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Il suicidio del capitalismo occidentale

di Alessandro Scassellati

manifestazioni israele 25 17.jpgIl capitalismo è in difficoltà sempre maggiori negli Stati Uniti e in Europa, mentre rimane una storia di successo in Cina e per la stragrande maggioranza delle persone che vivono in Asia, Africa e America Latina, le quali hanno come probabile priorità quella di non essere più povere  e raggiungere il più rapidamente possibile uno sviluppo economico dignitoso. Certamente, ora il capitalismo continua a essere dinamico in Cina e non negli USA, né soprattutto in Europa.

Uno studio uscito in questi giorni dimostra che il CEO della catena di caffè Starbucks ha uno stipendio annuo oltre 6.666 volte superiore a quello del dipendente medio di Starbucks. È un dato emblematico. La ricerca dimostra che la società statunitense ha avuto una continuità negli ultimi 30 anni simile a quella della Cina, solo che in Cina la continuità si è tradotta in un tasso di crescita annuo del PIL nell’ordine del 4, 5, 6, 7, 8%, mentre gli Stati Uniti non hanno nulla di lontanamente simile. Sono fortunati se raggiungono il 2%.

Il dato veramente impressionante è quello relativo alla crescita della disuguaglianza negli Stati Uniti. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti erano meno diseguali dell’Europa. Ora, hanno lasciato l’Europa indietro per il livello di disuguaglianza di reddito e di ricchezza che hanno. Quindi, è un capitalismo che non è più in grado di fare negli Stati Uniti ciò che ha promesso al suo popolo nel corso del XX secolo: creare e sostenere un’immensa classe media. Questo è tutto finito, questa fiducia è scomparsa e la realtà è ormai completamente cambiata. La classe media non c’è più. È letteralmente scomparsa. È così ovvio che persino i politici mainstream si attaccano a vicenda sostenendo che il loro avversario sta distruggendo la classe media e che il loro obiettivo è riportarla in campo. Tutti lo dicono, nessuno lo fa. Sono ormai decenni che ogni presidente, repubblicano o democratico, ha promesso di riportare la produzione manifatturiera in America, ma nessuno di loro l’ha fatto.

All’inizio del XIX secolo, quando Alexis de Toqueville, un osservatore aristocratico francese di orientamento conservatore, visitò gli Stati Uniti, commentò che uno dei motivi per cui la democrazia liberale avrebbe funzionato negli Stati Uniti era perché lì c’era una minore concentrazione di ricchezza rispetto all’Europa. Ora, tutto questo è stato capovolto. Questo non significa che l’Europa non abbia lo stesso problema della crescente disuguaglianza, ma bisogna rendersi conto che negli Stati Uniti la situazione è ben più grave.

Tutti abbiamo visto che il giorno del suo insediamento (20 gennaio) Trump aveva alla sua destra Mark Zuckerberg, Jeffrey Bezos, Elon Musk e altre persone statunitensi che sono le più ricche del mondo. Tutti abbiamo anche visto la scorsa settimana Trump seduto dietro alla sua scrivania nello Studio Ovale con davanti sette dei principali leader europei (Macron, Starmer, Merz, Meloni, Von der Leyen, etc.) seduti quasi come bambini davanti al preside che imploravano per non essere trattati come subordinati usa e getta, che è quello che attualmente gli Stati Uniti stanno facendo. Gli Stati Uniti non possono permettersi di mantenere il ruolo tradizionale dell’Europa e quindi la stanno declassando. Non hanno abbastanza soldi per tenere i paesi europei sotto protezione come in passato e impongono dei diktat, per cui gli europei dovranno soffrire l’imposizione del regime tariffario, molto meno supporto/protezione militare, ed essere gettati nel disastro della sconfitta ucraina ora che gli Stati Uniti non vogliono più giocare a questo gioco perché hanno altre cose a cui pensare. Questi sono segnali sia delle grandi difficoltà degli Stati Uniti sia del fatto che ciò significa che cercheranno di approfittarsi degli europei e, se riescono, di tutti gli altri paesi.

Basta pensare al loro vicino, il Canada. I canadesi sono sotto shock. Non si sarebbero mai aspettati di essere altro che il nipote ben trattato degli Stati Uniti, che avrebbe ricevuto un buon trattamento, mentre ora vengono fatti soffrire in tutti i modi possibili. Non riescono letteralmente a capire cosa sia successo. Si sentono quasi traditi personalmente, il che è un modo per dire che non hanno capito l’intera relazione. Non capiscono perché sia stato così facile, così veloce per Trump imporre dei dazi draconiani sui loro prodotti. E naturalmente, non vogliono affrontare la realtà: il fatto che Trump si trovi nella posizione in cui si trova dimostra già che il sostegno negli Stati Uniti per ciò che sta facendo era già presente, in attesa di qualcuno che lo facesse, perché sarebbe stata un’opportunità politica da non perdere. Ed è ciò che Trump e i suoi alleati hanno capito e hanno fatto. 

