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Michéa, i diversi volti del marxismo

di Bertrand Garandeau

Nel suo ultimo libro, "Il nostro comune nemico" (Neri Pozza), Jean-Claude Michéa si riferisce più del solito all'opera di Marx. Pur confermando la pertinenza dell'analisi marxista riguardo il funzionamento del capitalismo, Michéa sottolinea i limiti e i vizi originali del marxismo. a volte assai simili a quelli del capitalismo. Michéa sostiene anche che alla fine della sua vita, a contatto con alcuni intellettuali populisti, Marx si era reso conto di quei limiti. Nella continuità della sua precedente opera, Michéa non esita mai a citare Marx quando si tratta di dimostrare la natura profondamente rivoluzionaria, e quindi ostile al conservatorismo e alle tradizioni, del capitalismo: «Questo costante scuotimento dell'intero sistema sociale, questa agitazione questa insicurezza perpetua che - scriveva Marx nel 1847 - distingue l'epoca borghese da tutte le precedenti.» Michéa altresì ricorda che non XIX secolo, da una parte i partigiani dell'Ancien Régime, e i socialisti dall'altra parte, convergevano nelle loro analisi della modernità capitalista, cosa che può essere illustrata per mezzo del«l'ammirazione assoluta che Marx nutriva per l'opera di Balzac».

Ma ne "Il nostro comune nemico", Michéa sostiene anche l'importanza della teoria del valore di Marx, e il suo concetto di caduta tendenziale del saggio di profitto del capitale. Per Marx, solo il lavoro vivente produce valore, riportandone più di quanto esso costi. Quanto alla macchina, «essa si accontenta di trasmettere nel corso del tempo il valore che le era già stato incorporato quando è stata fabbricata». Costretto dal gioco della concorrenza ad un'eterna corsa alla produttività, il capitalismo deve incessantemente appoggiarsi alle rivoluzioni tecnologiche che gli permettono dei guadagni di produttività, ma riducendo così anche la quota di lavoro vivente nella produzione, e quindi riducendo la produzione di valore reale.

 

La necessaria società dei consumi

Michéa spiega che questa contraddizione inerente al capitalismo analizzata da Marx è solo stata temporaneamente risolta nel XX secolo grazie all'avvento della società dei consumi, a cominciare dalla logica fordista (aumentare i salari per fare aumentare la domanda) e poi dalle politiche di stimolo cosiddetto keynesiano. Consentendo una crescente produttività, ma un continuo declino della creazione di valore, la società capitalista si vede costretta a produrre sempre più per poter mantenere il tasso di profitto, e quindi a consumare sempre più. Oscurata dal compromesso ford-keynesiano, questa contraddizione è riemersa nel corso degli anni '70 ed è stata risolta, ancora una volta provvisoriamente, solo attraverso l'intensificazione della società dei consumi sotto la copertura del progresso e della liberazione dell'individuo, e attraverso la finanziarizzazione dell'economia che permette di far crescere artificialmente la domanda con la conquista dei mercati esteri, avendo come sfondo la crescente commercializzazione delle relazioni umane.

Ma se difende l'attualità dell'analisi marxista del funzionamento del capitalismo, Michéa denuncia l'ideale centralizzatore, collettivista e razionalista degli scritti del teorico tedesco: «L'intera società ha questo in comune con l'interno di un'officina, essa ha anche la sua divisione del lavoro. Se prendiamo come modello la divisione del lavoro in una moderna officina, per poi applicarlo ad un'intera società, la società meglio organizzata per la produzione di ricchezza sarebbe incontestabilmente quella che al comando ha un solo imprenditore, che distribuisce i compiti ai diversi membri della comunità secondo una regola stabilita in anticipo»(Marx, Miseria della Filosofia). Per Marx, a causa della concorrenza, questo ideale di una società ridotta ad un'unica officina sotto la direzione di un solo capo non è possibile sotto un regime capitalista. Lungi dal rifiutare il modello di società prodotto dall'infrastruttura capitalista, il marxismo propone di perfezionarlo e di renderlo egualitario, risolvendone le contraddizioni attraverso l'abrogazione della libera concorrenza. Scrive Lenin: «L'intera società non sarà più nient'altro che una sola officina, con uguale lavoro ed uguale salario» (Lenin, Stato e Rivoluzione). Questa logica ha portato al totalitarismo sovietico, in quanto quest'ultimo non è per Michéa una perversione del marxismo, bensì l'applicazione logica di alcuni aspetti del pensiero di Marx.

 

Le ispirazioni comuni al marxismo ed al capitalismo

Tuttavia, Michéa osserva che in materia sovietica la società capitalista non ha nulla da invidiare al marxismo sovietico. Basta guardare alle tecniche di gestione e di produzione dei giganti economici di ieri e di oggi, da Ford a Walmart, fino ad Amazon, per constatare che la razionalizzazione di ciò che è vivente non ha mai smesso di crescere da quando l'emergere del capitalismo e la pianificazione dell'esistenza ha raggiunto un livello  senza dubbio ineguagliabile nella storia. Moltiplicando i riferimenti alle tesi difese oggi dagli imprenditori ideologici del capitalismo moderno, Michéa stabilisce un collegamento fra gli ideali di iper-connessione ed organizzazione algoritmica del consumo, da una parte, ed il freddo controllo burocratico, dall'altra: «È questo sogno totalitario di un mondo integralmente connesso (quindi, di conseguenza, agli antipodi di qualsiasi progetto di autonomia delle popolazioni e degli individui), ciò che definisce l'immaginario comune sia al socialismo poliziesco che al capitalismo della Silicon Valley».

