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ilsimplicissimus

Cupola alla vaccinara

di Anna Lombroso

Abbiamo ormai capito che il cauto avvio del revisionismo pandemico prevede la concessione del diritto di parola e forse anche di comparsata in tv anche a qualche eretico prudente, a qualche sanitario timidamente perplesso, a qualche filosofo ammodino.

Purché però, ovviamente, esibisca le credenziali vaccinali, in modo da certificare l’adesione all’unico mezzo di contrasto all’apocalisse, secondo la narrazione governativa, tanto che ci sarebbe da suggerire un aggiornamento dell’algoritmo in modo che riporti il festoso autoscatto della cerimonia di somministrazione.

Deve essere per questa libertà di espressione condizionata, che in tutte le tribune, perfino quelle animate da pulsioni antagoniste e anticapitalistiche, c’è un nuovo fervore contestativo, dopo tante precauzioni e perplessità, depurato però da eccessi incompatibili con l’emergenza. Sicchè infilate nel contesto animoso trovano sempre spazio due o tre righe significative e una ferma dichiarazione di principio: non sono sfavorevole al vaccino, ho già fatto due e mi accingo alla terza o, cito proprio da un blog antiautoritario, “il sottoscritto, con tutte le perplessità del caso e la sua radicale sfiducia nei confronti delle multinazionali farmaceutiche, non è pregiudizialmente contrario alla vaccinazione, e infatti si è vaccinato”.

La referenza vaccinale viene cioè ostentata virilmente, come certificazione a punti, tanto da dar ragione alle farneticazioni di Flores d’Arcais e dei fan della spericolata equiparazione con la patente, dell’appartenenza al consorzio civile che impone il rispetto di regole e leggi anche quando sono esplicitamente illegittime e ingiuste, richiamando trascorsi non lontani di quell’obbligo di obbedienza ben interpretato come manifestazione della banalità del male.

Ora ce ne fosse uno che ammette di essersi vaccinato per paura – legittima almeno quanto quella di un vaccino autorizzato alla commercializzazione ma non approvato definitivamente dalla autorità sanitarie.

Ce ne fosse uno che riconosca di aver compiuto una scelta sulla base di informazioni, basate sulla convinzione e persuasione che si trattava dell’unica arma di contenimento del virus, affidandosi a una sola comunicazione ufficiale senza contraddittorio che ha censurato da subito dubbi e voci alternative.

Macché le motivazioni sono altre, di carattere etico, attinenti al senso di responsabilità collettiva, al dovere con l’esempio e la persuasione di consolidare la credibilità della Scienza, quella stessa della quale da anni si denunciava la dipendenza dall’industria e dalle regole del profitto, all’onere in presenza di un’emergenza, di dare fiducia ai decisori, quelli che da anni erano oggetto di critica e riprovazione, rinviando a dopo, al ritorno alla normalità, un possibile resa dei conti.

Questo fa pensare che, così come molti arruolati a forza nelle schiere turpi e ignoranti dei novax colpevoli di ogni delitto, anche questi illuminati avessero capito che proprio come il Green Pass, il vaccino non avesse solo e unicamente una funzione profilattica, ma fosse uno strumento di valutazione di un altro tipo di salute pubblica, per permettere di discernere i “sani” secondo i criteri del sistema, quelli che scelgono di stare dentro i confini stabiliti da chi comanda, dimostrando di voler far parte del fruttuoso capitale umano. Insomma il vaccino è stato l’utensile impiegato perché si imponesse un regime “sanitario” determinato a instaurare una dittatura capitalistica basata sul ricatto e l’intimidazione .

E che, quindi, assoggettarsi di buon grado era indispensabile per conservarsi l’accesso mediante certificazione a una gamma di diritti e servizi diventati privilegi elargiti in cambio di un pagamento simbolico. Tra questi va annoverato ovviamente anche il diritto di espressione restituito in forma limitata a chi mostra di voler osservare i limiti concessi dai governanti, ieri più severi, da qualche giorno meno rigidi in vista di rivelazioni obbligate dall’evolversi della situazione e che hanno smontato la sceneggiatura dell’horror millenaristico, mentre quello di manifestazione – non a caso – continua ad essere soggetto a restrizioni, confermando che più che la mascherina è d’obbligo un bavaglio che metta a tacere qualsiasi forma di contestazione.

