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Argentina, perché la “terza via” peronista continua a sedurre

di Carlo Formenti

La vittoria del candidato peronista “moderato” Alberto Fernandez alle recenti elezioni presidenziali argentine, che riporta al potere in veste di vicepresidente anche l’ex presidentessa peronista di sinistra Cristina Kirchner, solleva una serie di interrogativi sulle ragioni della longevità (dagli anni Quaranta del Novecento a oggi) del movimento peronista e sulle perduranti simpatie delle sinistre (ivi comprese le più radicali) nei suoi confronti, ad onta dei momenti di feroce conflitto che li hanno divisi. Ad offrire un interessante tentativo di risposta (che getta luce anche sulle oscillazioni ideologiche che hanno caratterizzato gli ultimi vent’anni di storia del subcontinente, con continue svolte a sinistra e controsvolte a destra, e viceversa, in diversi Paesi) è un libro di Manolo Morlacchi (“La linea del fuoco. L’Argentina da Peron alla lotta armata”, Ed. Mimesis).

A dire il vero, il libro di Morlacchi è in primo luogo una biografia, ricca di interviste e documenti fotografici, di Roberto (Roby) Santucho, leader storico del PRT (Partito Rivoluzionario dei Lavoratori) e del suo braccio armato l’ERP. Nato nel Nord Ovest dell’Argentina, in una famiglia numerosa e politicizzata con radici indie, Roby subisce l’influenza culturale di una regione che fin dagli anni Cinquanta esprime movimenti di guerriglia a base contadina e indigena.

Un’influenza che fa sì che, anche dopo essersi convertito al marxismo, Roby non accetti il dogmatismo del Partito Comunista di Argentina – che indicava nella classe operaia l’unico soggetto rivoluzionario – e partecipi alla costituzione del PRT, un partito nato dalla convergenza fra movimenti sindacali di origini trotzkiste (ma che scioglierà presto il legame con la IV Internazionale) e organizzazioni indigeniste (anticipando la visione del blocco sociale su cui si baseranno le rivoluzioni andine di Bolivia ed Ecuador fra fine anni Novanta e primi anni del Duemila).

Dopo la caduta di Peron, i governi di destra (sia civili che militari) che ne prendono il posto, avviano feroci campagne di repressione contro le lotte operaie e contadine che caratterizzano l’intero decennio dei Sessanta, è in questa fase che il PRT, di cui Roby è ormai il leader indiscusso, crea l’ERP che, assieme ai Montoneros (le formazioni armate dei peronisti di sinistra), conduce la guerriglia contro il regime. Sono esperienze assai diverse da quelle delle formazioni combattenti europee, come le BR o la RAF, sia sotto l’aspetto quantitativo (si tratta di migliaia di militanti ben radicati nel tessuto sociale) sia sul piano militare (guidati da ufficiali formati dai cubani, sono in grado di impegnare vere e proprie battaglie, non di rado con esiti vittoriosi, con l’esercito argentino). Roby viene ucciso nel 1976, l’anno del golpe che chiuderà la breve parentesi democratica seguita al ritorno di Peron nel 1973 e inaugurerà gli orrori del regime fascista di Videla, durato fino all’inizio degli anni Ottanta.

Ma torniamo agli interrogativi sollevati all’inizio. Perché le sinistre argentine rispettano Peron, un uomo che non ha mai nascosto le proprie simpatie per Mussolini e ha passato i 17 anni del suo esilio nella Spagna franchista? Quando sale al potere nel 43 grazie a un golpe militare, spiega Morlacchi, Peron e i generali che lo appoggiano vedono nei totalitarismi europei di destra un modello alternativo alla “plutocrazia” inglese, capace di trovare un punto di equilibrio fra interessi del popolo e capitale. Per scongiurare una rivoluzione socialista, Peron coltiva l’utopia di una “terza via” capace di disinnescare la lotta di classe (celebre la sua battuta che invita i padroni a rinunciare al 30% della loro ricchezza se non vogliono perderla tutta). Così, sfruttando le risorse che affluiscono nelle casse dello Stato argentino dalle esportazioni di materie prime nei Paesi in guerra, avvia una politica di riforme radicali: nazionalizza banche e servizi pubblici, fa approvare una nuova costituzione che tutela il diritto alla salute e all’istruzione e riconosce la parità di genere, promuove l’edilizia popolare ed elargisce risorse ai poveri (protagonista di queste liberalità sarà soprattutto la moglie Evita che costruirà così il suo mito imperituro).

Insomma Peron fu promotore e protagonista di politiche che Gramsci avrebbe definito “rivoluzione passiva” e Marx “bonapartismo”, politiche cioè di riforme dall’alto che vengono parzialmente incontro alle esigenze popolari allo scopo di conservare l’egemonia delle classi dominanti. In questo senso il suo capolavoro fu – dopo avere riconosciuto il diritto di sciopero – essere riuscito a conquistare il controllo delle maggiori centrali sindacali che costituiranno la sua maggiore base di consenso e appoggio sociale. Anche dopo la sua caduta e il suo allottamento dal Paese nel 55, la memoria dell’ambiguità di Peron consentirà la convivenza fra le due anime del peronismo: una sinistra che, con la lotta dei Montoneros contro i regimi militari degli anni Sessanta, assumerà tratti esplicitamente socialisti, e una destra ferocemente reazionaria e anticomunista. Il suo ritorno al potere nel 73 avverrà però all’insegna della sola anima di destra, con dure repressioni che spazzeranno via le illusioni e le speranze di Montoneros. Il fatto che sia morto poco dopo il rientro in Patria, tuttavia, farà sì che il mito sopravviva anche a queste smentite, in quanto i seguaci di sinistra attribuiranno la sua svolta antipopolare ai cattivi consigli del suo entourage.

In una delle tante interviste del libro, un vecchio leader di sinistra dice a Morlacchi che non si capisce Peron se lo si dipinge tutto nero o tutto bianco, ma solo se si coglie il suo essere “grigio”, anticomunista convinto ma, al tempo stesso, fautore di politiche che hanno contribuito a promuovere la presa di coscienza dei propri interessi e il protagonismo delle classi subalterne del popolo argentino, fattori che, ancora oggi, mobilitano milioni di persone contro le politiche neoliberiste, com’è avvenuto con l’insurrezione del 2001 e con le mobilitazioni contro Macri che hanno restituito, per l’ennesima volta, il potere al peronismo. Un ciclo di corsi e ricorsi che durerà finché il popolo argentino non capirà che bisogna smetterla di inseguire una inesistente terza via fra capitalismo e socialismo e imboccherà con decisione, come hanno fatto i Paesi bolivariani, la via del secondo.

Comments

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claudio
Sunday, 10 November 2019 19:00
Indicare i paesi bolivariani come esempio da seguire, in questo momento, in cui proprio in Bolivia sono in corso aspre e sanguinose lotte popolari contro Morales e il suo regime, mi sembra una vera e propria bestemmia.
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