Ma non sembra essere solo un problema statunitense, è un problema più ampio, dopo un lungo periodo di globalizzazione che ha indebolito sul piano strutturale i capitalismi nazionali e ha messo il capitalismo in una situazione di iper-accelerazione. Ma ne ha anche indebolito le fondamenta dato che si è accentuata la tendenza del capitale a concentrarsi e a condurre una lotta di classe contro il lavoro. Per decenni in Europa occidentale i governi hanno adottato politiche socialdemocratiche per garantire che il lavoro non venisse schiacciato. Ma a partire dagli anni ’70 anche i governi europei hanno scelto deliberatamente di abbandonare queste politiche trovandosi di fronte al dilemma che in un mercato globalizzato si possono tagliare i sussidi pubblici e gli stipendi oppure si possono chiudere le fabbriche perché queste non possono competere con la Cina o il Bangladesh. Quindi, anche i governi europei non sono più stati in grado di aiutare il lavoro. Hanno abbracciato il neoliberismo, dando ai proprietari del capitale la possibilità di governare il processo di accumulazione come volevano e di esercitare una forte pressione sui lavoratori per competere effettivamente in un mercato divenuto globale. I lavoratori sono stati spremuti e i loro salari reali erosi e svalutati. Continuando a spremere i lavoratori la questione fondamentale è diventata fino a che punto si può arrivare prima di non avere più un’economia guidata dai consumi interni perché non ci sono consumatori con alcun potere d’acquisto? Questo è il capitalismo occidentale che si sta suicidando.

Negli Stati Uniti c’è ancora una forte convinzione nella capacità del capitalismo privato di superare tutti i problemi, di risolvere tutte le difficoltà, di gestire le proprie contraddizioni senza alcuna vera preoccupazione. Ma il capitalismo è in declino negli Stati Uniti e nei paesi occidentali, mentre sta andando molto bene a Est e a Sud. Sta trovando nuove aree in cui avere successo, crescere e affondare radici molto profonde. Analisti e osservatori più avveduti parlano sempre più spesso degli Stati Uniti come di un impero in declino. Un paese che sta distruggendo buona parte dei programmi sociali che da decenni il governo federale ha normalmente gestito e che sono stati messi in piedi nel corso di circa 150 anni. Trump sta abolendo il Dipartimento dell’Istruzione e l’USAID in nome dell’efficienza, un’affermazione a cui nessuno crede. La logica è che se ne occuperà il privato. Ma, allo stesso tempo, sta imponendo al privato il più grande regime tariffario immaginabile, che è un rifiuto di consentire al mercato privato di funzionare. È l’idea che il governo stia intervenendo opportunamente per letteralmente modificare il prezzo di ogni importazione. Ma per come funziona il capitalismo se si modificano i prezzi delle importazioni, prima o poi si modifica ogni prezzo man mano che il sistema si adegua. 

Trump ha assunto una quasi autorità nel dirigere il funzionamento del settore privato, sia in senso lato che nella gestione e proprietà delle singole aziende. La settimana scorsa ha annunciato che invece di concedere una sovvenzione alla Intel Corporation, che sta crollando (all’inizio del secolo aveva una capitalizzazione di mercato di 500 miliardi di dollari, ora ne vale solo 107 miliardi), il Tesoro assumerà una quota del 10%. Darà alla Intel Corporation un’enorme quantità di denaro, ma diventerà proprietario al 10% della Intel Corporation. Si tratta di un grande cambiamento e i Democratici accusano Trump di “socialismo”. Il governo statunitense era governato dalla regola che questo non si fa o se lo si fa, deve essere temporaneo, eccezionale. Deve essere avvolto da qualificazioni che lo rendano non duraturo. Il governo federale ha dovuto intervenire nella crisi del 2008 in modo massiccio, salvando alcune delle principali banche, la più grande compagnia assicurativa degli Stati Uniti, la Chrysler e la General Motors e così via. Ma si è sempre parlato di un’emergenza temporanea eccezionale e il governo federale si è disfatto rapidamente di ogni impegno non appena è stato possibile. Ora, il protezionismo e la guerra dei dazi sono un atto di disperazione, soprattutto quando intrapreso da leader politici come Trump che, allo stesso tempo in cui intervengono in questo modo, si stanno sbarazzando delle agenzie governative con la motivazione che non c’è bisogno del governo per fare le cose che il governo sta facendo ora più che mai. 

