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andreazhok

Galleggiando nell'incubo tedesco

di Andrea Zhok

La forma presa dal progetto europeo sotto la guida della Germania sta portando a picco l'eurozona, e in maniera particolarmente accentuata alcuni paesi, come l’Italia.

Comprendere ciò che sta accadendo è indispensabile per immaginare una via d'uscita e non rimanere a galleggiare in un incubo senza porte né finestre.

Tale comprensione passa attraverso due prese di coscienza, riguardanti rispettivamente

1) la storia tedesca recente, e 2) l’attuale stadio della globalizzazione economica.

In breve.

1) La Germania uscita dalla seconda guerra mondiale era un paese umiliato, devastato e cui veniva vietato di fatto di costituirsi in entità statale indipendente (presenza di basi americane, limitazioni alla ricostituzione dell’esercito). In questo contesto i tedeschi hanno immaginato una forma diversa di ‘rivalsa’, che ha preso l’aspetto di ciò che può essere chiamato ‘neomercantilismo’. Qui l’idea di fondo, semplificata, è che se non posso acquisire potere nella forma classica della potenza militare, allora lo farò a colpi di merci, conquistando progressivamente quote di mercato.

Invece di invadere militarmente gli altri per togliergli risorse, gli sottrarrò risorse con la qualità e convenienza dei miei prodotti, che creeranno un perenne trasferimento asimmetrico di denaro nelle mie casse. Intorno a questa sostituzione simbolica del valore militare (centrale in Germania sin dall’unificazione tedesca sotto la Prussia) con la conquista economica si è costruita un’intera concezione del bene e del male, del vizio e della virtù.

L’intera architettura dell’Unione Europea è nata adattando le teorie neoliberali dominanti negli anni ’80 e ’90 a questo paradigma etico, dove idealmente non c’è bisogno di uno stato, se non come funzione economica. Non a caso la Germania è lo stato che prima di ogni altro rende indipendente la propria banca centrale (1957), ponendo la politica come dipendente per la propria legittimazione dall’economia.

L’idea che il debito sia indice di una forma di debolezza morale è qui fondante, così come l’idea che solo chi abbia messo prima da parte un capitale con il sudore della propria fronte, può poi investirlo meritoriamente. Si tratta di una visione etica ritagliata sulla dimensione della vita di una famiglia (e assai funzionale a quel livello), ma profondamente estranea a prospettive e responsabilità di natura statale.

È questa matrice quella che vincola tutte le fondamentali regole europee, così come hanno preso forma nei trattati e così come vengono stabilite ai vertici europei. Le sue implicazioni sono:

a) È legittimato ad investire solo chi ha una condizione economica già florida (si pensi alle direttive recenti sul cosiddetto Green New Deal europeo);

b) Se non si possiedono capitali, ci si deve rendere attrattivi al capitale estero fornendo un ambiente che garantisca elevati profitti agli investitori privati;

c) Se non ci sono margini per incrementare la produttività attraverso gli investimenti, la via maestra per acquisire nuove risorse è la compressione delle condizioni di lavoro, sia in termini salariali che di garanzie. Se si fanno le ‘riforme’ con sufficiente perseveranza, ad un certo punto si raggiungerà un livello in cui si vince la battaglia dell’export e si sfrutta la propria bilancia commerciale positiva per conquistare mercati e capitali.

L’intero sistema è concepito a livello europeo in modo da fare dell’Europa un centro produttivo capace di conquistare il mondo a colpi di merci.

2) E a questo punto entra sciaguratamente in questo ‘sogno tedesco’ la realtà dell’odierno mondo globalizzato, che trasforma il sogno tedesco nell’incubo europeo.

Quali sono i tasselli che mancano in quel quadro immaginato dal ‘revanscismo mercantile’ dei tedeschi dopo il 1945?

Manca innanzitutto la comprensione che il gioco del ‘libero commercio’ era un gioco che avveniva per gentile concessione degli USA, che si facevano carico delle funzioni tipiche degli stati tradizionali in maniera vicaria: erano gli americani a provvedere alla difesa europea, permettendo così agli europei di dedicarsi al gioco del libero mercato. Gli americani - naturalmente non gratis - operavano da stabilizzatori e garanti legali del sistema. Il fatto di non doversi occupare seriamente della questione militare ha creato nella cultura europea una sorta di infantilismo perenne, in cui fantasticherie astratte di matrice illuminista e liberale hanno prodotto un quadro fittizio di irenismo mondiale. I tedeschi, e di rimando gli europei tutti, hanno pargoleggiato per anni immaginando che il mondo fosse lì pronto a riconoscere cavallerescamente le virtù commerciali e produttive europee, facendosi gaiamente conquistare a colpi di merci.

Il secondo tassello mancante è un’implicazione del primo. Un sistema come quello europeo, che è di fatto un coacervo di interessi economici senza alcuna politica statale comune, senza un popolo comune, senza un governo con legittimazione democratica, e senza nessuna delle tradizionali competenze degli stati, trae (proprio come la Germania del dopoguerra) la propria intera legittimazione dal successo economico. E tale successo, però, dipende in maniera massiva dal successo della politica neomercantilista. (Ad esempio nei confronti dei soli USA il saldo commerciale europeo è positivo per oltre 170 miliardi di dollari - dati 2018). Ma con un sistema di scambi che oramai ha raggiunto estensione planetaria, emergono con sempre maggiore chiarezza due ordini di problemi.

