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Dell'onestà, dello stadio e di altre sciocchezze

di Massimiliano Taggi

Proviamo a leggere gli eventi di questi giorni con un po' di “complessità”.

Perché, se restiamo in un dibattito speculare sulla “virtù” dell'onestà, non capiremo nulla di ciò che accade e perché.

Da una parte il PD non può che festeggiare l'arresto eccellente di un 5 stelle.

All'insegna del “Così fan tutti”, relega i fatti di corruzione e tangenti a puri “effetti indesiderati” e promuove l'indulgente garantismo che, da sempre, è direttamente proporzionale al numero di inquisiti, arrestati e condannati che il proprio schieramento colleziona.

Dall'altra il M5S che si illude di poter risolvere il problema con radiazioni immediate e calcolo delle percentuali di “disonesti” per accreditare simbolicamente l'assoluta persistenza della propria “intrinseca” e “genetica” differenza.

Ma così, nessuno discute della “radice” del problema.

In una società sana, la corruzione è una “devianza”, se i fini e gli strumenti dell'agire politico sono “retti”, il corrotto è solo un individuo che ha preferito l'arricchimento personale al perseguimento del “bene comune” che dovrebbe essere la stessa ragione per cui ci si “mette in politica”.

Ma non è questa la storia recente di questo paese e, ancor meno, di questa città.

C'è un sistema politico costruito e pensato per altro da quello che dovrebbe essere il “bene comune”.

Senza pensieri forti, la “fine delle ideologie” ha portato a caduta verso la fine delle idee e, soprattutto alla perdita definitiva di quelli che dovrebbero essere i soggetti destinatari del “fare politica”.

La vicenda Stadio, come tutte le vicende caratterizzanti della gestione urbanistica romana, sono da anni unicamente e semplicemente inserite in un meccanismo di “tangenti legalizzate”, la stessa definizione di “urbanistica di scambio” ne attesta la verità.

L'amministrazione si è trasformata in un ente erogatore di terreni edificabili, di progetti i cui destinatari sono unicamente le lobby economiche che, è bene ricordarlo, a Roma, detengono sia l'attività edificatoria, sia la finanza, sia la comunicazione più importante, e persino parte dei servizi al cittadino..

In cambio l'amministrazione riceve qualche briciola di servizi da dispensare qui e lì per tamponare il baratro di una volontaria e determinata assenza di risorse pubbliche, ma soprattutto, gli strumenti per costruire il consenso e, quindi, perseguire l'obiettivo principale di ogni “potere”: conservare se stesso.

Nessuno ha notato che negli ultimi mesi l'attacco frontale dei principali giornali alla Giunta Raggi ed alla Raggi in sé, si è notevolmente affievolito? La Canea che aveva caratterizzato l'avvio di questa esperienza amministrativa fino ad incunearsi dei meandri della vita personale e familiare della Sindaca, ha cessato di essere più o meno in contemporanea con l'estromissione di Berdini dalla gestione dell'Urbanistica e con la conferma del progetto Stadio.

Basterebbe questo dato a raccontare come funziona.

Se questo mondo fosse normale, qualsiasi politico di buon senso, dopo i primi arresti e le prime indagini, avrebbe almeno sospeso l'iter dello Stadio, o, forse, rinunciato direttamente, se non altro per autotutelarsi; si sarebbe chiesto: “ma chi me lo fa fare”? Insomma, Roma può sopravvivere anche senza un nuovo stadio o no?

Invece lo “Stadio” è stato l'imperativo di qualsiasi Sindaco. “Lo stadio si farà”, disse Alemanno, disse Marino, disse la Raggi, nonostante tutto e tutti.

Perché? Solo gli ingenui possono pensare che dietro allo Stadio ci sia la voglia di assecondare i desideri dei tifosi e solo gli ottusi possono davvero credere, ala prova dei fatti, che le grandi opere siano la fonte miracolosa da cui attingere risorse per la città, il lavoro, le infrastrutture.

Mettiamoci l'anima in pace, se un metodo non ha funzionato per “Italia '90”, se, in nessuna parte del mondo, ospitare le Olimpiadi ha generato altro da rovina e dissesto finanziario un motivo c'è e non ci sono Re taumaturghi che possano trasformare il piombo in oro.

Perché una cosa va detta: lo Stadio produce gli utili voluti per i “palazzinari”, sia che venga costruito, sia che resti il sogno visionario dei prossimi 10 sindaci.

L'unico atto rilevante è la variante al PRG che rende terreni senza importanza, edificabili, decuplicandone il valore. A Parnasi & co. Basta ed avanza.

Questo è. Quando l'amministrazione viene considerata solo ed unicamente un moltiplicatore di utili a spese del territorio e dei cittadini, c'è poco da essere “onesti”. Semmai, l'onestà è solo un ostacolo al perseguimento della funzione data.

Questo modello di sudditanza agli interessi economici dominanti ha sempre attraversato la storia della città. Ma è giusto ricordare che fu l'accoppiata Veltroni-Bettini a renderlo “Sistema”, ad eliminare ogni forma di bilanciamento e di limite, in sintesi ad operare per la completa dissoluzione di ogni forma di legame tra politica ed interesse pubblico.

Ad oggi poco importa se l'amministrazione Raggi abbia scelto volontariamente o subito inevitabilmente pur di sopravvivere.

La realtà è che il 5stelle, nel suo agire di governo, ha deposto ogni buon proposito, primo tra tutti la cosiddetta “trasparenza degli atti”.

L'assessorato all'Urbanistica è governato saldamente da quelli di sempre; al di là del “teatro”, la Giunta Comunale ha assecondato le scelte del Presidente della Regione Zingaretti sul Patrimonio del S.Maria della Pietà, la “ripubblicizzazione di ACEA” è una chimera di cui non si parla più e così si potrebbe continuare.

A dispetto di chi continua a dire che i 5 stelle non sanno governare, si può tranquillamente dire che stanno imparando rapidamente... Purtroppo.

Ma per tornare al “povero” De Vito. Se lo scenario descritto è reale, De Vito è stato conseguente, la sua scelta logica e, tutto sommato, ragionevole.

Si sarà detto, tra sé e sé: “Ma se il mio ruolo è quello di far arricchire i già ricchi, se null'altro mi è concesso e permesso, perché non dovrei trarne vantaggio anche personale”?

Il resto lo fa l'assenza di qualsivoglia cultura politica e valoriale di riferimento.

E, per tornare all'incipit, questa storia dimostra solo che la virtù dell'”onestà” non ha alcun senso senza progetto politico.

Perché solo chi è “onesto” perseguendo l'interesse pubblico è un eroe della modernità. A suo grande rischio e pericolo.

Chi è “onesto” perseguendo l'arricchimento dei pochi e la distorsione delle regole a favore dei poteri privati e/o privatistici è solo e semplicemente “fesso”.

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