Si tratta di una contraddizione che è ovvia ma che rimane invisibile nel discorso pubblico, nella cultura americana. Il New York Times e altri media mainstream non vogliono vederla. Come non la vogliono vedere né i Democratici né i Repubblicani, perché sono tutti intrappolati nell’incapacità di affrontare tutta questa problematica. La reazione più diffusa è quella della negazione della realtà. La società statunitense non riesce ad accettare questa nuova condizione di declino – che lo sviluppo capitalistico si sta spostando a Est e a Sud con grande successo –, che è destinata a peggiorare nel prossimo futuro. L’opinione dominante negli Stati Uniti, in particolare tra l’élite che governa, è la negazione totale della realtà, l’irritazione quando qualcuno sostiene questo punto di vista. Dicono che questa è una sciocchezza e che si tratta di un argomento che non sentono neanche il bisogno di confutare. 

Il capitalismo è dinamico e contraddittorio nella sua evoluzione. Ma la classe dirigente statunitense non sembra essere preoccupata del fatto che l’intero mercato azionario si basi letteralmente su otto aziende (Google, Alphabet, Amazon, Nvidia e le altre sorelle del big tech) e sulla loro straordinaria crescita azionaria (l’ennesima bolla finanziaria di Wall Street). Non lo considerano un problema. D’altra parte, non si preoccupano neanche della disuguaglianza fuori scala. Neanche capiscono che cosa significa. Nella città di New York si sono tenute le primarie del Partito Democratico per la candidatura del prossimo sindaco (si vota a inizio novembre). A New York il Partito Repubblicano è un gatto morto, non ha alcuna forza e rilevanza, per cui chi vince le primarie democratiche quasi automaticamente vince le elezione generali, perché gli elettori votano in stragrande maggioranza Democratico. Quindi, si sta per eleggere Zohran Mamdani, un giovane socialista democratico musulmano che sostiene i palestinesi e che ha incentrato tutta la sua campagna sui temi della riduzione del costo della vita e della convenienza a New York (si veda il nostro articolo qui). Una cosa inimmaginabile cinque anni fa o in qualsiasi momento del secolo scorso. 

Stanno accadendo cose che non ci saremmo mai aspettati di vedere nelle nostre vite. E siamo un po’ sopraffatti dalla forza delle prove che si accumulano e dalla giustapposizione di queste prove con l’atteggiamento di negazione di buona parte della classe dirigente e della società statunitense. Ma d’altronde, come insegna la buona psicologia, tra i modi in cui gli esseri umani reagiscono a un cambiamento sociale considerato eccessivo c’è, da un lato, la negazione della realtà e, dall’altro, la messa in scena di un teatrino di finzione, ossia comportarsi come se nulla stesse accadendo. Utilizzando la negazione e il teatrino di finzione, si può provare a gestire una risposta consolatoria al drastico cambiamento.

Trump è il principale attore teatrale, essendo al comando ormai di quasi tutte le leve del potere statunitense. Deve essere l’uomo potente che sistema le sedie per cui Macron, Starmer e gli altri leader europei lo devono guardare dal basso e implorarlo di non abbandonarli al loro destino di inettitudine. Rutte, l’ex primo ministro olandese ora a capo della NATO, qualche settimana fa si è riferito a Trump come “papà”. Per Trump, dire agli europei che l’Ucraina è un loro problema, significa ergersi al di sopra di loro, dire loro cosa fare. 

D’altra parte, gli europei insistono nel perpetuare una sorta di patetico rinnovamento della Guerra fredda attraverso la russofobia e il riarmo (soprattutto della Germania). Vogliono far parte della diplomazia, ma forse prima di tutto dovrebbero avere un obiettivo realizzabile nella diplomazia piuttosto che uno che miri a dividere l’Europa, perpetuare il confronto e prolungare il pericolo di una escalation della guerra. Sono lontani dall’idea di fare la pace con i russi e di costruire un’architettura di sicurezza e pace che preservi la sicurezza loro e della Russia secondo il principio della sicurezza reciproca indivisibile o collettiva. La classe dirigente europea non sembra avere un piano B, dal momento che non ha ancora rinunciato alla sua strategia di destabilizzazione e di cambio di regime in Russia pensata con l’obiettivo di arrivare al dissolvimento della Federazione per poi appropriarsi delle sue ricchezze naturali e dei suoi assets finanziari. Ha prestato centinaia di miliardi di euro all’Ucraina che ormai sono diventati crediti inesigibili, mentre i paesi europei sono in una situazione fiscale/finanziaria disastrosa e l’unico modo per raggiungere l’obiettivo del riarmo è tagliare la spesa sociale – scuole, sanità e così via – dando il colpo di grazia a ciò che rimane del “modello sociale europeo” costruito dopo il 1945.

