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Gas russo, soddisfazione yankee e precipizio “europeista”

di Fabrizio Poggi

Le esplosioni al Nord Stream possono portare a un conflitto fatale con l’Occidente, titolava due giorni fa Komsomol’skaja Pravda, specificando che nell’area degli scoppi che hanno reso inservibili i gasdotti, erano stati notati vascelli NATO.

Se verranno confermate le «supposizioni secondo cui dietro i sabotaggi ci sono servizi speciali americani e NATO, significa che l’Occidente è passato alle dirette azioni di guerra contro la Russia, a cui noi dovremo rispondere in maniera adeguata. Sembra che il conto delle ‘ore del Giudizio universale’, che segnano il tempo rimanente prima di un conflitto globale, stia già segnando i secondi».

La Russische Nachrichten riporta l’opinione secondo cui il sabotaggio di entrambe le linee del gasdotto è la reazione americana al referendum nelle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk e nelle regioni di Kherson e Zaporož’e. In ogni caso, scrive la stessa fonte, con questo atto, la UE è diventata teatro di guerra.

Ora è chiaro che non si tratta dell’Ucraina, ma di una guerra degli USA contro la Russia, diretta anche contro la Germania. Non è più solo una guerra economica tra Occidente e Russia; è una dichiarazione di guerra USA agli europei: alla Germania è stata dichiarata guerra dal suo principale alleato.

Stando ai fatti, scrive Andrej Baranov ancora su Komsomol’skaja Pravda, la stazione sismografica svedese, situata poco distante dalla zona degli incidenti, ha registrato due forti esplosioni subacquee, di una potenza equivalente a 100 kg di tritolo.

A questo, vanno aggiunti, oltre le note dichiarazioni fatte a febbraio da Joe Biden e due giorni fa dall’ex Ministro degli esteri polacco Radek Sikorsky, la presenza in loco, al momento dei fatti, di una squadra USA guidata dalla nave da sbarco “Kearsarge”, l’annuncio fatto al Congresso americano di esercitazioni svolte da palombari britannici proprio in quell’area e la decorazione di due marinai britannici per aver svolto importanti missioni in acque internazionali.

In ogni caso, il Nord stream è fuori uso, con ogni probabilità definitivamente.

In tale situazione, il presidente dell’americana Teucrium Trading, Sal Gilbertie, osserva su Forbes che le riserve di gas nei paesi UE finiranno presto e ciò costituirà una tragedia, senza il gas russo, dato che in inverno la domanda di gas supera il volume di estrazione: «Per eliminare lo squilibrio stagionale tra domanda e offerta, è necessario stoccare i volumi di gas in eccesso prodotti durante l’estate. Quando arriva l’inverno e la domanda di gas supera la produzione, questo squilibrio può essere compensato attingendo ai depositi».

Secondo Gilbertie, sembra che la Germania e altri paesi europei siano riusciti a economizzare abbastanza gas in estate, ma la perdita di gas russo è come la perdita totale di salario per una famiglia, mentre GNL, gasolio, carbone e persino legna da ardere non sono altro che un introito simile a quello dato da un lavoretto accessorio temporaneo.

«Sulla scala del fabbisogno energetico di un paese, tale “introito accessorio” aiuterà a coprire i bisogni base (gas per riscaldamento, cucina, strutture sanitarie, servizi d’emergenza) e, forse, alcune spese aggiuntive per “i giorni di festa” (gas per piccole imprese, uffici, industria leggera). Ecco come appare l’attuale situazione energetica in Europa».

Poi, aggiunge, sarà solo peggio: le riserve nei depositi si esauriranno verso metà inverno, a condizione che questo non sia particolarmente rigido e i flussi energetici alternativi siano adeguati. Sarà ancora peggio, se la prossima estate non si riuscirà a riempire i depositi: l’inverno 2023 potrebbe risolversi in una «catastrofe economica e tragedie umane».

Purtroppo, conclude Gilbertie, la «dura realtà consiste nel fatto che quest’inverno sarà duro, ma tra un anno l’Europa potrebbe di nuovo trovarsi nelle condizioni di quel consumatore disoccupato, le cui risorse sono appena sufficienti per i beni di prima necessità».

Questo, detto da un americano a proposito dell’Europa.

Non appaiono migliori le “previsioni” (o gli auspici) di altri americani riguardo l’economia russa. Quelli di Bloomberg si stanno fregando le mani, annunciando la caduta del PIL russo per la mobilitazione parziale decretata nei giorni scorsi. A detta degli analisti yankee, a fine 2022 la caduta si aggraverà di uno 0,25%, raggiungendo il 3,75%, mentre l’inflazione nel 2023 crescerà di 0,5 punti percentuali, attestandosi a 6,5%.

