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marx xxi

Lavoro. Modernità o nuova barbarie?

di Ascanio Bernardeschi

Recensione del libro di Marta Fana “Non è lavoro, è sfruttamento”

È uscito da pochissime settimane un prezioso libro di Marta Fana, edito da Laterza, Non è lavoro, è sfruttamento. Marta Fana è una giovane ricercatrice in Economia presso l'Institut d'études politiques (SciencesPo) a Parigi, ha lavorato presso l'Ocse, ha collaborato con diverse testate, fra cui Il Manifesto e collabora tuttora con Internazionale e Il Fatto Quotidiano. Ultimamente si è occupata di economia e in particolare delle diseguaglianze economico-sociali e del mercato del lavoro. La sua ultima fatica non è solo un report sulla situazione del mercato del lavoro ma è anche questo, non è solo una raccolta di storie di vita degli sfruttati della “new economy”, ma è anche questa e molto altro ancora: un'inchiesta sul campo ricca di informazioni, di testimonianze e di giudizi che può essere un valido strumento di lotta. In appendice riporta una indignata lettera indirizzata al ministro del lavoro Poletti e apparsa su espresso.repubblica.it il 20 dicembre 2016 [1].

Noi marxisti sappiamo bene che nel modo di produzione capitalistico il lavoro sotto il comando del capitale è da sempre lavoro sfruttato, ma Marta ci mostra come i processi innescati nel mercato del lavoro dall'ordoliberismo - che è l'opposto del decantato laissez faire, ma un pesante intervento dello stato nei rapporti fra le classi a scapito del mondo del lavoro - tendono a oltrepassare perfino il concetto di lavoro salariato, per giungere al solo puro sfruttamento, senza diritti, senza orario e anche senza salario.

Il libro ci accompagna in questo penoso percorso, che sta conducendo alla povertà perfino chi ha un lavoro. Dai primi inni alla flessibilità trasformati in legge dal pacchetto Treu, alla legge Biagi che ha reso il lavoro precario la regola e non l'eccezione, al lavoro interinale, una sorta di caporalato legalizzato, alla liberalizzazione dei rapporti a tempo determinato, ai voucheristi che hanno perso perfino il diritto ai permessi per malattia e che si sono moltiplicati negli ultimi anni, alla scomparsa definitiva del lavoro stabile, con il jobs act fino alle prestazioni gratuite inaugurate con Expo e poi elevate al rango di un istituto formativo, la cosiddetta alternanza scuola-lavoro, ovviamente obbligatoria: anche quando la prestazione è pressoché inutile abitua il futuro lavoratore alla disciplina!

Siamo giunti a toccare il fondo o si giungerà anche, dopo il salario zero, al salario negativo, al lavoro a pagamento da parte del lavoratore o aspirante tale, se vorrà adornare il suo ormai inutile curriculum – parola del ministro Poletti – di una qualche esperienza lavorativa?

Se questi sono i punti principali trattai dal saggio, possiamo trovarvi anche molte altri elementi che testimoniano l'impoverimento del lavoro e lo smantellamento dei diritti. In un elenco solo sommario e incompleto possiamo includere il peggioramento delle condizioni lavorative dovuto alle esternalizzazioni e privatizzazioni attraverso gare al ribasso, che si scaricano ovviamente sul costo del lavoro; il lavoro a domicilio che libera il capitale dei costi di un po' di mezzi di produzione, accollati sul lavoratore; il welfare aziendale, che riduce il diritto alle prestazioni universali da parte delle istituzioni pubbliche, trasformandole in un istituto contrattuale; i “premi” contrattuali per chi non perde lavoro, cosicché il malato rinuncia a curarsi e l'infortunato a denunciare l'infortunio; l'avanguardia dello sfruttamento costituita dalla logistica, dai call center e dai “lavoretti”; il furto di tempi di vita, costringendo così a impiegare la domenica per le spese; la gig economy, la share economy, i lavori smart e altri simili anglicismi che travestono il vecchio cottimo in meraviglie  dell'organizzazione lavorativa computerizzata e realizzano il vecchio sogno di Taylor attraverso gli algoritmi che ti impongono di rispettare certi tempi, pena la perdita del posto di lavoro. Altro che fine del fordismo-taylorismo! Tantomeno fine del lavoro e della classe operaia, come peraltro avevano già dimostrato i Clash City Workers, in un altro formidabile libro [2].

Si ha così uno smascheramento delle mistificatorie teorie à la page funzionali a permettere che la lotta di classe la facciano solo i padroni e che contrappongono le garanzie ottenute, grazie a grandi lotte dei lavoratori, alla “modernità” fatta però solo di incertezza e miseria.