Nella politica americana attuale c’è un gradimento per una persona potente come Trump che esterna un enorme disprezzo per le persone a lui subordinate. È quasi come se, mentre l’accordo dissolve l’antipatia, il disprezzo per chi sta sotto possa essere articolato. Riflette ovviamente il lungo e profondamente sentito complesso di inferiorità dell’ex colonia, che non era sviluppata quanto la Francia, la Germania o la Gran Bretagna. Quindi c’è quel misto di invidia e amarezza, e quello che emerge ora è in gran parte questo, perché fa parte del teatro. Se gli statunitensi sono migliori dell’Europa, allora hanno in qualche modo raggiunto l’inversione di tendenza che tutta la storia degli Stati Uniti stava preparando per essere finalmente in grado di realizzare. E Trump recita, che ne sia consapevole o no, e gioca su questo continuamente. E questo si adatta anche alla narrazione che la ragione dei problemi economici degli Stati Uniti risiedono nel fatto che “sono stati fregati dagli europei”, per cui questa è una sorta di vendetta che rimette le cose a posto. Cioè, gli europei ora sono in fila seduti sulle loro piccole sedie come degli scolaretti obbedienti davanti al loro preside.

Questo è un errore enorme da parte delle classi dirigenti europee, perché pensano che il modo per gestire Trump sia semplicemente quello di ricoprirlo di adulazioni, dire quanto sia un leader meraviglioso e forte e, in realtà, inchinarsi e sottomettersi, sperando di ottenere il suo sostegno. Ma l’impressione è esattamente l’opposto, che lui veda la debolezza al punto da aver perso ogni rispetto per gli europei. Questo è dimostrato anche dalle affermazioni del vicepresidente JD Vance che dice: “Non abbiamo bisogno di vassalli o burattini. Abbiamo bisogno di veri alleati”. Quando il tuo padrone deve dirti di smetterla di comportarti come un vassallo obbediente, allora sai che le cose sono andate molto, molto male. 

Trump ripete periodicamente queste narrazioni su come gli Stati Uniti siano stati vittime di altri paesi malvagi per anni, per decenni, per intere generazioni. È un ragionamento che applica all’Europa, ma lo applica ovunque. E il motivo per cui lo fa è perché la vittimizzazione è il fondamento della sua presidenza. Infatti, il motivo per cui Donald Trump è presidente è che è stato l’unico politico di spicco, a parte Bernie Sanders, ad aver sostenuto questo. Ma Trump era considerato legittimo perché non portava l’etichetta di socialista. Sanders, venendo da sinistra, aveva un problema completamente diverso. Ma le due principali figure politiche erano queste due. E Trump, essendo un conservatore, un uomo d’affari e un ricco, ha coperto il territorio in un modo che Sanders non poteva fare. Si è rivolto alla popolazione maschile bianca della classe lavoratrice statunitense e ha detto: “Negli ultimi 30 anni siete stati abusati. Siete stati danneggiati nel vostro lavoro, danneggiati nel vostro reddito”. Tutto ciò è vero e lo diceva anche Sanders. Tutto ciò è un riassunto davvero accurato di ciò che è successo loro. E ha a che fare con tre principali cambiamenti che sono intervenuti:

  1. una rivoluzione tecnologica alimentata dai computer, dai robot e poi dall’intelligenza artificiale, che ha davvero rivoluzionato il mondo del lavoro della classe lavoratrice maschile bianca degli Stati Uniti;
  2. l’esternalizzazione dei posti di lavoro che ha sottratto i posti di lavoro ben pagati e sindacalizzati della classe lavoratrice bianca maschile, delocalizzando la produzione in Cina, India, Brasile, ovunque;
  3. l’immigrazione di forza lavoro straniera a basso costo e senza diritti per sostituire la classe lavoratrice maschile bianca sindacalizzata e ben pagata. 

Tutti fattori che hanno dato un enorme impulso ai capitalisti statunitensi, consentendogli di fare giganteschi profitti a spese soprattutto della classe lavoratrice maschile bianca. Questo è avvenuto mentre c’erano i movimenti sociali delle persone di colore che chiedevano aiuto al governo per la fine della loro discriminazione e delle donne che chiedevano la fine della loro subordinazione. Ebbene, il quadro che è emerso è stato che la classe lavoratrice maschile bianca è stata distrutta con la connivenza dello stesso governo che allo stesso tempo aiutava uomini non bianchi e donne. Un governo che si è dimostrato apparentemente attento alle sofferenze dei maschi non bianchi e delle donne, ma non alle sofferenze dei maschi bianchi della classe lavoratrice che si sentivano ed erano abusati.

L’ideologia americana diceva che non si può dare la colpa alle aziende, cosa che ovviamente i maschi bianchi avrebbero potuto e dovuto fare. È questo che intende Sanders quando nella sua battaglia contro l’oligarchia dice: “Sono le aziende che hanno deciso, per motivi di profitto, di automatizzare, delocalizzare o importare immigrati”. Questo non si può dire da conservatori. E secondo l’ideologia americana, è difficile da accettare per i lavoratori. Ma odiare i cinesi è facile. E odiare il governo dei Democratici e di quei Repubblicani che aiutano e sono solidali con le persone di colore, i neri e le donne, anche questo è facile. E questo è quello che ha fatto Trump. È diventato l’eroe che annienta i non bianchi, le donne e gli immigrati stranieri malvagi. E questo invertirà la rotta. Trump dice: siamo stati tutti imbrogliati, siamo stati tutti abusati, siamo stati tutti sfruttati, voglio capovolgere tutto, come vostro grande leader. Deve interpretare tutto nel mondo in questo modo. Deve rivolgersi agli europei, anche se è totalmente ridicolo, e dire la stessa cosa perché quello è il suo spartito, il suo modo di articolare la sua politica e lo sbatte contro gli europei che si grattano la testa e si chiedono di cosa stia parlando. Sta semplicemente ripetendo ciò che lo ha portato alla presidenza e che crede lo manterrà al potere. 