Il primo è che - surprise, surprise - molti paesi, Stati Uniti in testa, mostrano insofferenza a subire un drenaggio costante di risorse da parte europea, e possono perciò chiedere un riequilibrio a colpi di tariffe e dazi.

Il secondo è che estensioni mondiali delle catene di approvvigionamento (supply chain) sono, proprio per la loro estensione e capillarità, sempre più massicciamente esposte a turbative, come mostra il caso attuale dell’epidemia di coronavirus. E se non è un virus sarà un conflitto armato che minaccia il trasferimento merci o, appunto, una guerra commerciale, o altro.

Entrambe queste tendenze sono destinate ad esacerbarsi con il passare del tempo, perché il funzionamento ordinario e autoregolato del commercio mondiale crea continuamente differenziali di potere, squilibri, crisi locali, che chiedono maleducatamente risoluzione. E di fronte a traffici mondiali che hanno già raggiunto un livello estremo di capillarità e libertà (nessun’altra epoca nella storia ha avuto tassi maggiori di libero commercio) la tendenza non può che essere verso un riflusso (più o meno accentuato).

Il quadro che si presenta all’organizzazione chiamata Unione Europea è dunque tale per cui il sogno tedesco di vincere la battaglia per la conquista del mondo a colpi di merci sta arrivando alla sua Waterloo. Per salvare un sistema europeo sarebbe necessaria una inversione di rotta radicale dello spirito che ha nutrito dall’inizio la storia dell’Unione Europea: da coacervo di interessi economici rivolti alla conquista di nuovi mercati esterni, a coordinamento di iniziative politiche rivolte ad alimentare il mercato interno. Dunque l’ordine delle priorità dovrebbe andare allo sviluppo interno e alla piena occupazione, e non alla compressione dei costi di produzione e alla stabilità monetaria. Questo spostamento richiederebbe una completa riscrittura dei trattati, a partire dallo statuto della BCE.

È idealmente possibile un tale stravolgimento? Sì, di principio lo è.

È concretamente plausibile che gli attuali plenipotenziari dell’UE, e specificamente la Germania, accettino una tale prospettiva? No, non lo è affatto.

Dunque ci avviamo ad altri anni, forse decenni, di stagnazione o contrazione progressiva, massimamente concentrata nelle aree di subfornitura alla Germania, e la cui produzione ha minore valore aggiunto.

E questo è l’identikit dell’Italia.

Comments

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claudio
Saturday, 22 February 2020 22:23
Mi da l’impressione che quello che lei chiama “incubo tedesco”, sia soprattutto un incubo suo, frutto di molta fantasiosa immaginazione, ma che ha ben poca attinenza con la concreta realtà. Quello che fanno i tedeschi e l’Europa, è quello che cercano di fare un po’ tutti i paesi, sia che abbiano un forte esercito (a cui lei ambisce tanto), sia che non lo abbino. Alla fine della sua fantasiosa immaginazione esprime però un paio di concetti che condivido. 1) ”la conquista del mondo a colpi di merci sta arrivando alla sua Waterloo”, 2) “l’ordine delle priorità ‘dovrebbe’ andare allo sviluppo interno e alla piena occupazione, e non alla compressione dei costi di produzione e alla stabilità monetaria”.
Ragioniamoci sopra. Si arriva alla “Waterloo” del sistema capitalistico, a causa della sovrapproduzione che coinvolge diversi settori produttivi, ovviamente a livello globale, non solo europeo. La ‘quasi’ piena occupazione c’è in paesi che, per varie ragioni, si trovano tutt’ora in una fase di apparente e/o presunta crescita economica. Ma non bisogna nemmeno dimenticare, che per la statistica ufficiale dei paesi Ocse, basta aver lavorato un’ora alla settimana, per essere considerato occupato! Prendiamo l’esempio degli Usa. Negli Usa, nonostante la ‘quasi’ piena occupazione, il livello dei salari è molto più basso di vent’anni fa, come in Italia, in Germania, in Spagna, ecc. Molti poveri, anche se ufficialmente lavorano, dormono per strada, non godono di un sistema sanitario come quello italiano, ed anche il sistema pensionistico è privato, il che significa che per gran parte dei lavoratori, dipendenti o autonomi che siano, la pensione, quando và bene, è di pura sussistenza. Insomma, nonostante l’esercito più potente al mondo, per le classi subordinate americane, così come per quelle europee, c’è soltanto una grande miseria (non dimentichiamo che l’Italia è considerata uno dei paesi più ricchi al mondo, perché molti appartenenti alle classi medie e anche un certo numero di operai si sono comprati casa, in Germania, Usa, e in vari altri paesi, ciò non è accaduto), per il fatto che il sistema capitalistico, a livello globale, ha dichiarato guerra al salario, e se le classi subordinate non consumano, perché non hanno soldi da spendere (in America consumano a credito - vada a vedere a che livello è l’indebitamento), si crea sovrapproduzione, crisi, licenziamenti e guerre, per ora, in teatri locali.
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