Pare che dobbiamo a un fattore esterno, alla variante Omicron, che si presenta come contagiosa ma con effetti quasi irrilevanti paragonabili a una blanda influenza, “un raffreddore rinforzato anche nei non vaccinati”, parola di Bassetti questo cambio di rotta che potrebbe segnare la fine della pandemia come fenomeno sanitario. Mentre sicuramente non segnerà l’epilogo della crisi sociale che risale a più di un decennio prima del Covid e che il Covid ha aggravato.

Se ormai la “comunità scientifica” fa capire che siamo pronti a entrare nella fase di adattamento, malgrado uno degli effetti conclamati dei vaccini sia un abbassamento delle difese – e questo spiega il fatto che molti governi meno ottusi del nostro abbiano scelto soluzioni che favoriscono il contrasto alla patologia mediante le difese naturali – l’emergenza economica, commerciale, sociale e culturale invece non prevede adattamento, fa ipotizzare che il paziente, in questo caso un intero Paese, morirà non potendo fisicamente e moralmente convivere con la presenza costante del più tremendo agente patogeno, la povertà.

Non potrebbe essere altrimenti: proprio quello era il disegno originario della pendeconomia secondo Draghi, se per decretazione è stato stabilito il divieto di lavorare per tutti coloro che non si sono vaccinati e anche per quanti non vogliono fare ulteriori richiami, in modo da rimuovere anche il ricordo di trent’anni di tagli di personale, posti letto e presìdi ospedalieri, di medicina del territorio e di medicina d’emergenza imponendo la logica aziendalistica inevitabile ormai imprescindibile in ambito sanitario, e da promuovere il settore privato liberato dalla minaccia dalla concorrenza pubblica.

Lo conferma la visione della nuova sanità digitalizzata secondo il Pnrr, che esalta la figura di medici-funzionari e burocratizzati preparati per utilizzare telemedicina, piattaforme, app, intelligenza artificiale, protocolli amministrativi evitando il molesto contatto coi pazienti e consolidando i principi del distanziamento sociale ormai irreversibile.

Anche di questo verrà attribuita la responsabilità ai Novax, a quel 10% di irriducibili presto annoverati in apposite liste, che minacciano la salute intasando le terapie intensive che al momento sono invece occupate all’incirca al 15% da ultrasessantenni che soffrono di patologie preesistenti, che costringono le autorità controvoglia a esercitare una sorveglianza incompatibile con il dettato costituzionale e con le leggi sulla privacy, che hanno condannato a morte per fame pubblici esercizi che si sono adeguati ai comandi, alberghi, negozi centri estetici, cinema, teatri, parrucchieri, aperti ma vuoti, in regola ma falliti.

Mentre è ormai chiaro, salvo ai posseduti dai demoni dell’ideologia pandemica, che il vaccino come unica soluzione è stato il velo dietro al quale è stata celata la volontà del ceto dirigente di indirizzare ad altri scopi gli sforzi e gli investimenti che l’emergenza aveva reso prioritari e irrinunciabili, quelli per la ricerca scientifica e della sanità pubblica, per la qualificazione e l’assunzione delle risorse professionali nelle strutture ospedaliere e nella medicina territoriale.

A quello è servito farne lo strumento di selezione necessario alla istituzione della figura del capro espiatorio che identifica anche i riluttanti alla terza dose e chi è restio a sottoporre i propri figli alle attuali inoculazioni, diventati tutti nemici interni, potenziali insurrezionalisti intenzionati a destabilizzare e attentare alla coesione sociale, armi da disinnescare.

Hanno contribuito quelli che non hanno voluto vedere, che hanno ritenuto incruento rinunciare al proprio libero arbitrio e al rispetto del dettato costituzionale e dunque della democrazia, sottovalutando che si tratta di un processo irreversibile, quello dell’abiura e del tradimento.

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