Tali convergenze si spiegano a partire dal fascino che esercitava su Marx lo sviluppo senza precedenti delle forze produttive realizzato dal capitalismo, il solo in grado di «offrire alla futura società socialista globale la sua vera base materiale e tecnologica», spiega Michéa. Certo, la società capitalista si distingue ancora fortemente dal marxismo, a causa della libera concorrenza delle imprese private, che costituisce un freno alla centralizzazione delle potenze economiche. Michéa ricorda perciò le parole di Orwell: «Il problema con la concorrenza, è che c'è sempre un vincitore. Il professor Hayek nega che il capitalismo liberale porti necessariamente al monopolio, ma in pratica è questo che il sistema ha portato». Anche se indubbiamente le tensioni geopolitiche rappresenteranno sempre un ostacolo alla realizzazione dell'officina globale unica caldeggiata da Marx, la libera concorrenza del mondo capitalista porta sistematicamente alla concentrazione del capitale, e quindi ai pericoli della centralizzazione del potere, anche quando quest'ultimo non fosse statale.

In opposizione sia allo statalismo marxista che al centralismo privatizzato generato dalla logica del capitalismo, Michéa sostiene il ricorso ai concetti proudhoniani di autogestione, di economia decentralizzata e comunale, che possa assicurare agli individui la loro autonomia di fronte al capitale e allo Stato, il loro diritto «ad esercitare un controllo diretto sulle proprie condizioni di esistenza immediata». Si tratta di idee giudicate piccolo-borghesi da un marxista, e che non possono essere tollerate in un'economia capitalista moderna, se non come prima tappa definita come arcaica e ostacolo allo sviluppo. Nel concepire l'uomo solo me produttore o consumatore, il marxismo ed il capitalismo si uniscono in una comune opposizione ai modi di produzione comunitari e tradizionali, il cui conservatorismo ed il radicamento carnale nella natura sono un freno sia al consumo che all'efficienza economica del materiale umano. Incarnata per molto tempo nella produzione agricola, quest'economia organica è oggi rappresentata da qualsiasi tentativo di economia locale che si oppone tanto ai titani globalizzati dell'industria e dei servizi quanto ai giganti dell'economia digitale di oggi e di domani, che impongono, in nome del progresso, una logica dei comportamenti umani razionalista e di mercato.

 

L'influenza dei populisti russi

Su un piano politico, Michéa critica quella che è l'astrazione marxista di una lotta fra produttori e capitalisti, senza alcuna considerazione delle loro condizioni reali di vita. Questa lotta ha spinto Marx a denigrare i piccoli proprietari terrieri giudicati troppo capitalisti, mentre allo stesso tempo ha costantemente allargato la categoria dei produttori: «Nelle sue "Teorie sul plusvalore", non esita a scrivere che è ormai necessario includere nella classe degli operai produttivi "tutti coloro che collaborano in una maniera o nell'altra alla produzione della merce, a partire dal lavoratore manuale fino ad arrivare al manager [il direttore] e all'ingegnere, in quanto sono diversi dal capitalista"». Tuttavia, Michéa fa più volte riferimento alla tesi secondo la quale Marx sarebbe arrivato gradualmente a comprendere i limiti della propria visione astratta del lavoro. Tale presa di coscienza sarebbe avvenuta attraverso il contatto tardivo avuto dal filosofo tedesco con gli intellettuali populisti russi, i narodniki. Questi, oltretutto, «pur accettando interamente l'analisi marxista della dinamica del capitale, rifiutavano con altrettanta ostinazione le principali conclusioni politiche che attraevano Lenin, Plekhanov o Trotski, e soprattutto il loro feticismo "occidentalista" della crescita e della grande industria». Inducendolo a relativizzare la preponderanza del proletariato industriale, i populisti russi in effetti avrebbero minato la fede di Marx nella presunta neutralità assiologica dei progressi tecnologici, diventando quest'ultimi i vettori del capitalismo, e l'avrebbero così spinto a riconsiderare il suo giudizio sulle società contadine tradizionali. Incontrando questi intellettuali, fra cui Elizabeth Dmitrieff (futuro membro della Comune) a Londra nel 1870, Marx avrebbe accettato l'idea che erano possibili altri socialismi, nei quali all'operaio produttore non sarebbe stati attribuito il ruolo di rivoluzionario messianico, e nei quali l'organizzazione comunale agricola non sarebbe stata più condannata per il suo conservatorismo ostile all'avvento della grande officina globale egualitaria. Michéa sottolinea altresì che anche il filosofo marxista Henri Lefebvre «non esiterebbe a collegare "l'incompletezza del Capitale" con questi nuovi interrogativi filosofici, suscitati in Marx dal populismo russo».


Pubblicato su Philitt il 22/2/2017 -

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