan, Tagikistan, Uzbekistan, Pakistan, Iran, cui si aggiungono come “stati osservatori” Afghanistan, Bielorussia e Mongolia e come “partner di dialogo” stati importanti come l’Arabia Saudita, l’Egitto, la Turchia, il Quatar, il Nepal, la Cambogia, l’Armenia, lo Sri Lanka e l’Azerbaijan) hanno dichiarato di opporsi ad ogni approccio di parte per risolvere le questioni internazionali e preso l’impegno di coordinarsi di fronte alle minacce ed alle sfide alla sicurezza. La Dichiarazione afferma che è di grande importanza pratica lavorare insieme per costruire un nuovo tipo di relazioni internazionali caratterizzate da rispetto reciproco, equità e giustizia, nonché cooperazione vantaggiosa per tutti e per costruire una ‘comunità con un futuro condiviso per l'umanità’ (formula notoriamente cinese).
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Sequenza e classi: una risposta ai critici della teoria del circuito monetario
di Marco Veronese Passarella*
[M]entre la teoria del processo economico come insieme di scambi simultanei sembra fatta apposta per descrivere una società priva di classi, l’idea del processo economico come circuito conduce immediatamente ad individuare all’interno del processo economico la distinzione di classe.
Graziani 1977, p. 116
[L]a distinzione di classe si impone come dato primigenio del ragionamento: sono i capitalisti imprenditori, e soltanto loro, che possono dare avvio al ciclo impiegando capitale monetario per l’acquisto di forza lavoro, e questa possibilità li differenzia strutturalmente dai lavoratori, i quali altro non possono fare che vendere la propria forza lavoro.
Graziani 1977, p. 117
Descrizione
Quella descritta dallo schema del circuito monetario non è una mera scansione temporale di fatti stilizzati, ma la sequenza necessaria dei rapporti di produzione e di scambio tra classi sociali differenti e contrapposte nello spazio capitalistico.
1. Introduzione
Un recente, pregevole, contributo di Sergio Cesaratto, Sei lezioni sulla moneta (Diarkos Editore, 2021), mi ha offerto l’opportunità di riflettere sul lascito teorico dell’approccio del circuito monetario di Augusto Graziani, sugli stimoli intellettuali che continua ad offrire e soprattutto sui numerosi fraintendimenti di cui è stato oggetto nel tempo. Benché, infatti, l’autore del libro riconosca i meriti della teoria del circuito, in quanto ha contribuito a disvelare la natura endogena della moneta in un’economia capitalistica di mercato, non mancano gli spunti critici nei confronti dell’impostazione di Graziani. In particolare, Cesaratto si spinge a definirla “un po’ complottista” (Cesaratto 2021, p. 297), dato che pretenderebbe di spiegare le relazioni tra banche ed imprese private come se ciascun settore costituisse un tutto omogeneo, dotato di una propria volontà trascendente quella dei singoli agenti individuali.
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Draghistan: nessuno ha osato disturbare the sound of silence*
di Luca Busca
Che questa sarebbe stata una campagna elettorale anomala lo si era già capito quando, a luglio, Draghi e Mattarella di comune intesa realizzarono il golpe bianco indicendo elezioni a settembre. Normale, quindi, che tra un ombrellone e un trekking la campagna elettorale partisse al rallentatore, molto meno che lo rimanesse anche a settembre.
Il PDF (Partito Democratico Fascista) ha evitato in qualsiasi momento di esprimere contenuti politici puntando tutto sull’esigenza di fermare il fascismo insorgente con la vittoria della Meloni. Fascismo peraltro ampiamente confermato dal rifiuto opposto dalla Pausini alla richiesta di cantare Bella Ciao. La Meloni dal canto suo ha osservato un assoluto silenzio per evitare di passare da fascista, si è prostrata all’altare della Nato mantenendo un profilo basso. Solo due piccoli interventi, frutto dell’utilizzo di sostanze stupefacenti di pessima qualità, sul “diritto a non abortire” e sul lesbismo dilagante di Peppa Pig hanno mostrato la tempra di chi non molla. La Lega sottovoce ha ricordato che gli immigrati ci rubano il lavoro, la corrente elettrica e le barche a Lampedusa. Berlusconi ha solo ceduto i suoi pezzi migliori (Carfagna, Gelmini e Brunetta) al Grande Centro, per poter meglio “inciuciare” con l’Agenda Draghi al fine di continuare ad affossare l’Italia. Il M5S con toni sempre molto pacati ha ricordato al proprio elettorato tutte le stronzate fatte, negando le proprie posizioni in merito a pandemia e guerra. I “cocomeri” finita l’estate, come è normale che sia, sono scomparsi, contenti dell’elemosina di qualche seggio concessa dal PD.
