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Angelo Del Boca: uno storico in difesa dei senza voce

di Matteo Dominioni

Dalla penna di uno dei suoi principali allievi, una nota biografica sul lavoro politico ed intellettuale di un uomo e di uno storico che controcorrente ha raccontato l’indicibile e contribuito a svelare il rimosso coloniale in Italia

0e99dc 6b40bb2710124dc6a59613422fa50cb3mv2Angelo Del Boca nacque a Novara nel 1925 dove passò l’infanzia. Dalla fine della guerra, visse a Torino dove lavorò come giornalista. Inviato della «Gazzetta del popolo» di Torino, trascorse lunghi periodi all’estero. Scrisse memorabili reportage, diede un contributo fondamentale per la defascistizzazone degli studi coloniali, lasciò preziose memorie sulla lotta di liberazione.

Offriamo qualche spunto di riflessione per ricordare uno dei più importanti intellettuali contemporanei, innovatore nell’ambito giornalistico e in quello della storiografia, per la metodologia e i temi trattati.

 

L’uomo

Chi ha avuto la fortuna di conoscere Angelo Del Boca e di collaborare con le sue numerose fatiche editoriali, ha apprezzato il suo forte senso di giustizia e l’apertura mentale di stare sempre dalla parte dei deboli. Non era solamente coerenza politica la sua, ma era un modo di porsi di fronte al mondo e agli altri che maturò durante la lotta di liberazione. Crebbe in un ambiente non fascista – racconta che la madre «l’avevo vista più volte sputare sul ritratto di Mussolini, che tenevamo in cucina, ma non era un’antifascista, era soltanto una donna stanca di scucire denaro per le costose divise dei figli» – ma durante la guerra dovette arruolarsi con la Repubblica sociale italiana per evitare rappresaglie contro la famiglia. Tornato dall’addestramento in Germania, disertò e raggiunse i partigiani del piacentino.

Era stakanovista. I cinquanta volumi che ci ha lasciati sono solamente una parte di quanto ha scritto e pubblicato. Per lui il valore più alto era quello del lavoro, da intendere come via per realizzare se stessi e il progresso dell’umanità. Era curioso. Non smise mai di leggere, studiare e raccogliere testimonianze. Era altruista, nei termini in cui metteva a disposizione tempo e conoscenze: leggeva ogni cosa ricevesse dando sempre un parere al mittente.

Aveva maturato una visione della Storia e del presente che potremmo definire sincretica, ovverosia lontana dall’eurocentrismo e aperta alle culture altre. Il Novecento è stato il secolo – pur tra immani errori, tragedie, involuzioni – in cui i popoli sono diventati protagonisti, prima nelle metropoli poi nelle periferie che man mano si sono sganciate dal giogo coloniale. Le vittime dei soprusi devono non solo essere difese e protette, perché è giusto sia così, ma devono avere diritto di parola e noi dobbiamo rimetterci continuamente in discussione, contaminandoci, per quanto avvenuto nel passato e per contrastare le immani contraddizioni Nord/Sud di oggi.

Era laico ma, sin dal 1957 quando la incontrò a Kalighat in India, rimase molto colpito dalla figura di Madre Teresa di Calcutta e dal suo instancabile impegno nell’aiutare i bisognosi che, in un paese privo di welfare, dove i diseredati tra l’altro vengono colpevolizzati e costretti a soffrire, salvò molte persone.

Nel novembre del 1979, morì la moglie Maria Teresa, conosciuta nel gennaio del 1945, con la quale aveva avuto tre figli: Paola, Daniela e Davide. Seguì un periodo difficile e di sofferenza che emerge dalle poesie che Del Boca scrisse all’epoca. Una colpisce in particolare, perché vengono associate le parole «memoria» e «solitudine», da un uomo che con la memoria e l’incontro/scontro con l’altro si è rapportato per tutta la vita:

«Essere depositari
di ricordi in due,
e poi restare solo
a riviverli,
non poter ricorrere
alla tua memoria,
per esaltarli,
questa,
questa è la vera solitudine» [1].

Sposò in seconde nozze Paola, matrimonio da cui è nata Ilaria, quarta figlia [2].

 

Il giornalista

Nel 1954, si recò in Africa per la prima volta come inviato della «Gazzetta del popolo» di Torino e scrisse reportage da Egitto, Sudan, Marocco, Algeria e Tunisia. Lavorò al quotidiano fino al 1967 come capo cronista. Gli articoli sull’Africa fecero conoscere paesi lontani e sconosciuti in una fase storica cruciale, e alcuni tra i leader delle lotte anticoloniali: Léopold Sédar Senghor, Sékou Touré, Felix Houphounet-Boigny, Kwame Nkrumah [3].