In ogni caso, c’è un cambiamento nella politica economica americana con Trump. Un cambiamento che comunque ci sarebbe dovuto essere perché l’intero modello del libero mercato si basava sul fatto che gli Stati Uniti rimanessero competitivi, cosa che a parte pochi settori (tecnologia digitale, finanza e poco altro) non è più così ormai da tempo. Se si torna all’inizio del XIX secolo, quando gli inglesi dominavano e avevano le tecnologie e le industrie più avanzate, abbiamo visto che nel sistema statunitense l’idea generale era che il libero scambio dovesse essere sostituito dal commercio equo e solidale e dal protezionismo, perché non volevano che i loro mercati fossero saturati dagli inglesi. Il libero mercato ha prosperato quando gli Stati Uniti erano la potenza dominante. Ma ora che gli Stati Uniti non hanno più quella competitività, sono diventati solo dei cacciatori di rendita, con un’economia estremamente finanziarizzata. Per molti versi sembra che con Trump stiano costruendo un’economia che vive sui tributi e i benefici che si costringono i paesi subordinati a pagare. Pensiamo a tutti questi accordi commerciali e finanziari che hanno imposto agli europei, dove persino gli europei hanno detto: “Questo dovevamo farlo perché non possiamo vivere senza ‘papà’”. Poi, ci sono le mire sul Canale di Panama, la Groenlandia, le industrie tecnologiche dei semiconduttori a Taiwan. Sembra esserci una chiara spinta da parte degli Stati Uniti ad estrarre tributi dagli Stati ovunque nel mondo.

L’accordo con gli europei in cui gli Stati Uniti mettono il 15% di dazi praticamente su tutta la linea e gli europei accettano di non mettere nulla, dazi zero o quasi zero, il 2% in alcuni casi. Questo è l’esempio più grossolano di un accordo ingiusto. I critici di von der Leyen si sono affrettati ad affermare che accettare le condizioni imposte da Trump equivale a un atto di “sottomissione”, a una “netta sconfitta politica per l’UE” e a una “capitolazione ideologica e morale”. Maroš Šefčovič, il commissario al commercio della UE, ha tenuto una conferenza stampa poco dopo l’accordo in cui ha detto: “Questo è il massimo che potevamo ottenere ed è meglio di quanto ottengano altri”. Un’ammissione del fatto che gli europei sono i migliori tra i subordinati. Stanno ottenendo di più nel ricevere la benedizione del padrone. E gli europei non vogliono affrontare quello che quell’accordo e i discorsi di Von der Leyen veramente implicano, mentre Trump vuole anche che l’Europa smetta di regolamentare con normative digitali le grandi aziende tecnologiche statunitensi, altrimenti imporrebbe sanzioni. La UE si arrenderà anche su questo? 

Trump può esercitare il suo vantaggio coercitivo perché detiene le carte militari e tecnologiche, ed è ben consapevole che la sua controparte è molto indietro in entrambi i settori. Sa che l’Europa non vuole affrontare il presidente russo Putin senza il supporto militare statunitense e non può farcela senza la tecnologia americana dei chip, quindi ritiene di poter dettare l’agenda commerciale. Šefčovič il mese scorso ha fortemente insinuato che l’accordo con gli Stati Uniti riflettesse la debolezza strategica dell’Unione Europea e la sua necessità del sostegno statunitense. “Non si tratta solo di… commercio: si tratta di sicurezza, si tratta dell’Ucraina, si tratta dell’attuale volatilità geopolitica”, ha spiegato. È chiaro che la volatile strategia tariffaria di Trump è tutt’altro che conclusa, e il blocco dei 27 paesi è destinato ad affrontare ulteriori affronti politici e risultati negoziali diseguali questo autunno.

D’ora in poi ogni aspirante politico statunitense avrà imparato una lezione: quando l’economia americana sarà schiacciata dai suoi problemi, prenditela con l’Europa. Fai pagare denaro all’Europa e falle subire delle conseguenze. Fai cose che siano positive per la tua economia o almeno per il tuo posizionamento politico, colpendo gli europei e molti altri, qualsiasi altra cultura ti venga in mente di colpire. Gli Stati Uniti hanno una grande responsabilità per i danni causati in Vietnam e ora colpiscono il Vietnam con un’enorme tariffa, come se non ci fosse una storia che forse dovrebbe mitigare quel genere di cose. Se Trump la fa franca, sta istruendo le classi politiche statunitensi a guardare in quelle direzioni. Anche se non si vuole chiamarlo tributo, verrà perseguito come mezzo per trovare una soluzione ai problemi economico-politici degli USA. 