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Prove di internazionalizzazione del renminbi yuan e de-dollarizzazione
di Raffaele Sciortino
“Tutto ciò rimanda, giova ricordarlo, alla complessa strutturazione dell’imperialismo finanziario del dollaro, che ha preso forma all’indomani della crisi degli anni Settanta facendo da base per la cosiddetta globalizzazione (§ 1.1). Base su cui si è incardinato, negli ultimi tre decenni, il rapporto economico e geopolitico tra Stati Uniti e Cina, asimmetrico ma essenziale per entrambe le parti. Ora, sia le necessità oggettive dello sviluppo capitalistico cinese sia la strategia del partito-stato nell’ultimo decennio hanno iniziato a spingere per un percorso di autonomizzazione rispetto all’eccessiva dipendenza dalla finanza a stelle e strisce. Più di recente, il deteriorarsi delle relazioni con Washington nonchè l’uso del dollaro come arma nel conflitto ucraino hanno convinto i vertici cinesi del fatto che l’esposizione al sistema incentrato sul dollaro rappresenta oramai un rischio sempre meno controbilanciato dal vantaggio dell’accesso ai mercati di esportazione occidentali. La Cina, insomma, non può più giocare sempre e comunque alle regole della Federal Reserve. È qui che si inserisce, altro tassello del puzzle, la strategia comunemente definita di internazionalizzazione della moneta cinese, che nelle intenzioni di Pechino dovrebbe essere cauta e regolata ma sempre più pare rappresentare una scelta obbligata.”
Questo testo è parte di un volume più ampio con il titolo Cina e Usa allo scontro nella crisi globale. Il volume è in fase di preparazione e la sua uscita è prevista per il prossimo mese di Ottobre.
* * * *
Strategia interna della doppia circolazione e proiezione esterna, trasformazione del modello di sviluppo fin qui seguito e riconfigurazione della globalizzazione in forme più consone agli interessi cinesi: tutto ciò non può non investire il piano della moneta.
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Salario minimo, reddito minimo ed equo compenso
Come sanare la piaga del lavoro povero in tre mosse
di Giuseppe D'Elia
Dopo la pandemia, la guerra. Dopo anni di inerzia politica, sulle strategie necessarie per mitigare gli effetti del cambiamento climatico in atto, la crisi energetica. Quest’ultima, innescata da meri fattori geopolitici, fin qui ha presentato tratti marcatamente speculativi piuttosto che una effettiva e irrimediabile scarsità delle fonti di approvvigionamento. Proprio per questo, le soluzioni proposte – sempre all’insegna dello scaricabarile colpevolizzante – sono davvero difficili da metabolizzare. Ancora una volta, insomma, ci troviamo ad affrontare sfide epocali, con la trita e ritrita retorica emergenziale che richiede ulteriori sacrifici ai comuni cittadini, con la sola prospettiva di un continuo peggioramento della qualità della vita delle masse, mentre le sacche minoritarie di privilegio consolidato continuano a sprecare l’equivalente dei consumi standard di migliaia di persone.
Questa ennesima emergenza, in realtà, si innesta sullo sfondo di una stagnazione salariale che, nel nostro Paese, si stratifica da decenni per precise scelte ideologiche. La precarizzazione dei rapporti di lavoro, esplosa a inizio millennio, ha amplificato una tendenza che era già in atto da diversi anni. Attualmente, in Italia il rapporto a tempo indeterminato rappresenta meno di un quinto (18,8%) delle nuove assunzioni. Correlativamente, è il contratto a termine la nuova forma di lavoro dominante: circa due nuovi posti di lavoro su tre sono a tempo determinato (64,8%). In ogni caso, se per ogni 100 nuove assunzioni, ben 81 di queste corrispondono a forme contrattuali che non sono minimamente stabili, è del tutto evidente che siamo in presenza di un altro enorme problema, accanto a quello storico dello squilibrio tra occasioni di lavoro effettivamente disponibili e reale consistenza numerica delle persone che hanno bisogno di lavorare per vivere.
