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La discussione sulla Flat Tax rimuove la riforma fiscale

di Roberto Romano

Sebbene la discussione sulla Flat Tax ponga dei problemi di giustizia fiscale non banali, l’attenzione sul diverso trattamento fiscale dei redditi soggetti all’IRPEF non è corretta.

Siamo tutti d’accordo sulla crisi del fisco, ma si affrontano i problemi senza prospettive strategiche e senza inquadramenti organici. Il dovere fiscale è compreso fra i doveri costituzionali: l’adempimento dei doveri inderogabili è stata definita come una norma chiave in quanto con essa si è voluto affermare che lo Stato è in funzione dell’uomo. Questo principio è ignorato dal governo e dalle tesi dell’opposizione e, quest’ultimo aspetto, solleva dei problemi di politica economica rilevanti. Innanzitutto, tutta la discussione rimuove il tema delle così dette tassazioni sostitutive che vanificano la tassazione progressiva, delineando un quadro legislativo improvvisato.

L’aspetto più grave della crisi sta nel disorientamento del governo e nella rivendicazione del PD di avere già realizzato la Flat Tax per le imprese. Mi spiace dirlo, ma la proposta della Flat Tax persegue un obbiettivo politico attraverso la discutibile strada tecnica. Nei fatti, la proposta non tiene conto della sua pratica inesistenza, se non in quei Paesi periferici e arretrati dove, come ci ricorda “acutamente” Giulio Tremonti, la gente va in ospedale portandosi dietro coperte e medicinali.

Si tratterebbe di un passo indietro rispetto ai Paesi europei dove la progressività è codificata, come in Italia e in Spagna e accolta negli altri Paesi europei come parità di trattamento in senso sostanziale.

Il dibattito nazionale si sofferma sul principio costituzionale del concorso alle spese pubbliche che deve essere commisurato alla capacità contributiva. L’utilizzazione dell’imposta a fini economici e sociali redistributivi in particolare realizza il principio della capacità contributiva. È un principio sacrosanto, ma nella discussione sfugge la vera frattura intervenuta nel sistema fiscale nazionale. Inoltre, la progressività dovrebbe fondarsi su quelle imposte che per la loro natura si prestano ad aliquote progressive.

La crisi del fisco italiano è vera e profonda perché la nostra struttura fiscale è molto sensibile all’andamento degli scaglioni e delle aliquote, ma anche altrettanto sensibile ai presupposti d’imposta. Di solito s’immagina la ridistribuzione esclusivamente attraverso il ridisegno delle aliquote fiscali che fanno capo all’Irpef, ma questo approccio perde per strada la crisi di struttura che attraversa il fisco nazionale ed è rimossa da tutti gli interventi. Infatti, occorre sottolineare che l’Irpef è composta all’85% da lavoro e pensionati. Aumentare o ridurre la progressività per un solo reddito, quindi, non porterebbe a mutamenti sostanziali nella distribuzione del carico tributario. Questa è la questione rimossa da tutti! Se non ridisegniamo i presupposti d’imposta dell’Irpef, cioè se non allarghiamo la base imponibile, modificare o meno gli scaglioni non servirebbe a molto alla redistribuzione del reddito, perché l’Irpef intercetta una sola categoria di reddito.

La vera riforma fiscale non passa dalla riduzione o meno delle aliquote e degli scaglioni, piuttosto dall’allargamento della base imponibile, reintroducendo nell’Irpef i redditi che oggi sono sottoposti a cedolare secca. Questa è la vera discussione che dobbiamo affrontare, e non l’opportunità o meno di introdurre la Flat Tax. La Flat Tax già esiste per tutti i redditi che non rientrano nell’Irpef e, questi, non sono pochi.

Dobbiamo anche ricordare che le risorse mobilitate per sostenere la spesa pubblica sono proporzionali alla complessità dei sistemi economici; tanto più una economia è sviluppata, tanto più il peso del prelievo fiscale è importante. Infatti, i servizi necessari al funzionamento delle economie moderne sono direttamente proporzionali al livello di sviluppo dei singoli paesi: i paesi a capitalismo maturo registrano una pressione fiscale che varia dal 40 al 45% del PIL; i paesi più arretrati, si pensi agli stati candidati a entrare nell’Unione Europea, registrano una pressione fiscale che raramente supera il 30% del PIL. Chi propone di ridurre il prelievo fiscale dovrebbe anche dire a quale idea di società fa riferimento, così come chi critica la Flat Tax, attribuendo all’attuale regime fiscale una presunta progressività, dovrebbe pur discutere se questa sia realmente progressiva per tutti i redditi.

Vale il monito della rivoluzione francese (Robespierre), cioè il pagamento dell’imposta non è un dovere ma un diritto, perché nel pagamento dell’imposta sta per le classi più povere la tutela della libertà e l’indipendenza della politica, ma anche il monito che tutti i redditi e non solo una parte dovrebbero concorrere alla base imponibile. La discussione sulla Flat Tax, sbagliata e di classe, potrebbe diventare una occasione per rimettere al cento della discussione chi e come si pagano le tasse.

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