Morire con le mani in alto
di Davide Carrozza
Cari mamma e papà,
sono passati più di cinquant’anni dall’ultima lettera che vi ho scritto, poco tempo dopo alla Spiotta tutti i miei sogni rivoluzionari che in quella lettera vi descrissi, si dissolsero con due pallottole conficcate nella zona ascellare che bucarono il mio petto pieno di speranze. Come sapete già in tempi non sospetti dimostrai il mio spirito rivoluzionario quando dopo il mio 110 e lode con la mia tesi su Marx alzai il pugno sinistro per festeggiare. Quando qualche anno dopo fondai le Brigate Rosse insieme ad Alberto e Renato…ce lo dicemmo spesso. Dovevamo essere pronti a tutto. Pronti all’imponderabile, pronti all’irreparabile. Pronti a trascorrere in carcere gran parte della nostra vita, consci della forza del nostro nemico, lo stato. E questo bene che ci andasse. Dovevamo essere pronti a morire nei più atroci dei dolori in conflitti a fuoco estemporanei, perché fermati da una volante, perché beccati durante un esproprio, o perché già arrestati non in grado di continuare la lotta anche dal carcere. Pronti a tutto per la rivoluzione, perché chi sarebbe venuto dopo di noi trovasse la strada aperta al cambiamento, per stabilire gli equilibri tra chi ha tutto e chi non ha niente, fra quelli delle baraccate costruite con i cartoni e quelli dei Parioli. Cari genitori, sapevo bene che il mio destino era segnato, ma fra tutti i finali possibili della mia vita mai avrei immaginato l’epilogo che il fato mi serbò quel 5 Giugno del ’75. Mai mi sarei aspettata di morire con le mani in alto.
Mai mi sarei aspettata che pur essendomi arresa, pur dopo aver scelto il destino migliore fra i peggiori, la galera alla morte, che un uomo in divisa mi freddasse senza pietà. Un fato che va oltre l’imponderabile, in nessun modo preventivabile, nemmeno per noi rivoluzionari. Posso anche comprendere come uno stato in guerra con noi (come noi lo eravamo con loro), pur dopo un’autopsia che non lascia dubbi, decise di ignorare le responsabilità dei carabinieri. Ma anche dopo cinquant’anni, quando si decide di riesumare la mia storia per capire chi sparò al povero appuntato D’Alfonso, nessuno si chiede invece chi e perché sparò a me con le mani in alto. Non è bastato che il compagno “Menco” raccontasse di esserci quel giorno e di avermi vista arresa e in ginocchio prima di dileguarsi nel bosco, per poi non vedermi mai più.
Allora mamma e papà ditemi voi, che cos’è la verità? E’ davvero cercare la verità quando ciò che interessa è solo parte di essa? E anche quando la si è trovata, la si può chiamare sempre verità se parte di essa rimane oscura? Perché per capire com’è morto il povero D’Alfonso si è messo in piedi un processo raggirando le regole del diritto? Perché invece a nessuno interessa come sono morta io? Abbiamo deposto le armi all’epoca delle leggi sulla dissociazione, quasi quarant’anni fa. Abbiamo tutti pagato. Chi con la galera, chi con la vita e chi con il conto della coscienza, perché si vuole ancora vendetta. Voi lo sapete mamma e papà che al processo non sono stati ammessi gli storici? Lo sapete che non ci sarà nessuno a dire chi eravamo, cosa volevamo e come facevamo le cose. Nessuno. Nessuno nemmeno per dire cosa abbiamo sbagliato, come lo abbiamo fatto e perché. Per cosa lavora la storia allora quando in eventi come questi non viene accolta? A cosa serve l’uomo che studia la storia se non a raccontarlo ad altri uomini quando diventa necessario? E soprattutto, perché questo paese non riesce a fare i conti con il proprio passato?
E poi si sa è sempre così, la storia lo ha sempre insegnato. Quando lo stato sovrano e imperialista tira troppo la corda c’è sempre qualcuno pronto a ribellarsi, se quel qualcuno è forte in numero, è organizzato ed ha alle spalle qualcun altro ancora più forte con interesse a farlo vincere, allora può vincere. E’ successo in Spagna nel ’36, da noi nel ’45 in Cile nel ’73 con il colpo di stato contro Allende Made in USA. E potrei fare tanti altri esempi. Se invece quel qualcuno che si ribella è sgangherato e disorganizzato come noi, allora è destinato a perire, è destinato ad eterna rappresaglia, è destinato a damnatio memoriae.
Sia ben chiaro cari genitori, io non cerco alcuna vendetta. A mezzo secolo di distanza non sarà certo un tribunale a ristabilire le colpe e a mettere a posto le coscienze degli uni e degli altri, non sarà certo un tribunale a poter capire perché finimmo con lo spararci a vicenda, quel giorno come in tanti altri giorni. Del resto non avrei alcuna ricompensa per la mia giovane vita spezzata a vedere qualcuno dietro le sbarre mezzo secolo dopo…ma che non sia venuto in mente a nessuno nemmeno di chiedersi come mai una donna con le mani in alto quel giorno fu freddata, proprio ancora non lo capisco.
Non è la prima volta che lo stato si dimostra così inutilmente vendicativo, come quando fu istituita la Legge Reale, che legittimò l’uso delle armi da parte delle forze di polizia…o come quando dopo il sequestro Dozier molti compagni e compagne furono torturate barbaramente. Non basta il carcere allo stato? Non è sufficiente pagare con la privazione della libertà che in celle così, in quelle condizioni, è a volte peggio della morte?
Cari mamma e papà, il passato sarà sempre passato e non passerà mai finché non decideremo tutti di farci i conti. Mi avete messa al mondo ad Aprile del ’45 pochi giorni prima della liberazione, liberazione dalla tirannia, liberazione dall’oppressione. Mai nessuno però sarà davvero libero se non si libererà dalla forma di oppressione più subdola che l’essere umano abbia mai imposto a se stesso: la vendetta.
Vostra sempre,
Mara

Ruggero Lenci – “Mara Cagol 1” olio su tela, 68×48, 2018







































Comments
No, mara era ben consapevole di aver deciso di combattere uno Stato borghese e certo non si aspettava altro da loro.
Penso che una eventuale lettera sarebbe servita per ribadire le motivazioni di quella scelta evidenziate anche da quanto è avvenuto quel giorno alla "Spiotta". Solo fascisti, sionisti i nazisti uccidono anche dopo che ti sei arreso. L'attualità sta proprio nel ribadirlo anche oggi. Onore alla compagna Mara.