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Il babau fascista e la (solita) tiritera antifascista
di Sandro Moiso
«Fin da molti anni addietro, noi affermammo senza esitazione che non si doveva ravvisare il nemico ed il pericolo numero uno nel fascismo o peggio ancora nell’uomo Mussolini, ma che il male più grave sarebbe stato rappresentato dall’antifascismo che il fascismo stesso, con le sue infamie e nefandezze, avrebbe provocato; antifascismo che avrebbe dato vita storica al velenoso mostro del grande blocco comprendente tutte le gradazioni dello sfruttamento capitalistico e dei suoi beneficiari, dai grandi plutocrati, giù giù fino alle schiere ridicole dei mezzi-borghesi, intellettuali e laici». (Amadeo Bordiga, intervista a cura di Edek Osser – estate 1970)
A pochi giorni di distanza dalla “fatidica” data del 25 settembre, è difficile dire quanti saranno gli elettori che si presenteranno, convinti e con la tessera elettorale in pugno, ai nastri di partenza dell’ennesima e gaglioffa tornata elettorale.
A giudicare dai risultati degli ultimi anni, pochi. Molto pochi. Considerato soprattutto il fatto che, nell’attuale competizione, a farla da padrone sono stati più i nomi e le poltrone “garantite” dei candidati che non i programmi. Ma se anche così non fosse, vale comunque la pena di sottolineare come l’uso dei termini “fascismo” e “antifascismo” abbia ancora una volta caratterizzato la propaganda di una sinistra sempre più esangue e asservita alle esigenze del capitale nazionale e internazionale.
L’attuale farsa elettorale, infatti, vede le sinistre, più o meno parlamentari di ogni grado e risma, ricorrere ancora una volta all’espediente narrativo, già troppe volte visto in scena sia sui palcoscenici istituzionali più importanti che nei teatrini politici più scadenti, secondo il quale l’elettore “di sinistra” dovrebbe accorrere alla chiamata alle armi per difendere nell’urna la “democrazia” e la costituzione dall’ennesimo e vile assalto “fascista”.
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Astensionismo, democrazia, mercato
di Il Pedante
Come si ripete ovunque, incombe sul prossimo appuntamento elettorale il convitato di pietra dell’astensionismo, il «partito» che negli ultimi tempi raccoglie la maggioranza – spesso anche assoluta – dei consensi. Molti temono l’astensionismo, altrettanti lo auspicano e lo raccomandano: spesso, e in entrambi in casi, per gli opposti motivi. Insomma la democrazia, stanca, delude e perde appeal, ma sarebbe sciocco addebitarne la responsabilità agli elettori, a chi cioè certifica una sofferenza e non a chi la infligge o la ignora.
Il presupposto minimo di una democrazia rappresentativa è che negli organi decisionali siano rappresentati più o meno proporzionalmente i bisogni e le idee di tutti i cittadini. Fallito il presupposto, fallisce il concetto. Ora, dal 2018 a oggi non si sono solo visti gli opposti partiti con i loro opposti programmi approvare le stesse leggi nelle stesse compagini governative, in barba alle collocazioni di chi li aveva eletti. Al di là dei colori, il principio di rappresentanza è stato tradito nei fatti che hanno inciso di più sulle esistenze dei cittadini. La ferita ancora aperta delle discriminazioni sanitarie ha messo in evidenza la marginalizzazione politica pressoché totale degli elettori avversi a queste misure, il cui numero, benché mai seriamente stimato, parte dal 15% di coloro che non hanno mai ricevuto le due dosi del ciclo vaccinale primario, si aggiunge al 17% di chi non ha fatto la terza dose e si estende ai tanti (altrettanti? di più?) che hanno subito la crociata farmaceutica controvoglia o almeno disapprovato i metodi con cui la si è imposta. Qualunque sia il risultato finale, si tratterebbe di percentuali sproporzionatamente alte rispetto al 12-13% dei parlamentari che hanno ad esempio votato contro l’obbligo vaccinale per gli ultracinquantenni, o bocciato l’estensione del «super green pass» nei luoghi di lavoro.
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Servizi segreti Usa: irrompono nelle elezioni italiane e votano PD
di Fosco Giannini
A pochi giorni dalle elezioni politiche nazionali in Italia (25 settembre), di nuovo entrano violentemente in campo, col plateale obiettivo di condizionare fortemente, persino di determinare, l’esito elettorale, i servizi segreti americani.