Tuttavia non è frutto di questa mistificazione, ma un dato reale, che queste nuove modalità lavorative e le trasformazioni tecnologiche introdotte dal capitale hanno disgregato il mondo del lavoro. Oggi i processi lavorativi sono scomposti in mille pezzi, realizzati da soggetti che operano anche in aree del mondo assai distanti fra di loro, che non si conoscono, che non si parlano, che hanno trattamenti economici e normativi assai diversi. Il nostro difficilissimo compito è quindi quello di riunificare questa frammentazione e fare piazza pulita di deleterie teorie.

Roberto Fineschi, un eccellente filosofo marxista, ha già sottolineato il limite di confondere le “figure” storiche dell'organizzazione del lavoro, che ovviamente non sono oggi più solamente la cooperazione semplice, la manifattura e la grande industria analizzate da Marx, con le “forme” generali che il processo lavorativo assume nel modo di produzione capitalistico. Nel Capitale non si parla solo, né principalmente di queste figure storiche, ma le si analizzano per sviluppare una teoria delle forme del processo lavorativo all'interno del modo di produzione capitalistico, in cui, rimangono alcuni caratteri di fondo: la dimensione cooperativa del lavoro, la parzialità del soggetto che lavora e realizza solo una parte dell'opera, il carattere  subordinato di fatto del lavoratore, la sua riduzione al ruolo di semplice supervisore con lo sviluppo dell'automazione. Non cambiano molto questi caratteri se la cooperazione avviene tramite il computer fra individui separati, non comunicanti. E neppure se una buona parte dei processi lavorativi si avvalgono di lavoro mentale. Tali soggetti, allo stesso modo di prima, sono subordinati al processo di valorizzazione del capitale. Il risultato complessivo della loro attività non è da loro posto. Essi sono sussunti da questa. Ricevono un salario che può essere in varie forme, quale per esempio il corrispettivo della partita Iva [3] o il voucher, oppure non ricevono niente (quest'ultima in effetti è una bella novità!).

Senza questa capacità di unificazione, i lavoratori sono inevitabilmente preda o della rassegnazione o dei facili populismi che indirizzano la loro collera verso la “casta” o, peggio ancora, verso chi sta più in basso di loro nella catena dello sfruttamento, quali i migranti.

Il libro di Fana, oltre a denunciare il lavoro sporco del capitale, deve essere per noi uno stimolo a aggiornare e approfondire le nostre analisi, a introdurre quei tasselli mancanti che possano rendere spendibile politicamente una teoria, quella marxiana, che si dimostra ancora quanto mai attuale, come nel caso dell'analisi della crisi economica, purché questo aggiornamento non si risolva in abiura. Il motivo è che queste abiure non ci sono state di nessuna utilità, anzi sono state spesso funzionali a favorire l'irruzione della barbarie nel lavoro e nelle nostre vite.


Note
1 http://espresso.repubblica.it/attualita/2016/12/20/news/caro-poletti-avete-fatto-di-noi-i-camerieri-d-europa-1.291709
2   Clash City Workers, Dove sono i nostri?, ed. La Casa Usher, 2014.
3  Mia intervista a Roberto Fineschi disponibile all'url https://www.lacittafutura.it/cultura/la-cassetta-degli-attrezzi-di-marx-intervista-a-roberto-fineschi-parte-ii.html

Comments

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clau
Wednesday, 25 October 2017 11:58
Meno male che qualche raro intellettuale ha il coraggio di esporre le cose come sono e non cerca di mediare, di fare apparire le peggiori, indecenti, forme di supersfruttamento, meno odiose di quello che sono veramente. Marta Fana ha avuto questo coraggio, ha questo sano orgoglio d’intellettuale marxista, purtroppo di pochi. Certo, col neoliberismo e la globalizzazione, è stata lanciata una guerra globale al salario e alla occupazione, alla quale hanno contribuito in modo determinante moltissimi intellettuali, a cominciare dalla quasi totalità dei giuslavoristi, e soprattutto l’intera pletora dei partiti parlamentari che si definivano e continuano a definirsi di sinistra, ma anche molti raggruppamenti cosiddetti contestatori e/o rivoluzionari. Il punto è che non basta l’analisi e la denuncia, occorre ricreare coscienza di classe, occorre rimettere in piedi l’organizzazione politica marxista rivoluzionaria a scala internazionale, per lanciare una lotta che miri al superamento dell’attuale marcio sistema sociale, divenuto strutturalmente criminogeno al massimo grado, e sempre più basato sul supersfruttamento della forza-lavoro per estrarvi il maggior profitto possibile, servendosi indiscriminatamente di qualsiasi mezzo, legale o illegale che sia. Avanti dunque con questo essenziale lavoro.
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