Nel 1960 fece lunghi viaggi in Africa e si recò in Spagna clandestinamente, per compiere un’inchiesta e per dare voce all’opposizione socialista antifranschista completamente silenziata [4]. Dopo la Spagna si recò in Israele per seguire il processo contro Alfred Heichmann, poi in Tunisia perché «si temeva che la guarnigione francese di Biserta facesse causa comune con i generali ribelli d’Algeria», in seguito in Iran, Iraq, Kuwait, Libano ed Egitto lungo la via del petrolio, quindi Belgrado per seguire la conferenza dei paesi non allineati. Nel dicembre del 1961 si recò in Sud Africa, per dare conto della strage di Sharpeville ma dopo un mese venne espulso per avere violato il divieto di avvicinare Albert Luthuli, premio nobel per la pace nel 1960 [5]. Nuovamente in viaggio, raccontò il Giappone e la guerra del Vietnam [6]. Oltre che dal Sud Africa, venne espulso anche dall’Algeria perché raccolse testimonianze e prove che «la pace di Algeri è stata acquistata al prezzo dell’internamento di ventiquattromila musulmani; a quel rastrellamento sistematico che è stato il capolavoro di Massù; al fatto che nella Casbah, ancor oggi, c’è un soldato ogni cinquanta metri, il mitra spianato» [7]. Nel 1963 si recò ad Addis Abeba, in occasione della nascita dell’Organizzazione per l’unità africana. Scrisse un articolo sulla cerimonia finale che potremmo definire «musicale»: tradusse e trascrisse l’inno dell’Oua e descrisse come evento clou della serata il concerto di Miriam Makeba, che Del Boca aveva già capito essere Mama Africa: «La comparsa, verso le 23, di Miriam Makeba, in un abito bianco aderentissimo, interruppe il brusio nella sala. Miriam si inchinò leggermente davanti all’Imperatore [Hailé Selassié] e ai suoi ospiti e poi cominciò a cantare uno spiritual. Subito tutti gli occhi furono su di lei. Miriam non era soltanto una splendida donna. Non era soltanto una delle più belle voci che l’Africa abbia dato. Miriam era anche una perseguitata. Una donna fuggita dall’universo concentrazionario sudafricano. Miriam era la testimonianza vivente dei torti che da sempre l’Africa subisce. Miriam appariva perciò come trasfigurata ai duemila rappresentanti dell’Africa libera. Era l’Africa della protesta, dei canti tristissimi, delle nenie rotte dai singhiozzi. Era la Madre Africa che singhiozzava ma che sapeva anche consolare. E perciò il sentimento che provocava nei presenti era un insieme di venerazione religiosa e di impulso erotico, di pietà e di ammirazione» [8].

 

Lo storico

Il nome di Angelo Del Boca è noto a tante persone per la celebre diatriba che lo contrappose per più di un decennio a Indro Montanelli relativamente alla denuncia dell’impiego di aggressivi chimici da parte degli italiani durante la guerra italo-etiopica del 1935-36 [9]. Il dibattito pose le basi per sviluppare ricerche e offrire una storiografia innovativa e di rottura che a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso ha ripetutamente confutato, criticato e infine demolito l’impianto storiografico generale di riferimento sulla storia coloniale italiana. La vera vittoria fu raggiunta nel 1996, quando il ministro della difesa generale Corcione ammise ufficialmente le responsabilità dell’Italia fascista di avere violato gli accordi di Ginevra del 1926 sulla proibizione degli aggressivi chimici e, contestualmente, desecretò la documentazione della guerra d’Etiopia e aprì gli archivi coloniali del Ministero della difesa. Fu una decisione importante che ha permesso a decine di studiosi e studiose di tutto il mondo di studiare per la prima volta carte rimaste segrete per più di mezzo secolo.

I primi documenti in cui veniva fatto esplicito riferimento all’utilizzo dei gas durante la guerra d’Etiopia del 1935-36 furono pubblicati da Del Boca nel 1965 nel primo volume che dedicò al colonialismo italiano, una raccolta di articoli rivisti, scritti originariamente per la «Gazzetta del popolo» in occasione del viaggio ad Addis Abeba del 1963. Fu un lavoro pioneristico perché, oltre a documentazione fino ad allora sconosciuta, conteneva le testimonianze di ras Immirù, comandante delle forze settentrionali etiopiche nel 1935-36 e animatore del governo ribelle di Gore durante i primi mesi di occupazione, e dell’imperatore Hailé Selassié sull’uso degli aggressivi chimici e sui bombardamenti contro ospedali, ambulanze della croce rossa e villaggi.