Il rovesciamento dei ruoli e del senso politico delle cose è da teatro dell’assurdo, un Rhinocéros di Ionesco. L’accusa non dimostrata, rivolta dai servizi segreti Usa alla Russia, è quella di finanziare alcune forze politiche nel mondo al fine di dirigere e decidere i vari passaggi elettorali. L’assurdo è che i servizi segreti americani lancino queste loro accuse durante le fasi elettorali in corso, come le attuali in Italia, divenendo così essi stessi, la Cia, la Space Delta 7 e tutta l’intelligence statunitense, i veri soggetti cinicamente manipolatori degli esiti elettorali.
I servizi segreti Usa utilizzano a piene mani l’“arte” della furbizia, ma non devono aver letto Machiavelli, che sosteneva che il Principe dev’essere sì furbo, ma non troppo se no diviene un imbecille.
A che cosa siamo di fronte, in Italia, in questi giorni? Alla “rivelazione”, da parte dei servizi segreti Usa, che la Russia avrebbe devoluto, dal 2014, 300 milioni di dollari a partiti di diversi Paesi del mondo. Naturalmente, affinché questi partiti facessero gli interessi di Mosca nel loro Paese e, magari, vincessero le elezioni.
Colpisce immediatamente la data d’inizio dei supposti “aiuti russi”: il 2014, secondo la CIA, e cioè lo stesso anno del golpe nazifascista di Kiev, lo stesso anno della controrivoluzione Usa-Nato con la quale si fa violentemente fuori il legittimo presidente ucraino, non certo filo americano, Viktor Janukovic e inizia la nuova era del risorto movimento Bandera, che viaggia sui carri armati del Battaglione Azov.
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L'aquila e il corvo
Il bivio degli Ottanta e le due vie di Cunhal e Occhetto
di Carlo Formenti
Questo articolo nasce da due suggestioni. La prima è frutto delle impressioni raccolte negli ultimi anni confrontandomi con i militanti delle diverse formazioni neo comuniste nate dalla dissoluzione del PCI, e con gli amici di Cumpanis che, fuorusciti da alcune di tali formazioni, sono impegnati nel difficile – per usare un eufemismo – tentativo di saldare gli spezzoni della diaspora nell'atto fondativo di un nuovo Partito Comunista che meriti di essere definito tale. La seconda è più occasionale: mi è capitato di leggere, a distanza di pochi giorni, Il partito dalle pareti di vetro, un libro dell'ex segretario del Partito Comunista Portoghese, Alvaro Cunhal, uscito nel 1985, ripubblicato in Portogallo nel 2002 e in Italia (dalle Edizioni La Città del Sole) un paio d'anni fa, e Idee e proposte del nuovo corso del PCI, un libercolo in cui “l'Unità” aveva raccolto una serie di interviste e interventi di Achille Occhetto preparatori del 18° Congresso del Partito (marzo 1989), propedeutico alla svolta della Bolognina che si sarebbe celebrata pochi mesi dopo.
Questa duplice lettura ha rafforzato le convinzioni che esprimo in un libro che ho appena consegnato all'Editore Meltemi (uscirà in due volumi nei primi mesi del 2023). In particolare, ha corroborato le mie tesi relative:
1) al fatto che il decennio degli Ottanta (non solo nel finale, che ha visto la caduta del sistema socialista dell'Europa Orientale) rappresenta il punto di non ritorno del processo di separazione fra comunismo occidentale e comunismo orientale, e coincide con il pressoché totale annientamento del primo, già avviato nei Settanta;
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Il silenzio degli innocenti. Come funziona la propaganda
di John Pilger
Negli anni settanta ho incontrato Leni Riefenstahl, una delle principali propagandiste di Hitler, i cui film epici glorificavano il nazismo. Ci capitò di soggiornare nello stesso hotel in Kenya, dove lei si trovava per un incarico fotografico, essendo sfuggita al destino di altri amici del Führer.
Mi disse che i “messaggi patriottici” dei suoi film non dipendevano da “ordini dall’alto” ma da quello che lei definiva il “vuoto sottomesso” del pubblico tedesco.
Questo coinvolgeva la borghesia liberale e istruita? Ho chiesto. “Sì, soprattutto loro”, rispose.
Penso a questo quando mi guardo intorno e osservo la propaganda che sta deteriorando le società occidentali.
