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la citta futura

Per una corretta definizione di classe

di Gianfranco Pala

È di moda, soprattutto nei tempi di indebolimento del pensiero, predicare la fine delle classi e, a fortiori, della lotta di classe

A seguito della pubblicazione della venticinquesima edizione del Rapporto annuale dell’Istat di cui trattiamo in uno specifico articolo, la redazione della Città Futura ritiene necessario proporre questo breve testo apparso sul numero 51 della rivista Contraddizione nella sezione quiproquo col titolo “Classe (definizione)”.

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È di moda, soprattutto nei tempi di indebolimento del pensiero, predicare la fine delle classi e, a fortiori, della lotta di classe. Che ciò sia fatto dall’ideologia dominante è ovvio; che tale predica venga assimilata e ripetuta acriticamente dagli esponenti dell’”asinistra” è conseguenza necessaria proprio di quello stesso dominio di classe “solido e pericoloso” che costoro vorrebbero far credere di esorcizzare. E la faccenda non è recente, se già Marx si sentì in dovere di precisare, nel poscritto alla seconda edizione del primo libro del Capitale, che “l’economia politica, in quanto concepisce l’ordinamento capitalistico come forma assoluta e definitiva della produzione sociale, può rimanere scienza soltanto finché la lotta delle classi rimane latente o si manifesta soltanto in fenomeni isolati. Dal momento in cui la lotta fra le classi raggiunse, tanto in pratica che in teoria, forme via via più pronunciate e minacciose, per la scienza economica borghese quella lotta suonò la campana a morte. Ora non si trattava più di vedere se questo o quel teorema era vero o no, ma se era utile o dannoso, comodo o scomodo al capitale, se era accetto o meno alla polizia. Ai ricercatori disinteressati subentrarono pugilatori a pagamento, all’indagine scientifica spregiudicata subentrarono la cattiva coscienza e la malvagia intenzione dell’apologetica”. Del resto, che la lotta di classe appaia spenta agli occhi dei proletari è inevitabile in momenti in cui la parte attiva di codesta lotta venga perseguita dalla borghesia trionfante, ancorché in crisi, e non sia più svolta se non marginalmente dal proletariato stesso. Tutto ciò non esime dal riconoscere le contraddizioni del modo di produzione capitalistico, il persistere della lotta delle classi che lo costituiscono e, anzitutto, l’esistenza e la riproduzione delle classi stesse.

In prima istanza, dal punto di vista della base economica del modo di produzione capitalistico, la definizione di classe sociale può essere immediatamente circoscritta all’omogeneità di funzione svolta dai diversi soggetti nel processo di produzione. L’identità funzionale individua l’appartenenza all’una o all’altra classe in sé, oggettivamente identificata. Tale appartenenza, pertanto, non pertiene alla sfera empirica del tipo di attività svolta, né dell’ammontare di reddito percepito, né tantomeno può corrispondere biunivocamente con i singoli individui empirici. Essa è, per l’appunto, oggettiva e trascende il soggetto individuale in quanto un medesimo soggetto può svolgere più di una funzione nel processo di produzione, con diverse mansioni e livelli di reddito, per cui la sua appartenenza a quella o quell’altra classe dipende da quale sua figura prevalga sulle altre, da quella che ne determina in prima istanza il ruolo e la funzione sociale. Dunque, nel modo di produzione capitalistico che sta a fondamento delle formazioni economiche sociali moderne a dominanza borghese, la prima e principale divisione funzionale al processo di produzione medesimo mette: da un lato, la classe di coloro che sono proprietari delle condizioni oggettive della produzione, in quanto non produttori, ossia tali che per definire la loro funzione peculiare non è necessario che essi partecipino attivamente alla produzione stessa; dall’altro, la classe di coloro che sono effettivamente i produttori della ricchezza sociale nella forma storica data, in quanto non proprietari di quelle condizioni della produzione, pur se accidentalmente e parzialmente possano esserlo.

La predominanza dell’una o dell’altra funzione fa sì che i soggetti sociali siano identificabili, nel primo caso, con la classe dei capitalisti (in senso lato) e, nel secondo, con la classe dei proletari (o lavoratori salariati, in senso lato). È altresì ovvio che una siffatta definizione funzionale di classe, come insieme omogeneo di soggetti per riguardo al processo di produzione, sia adeguata anche ai modi di produzione che hanno preceduto quello capitalistico, tenendo tuttavia presente che nelle epoche passate diverse erano le classi costitutive delle varie formazioni sociali poiché diversa era la finalità del processo di produzione e che, proprio in ragione di ciò, solo nella forma capitalistica le classi si presentano come tali, nella loro elementarità, senza trasmutarsi e cristallizzarsi nella parvenza di “ordini” o “caste” in forza di superfetazioni metaeconomiche. Solo sulla base di una tale divisione nelle due classi principali della società moderna si può costruire una successiva, e necessaria, articolazione che sia ancora economica, ma anche sociologica e culturale o perfino comportamentale.

Innanzitutto, come accennato, nulla vieta che un medesimo individuo sia al contempo “proprietario” e “produttore”, come potrebbe essere l’artigiano, il coltivatore diretto, o anche il capitalista che lavora nella propria impresa o il salariato (operaio, bracciante o impiegato) che possiede qualche mezzo di produzione. Ma la sovrapposizione casuale di più funzioni non impedisce di comprendere sia che nella generalità dei casi ciò non caratterizza il modo di produzione capitalistico, ma solo le sue diverse forme empiriche di esistenza economica sociale, sia di individuare nel caso di una simile sovrapposizione, accidentale transitoria o residuale, quale funzione debba essere ritenuta quella qualificante e determinante. In secondo luogo, perciò, è facile trovare una gran varietà di forme di passaggio, intermedie tra le due classi principali della società moderna, tali da rappresentare altre classi, sottoclassi, ceti o gruppi in cui praticamente si articola questa formazione sociale. Ma, in terzo luogo, infine, nessuno può dubitare che ancora oggi e per tutta la vigenza in forma dominante del modo di produzione capitalistico si riproduca in maniera sempre più polarizzata la divisione tra “proprietari non produttori” (capitalisti industriali, percettori di profitto e interesse, nella cui classe vanno generalmente ricomprese anche le forme moderne assunte dai capitalisti monetari e dai capitalisti commerciali, e proprietari fondiari, percettori di rendita) e “produttori non proprietari” (lavoratori salariati o proletari, percettori appunto di salario, in qualsiasi forma esso sia travestito). Nessuno può disconoscere tuttora l’esistenza di tali classi, su scala mondiale, e le contraddizioni e gli antagonismi che esse mettono in movimento. È bene che la specificazione del concetto di classe e della sua formazione storica, così come l’analisi delle classi realmente esistenti e la loro composizione, siano lasciate alle parole stesse di Marx e dei marxisti.

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