D’altra parte, se Trump impone una tariffa a quasi tutti i Paesi, ogni leader di ogni Paese ora ha un argomento che prima non aveva. Per i loro problemi economici interni, e ogni Paese li ha, ora possono dare la colpa agli Stati Uniti. Non importa chi tu sia come politico, ora sai che Trump ha colpito il tuo paese con un dazio e tu puoi rivoltarti contro gli Stati Uniti e trasformarli in un oppressore canaglia dei popoli del mondo. 

I ministri degli Esteri di Cina e India si sono incontrati di recente e hanno appoggiato il libero scambio, l’OMC e tutto il sistema multilaterale che Trump sta disfacendo. Questo è un posizionamento dei BRICS (l’alleanza di 10 paesi forgiata come contrappeso al G7 occidentale) come anti-Trump in un momento in cui questo è molto positivo per i BRICS e molto negativo per gli Stati Uniti. Questi sono errori profondi e costosi a lungo termine che vengono commessi dalla classe politica statunitense. Dopotutto, le economie dei BRICS ospitano oggi circa 4,5 miliardi di persone, ovvero oltre il 55% della popolazione mondiale. Il gruppo BRICS rappresenta inoltre circa il 37,3% del prodotto interno lordo globale, calcolato a parità di potere d’acquisto.

Trump sta guidando il passaggio dalla globalizzazione e dal libero scambio a un governo nazionale potente, protezionista e interventista. Finché non ci sarà una grave crisi economica, questo funzionerà per lui. Ma il problema è che quando ci sarà la prossima crisi economica, l’uomo solo al comando si dovrà caricare gran parte della colpa. Anche per le cose di cui non è responsabile, tutti lo accuseranno. Sarà la persona logica da biasimare. E negli USA c’è una lunga tradizione di comportamenti simili.

Ogni volta che Trump si è candidato, ha dato la colpa a chiunque fosse al potere. Obama la prima volta, Biden la seconda, e i Democratici fanno lo stesso. Questa è la cultura politica statunitense. Quindi, normalmente si darebbe la colpa a Trump, ma in ogni caso lui è uno che interviene su tutto e non potrà evitare di essere ritenuto il massimo responsabile di un eventuale disastro. I Democratici in questo momento non hanno altra strategia se non quella di seguire questa linea: non facciamo nulla, aspettiamo che Trump imploda e poi entreremo alla Casa Bianca e al Congresso perché la gente soffrirà e lo incolperà e noi dovremo semplicemente dire che non siamo lui. Questo sembra essere il loro piano e potrebbe anche funzionare. 

Tuttavia, all’orizzonte si intravede un’organizzazione più seria al di fuori del Partito Democratico nella sinistra politica di quanta se ne sia mai vista prima negli Stati Uniti. Non c’è ancora, sotto forma del nuovo partito politico che Corbyn e i suoi alleati stanno fondando in Inghilterra o del movimento «Blocchiamo tutto» per il 10 settembre in Francia, ma si sta sviluppando anche negli Stati Uniti seppure ci vorrà del tempo. Senza esagerare, ma si intravvedono riconoscimento, consapevolezza, volontà di far sentire la propria voce. La battuta ricorrente tra gli attivisti di sinistra negli Stati Uniti è che sono grati perché Donald Trump è il miglior organizzatore che hanno a disposizione.

Trump è anche un organizzatore di qualcos’altro, ossia della pace globale, forse non nel modo in cui la pensa lui. Se guardiamo all’Asia ora, non nella stessa misura dell’Europa, i paesi sono ancora un po’ coinvolti nella politica dei blocchi, ma ora non solo vedono cosa viene fatto con i paesi proxy come l’Ucraina, ma notano anche che gli USA stanno subordinando i loro paesi ai dazi. Sicuramente, dal punto di vista economico gli europei stanno diventando un monito, e la loro storia è che non vogliono finire così. Quindi si vede una sorta di riorganizzazione, con Modi che dall’India è andato a Mosca e presto andrà anche in Cina per partecipare all’incontro della Shanghai Cooperation Organization (SCO), e tutti riconoscono che devono lavorare insieme se gli Stati Uniti non sono più affidabili. “Dobbiamo unirci e prendere una posizione chiara contro l’unilateralismo e il protezionismo” statunitense, ha affermato Xi Ping. A differenza degli europei che si sono presentati come bravi ragazzi e hanno firmato qualsiasi cosa Trump mettesse loro davanti, la Cina ha detto no ai dazi. Non inizieranno a fare concessioni. Non hanno regalato il loro TikTok agli alleati di Trump. Non vogliono sembrare partecipi di questa economia tributaria che Trump sta cercando di mettere in piedi. Per ora Trump ha dichiarato un cessate il fuoco con la Cina, che lo scorso anno ha registrato un surplus globale di oltre 1 trilione di dollari ed è considerata il principale antagonista nella sua guerra commerciale. Prevale l’incapacità dell’establishment statunitense di accettare il fatto che la Cina è ormai l’economia dominante al mondo. Entro la fine di questo decennio, il FMI prevede che sarà quasi il 50% più grande dell’economia statunitense.