Certo, siamo molto diversi dalla Germania degli anni trenta. Viviamo in società dell’informazione. Siamo globalisti. Non siamo mai stati così consapevoli, così in contatto, così connessi.
Lo siamo? Oppure viviamo in una Società Mediatica in cui il lavaggio del cervello è insidioso e implacabile e la percezione è filtrata in base alle esigenze e alle bugie del potere statale e del potere delle imprese?
Gli Stati Uniti dominano i media del mondo occidentale. Tutte le dieci principali società mediatiche, tranne una, hanno sede in Nord America. Internet e i social media – Google, Twitter, Facebook – sono per lo più di proprietà e controllo americano.
Nel corso della mia vita, gli Stati Uniti hanno rovesciato o tentato di rovesciare più di 50 governi, la gran parte democrazie. Hanno interferito nelle elezioni democratiche di 30 Paesi. Hanno sganciato bombe sulla popolazione di 30 paesi, la maggior parte dei quali poveri e indifesi. Hanno tentato di assassinare i dirigenti politici di 50 paesi. Hanno combattuto per reprimere i movimenti di liberazione in 20 paesi.
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Perché la Russia vincerà comunque, nonostante i vantaggi dell’Ucraina
di Scott Ritter*
La Russia non sta più combattendo contro un esercito ucraino equipaggiato dalla NATO, ma contro un esercito della NATO presidiato da ucraini. Tuttavia, la Russia ha ancora il sopravvento nonostante la battuta d'arresto di Kharkiv
Il 1° settembre l’esercito ucraino ha iniziato una grande offensiva contro le forze russe schierate nella regione a nord della città meridionale di Kherson. Dieci giorni dopo, gli ucraini hanno ampliato la portata e l’entità delle operazioni offensive per includere la regione intorno alla città settentrionale di Kharkov.
Mentre l’offensiva di Kherson è stata respinta dai russi, con le forze ucraine che hanno subito pesanti perdite sia in termini di uomini che di materiali, l’offensiva di Kharkov si è rivelata un grande successo, con migliaia di chilometri quadrati di territorio precedentemente occupato dalle truppe russe riportati sotto il controllo del governo ucraino.
Invece di lanciare la propria controffensiva contro gli ucraini che operavano nella regione di Kharkov, il Ministero della Difesa russo (MOD) fece un annuncio che molti trovarono scioccante: “Per raggiungere gli obiettivi dichiarati di un’operazione militare speciale per liberare il Donbass“, hanno annunciato i russi via Telegram, “è stato deciso di raggruppare le truppe russe… per aumentare gli sforzi in direzione di Donetsk“.
Sminuendo l’idea di una ritirata, il Ministero della Difesa russo ha dichiarato che “a tal fine, entro tre giorni, è stata condotta un’operazione per limitare e organizzare il trasferimento delle truppe [russe] nel territorio della Repubblica Popolare di Donetsk”.
“Durante questa operazione“, si legge nel rapporto, “sono state effettuate diverse operazioni diversive e dimostrative, indicando le reali azioni delle truppe” che, hanno dichiarato i russi, hanno portato alla “eliminazione di oltre duemila combattenti ucraini e stranieri, nonché di più di cento unità di veicoli blindati e artiglieria“.
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Un voto per la ricostruzione di una rappresentanza di sinistra in parlamento
di Domenico Moro e Fabio Nobile
Le elezioni del 25 settembre si terranno in un quadro complessivo fortemente deteriorato e in via di peggioramento per quanto riguarda la fase finale del 2022 e soprattutto il 2023. Chiunque vincerà la competizione elettorale si troverà ad affrontare una situazione difficile, caratterizzata da un peggioramento delle condizioni economiche e sociali a livello interno e da un inasprimento delle contraddizioni internazionali.
Il quadro economico
Cominciamo dal quadro economico. L’Italia viene fuori da una recessione, durante la fase del Covid 19, che era stata tra le più profonde tra i Paesi avanzati. Nel 2021 la crescita è stata forte, ma non tale da permettere una ripresa completa fino ai livelli economici pre-pandemia. Il 2022, secondo l’Ufficio Parlamentare di bilancio (Upb), dovrebbe chiudersi con una crescita del Pil del 3,2%. I problemi emergeranno nel 2023. Infatti, le sanzioni economiche contro la Russia stanno realizzando lo scenario peggiore tra quelli ipotizzati dagli analisti. I tagli all’esportazione di gas verso l’Europa operati dalla Russia come risposta alle sanzioni e all’invio di armi all’Ucraina, unitamente alla siccità che ha ridotto la produzione idroelettrica e alla fermata delle centrali nucleari in Francia, hanno accentuato la crescita dei prezzi delle materie prime energetiche. L’inflazione in Italia ad agosto ha raggiunto l’8,4%, un livello mai così alto dal dicembre 1985.
