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sinistra

Le dure leggi del mainstream e la confusione a 5 stelle

di Paolo Bartolini

Sono settimane convulse, l'agenda del dibattito pubblico è presa quasi interamente dall'emergenza razzismo. Diversamente da alcuni amici cinquestelle (ne ho pochi, ma buoni), sono tra quelli che considerano tale emergenza reale e gravissima. Qualcuno ha giustamente fatto notare che gli episodi di discriminazione continuano da anni e che altri temi enormi (come le morti sul lavoro, per dirne uno eclatante) rimangono puntualmente fuori dal raggio di attenzione del mainstream.

La critica al sistema di informazione/intrattenimento è ben giustificata, tuttavia l'emergenza razzismo c'è e i cinquestelle, che da mesi tentennano all'ombra della Lega di lotta e di sgoverno, sbagliano parecchio a sottovalutare la situazione odierna. Basterebbe, per spuntare le armi di argomentazioni troppo fragili, ricordare che in un Paese dove non mancano intolleranze e xenofobia le uscite di un ministro della Repubblica possono legittimare comportamenti violenti e far sentire i soliti razzisti molto più liberi di "esprimere" i loro impulsi più bassi. Mai le istituzioni devono prestarsi a un linguaggio come quello adoperato da Matteo Salvini per fini di propaganda elettorale. Solo la confusione che regna nelle fila del Movimento 5 Stelle può condurre a minimizzare eventi comunicativi come quelli costruiti ad hoc dagli spin doctors che "curano" il personaggio Salvini.

E qui arriviamo al punto che mi sta più a cuore. Non ho dubbi, sinceramente, che una buona parte della stampa cavalchi l'onda e porti la sua attenzione selettiva su episodi di razzismo per rafforzare, nelle menti del pubblico, dubbi sull'operato del neogoverno (autoproclamato "del cambiamento"). Purtroppo, ciò che sfugge ai cinquestelle in affanno - perché iniziano a contare come a briscola il due di coppe quando comanda bastoni (e qui i bastoni comandano davvero!) - è che Salvini per primo sta lavorando per tenere viva l'escalation simmetrica: le sue sparate sono fatte per eccitare i mass media e alimentare lo scontro in Italia sulla questione migranti, scontro che verrà rilanciato da qualche tweet ben studiato sul profilo del leader leghista. Per i media, vista la canea scatenata negli ultimi mesi, è impossibile non dedicare sempre più spazio alla questione (i cicli di feedback positivi si autoalimentano e il sistema mira essenzialmente a intensificare i suoi funzionamenti). Criticare il mainstream, come fanno i grillini, significa semplicemente non vedere che proprio di questa comunicazione ha bisogno Salvini per capitalizzare il suo consenso. D’altronde, non parlare di questo ministro che cita amabilmente Mussolini e si esprime come un troglodita della democrazia non è possibile per giornali e televisioni che si nutrono di audience; sarebbe però magnifico se gli alleati di governo (quelli che tengono sul comodino una copia del contratto di governo, sempre utile per giustificare il proprio operato agli occhi del "popolo") gli imponessero il silenzio prendendo nettamente e inequivocabilmente le distanze dalle sue uscite. Ci ha provato appena Fico, ma altre voci non si alzano. Salvini gioca con i media e lo fa a suo favore, i media giocano con l'emergenza vera (sì, perché il clima si sta infuocando e non solo per il caldo torrido) e i cinquestelle giocano a nascondino. Il mio voto il M5S non lo vedrà più, ma se non ne vuole perdere troppi altri forse è il caso di mandare un segnale importante ai cittadini. Non farlo vorrà dire che il vento di cambiamento che ha soffiato negli anni scorsi in Italia si è messo in moto solo per propagare le fiamme dell'ignoranza e del peggior conformismo. Conosco persone perbene che sostengono il MoVimento, spero sinceramente che non vogliano chiudere gli occhi dinnanzi a quando sta accadendo. Su oscenità come la mancata reintroduzione dell'articolo 18 e la flat tax, ma anche sui timidissimi segnali di novità inclusi nel Decreto Dignità, ci sarà tempo per dire, ma bisogna prima e rapidamente invertire la marcia sulla questione dei diritti umani fondamentali. Non mi illudo: la subalternità dei cinquestelle alla propaganda leghista non è certo il risultato di un condizionamento contingente; il MoVimento si è mostrato in più circostanze fedele agli indirizzi neoliberisti che dominano la società e compatibile con un orientamento di destra centrato sui sentimenti anticasta e sull’idealizzazione dell’imprenditorialità (soprattutto piccola e media). Eppure ritengo che, dato il peso minimo di una Sinistra decente nel nostro Paese, gli anticorpi alla deriva fascioleghista possano arrivare, per i prossimi mesi, solo da cittadini capaci di fare pressione sui cinquestelle, quantomeno minacciando un massiccio spostamento di voti alle prossime elezioni.

Per questo scrivo queste righe, io che il 4 marzo non mi sono vergognato di votare Potere al Popolo e Movimento 5 Stelle, perlopiù con l’intento di scardinare definitivamente il vecchio bipolarismo centro-destra/centro-sinistra. Ora, dopo l’alleanza con la Lega, i gesti di benevolente sottomissione agli USA e i goffi tentativi di Di Maio di negare la natura xenofoba di una parte non piccola del governo, ritengo serenamente di aver chiuso ogni possibilità di sostegno (seppur critico) al M5S. Contemporaneamente è giunto anche il momento di oltrepassare il passato che si riaffaccia nei populismi contemporanei, per rilanciare qualcosa che ancora non esiste, ma che rinnova nel suo centro invisibile “il sogno di una cosa”: la nascita di un’ampia e popolare forza democratica che guardi verso una società postcapitalista, equa, solidale, ecocompatibile. Una società eutopica ripulita dai rigurgiti del razzismo, del suprematismo, della lotta tra poveri, dello sfruttamento dell’uomo sulla donna e sulla “natura”. Non nego affatto che alcuni cinquestelle possano dare un prezioso contributo in questa direzione (nonostante il cammino sia lungo e richieda una svolta culturale, spirituale e politica difficile da coltivare nell’odierno sfacelo antropologico in cui ci troviamo), ma mi sento di escludere in modo risoluto che le energie necessarie alla Trasformazione possano emergere dal clima di miseria morale in cui ci sta gettando la classe politica ora al potere.

Per contrastare il tecno-capitalismo in questa fase di finta deglobalizzazione (il fenomeno Trump incarna efficacemente il motto “cambiare tutto affinché nulla cambi”) avremo certo bisogno di alleanze a geometria variabile, dove gli schieramenti ideologici lascino spazio all’innovazione sociale e a nuove parole d’ordine, ma non credo sia utile abbandonare la stella polare dell’anticapitalismo. Non per il piacere di essere “contro” qualcosa o qualcuno (atteggiamento adolescenziale fin troppo diffuso a sinistra, con risultati estremistici da rigettare senza incertezze), ma per il desiderio di cooperare in vista di nuovi modelli di convivenza dove le persone vengano prima delle cose. Obiettivo impossibile dentro il recinto di una sistema che ha nel suo codice genetico la personificazione delle merci e la reificazione degli umani.

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