Ma, osserva Realtribune.ru, quelle previsioni, pure nelle condizioni della mobilitazione, della deindustrializzazione e di un’estrema dipendenza dalle importazioni, sono tutte interne all’economia di mercato e non tengono conto di una possibile introduzione di una «pianificazione statale, anche solo allo stadio primitivo, di una standardizzazione industriale, di un monopolio statale su ricerca scientifica e infrastrutture»: tutte misure, insomma, che pur non uscendo dalla cornice di rapporti capitalistici, sono estranee alle previsioni fatte dagli “esperti” americani.

Tanto più, osserva Realtribune, che disponiamo ancora di «un modello super produttivo di sostegno del Tesoro: di fatto, un sistema statale di calcolo di cassa, con tassi di interesse minimi (in decimi percentuali), in grado di sostituire l’intero settore bancario… Non dimentichiamo, che le previsioni rappresentano quasi sempre uno strumento di guerra informativo-economica, volto a influire sulle decisioni altrui e a vantaggio di qualcun altro».

La Russia attuale non svolta certo verso il socialismo: è solo in grado, se lo vuole, di sfruttare gli strumenti che ogni economia mercantile ha (avrebbe) a disposizione per difendere il capitale nazionale, se solo avesse un briciolo di volontà e di indipendenza.

Tra l’altro, l’analista turco Arif Asalıoğlu scrive su IARex.ru che si sta osservano una crescita vertiginosa di imprese aperte in Turchia con capitali russi. Oltre a esser divenuta praticamente l’unica via di transito aereo da e per la Russia, a causa della chiusura dello spazio aereo dei paesi occidentali, nel numero delle imprese aperte a Antalya e Istanbul negli ultimi sei mesi, quelle russe costituiscono la schiacciante maggioranza.

A parere di Bartu Soral, le società occidentali che hanno lasciato la Russia vengono sostituite da società turche, mentre l’embargo russo sulle importazioni viene aggirato passando dalla Turchia; lo stesso per le esportazioni: ciò «rappresenta una minaccia per l’embargo? Sì. Infatti, né UE, né USA vogliono che la Russia si accaparri il nostro mercato. La mia interpretazione è che si assiste a un mondo che cambia, un brusco cambiamento negli equilibri».

Anche l’economista Bahadir Ozgur rileva come, a partire dal marzo scorso, ci sia stata una crescita esplosiva nel numero di nuove società a partecipazione russa. Negli ultimi tre mesi, la quota di società con capitale russo, sul totale, è del 96%. Si tratta principalmente di «aziende che operano nel commercio estero e anche l’IT/software è un’area interessante; ma, in termini di capitale, al primo posto ci sono aviazione e industria mineraria».

Tutto ciò, scrive Edvard Česnakov su Komsomol’skaja Pravda, non ha impedito alle banche turche di rifiutare il sistema di pagamento russo “MIR”: «formalmente, sotto pressione USA». Al tempo stesso, sempre quest’anno e nonostante l’isteria statunitense, la Turchia ha acquistato un secondo reggimento di sistemi missilistici S-400. E se qualcuno si domanda come faccia Mosca a tollerare lo sgarbo di Ankara per il “MIR”, altri si chiedono come facciano gli USA a tollerare le mosse del Sultano.

Di fatto, osserva Česnakov, sia Mosca che Washington hanno un «disperato bisogno di Erdogan. La Russia, quale giocatore neutrale nel periodo della Operazione speciale. Immaginate, se la flotta britannica entrasse nel mar Nero attraverso il Bosforo e i Dardanelli per aiutare l’Ucraina… Erdogan non la lascia entrare. Non per amore verso di noi, ovviamente, ma perché, se lo facesse, non potrebbe più fungere da principale e unico moderatore del conflitto. Anche gli USA, però, hanno bisogno della Turchia, come secondo esercito più potente della NATO».

Certo è che, con un’inflazione che in agosto superava l’80%, ogni sogno di “Grande Turan” sarebbe poco proponibile a «un elettore con il frigorifero vuoto».

Il miracolo che potrebbe risollevare l’economia turca, conclude Česnakov, con le elezioni politiche previste per l’estate del 2023, potrebbe aversi se la Turchia rompesse con l’Occidente, integrandosi nell’Unione economica eurasiatica, ponendosi così in grado di ricevere risorse energetiche a basso costo. «Ora sembrano fantasie. Ma 8 anni fa, quando combattenti filo-turchi abbatterono un Su-24 russo sulla Siria, anche l’attuale neutralità di Istanbul sembrava impossibile».

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