Si tratta di un fatto estremamente grave per economie, come quelle italiana e tedesca, che sono basate sulla trasformazione manifatturiera orientata all’export.
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CDC Intervista aperta: le risposte di Marco Rizzo di Italia Sovrana e Popolare
Le risposte di Marco Rizzo di Italia Sovrana e Popolare, all'intervista aperta di CDC ai partiti, per le elezioni politiche del 25 Settembre 2022
Come avevamo annunciato, pubblichiamo integralmente le risposte all’intervista aperta che abbiamo inviato ai partiti che concorrono alle elezioni politiche del 25 settembre. La pubblicazione è fatta in base all’ordine di arrivo delle risposte alla nostra Redazione. In fondo all’articolo è riportato il collegamento al sito ufficiale e al programma del partito.
* * * *
25 domande dalla Redazione di Comedonchisciotte.org ai partiti. Risposte di MARCO RIZZO di ITALIA SOVRANA e POPOLARE.
1) CDC: La moneta è elemento essenziale per uno Stato democratico moderno. I dati mondiali dimostrano chiaramente come lo 0,3% della popolazione detenga il 50% della ricchezza totale: ritenete sia necessario invertire in modo drastico tale tendenza? Intendete far tornare il popolo sovrano gestore e beneficiario della propria moneta? E se si, come?
ISP: La concentrazione finanziaria è la base materiale del potere politico delle classi dominanti, per questo serve un cambiamento radicale dei meccanismi politici. La soluzione monetaria che noi proponiamo -il ritorno alla Lira- deve essere affiancata ad un ripensamento generale su come è organizzata politicamente la società. E la prima cosa che la nuova società diretta da chi lavora (lavoro dipendente ed autonomo, artigiani, commercianti e piccola impresa) e non dalle élite finanziarie deve fare è prendere il controllo delle grandi concentrazioni finanziarie-militari-industriali. Una generale rinazionalizzazione dei mezzi di produzione strategici e più grandi. Questo è uno dei nostri punti caratterizzanti che ci differenzia forse da tutti gli altri.
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Cavalcare il nemico
di Matteo Minetti
Da Carl Schmitt a guanciale vs. pancetta: la costruzione dell’identità politica ai tempi dei social
“Il nemico marcia in testa a te
ma anche alle tue spalle.
Il nemico marcia con i piedi
nelle tue stesse scarpe.
Quindi anche se le tracce non le vedi
è sempre dalla tua parte.”
Claudio Lolli
Il partito degli algoritmi
Posso forse affermare, senza scandalizzare nessuno, che viviamo nella società dell’informazione, come in passato vivevamo nella società del valore. Ciò significa che, mentre in gran parte del secolo scorso la società si divideva, grossolanamente, per chi utilizza un paradigma del conflitto fra classi, in proprietari di capitale e non proprietari, oggi si divide in produttori di informazioni e consumatori di informazioni. Le categorie quasi coincidono per estensione ma si differenziano per la loro relazione. Coloro che possiedono le informazioni sono anche ricchi, coloro che non le hanno sono irrimediabilmente anche poveri.
Visto che non frequento i ricchi, i veramente ricchi che detengono il monopolio della conoscenza, posso solo immaginare come e dove la scambiano ma, frequentando i poveri, so dove si scambiano le loro poche (e spesso errate) informazioni, ovvero nei mezzi che hanno a disposizione:dal vivo, al telefono, su internet e i social network. In special modo quelli di Mr. Zuckerberg: Facebook, Instagram e WhatsApp. 3,5 Mld di utenti nel 2021 con 114,9 Mln di dollari di ricavi pubblicitari, circa 40 dollari all’anno per utente.
Gran parte dei contenuti che vengono veicolati attraverso i social network sono diffusi da centri di produzione strategica di informazioni come redazioni, uffici stampa, agenzie di comunicazione, giornalistiche o di immagini, influencer professionali o amatoriali, content media manager inseriti in relazioni di mercato.
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