Con gli anni – ripetutamente sollecitato da amici e studiosi – maturò la decisione di dedicare tempo e passione alla storia coloniale. Pur continuando a fare il giornalista – non più per la «Gazzetta del popolo» ma per «il Giorno» – cominciò a lavorare negli archivi pubblici e privati, a raccogliere testimonianze, a consultare riviste, annali dell’epoca e la storiografia esistente finanche la robaccia propagandistica coeva. Insomma, passò in rassegna ogni tipo di fonte utile per ricostruire moltissimi aspetti della storia coloniale sia dell’Italia liberale che del regime fascista. Tra il 1976 e il 1984, per i tipi di Laterza, fu edita in quattro volumi l’opera Gli italiani in Africa orientale, seguita poco dopo da Gli italiani in Libia e da tanti altri volumi sui crimini italiani in Africa e sul revisionismo.

Per molti anni diresse la rivista «Studi piacentini» che diventò un punto di riferimento per studiosi di tutto il mondo, per qualità e temi trattati nei saggi. Conclusa quell’esperienza, nell’ottica di continuare quanto fatto, aprì una nuova rivista, «I sentieri della ricerca».

Scrisse la biografia dell’imperatore d’Etiopia Hailé Selassié e quella del presidente libico Mu’ammar Gheddafi. Si tratta di lavori metodologicamente e scientificamente ineccepibili, scritti con senso critico pur trattando personalità verso le quali l’autore provava stima e simpatia. Detto questo, solamente Del Boca avrebbe potuto portare a termine un simile progetto perché dovette rapportarsi – oltre che armarsi di infinita pazienza – con persone particolari.

Il convegno tenutosi a Milano nell’ottobre del 2006, organizzato dall’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia, fu un momento importante per gli studi coloniali, una sorta di sintesi sullo stato degli studi a partire da quanto fatto dai primi studiosi – Giorgio Rochat, Alberto Sbacchi, Nicola Labanca per citare i più prolifici – che insieme a Del Boca hanno innovato la ricerca. Gli atti di quelle giornate sono un contributo maturo su una serie di aspetti dell’Oltremare discussi entro un quadro di riferimento che negli ultimi decenni si è notevolmente innovato e sprovincializzato [10]. Oggi sono dozzine le studiose e gli studiosi che in tutto il mondo studiano il colonialismo fascista, attraverso riflessioni e categorie decisamente discontinue rispetto alla storiografia coloniale fascistofila, ma anche rispetto agli stessi contributi di Del Boca, e facendo comparazione con altri casi europei di colonizzazione. Si tratta di un processo scontato, ovvio. Se non ci fosse innovazione, dibattito e, perché no, revisionismo, saremmo ancora fermi alle opere di Raffaele Ciasca [11].

 

L’impegno politico

Per 35 anni, fino al 1980, fino all’ascesa del craxismo, Angelo Del Boca ha abitato la casa socialista, più come intellettuale che come dirigente. Era il suo il socialismo dei campi non quello delle fabbriche, quello della campagna non della città. Il socialismo di Del Boca era quello dell’azionismo i cui protagonisti, anche se in sordina e disuniti, hanno arricchito nel dopoguerra la cultura della sinistra grazie a tematiche innovative. Nel 1994, venne candidato come indipendente alle elezioni politiche per i Progressisti nella circoscrizione di Piacenza. Era quello il momento giusto per mettersi in gioco: lo scandalo dello sdoganamento dei fascisti, l’assurdità di Berlusconi e della sua cultura retriva, la nascita di un cartello elettorale che per la prima volta metteva insieme la sinistra istituzionale.

Per tutta la vita – come molti partigiani e partigiane – prese parte e animò iniziative in difesa della democrazia e dei valori antifascisti.

Nella sua biografia ricordava l’entusiasmo, ma anche le inquietudini, che nel 1960, di fronte al sostegno dei neofascisti al governo Tambroni e le prospettive autoritarie, portarono alla nascita del Circolo della Resistenza di piazza Alberello a Torino: «Quelle di Piazza Albarello furono sempre riunioni caratterizzate da un genuino fervore, che ci riportava ai giorni della resistenza. Nelle settimane di grande tensione, tra la fine di giugno e l’inizio di agosto quando infine Fanfani succedette a Tambroni, ci si incontrava quasi ogni sera per esercitare la massima vigilanza. Ed anche negli anni successivi il Circolo continuò a svolgere il suo ruolo di difesa dei valori resistenziali e di sorveglianza sulle attività illecite dei neofascisti. Nel maggio del 1966, ad esempio, fece fallire la manifestazione indetta dai missini per celebrare a Torino la “conquista dell’impero” [del 1936]».

