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Venticinque anni dopo

Leonardo Mazzei

Le istruttive confessioni di Giuliano Amato sull'interessante settembre 1992

Millenovecentonovantadue. Sebbene possa sembrare ieri, non è esattamente così. L'Urss si era sciolta solo l'anno precedente e l'Europa di Maastricht muoveva i primi passi. Si manifestava ancora per la scala mobile, che i vertici sindacali avevano svenduto a luglio per beccarsi le bullonate dei lavoratori a settembre. Tangentopoli cuoceva a fuoco rapido la Prima Repubblica, con le stragi di mafia per contorno.

Intanto lui se ne stava a Palazzo Chigi a preparare la più dura Finanziaria di sempre (lo supererà solo Monti nel 2011). Nel frattempo, però, gli eventi precipitarono e - giusto a metà settembre - si arrivò alla svalutazione della lira. E' di questo che ci parla Giuliano Amato, in un'intervista a Federico Fubini, sulle pagine dell'inserto economico del Corriere della Sera.

Intervista interessante per diversi motivi. Perché rivela le dinamiche politiche e finanziarie di quei mesi, perché parlando di ieri ci dice molte cose sull'oggi e sul domani. Oddio, "rivela" è un po' troppo, visto che ci svela dei "segreti" già noti nell'essenziale a chiunque non abbia gli occhi foderati di prosciutto. E, tuttavia, la confessione del nemico ha pur sempre un grande valore: quello di confermare in maniera inconfutabile ciò che già sapevamo, ma che tanti fanno ancora oggi finta di non sapere.

Procediamo allora per flash, indicando 8 punti della confessione dell'ex delfino di Craxi meritevoli d'attenzione. Punti sui quali non spenderemo troppe parole di commento, dato che ogni lettore è perfettamente in grado di coglierne appieno l'istruttivo significato.

1. Il problema di una moneta "forte".
Amato parte proprio da qui, riconoscendo che: «la nostra economia si trovava frenata proprio da tassi di interesse alti e da un cambio forte in un contesto globale positivo». Oh perbacco, ma non si dice da decenni che la moneta forte è la chiave di volta per ogni successo economico?

2. I salari bloccati e San Ciampi.
Il Nostro confessa candidamente oggi quel che milioni di lavoratori capirono già allora. La svalutazione era già scontata a luglio, ma lorsignori la rinviarono all'autunno perché nel frattempo bisognava bloccare i salari. Decisivo, secondo il suo racconto il ruolo di Carlo Azeglio Ciampi, uno dei massimi esponenti del partito tedesco in Italia, e proprio per questo santificato dai media. «Ciampi ci fece presente che prima era meglio aspettare l'accordo che avrebbe agganciato il costo del lavoro all'inflazione programmata per scongiurare una spirale tra prezzi e salari». Santo subito! Santo subito!

3. Svalutare la lira o rivalutare il marco? Secondo Amato «sarebbe stata più utile una rivalutazione del marco tedesco che un atto unilaterale sulla lira», Questo perché «in sofferenza  erano anche il franco, la sterlina, lo scudo e la peseta». A qualcuno fischiano le orecchie? Difficile non vedere le similitudini tra il 1992 e il 2017. Anche oggi molti pensano che starebbe alla Germania uscire dall'euro, ma nel 1992 andò diversamente. Vedremo nei prossimi punti il perché.

4. La politica al posto di comando. Il "dottor sottile", questo il nomignolo dell'allora delfino di Craxi, ci racconta di un suo viaggio a Parigi alla fine di agosto. Lì incontra il primo ministro francese, Pierre Bérégovoy, per chiedergli una svalutazione congiunta nei confronti del marco. Entrambi appartengono a partiti sedicenti "socialisti". Giuliano vuol pararsi dalle critiche in patria, ma Pierre, che vuol fare altrettanto, ha un problemino in più: «Disse: "Giuliano non lo faccio". Mi fece vedere i dati. Il 20 settembre in Francia si sarebbe tenuto il referendum per la ratifica del Trattato di Maastricht e il Sì era sotto. Se avessero perso la parità con il marco, l'orgoglio francese avrebbe reso il No invincibile e il progetto dell'unione monetaria sarebbe saltato». Come si può notare, i "mercati" non sono tutto. Anzi, nei momenti topici è la politica che comanda. Da tenere a mente per il futuro.