Anche paesi amici degli americani, alleati come Corea del Sud e Giappone, si stanno rendendo conto che non possono fare un eccessivo affidamento sugli Stati Uniti. Anche altri paesi che sono amici, come India e Brasile (paesi su cui Trump ha imposto dazi del 50% su molti prodotti come punizione per l’acquisto di petrolio russo e per il processo contro l’alleato ex presidente Jair Bolsonaro), o Indonesia la pensano in questo modo, oltre naturalmente Stati avversari come Cina e Russia. Tanti paesi, dal Brasile all’India, stanno esplorando la resistenza collettiva mentre Trump usa i dazi per affermare il potere politico ed economico degli Stati Uniti. In India, il clima è di sfida. Il governo del paese si è rifiutato di interrompere gli acquisti di petrolio russo (per evitare l’ulteriore tariffa statunitense, l’India dovrebbe sostituire circa il 42% delle sue importazioni di petrolio) e il primo ministro Narendra Modi ha esortato gli indiani ad acquistare petrolio locale. Si prevede che l’aliquota del 50% danneggerà molti esportatori indiani che complessivamente impiegano milioni di persone. La mossa potrebbe interrompere le crescenti relazioni economiche tra Stati Uniti e India, dove due terzi delle maggiori società statunitensi hanno sedi offshore. Il dazio mina anche la stabilità di miliardi di dollari di investimenti esteri nel mercato azionario indiano, il quarto più grande al mondo. Anche se la controversia sui dazi dovesse attenuarsi, la fiducia nelle future relazioni con Washington sarebbe probabilmente la vittima più grande. Il danno arrecato al senso di fiducia tra le imprese indiane e americane è già evidente lontano dai porti di spedizione. Questo rapporto è stato coltivato dai diplomatici e dai politici di entrambe le parti per oltre 25 anni. È destinato a estendersi oltre le preoccupazioni di importatori ed esportatori.

Le tattiche di Trump stanno iniziando a produrre una controreazione politica percepibile. È prematuro affermare che i dazi stiano portando a un riallineamento politico su vasta scala, ma la resistenza mostrata nelle ultime settimane dai leader di Brasile, Russia, India e Cina suggerisce come i dazi di Trump potrebbero ritorcersi contro di loro nel medio termine, creando un asse di resistenza basato sulla convinzione di poter aggirare il potere che l’economia americana – a cominciare dal “privilegio” del dollaro come moneta di riserva e per le transazioni commerciali internazionali – conferisce al presidente. Una regola chiave delle sanzioni e della coercizione economica è che se si applicano sanzioni troppo severe per un periodo di tempo prolungato, il paese sanzionato imparerà a vivere senza di te. Ora vediamo cosa succede con i dazi sul caffè brasiliano e tutto il resto: i cinesi hanno risposto rimuovendoli per avere un libero scambio completo. Lo stesso con gli africani e improvvisamente tutto il commercio viene semplicemente spostato dagli Stati Uniti verso la Cina. In internet c’è un meme con Xi Ping che ha un piano malvagio che consiste solo nel rilassarsi e guardare l’America autodistruggersi. Lula ha riassunto il nuovo pragmatismo dei grandi paesi colpiti da Trump: “Continueremo a vendere [i nostri prodotti]… Se gli Stati Uniti non vorranno acquistare [da noi], troveremo nuovi partner”, ha affermato. “Il mondo è grande e non vede l’ora di fare affari con il Brasile”.

Il sospetto è che quello che vedremo ora, soprattutto perché ciò che Trump sta facendo non ha generato alcun segno visibile di opposizione nella classe capitalista degli Stati Uniti, abbia a che fare con il predominio del settore finanziario negli Stati Uniti, che vede un mondo che cambia come un fattore importante a cui adattarsi, ma almeno non ancora come una minaccia. E qui sta una contraddizione ironica. Il sospetto è che ogni azienda al mondo impegnata nel commercio internazionale abbia ora ricevuto una lezione chiara e diretta: dovete ridurre qualsiasi dipendenza attuale o potenziale dagli Stati Uniti. È semplicemente troppo pericoloso per i vostri profitti, per la vostra sopravvivenza. Vendete altrove, comprate altrove. Diversificate le vostre fonti, diversificate i vostri sbocchi di mercato. Fate attenzione ai flussi di capitale. Smettete di usare attrezzature americane.

