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menticritiche

“Politica” ed elezioni. Lettera aperta ai “leader” d’opposizione governativa di ”sinistra”

di Giovanni Dursi*

Ancora una volta si procede in ordine sparso. I residui atomi di quello che fu il movimento proletario rivoluzionario, sembrano rianimarsi, con le migliori intenzioni, in prossimità delle Elezioni politiche. Pare che per costoro per costruire una società “nuova” sia utile e doveroso transitare da una elezione all’altra, cercare il consenso necessario (dal termine latino, consensus, "conformità dei voleri"), giocare ai duri e puri, finendo così, in ultima istanza, con il legittimare il regime democratico capitalista. Sembra che la contesa con il comando capitalista si dispieghi esclusivamente nelle proposizioni antiliberiste ed antifasciste, nella comunicazione sociale di una presunta diversità (alimentata da un infinito elenco di diritti negati e dalla contrarietà al non rispetto delle stesse leggi; potrebbe essere altrimenti nella società capitalista ?) che, tuttavia, non allude ad una identità politica-organizzativa antisistema. Anzi. L’indifferenza alle variabili rivoluzionarie di un processo antagonista vengono del tutto riassorbite dalla retorica e dalle buone ragioni, ma senza mai mettere in discussione l’assetto di potere, le contraddizioni di base sulle quali si impone e rinnova costantemente la storica divisione in classi del corpo sociale che vede il proletariato del XXI secolo ancora in catene, subalterno ed impotente.

Risulta evidente che ogni concezione comunista nell’edificazione d’una società migliore è stata accantonata, resa effimera, laddove si espunge la variabile organizzativa rivoluzionaria, il fattore politico della difesa di classe, quindi non solo giuridica e tradeuninista.

A queste obiezioni minime, si ripeterà - volendo giustificare l’agire militante in un ambiente democratico capitalista - la giaculatoria secondo la quale “non ci sono le condizioni”. Bleffando, se non mentendo a se stessi, perché le “condizioni” si costruiscono secondo strategie e tattiche, analizzando e valutando le “situazioni”, orientando le coscienze, testimoniando con il “fare”, dirigendo verso scopi condivisi la lotta di classe, mettendo anche a repentaglio quelle misere sicurezze che condannano alla subalternità i proletari, certamente non mendicando “spazi” radio-televisivi, interviste sulla stampa di regime o occupandosi di “costume”, come pare accadere a tal punto che il megafono dell’opposizione governativa oggi è nelle mani degli influencer.

L’idea del consenso ad un programma politico, ad una lista elettorale, ad rassemblement disoggettività plurali, distinte,con annessa “valorizzazione” di personalità tutt’altro che comunistescelte come leadershipha la lieve consistenza di un perverso gioco che non prevede la vittoria, semmai qualche “tribuno del popolo” baciato dalla fortuna. Questa esperienza elettorale, in verità, viene periodicamente utilizzata soprattutto per definire l'accordo su di un determinato ordine sociale, sulle regole che presiedono al funzionamento delle istituzioni che lo governano. Benché il consenso elettorale entri in gioco anche rispetto a obiettivi specifici che caratterizzano le politiche (di natura economica, assistenziale, ambientale ecc.), come sempre accade, anche in questa circostanza ci si focalizza soprattutto sulle modalità e il grado di partecipazione popolare che riguardano l'esercizio del potere, il contenimento della violenza nei rapporti sociali, la legittimazione dell'autorità, insistendo particolarmente sui dispositivi politici e istituzionali finalizzati al sostegno dei diversi regimi politici capitalisti, in primo luogo quelli ad impianto democratico, e dando risalto all'opinione pubblica, ai modi con cui si determina, all'influenza dei mezzi di comunicazione di massa.

È un circolo vizioso. Ancora una volta, dunque, qs'assiste allo svogliato risveglio del dibattito pubblico – dopo gli anni dedicati alla pandemia e mesi, ora, ai riposizionamenti geopolitici, alle conseguenti deflagrazioni militari e alle convulsioni per l'accesso alla materie prime – come ideological mainstreamche vuole intendere la “politica”, in Italia, alla maniera di un esclusivo e spettacolare evento elettorale.

Tutti, come capita ai tifosi delle squadre di calcio, si ringalluzziscono in prossimità della “partita” più importante, quella delle settembrine elezioni politiche per il rinnovo (rinnovo ???) del Parlamento della Repubblica italiana.

Tutti ne parlano, tutti fanno a gara nel fornire la formazione imbattibile, tutti impegnati a scegliere e ad indossare la casacca “stilisticamente” giusta della squadra vincente per favoleggiare nei comizi, nelle convention o in sobrie conventicole. Tutti intenti a scrivere in bella calligrafia (in verità, a riscrivere) programmi ed a confezionare promesse. Dopo l'allenamento delle recenti amministrative, tutti pronti a fare spallucce alle sconfitte subite prevedendo rivincite o quantomeno pareggi. L'importante è giocare, the show must go on.