5. Le privatizzazioni. Nondimeno i mercati finanziari andavano rassicurati. E così il 9 settembre «privatizzammo il Credito Italiano e il Nuovo Pignone». Così, tanto per non farsi mancare nulla. Per segnalare il grado di subordinazione ai pescecani della finanza, ai quali forse non era bastato il decreto di due mesi prima (11 luglio) che avviava la privatizzazione di IRI, ENI, ENEL ed INA.

6. Alla fine decidono i tedeschi. Amato non dice che fu proprio il ritardo nella decisione di svalutare - rimandando da luglio a settembre - quel che fece la fortuna degli speculatori (con mister Soros in prima fila). Questi avevano ben compreso l'insostenibilità dello SME (Sistema Monetario Europeo), ed avevano agito di conseguenza. Ma a staccare la spina sarà la Bundesbank. Era l'11 settembre quando arriva la telefonata decisiva: «Ciampi andò a parlargli al tavolo della mia segretaria e quando tornò era verde in volto. Schlesinger gli aveva detto che la Bundesbank da lunedì non sarebbe più intervenuta per difendere la lira». Insomma, allora come oggi la "solidarietà europea" altro non era che una storiella per gonzi...

7. Ma l'asse Carolingio regge. Ecco un'altra similitudine con l'oggi. Passato il referendum con una vittoria di misura del Sì, Parigi ottenne per il franco una banda di oscillazione (verso l'alto e verso il basso) del 15%. Kohl non poteva fare a meno di Mitterand, e quest'ultimo volle così salvare l'«onore» della Francia. Amato se ne lamenta: «l'avessimo avuta noi (quella banda) ci avrebbe salvato».  Ma «salvato» da che cosa? Da una figuraccia politica evidentemente, perché in termini economici il Nostro (vedi punto 8) non può che riconoscere l'impatto positivo della svalutazione.

8. Il disastro che non ci fu. Cosa accadde davvero dopo l'uscita dallo SME? Questa la prima risposta di Amato: «Furono settimane durissime... C'erano code agli sportelli, fra cui la più lunga all'agenzia del Senato! La Guardia di Finanza mi faceva rapporto ogni giorno sugli spalloni che portavano soldi in Svizzera. Poi a ottobre avevamo una maxi-emissione di 47mila miliardi, tremavamo all'idea». «Come andò?», gli chiede Fubini. «Benissimo. Fu la fine di un incubo. L'economia stava già uscendo dalla recessione». Ma guarda un po' cosa può combinare (quando serve) la svalutazione! Lo stesso Fubini gli chiede allora se si può dire che essa abbia fatto bene all'economia. Questa la pasticciata risposta di Amato: «Nell'immediato, sì. Ma non consiglio di tornare alle monete nazionali con lo spazio che aprono alla speculazione!».      

Ecco, nell'incoerenza di quest'ultima affermazione c'è tutta l'inconseguenza delle attuali classi dirigenti italiane, peraltro non molto diverse - difatti Amato è sempre lì - rispetto a quelle di allora. Esse sanno come stanno le cose, sanno quanto dipendano dal rapporto di subordinazione che esse stesse hanno accettato per il nostro Paese, ma non possono e non vogliono venirne fuori dato che il «vincolo esterno» è l'arma preferita del blocco dominante che rappresentano nella guerra di classe che hanno dichiarato al popolo lavoratore.

Se, dopo un quarto di secolo, Amato non può negare i vantaggi della sovranità monetaria (anche se allora si trattò solo di una parziale e passeggera boccata d'aria), sente però il dovere di ammonirci: che non si ripeta, che la speculazione è in agguato!

Peccato che proprio la sua intervista confermi invece un'altra cosa, e cioè che la speculazione si alimentò - com'è ovvio e come sempre avviene - dall'attesa della svalutazione non dalla svalutazione stessa. Una questioncella che ci rimanda ovviamente all'oggi. E che ci dice che tutto il tempo che passerà prima dall'uscita dall'euro sarà non solo tempo perso per l'economia italiana, ma anche tempo regalato alla speculazione.

In ogni caso grazie ad Amato per gli spunti offerti alla riflessione. Niente di nuovo, per carità. Solo una conferma, ma utile assai, di quel che sosteniamo da tempo. E grazie anche al Corsera per il gigantesco 1992017 che sovrasta le due pagine dell'intervista, che non è un numero telefonico dal prefisso sospetto, bensì la concatenazione di due anni, il 1992 e il 2017 appunto, che hanno più analogie di quanto possa sembrare. Alla faccia di quelli che pensano che l'euro l'abbia ormai sfangata per sempre.

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