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Ucraina: l’Europa in trappola

di Michele Paris

La recente intervista di Trump alla testata on-line Politico ha fatto salire l’isteria dei governi europei a livelli senza precedenti, dal momento che il presidente americano ha ribadito per una platea decisamente più ampia la marginalità del vecchio continente per le priorità di Washington, in linea con quanto ratificato ufficialmente nel nuovo documento strategico sulla sicurezza dei giorni precedenti. L’Europa si ritrova così, nell’immediato, a dovere trovare un modo per prolungare la guerra in Ucraina contro le intenzioni degli USA, pena il dover fare i conti con una sconfitta epocale che metterebbe in discussione ancora di più la residua legittimità della sua classe dirigente e del progetto ultra-screditato che rappresenta. Trascinando Kiev verso una tragedia ancora più grande di quella che già sta vivendo, rischia però di avere un costo ancora maggiore, in termini sia di distruzione e perdita di vite umane – non solo tra gli ucraini – sia economici, oltretutto in un quadro complessivo già pesantemente deteriorato da quasi quattro anni di guerra.

L’accettazione del “piano di pace” di Trump, in qualsiasi forma dovesse essere concordato con Mosca, comporterebbe per l’Europa il crollo dei sogni di infliggere una “sconfitta strategica” alla Russia. Assieme all’ammissione dello spreco di centinaia di miliardi di euro, in parte finiti nel buco nero della corruzione ucraina, per un progetto irrealizzabile. Oltre a ciò, i governi dei vari Merz, Macron, Starmer e Tusk sarebbero chiamati a spiegare ai loro elettori le decisioni sciagurate di questi quattro anni, così come la loro indifferenza verso la corruzione del regime di Zelensky e la sua deriva verso una sostanziale dittatura mentre si è ripetuto ad nauseam l’imperativo di salvare la “democrazia” ucraina.

Per questi e altri motivi, i leader europei semplicemente non possono accettare una sconfitta in Ucraina, almeno non finché potranno sacrificare altri cittadini di questo paese o tenere in piedi lo sforzo bellico di Kiev per resistere all’avanzata russa sul campo. Essendo Trump quasi del tutto defilatosi, il denaro da trasferire all’Ucraina ormai agli sgoccioli e la macchina da guerra di Mosca vicina a raggiungere i propri obiettivi, all’Europa non resta che continuare a perseguire l’obiettivo di mettere le mani sui fondi russi congelati con le sanzioni imposte a partire dal febbraio 2022. I circa 200 miliardi di euro immobilizzati in gran parte in Belgio sono questione di vita o di morte per l’Europa (e per Kiev) e servono subito per evitare la bancarotta dell’Ucraina e il crollo della linea del fronte.

Il furto puro e semplice di denaro di uno stato sovrano viene venduto sotto altro nome – “prestito per riparazioni” – per dare ad esso una patina di legalità. Ma ciò ancora non basta. Le conseguenze legali che si prospettano per i ladri, il cui cervello – per così dire – siede al vertice della Commissione Europea, sono esplosive e alcuni governi si oppongono alla manovra allo studio, primo fra tutti quello belga, che teme giustamente le conseguenze delle ritorsioni russe.

Ecco allora il colpo di genio. Ovviamente piegando ancora una volta le regole. Se l’obiettivo è un furto, l’ultimo dei problemi è il rispetto della legge che lo vieta. Giovedì, l’Europa ha così votato il congelamento permanente dei fondi russi, che non potrebbero essere sbloccati e restituiti al legittimo proprietario nemmeno se e quando le sanzioni venissero cancellate. L’altro meccanismo scelto per la requisizione dei fondi, anche se nominalmente faranno solo da garanzia al “prestito” a Kiev, è l’invenzione di una crisi che giustifichi un voto a “maggioranza qualificata” sulla questione, così da neutralizzare l’opposizione di quei paesi che vi si oppongono.

Il primo ministro belga, Bart de Wever, ha condannato questo metodo spiegando che in Europa non esiste nessuna crisi. Una crisi è in atto in Ucraina, ma l’Ucraina non fa parte dell’UE. Quindi, il voto che non richiede l’unanimità, in base all’articolo 122 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, è di fatto illegale e il Belgio si riserverà il diritto di denunciare davanti a un tribunale l’eventuale decisione di requisire i fondi russi. In questo scenario si inserisce l’intervento di giovedì del segretario generale della NATO, Mark Rutte, che ha superato sé stesso nel vomitare propaganda guerrafondaia per dare l’impressione di essere davanti a una minaccia esistenziale per l’Europa.

Una “crisi”, appunto, che sarebbe rappresentata dalla possibilità concreta che la Russia attacchi l’Europa e che la nostra generazione, come ha spiegato Rutte, sia costretta a vivere una guerra le cui conseguenze saranno altrettanto gravi di quelle patite dai “nostri nonni e bisnonni”. Il riferimento è ovviamente al secondo conflitto mondiale e, di conseguenza, quello che i cittadini del vecchio continente, inclusi i più convinti europeisti e i sostenitori della causa ucraina, devono aspettarsi per l’immediato futuro è la totale distruzione dei loro paesi e decine di milioni di morti.

La serietà delle parole di Rutte rivela la fretta dell’Europa per sciogliere il nodo del furto dei fondi russi. L’emorragia di risorse che affligge l’Ucraina rischia di uccidere il paziente in pochi mesi e gli ultra-indebitati governi europei, già con livelli infimi di popolarità in patria, non hanno altre risorse da mettere sul tavolo per il regime di Zelensky. 180 o 200 miliardi di euro darebbero ossigeno a Kiev e il colpo di mano dell’Europa potrebbe anche ostacolare in maniera definitiva le già complicate trattative di pace che si giocano sull’asse Mosca-Washington.

La vera incognita è però quello che succederebbe se Bruxelles alla fine non riuscisse a usare i soldi russi. L’Europa, invece di rassegnarsi e collaborare a mettere fine al conflitto, potrebbe decidere di lanciarsi definitivamente dal burrone – e senza paracadute – entrando direttamente in guerra contro la Russia, con ogni probabilità in seguito a una provocazione messa in atto a tavolino. La posta in gioco per una classe dirigente che ha perso da tempo il senso della realtà è talmente alta da spingerli verso una decisione di questo genere pur di non accettare la sconfitta.

Il problema per i guerrafondai europei è che senza il sostegno americano la guerra contro la Russia rischia di chiudersi in fretta e non certo a loro favore. Trump, come ha confermato anche il recente nuovo documento strategico sulla sicurezza USA, potrebbe abbandonare gli alleati nominali al loro destino. Ma questa ipotesi è oggi pura teoria. In caso di guerra con la Russia le pressioni in America sarebbero enormi. In Europa ci sono migliaia di soldati americani e decine di basi militari. Un attacco contro i primi o le seconde sposterebbe gli equilibri in maniera decisiva e, se pure Mosca non avrebbe nessun interesse a farlo, ci penserebbero senza troppi scrupoli gli alleati degli Stati Uniti a ideare una qualche “false flag”.

Per la crisi ucraina sono dunque settimane decisive. La Casa Bianca vuole un accordo entro fine anno e l’Europa cerca in qualsiasi modo di far saltare definitivamente la diplomazia. I tempi sono strettissimi e ogni giorno che passa avvicina l'Europa a una scelta drammatica: cedere alla realtà e accettare una sconfitta strategica, oppure compiere un salto nel buio, piegando le proprie stesse leggi e rischiando un'escalation senza ritorno pur di ritardare l'inevitabile.

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