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bastaconeurocrisi

L’inflazione che i mercati NON prevedono

di Marco Cattaneo

Tutti i giorni si leggono articoli e commenti in merito alle terrificanti prospettive di inflazione incontrollata a cui il mondo starebbe andando incontro. Causa, le massicce azioni espansive, fiscali e monetarie, messe in atto per superare gli effetti economici del Covid.

Le banche centrali sono invece, a giudicare dalle dichiarazioni che rilasciano, molto più rilassate. Vedono un effetto transitorio, causato prevalentemente da tre ragioni.

La prima è la confusione che si è venuta a creare a seguito della rottura delle catene di fornitura prodotta nelle fasi più acute dell’emergenza Covid. Nel periodo in cui le restrizioni agli spostamenti delle merci (oltre che delle persone) erano più pesanti, si sono formati una serie di colli di bottiglia nell’approvvigionamento di materie prime e componenti. Quando la situazione torna gradualmente alla normalità, la domanda finale riparte ma i colli di bottiglia richiedono tempo per essere sbloccati. E lungo la catena, l’anello che impiega più tempo a tornare alla normalità finisce per rallentare tutti gli altri.

Poi ci sono effetti di riorientamento della domanda che creano difficoltà di approvvigionamento difficili da superare in tempi brevi. Caso emblematico, i wafer di silicio, materiali semiconduttori necessari a produrre i circuiti integrati. Durante il blocco Covid, è esplosa la domanda di sistemi di comunicazione, specialmente video, il che sul momento è stato compensato dalla drastica frenata produttiva di altri settori che utilizzano massicciamente i circuiti integrati: caso probabilmente più rilevante l’automotive.

La domanda in questi altri settori è adesso tornata grosso modo alla normalità, ma gli utilizzi nei sistemi di comunicazione rimangono invece molto elevati – quello è in larga misura un cambiamento permanente, tutti abbiamo imparato a videochiamare, e continueremo.

Risultato, i wafer al silicio sono oggi drammaticamente scarsi, bisogna costruire nuovi impianti anche per dipendere meno dall’Asia, gli USA stanno già partendo (mentre l’Europa come di consueto si contempla l’ombelico) ma i tempi sono stimabili in 3-4 anni.

Poi, c’è il cosiddetto baseline effect, che in realtà può essere definito un’illusione statistica. I prezzi di molti beni e servizi sono caduti nella fase acuta Covid, hanno recuperato poi, ma il semplice ritorno al trend precedente crea (transitoriamente) dati di inflazione anomali. Con un’inflazione al 2%, un livello 100 nel 2019 sarebbe diventato 102 nel 2020 e 104 nel 2021. Se nel 2020 siamo a un certo punto, per qualche mese, calati a 99, il ritorno al trend (cioè a 104) implica una variazione del 5% nei corrispondenti mesi del 2021: che è però, appunto, un’anomalia contabile.

Dovrebbe essere chiaro che sono tutti fenomeni transitori. Qualcuno si esaurisce in un anno scarso, qualcuno in un paio, ma nessuno implica una discontinuità permanente, men che meno l’innesco di inflazione a due cifre o di iperinflazione.

Ma i titoli di giornale e anche i report di certe banche d’affari che sparano a tutta pagina “mercati terrorizzati dal ritorno dell’inflazione !!!” che cosa indicano, allora ?

Essenzialmente, indicano che non solo i giornalisti ma anche parecchi analisti amano il sensazionalismo. Anzi alcuni analisti anche di più e il motivo si capisce: se prevedi qualcosa di sconvolgente e magari (per caso) ci pigli, diventi il nuovo Nouriel Roubini. Se sbagli, dopo poco non se lo ricorda più nessuno.

Se i mercati sono, o non sono, terrorizzati dall’inflazione non ce lo dicono i giornalisti e neanche i report degli analisti. Esiste una misura del tutto oggettiva che è la differenza tra il rendimento dei titoli di Stato a reddito fisso, e dei titoli indicizzati all’inflazione. Questa differenza è una previsione molto precisa dell’inflazione futura, formulata dalla media degli operatori di mercato (che ci scommettono sopra quantità di denaro MOLTO rilevanti).

Nel caso dei titoli di Stato USA (ovviamente in dollari), i treasuries a tasso fisso a 5, 10 e 30 anni oggi rendono rispettivamente 0,72%, 1,28% e 1,91%.

I rispettivi rendimenti per i TIPS (Treasury Inflation Protected Securities) sono invece -1,82%, -1,01% e -0,28%. Tutti tassi negativi: è prevista un’inflazione più alta dei tassi nominali, quindi tassi reali sotto zero.

La stima d’inflazione implicita in questi rendimenti è: 2,59% a 5 anni, 2,31% a 10 anni e 2,20% a 30 anni.

Queste stime sono medie di periodo. Se supponiamo che per i prossimi dodici mesi l’inflazione USA si mantenga ai livelli attuali – circa 5% - si scopre, utilizzando un po’ di matematica finanziaria, che il mercato sta prevedendo, per i VENTINOVE anni successivi, che i prezzi al consumo salgano in media… del 2% all’anno, centesimo più centesimo meno.

Intendiamoci, i mercati possono sbagliarsi e il futuro potrà magari raccontarci una storia completamente diversa. È successo tante volte.

Ma nel frattempo una cosa è chiara: “i mercati in panico per l’inflazione” esistono solo nella fantasia di qualche giornalista, di qualche analista alla ricerca di notorietà, e di qualche ex ministro delle finanze tedesco. Se c’è una cosa che NON sta mandando in panico i mercati OGGI, è l’inflazione.

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