Addirittura capita che alcuni hanno intrapreso il percorso del cartello elettorale dell’Unione popolare (ma non si era già giunti al “Potere al popolo”?), forse ignari che con la stessa denominazione ha agito un partito politico di orientamento liberal-democratico e nazionalista attivo in Belgio, nella comunità fiamminga, dal 1954 al 2011, ma sicuramente coscienti di operazioni simili effettuate nel passato, di un tristissimo déjà-vu, perché convinti che si possa fare come Jean-LucMélenchon in Francia che, con La France Insoumise ha costruito un discreto successo inventandosi all'occorrenza una coalizione di “sinistra” la Nup (Nouvelle Unione Populaire écologiste et sociale) che riunisce momentaneamente coriandoli multicolori estranei al tradizionale establishment economico-politico, subculture politiche eterogenee.

Come tratto unitario delle esperienze in fieri è certamente il rinculo politico-culturale; infatti c'è un evidente smarrimento scientifico-sociale, politico ed organizzativo che porta tutti i contendenti nell'agorà elettorale ad appoggiarsi alla general-generica parola “popolo”.

Il termine, come è noto, fornisce storicamente origine, in campo politico-elettorale, al lemma “populismo” usato per designare tendenze o movimenti politici sviluppatisi in differenti aree e contesti nel corso del 20° secolo. Tali movimenti presentano alcuni tratti comuni, almeno in parte riconducibili a una rappresentazione idealizzata del ‘popolo’ e a un’esaltazione di quest’ultimo, come portatore di istanze e valori positivi (prevalentemente tradizionali), in contrasto con i difetti e la corruzione delle élite. Infatti, Fratelli d'Italia sta costruendo le sue fortune (stando ai sondaggi) proprio sulla reiterata allusione agli “italiani” (quali non è dato sapere), alla Nazione, alla strategia della xenofobia utile a costruirne un'identità che faccia da collante, bypassando le sussistenti oggettive gerarchie sociali e le fondamentali differenziazioni di classe.

Inoltre, tra questi tratti comuni ha spesso assunto particolare rilievo politico la tendenza a svalutare forme e procedure della democrazia rappresentativa (su questo punto, per certi versi, non ci sarebbe nulla di censurabile in una conseguente e radicale critica alla “democrazia reale”, o “incompiuta”, che dir si voglia, a quanto si è palesato dal 1943 al 1948 con la rottura dell'unità antifascista e, successivamente, con i decenni di degrado civile che portano ai nostri giorni), privilegiando modalità di tipo plebiscitario, e la contrapposizione di nuovi leader mediaticamente carismatici a organizzazioni politiche da tempo presenti sulla scena politica ed a esponenti del ceto partitico tradizionale.

Il fenomeno contagia indistintamente ogni attuale “offerta” del mercato politico, indotto da una situazione economico-sociale in rapido mutamento peggiorativo per le masse a causa del passaggio da una economia capitalista incentrata sullo “sviluppo” industriale e tecnico ad una fase economica di perdurante “crisi” e di penuria e da sistemi politici a partecipazione “surrogata” della masse a sistemi che registrano una estesissima estraneità/ostilità civica ed una contestuale sopravvivenza di privilegi che integrano l'astensionismo.

Ecco, dunque, la presentazione di slogan populisti da parte di capipartito che si confezionano addosso l'abito del “portavoce delle esigenze del popolo”, attraverso l’esaltazione dei valori nazionali, senza aver mai reciso i legami con il passato, tanto meno dimostrare di aver intenzione di avviare una autentica revisione (patetiche, a questo proposito, le interviste che vogliono sollecitare il “pentimento” da parte di esponenti di Fratelli d'Italia; quest’ultimi retoricamente affermano non esserci spazio per i “nostalgici del Fascismo” in quanto loro stessi, generazionalmente o no, sono la plastica evidenza che in una democrazia in disfacimento c'è ancor più spazio per la “destra”), di propugnare l’instaurazione con esso popolo di un rapporto diretto, non mediato dalle istituzioni tradizionali; tuttavia, ad elezioni effettuate, “passata la festa, gabbato lo santo”.

La politica non riguarda più da anni il rito folcloristico ed alienante delle elezioni; la mobilitazione coscienziale e pratica delle masse va incentivata ogni giorno, ricostruendo il tessuto comunitario di classe, dotandosi degli strumenti teorico-politici necessari ad agire “contro” il vigente sistema e non per farne parte.

