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nuovadirezione

Il nemico del mio nemico è mio amico

di Carlo Formenti

Il nemico del mio nemico è mio amico, recita un noto adagio che consente forse di spiegare certe scelte e comportamenti politici che, a un primo esame, suonano talmente contraddittori da apparire incomprensibili, se non deliranti. È il caso, fra gli altri, di un classico tormentone della complicata storia del movimento comunista novecentesco. Mi riferisco all’irriducibile odio di alcune correnti del trotskismo americano (sia nel Nord che nel Sud del continente) nei confronti della Russia sovietica – odio che le ha indotte a schierarsi sistematicamente dalla parte degli Stati Uniti – cioè con la potenza egemone del capitalismo mondiale! – in tutti i suoi conflitti con il Paese guida del campo di un “falso” sistema socialista (fino ad appoggiare la guerra del Vietnam e l’invasione dell’Iraq http://lanostrastoria.corriere.it/2019/08/05/i-trotzkisti-alleati-degli-stati-uniti ).

Ho parlato non a caso di alcune correnti, sia perché il campo troskista è di gran lunga il più frammentato all’interno delle sinistre radicali, con pozioni assai diverse al proprio interno, sia perché generalizzando si rischierebbe di addebitare gli atteggiamenti di cui sopra allo stesso Trotskij, che viceversa non spinse mai a tali estremi la propria avversione per il regime sovietico. Fatta questa precisazione, occorre prendere atto che l’odio antisovietico è sopravvissuto alla caduta del blocco socialista, trasformandosi in odio antirusso.

Nemmeno il venir meno dell’ambiguità di un “finto” regime socialista, e il declassamento della Russia di Putin a potenza capitalista regionale, impegnata a difendere la propria area d’influenza dell’aggressività ultraimperialista a stelle e strisce, impedisce alle correnti di cui sopra di schierarsi per la “rivoluzione” neoliberista in Ucraina, appoggiata e promossa dall’Occidente, e ciò nemmeno dopo il moltiplicarsi delle prove sul carattere esplicitamente neonazista del regime di Kiev https://www.facebook.com/carlo.formenti/posts/10217966641616352

Non basta, un articolo di Max Blumenthal e Ben Norton https://thegrayzone.com/2019/07/06/dsa-jacobin-iso-socialism-conference-us-funded-regime-change fornisce inquietanti particolari sulla conferenza Socialism2019, svoltasi ai primi dello scorso luglio a Chicago, che ha visto la partecipazione di una serie di sigle della sinistra “radicale” americana (in gran parte di matrice troskista) sotto l’egida della DSA (Democratic Socialist of America), della rivista Jabobin e della editoriale Haymarket (fra i panelist prestigiose figure dell’intellighenzia alter global come Naomi Klein). Gli autori riferiscono di una serie di panel dedicati esplicitamente a demonizzare non solo la Cina e la Corea del Nord (in quanto nemici dichiarati degli Stati Uniti), ma anche i riottosi regimi latinoamericani che si sottraggono al ruolo di cortile di casa di Washington (come Cuba e Nicaragua) e naturalmente la Siria di Assad. Malgrado i relatori riconoscano (nel caso del Nicaragua) che non esiste un’opposizione di sinistra al regime, si dichiarano comunque

favore di un regime change promosso dagli Usa in quanto un capitalismo “democratico” è preferibile a un falso socialismo (nel caso della Siria vengono promossi a oppositori democratici i macellai delle fazioni integraliste islamiche).

A rendere il quadro ancora più inquietante, Blumenthal e Norton documentano la rete di relazioni fra questi “socialisti” e una serie di agenzie governative (dietro cui è lecito sospettare lo zampino di Cia e Pentagono) che finanziano operazioni di contropropaganda nei “Paesi canaglia” (né disdegnano di lasciar cadere qualche briciola nelle tasche dei nostri “socialisti”, ai quali applicano specularmente il principio il nemico dei miei nemici è mio amico, con la differenza che la sproporzione fra i due soggetti è tale da ridurre il ruolo dei secondi al ruolo di mosca cocchiera).