Senza dubbio, la guerra dei dazi di Trump procederà a fasi. Per il momento, Trump sta celebrando le sue vittorie con l’UE, il Giappone e la Corea del Sud, aggiungendo che il Tesoro statunitense sta raccogliendo miliardi di dollari di entrate extra (cruciali per ridurre il deficit pubblico). L’inflazione non è nemmeno decollata come alcuni avevano previsto, ma questa è una guerra lunga, in cui le linee di battaglia si stanno delineando solo lentamente. Sarebbe profondamente ironico se il Giorno della Liberazione finisse per isolare l’America dal resto del mondo, incentivando tutti gli altri Paesi a commerciare tra loro.

L’ironia degli Stati Uniti che dicono al mondo di non comprare apparecchiature telefoniche da Huawei è sempre stata ridicola, perché il motivo per cui gli Stati Uniti hanno potuto ascoltare le conversazioni della Merkel è perché tutti usano la tecnologia della Silicon Valley, che è piena di quei meccanismi di ascolto o copia. I paesi BRICS e del Sud del mondo si allontaneranno tutti dagli Stati Uniti. Primo, perché è pericoloso (una volta disse Henry Kissinger: “Essere nemici degli Stati Uniti può essere pericoloso, ma esserne amici può essere fatale”), ma secondo, perché la Cina e i BRICS sono ora un’unità economica più grande, destinata ad allargarsi nel prossimo futuro. I governanti di paesi come quelli africani che ricercano investitori nel loro sviluppo si rivolgono ancora a Washington, Londra e Parigi, ma sempre più passano anche per Nuova Delhi, Pechino e San Paolo per cercare l’offerta migliore. Sono sempre più i cinesi che offrono un accordo migliore. Quindi, una parte sta diventando più ricca di minuto in minuto rispetto all’altra, e l’altra sta diventando più problematica con le sue regole unilaterali arbitrarie, la sua politica instabile e confusa. Non si può sapere se Trump aumenterà o abbasserà i dazi. Ha fatto sapere a tutti che non solo esiste un dazio, ma non si può sapere a quanto ammonta. Può essere ritardato. Può essere sospeso. Può essere aumentato. Può essere abbassato. Avete un accordo, che differenza fa? Canada e Messico avevano accordi molto complessi con gli Stati Uniti (NAFTA, poi USMCA, siglato da Trump nel suo primo mandato). Non hanno fatto molta differenza. E non fanno ancora molta differenza.

Il mondo intero attraversa un processo di riadattamento. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti si sono prefissati di isolare l’Unione Sovietica, considerandola il loro grande pericolo, e ci sono riusciti benissimo. Ora, il mondo reagisce a ciò che ha visto, osservando gli Stati Uniti continuare a cercare di contenere ciò che non possono più contenere. E quindi il risultato finale di ciò che gli Stati Uniti stanno facendo è isolarsi. Questa è l’ironia del momento storico. Gli Stati Uniti si stanno isolando. Stanno creando una pressione sempre maggiore all’esterno degli Stati Uniti per incapsulare gli Stati Uniti. Si lasci che gli Stati Uniti se ne vadano e restino isolati. Si lasci che il resto del mondo faccia la sua parte. Persino gli europei si interrogano sugli accordi che forse dovrebbero fare con Cina e India. E ne stanno facendo alcuni e capiscono che, a quanto pare, potrebbero aver scommesso sul cavallo sbagliato. 

All’interno degli Stati Uniti, la stessa consapevolezza potrebbe assumere la seguente forma: ciò di cui il mondo non ha bisogno è di permettere a ciò che resta del colosso Stati Uniti e dei suoi alleati di trovarsi in una corsa agli armamenti senza fine con questi altri paesi (Cina, Russia, India, Brasile, etc.) che sono molto più grandi degli Stati Uniti. Dovrebbero prendere spunto dalla storia americana e dire che gli inglesi hanno cercato di impedire agli americani di essere indipendenti nelle guerre del 1776. Ci hanno riprovato nel 1815. Sono stati sconfitti dagli Stati Uniti entrambe le volte, dopodiché è stato raggiunto un accordo. E l’accordo era: “Gran Bretagna, hai il mondo intero, mentre noi prendiamo l’America Latina (la dottrina del presidente Monroe del 1823) e su questa base non dovremmo scontrarci”. Gli Stati Uniti sono rimasti alla larga dai conflitti europei, occupandosi di sé stessi e del continente americano fino alla Prima Guerra Mondiale 

Quel tipo di accordo non è più disponibile nel mondo. Ma c’è sempre la possibilità di un accordo tra il colosso statunitense che sta morendo ed è isolato e il nuovo blocco dei paesi in ascesa. La domanda potrebbe non essere se gli statunitensi siano disposti a farlo, ma se cinesi, russi e indiani siano disposti a farlo per raggiungere un accordo che li limiti entrambi, con la scusa che questo è un modo per evitare la guerra che pone fine all’intera umanità. 

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