Spesso tale cosiddetta “partecipazione elettorale”, vivacemente incentivata da gruppi e gruppuscoli che fanno campagna promozionale di qualche lista per poi ritirarsi nell'inedia a leccarsi le ulteriori ferite, sollecita il potere, depositario del monopolio delle forza, a consolidare il mantenimento di un elevato, devastante, controllo sociale, anche grazie al "libero voto".

Altrimenti. Altrimenti risvegliare pensieri in ristagno, zampilli di vita rivoluzionaria, integrale, senza remore fuoriuscire dal circo della "politica partitico-elettorale" ... altro che affabulazioni, a suo tempo, vendoliane, bertinottiane ed oggi demagistriane ed affini !

Creare le condizioni della scissione sociale. Ogni mediazione si è palesata come storicamente fallimentare. I cosiddetti “gradualismo” e “riformismo” hanno drammaticamente fallito. Non può esserci compatibilità tra diritti e sfruttamento. Ogni ragionamento geopolitico deve fare i conti con questa oggettività. Inoltre, la “rivoluzione” dei rapporti sociali non è una questione solo per giovani, come se a 60 e passa anni, non si voglia o non si possa più procedere individualmente e collettivamente alla trasformazione sociale. Che i giovani dimostrino di saper effettuate scelte, senza riserve o garantite autotutele. Che gli “esperti” continuino un difficile cammino di liberazione, troppo presto ingombro di passi falsi, da alcuni abbandonato per seguire attraenti menzogne sirèniche.

Certi stolti vedono la critica delle parole qcome unico strumento orientativo per la coscientizzazione di massa ed efficace auspicio (??? ?? .) di cambiamenti. Per costoro questa è “azione politica” ! Stolti !

Viceversa, avviamo seriamente la discussione sul “comunismo possibile”. Un background comune è costituito dall’esperienza storico-politica del proletariato rivoluzionario, dai testi marxiani (in particolare, le opere scritte tra il 1845 e il 1847 e la Prefazione del 1859 a Per la critica dell'economia politica), leniniani e marx-leninisti sulle tematiche di fondo: “base” (realtà economico-sociale costituita dal sistema materiale di produzione e consumo), sovrastrutture (sistema delle relazioni ulteriori che si generano – bedingt - dalla fondamentale contraddizione capitale-lavoro - ne sono causalmente determinate - a garanzia della riproduzione della formazione economico-sociale dominante), trasformazione collettiva (politica di classe ed organizzazione rivoluzionaria) e fuoriuscita dal modo di produzione e consumo capitalista ed estinzione dello Stato. Questo patrimonio culturale va messo in relazione con l'attuale situazione dell'antagonismo sociale alla “crisi” ristrutturativo-globale del capitalismo delle multinazionali, poiché è sempre in agguato la spinta ideologica degenerativa che vede nella “teoria” un dogma (fantasmi retorici si aggirano tra le fila degli anticapitalisti) e nelle “prassi” sociali della lotta tra le classi una rappresentazione astorica (oscillante tra il poco dignitoso tradeunionismo e velleitarismi insurrezionali). Conseguentemente, saranno approfonditi gli aspetti storici (bilancio del movimento comunista mondiale) e teorico-politici legati alle fasi della transizione, alla “dittatura del proletariato” e al “dominio politico di classe” per meglio definire una strategia politica frutto della convergenza tra conoscenza scientifica e comportamenti sociali coscienti, veicoli realmente efficaci della trasformazione collettiva. Privi di un programma del genere, si realizza solo “cattivo teatro”. Che si parta da uno spazio libero di discussione teorico-politicamente creativa e di condivisione di esperienze antagonistico-sociali e trasformative. Un'impresa collettiva, un invito a fuoriuscire dall'ortodossia democraticista che si auto-riferisce e dalla “miseria della Filosofia”.


* Docente M. I. di Filosofia e Storia

Comments

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romke
Tuesday, 30 August 2022 10:47
grazie per l'articolo. sono sostanzialmente d'accordo con quanto lei propone. io però ci andrei più deciso senza tema di perdersi questi opportunisti che, pur facendo fatica già a rappresentare se stessi, si propongono come rappresentanti del proletariato (o forse solo della piccola borghesia scornata) nell'ambito della democrazia dei borghesi. dire che loro sono opportunisti, che non hanno principi ne programmi, che muovono la coda elettorale in vista dei rimborsi dello stato borghese, che in ultima analisi sono agenti della borghesia all'interno del proletariato
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Giovanni Dursi
Tuesday, 06 September 2022 14:57
Grazie per la considerazione. In un lavoro più ampio di critica della “democrazia reale” che ricomprende i contenuti del post in questione, i termini sono rigorosamente radicali. G D
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