Ma questi troskisti sono parte di un discorso più ampio in cui convergono altre tessere della sinistra arcobaleno, a partire da quell’area neo operaista che ha il suo massimo esponente in Antonio Negri: coerentemente con le tesi esposte in Impero (benché queste siano state smentite dall’ultimo quindicennio di storia che, invece di sancire l’unificazione del mondo sotto l’egida della potenza egemone e del suo progetto globalista, ha generato un inedito scenario di multipolarismo caotico, caratterizzato dall’intensificarsi dei conflitti interimperialistici fra differenti blocchi regionali), questa corrente teorico politica persiste nell’appoggiare i progetti di unificazione dei mercati sotto egemonia occidentale (spostando il proprio appoggio dagli Stati Uniti alla Ue) e nel condannare tutte le forme di opposizione nazional popolare (in particolare se rivendicano carattere socialista) a tale progetto egemonico, che si tratti del colosso cinese (considerato un’alternativa imperiale più pericolosa di quella statunitense) o delle rivoluzioni bolivariane (significativo l’atteggiamento del Manifesto sul caso venezuelano, con lo smaccato sostegno al golpe “democratico” di Guaidò, losco esponente della destra neoliberista telecomandato da Washington).

A voler fare i complottisti, sarebbe facile rovesciare contro tutti costoro gli insulti che dagli stessi vengono rivolti a forze come la nostra, che lavora per costruire un’alternativa nazional popolare al sistema neoliberista. Come possono permettersi di definirci rossobruni, visto che appoggiano i nazisti ucraini, gli integralisti islamici anti Assad, e i progetti di esportazione della democrazia a colpi di cannone delle potenze occidentali? Ma una simile simmetria sarebbe stupida, perché qui non è questione di buona o cattiva fede (anche se le operazioni cialtronesche non difettano) bensì di totale incomprensione della fase storica e delle dinamiche evolutive del sistema mondo capitalistico. Troskisti e post autonomi ci considerano “fascisti” perché sosteniamo che senza sovranità nazionale non si dà lotta per la democrazia e il miglioramento delle condizioni di vita delle classi subalterne; che l’idea secondo cui la rivoluzione o è mondiale o non è, suona incredibilmente irrealistica e ingenua, visto che ogni processo rivoluzionario è sempre partito dall’anello più debole della catena; che la sinistra che si occupa dei diritti civili trascurando i diritti sociali incarna gli interessi di strati sociali medio alti, oggettivamente alleati con il progetto liberal liberista (vedi l’analisi di Nancy Fraser sul femminismo emancipazionista); che l’entusiasmo per lo sviluppo tecnologico ignora l’uso di classe che ne fa il capitale; che la rivoluzione intesa come modernizzazione e progresso è il lascito dell’illuminismo borghese; che l’internazionalismo proletario non ha alcunché da spartire con il cosmopolitismo ecc.

Lasciamoli bollire nel loro brodo fatto di dogmi ormai privi di qualsiasi significato storico, e lasciamo che sfoghino la loro bile insultandoci. Non risponderemo colpo su colpo perché li riteniamo privi di qualsiasi influenza sugli strati sociali che consideriamo i nostri veri interlocutori, ci limiteremo solo a ricordare di tanto in tanto che certi rapporti con la peggior destra sono prerogativa loro, non nostra.

Comments

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Mario Galati
Monday, 12 August 2019 16:12
Interessanti le notizie fornite da Carlo Formenti. Però, il giudizio su Trotzki potrebbe essere riveduto in peggio, anche alla luce, per es., de "Il volo di Pjatakov", di Burgio, Leoni e Sidoli. A mio avviso, Formenti, nel giudizio sull'Unione Sovietica, resta un po' ancorato alle correnti che critica. Definire "falsa" la forma determinata storicamente realizzata di socialismo significa cedere a quelle correnti più di quanto non si voglia ammettere. Anche uno come Formenti può scivolare dalla dialettica storica concreta verso il dogmatismo.
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