 

L’eredità

Limitando la nostra riflessione alla storiografia coloniale, oggi gli studiosi hanno a disposizione un quadro generale grazie alle seguenti opere: Roberto Battaglia, La prima guerra d’Africa; Angelo Del Boca, Gli italiani in Africa orientale (4 vol.); Nicola Labanca, Oltremare [12]. Negli ultimi trent’anni sono stati molti gli studi che questa eredità l’hanno raccolta e che con nuovi ragionamenti e modi di pensare hanno proposto innovative prospettive di ricerca sulle questioni di genere, il razzismo, l’urbanistica, la musica e tanti altri temi. Ma per quanto riguarda la storia militare è opportuno prendere atto che la ricerca al momento non ha ancora colmato lacune che incidono notevolmente sulla possibilità di fare una sintesi articolata. Su questo Del Boca scriveva che «uno degli argomenti ancora tutto da trattare è la resistenza etiopica alla dominazione italiana e i metodi e l’episodica della repressione fascista. Eppure all’Ufficio storico dello Stato maggiore dell’Esercito c’è una grande quantità di documenti sull’argomento a cominciare dagli utilissimi diari di battaglione» [13].

Ma – aggiungiamo al suggerimento citato – sarebbe interessante studiare: quanto la lobby coloniale nel dopoguerra esercitò ancora il proprio potere (gestione degli archivi, manipolazione dei concorsi ministeriali, gestione di finanziamenti e/o pensioni), i rapporti che si instaurarono fra circoli coloniali e neofascismo e quelli fra gli italiani rimasti in Etiopia ed Eritrea e il Ministero degli affari esteri. Temi questi che andrebbero a toccare il tema della costruzione della memoria e del mito del buon italiano, nelle ex colonie e in Italia. In questi ultimi anni siamo stati testimoni di intitolazioni di piazze a criminali di guerra come Ugo Cavallero (Casale Monferrato in provincia di Alessandria) o collaborazionisti ascari (Monguzzo in provincia di Como) e persino all’edificazione di monumenti dedicati al macellaio Rodolfo Graziani (Affile in provincia di Roma). Questa è solamente la punta di un iceberg che racchiude vari livelli di revisionismo. Diciamolo chiaramente: sono tutte iniziative dal chiaro stampo fascistoide perché si basano su una narrazione che è riconducibile in tutto e per tutto alla propaganda fascista. Però attenzione, perché queste cose appartengono all’Italia di oggi non a quella del secolo scorso, ecco perché fare una critica a certe politiche oggi non può prescindere dalla conoscenza di quanto avvenne nelle colonie.

 

Conclusioni

Angelo Del Boca è stato un uomo che grazie all’incessante lavoro ha raggiunto prestigiosi risultati pur rimanendo indipendente, un outsider rispetto a percorsi che richiedono «protezioni». Per questo – perché libero e non dipendente da opportunismi politici di breve respiro – è rimasto un punto di riferimento e ha rilasciato interviste fino a poco prima di morire.

Ha raccontato la povertà e la miseria delle valli di Comacchio, della Sila, le condizioni delle città dell’Agro Pontino costruite dal fascismo, i processi di decolonizzazione e le storie dei leader africani, il processo Heichmann. Le inchieste giornalistiche condotte studiando, recandosi sui luoghi dell’evento e raccogliendo interviste, sono state una base metodologica che, arricchita dagli studi archivistici, è stata fondamentale per svecchiare la storiografia coloniale, per temi affrontati e per l’approccio. Angelo Del Boca fu un pioniere perché diede dignità all’altro dandogli voce. Mise in pratica, d’altronde, il vecchio ma fondamentale metodo di Erodoto: ascoltare, vedere, ragionare.

In conclusione, permetteteci una riflessione personale, sorta rileggendo l’autobiografia del 2008 in cui scriveva: «sfoglio le pagine dei miei diari e incontro altri nomi di amici che non ci sono più». Tra questi amici ricordava Vito Laterza, Carlo Bo, Alberto Sbacchi, Gianni Corbi, Nuto Revelli, Michele Pantaleoni, Gianni Agnelli, Alessandro Galante Garrone, Norberto Bobbio, William F. Deakin, Giuseppe Ajmone, Giancarlo Vigorelli, Christopher Seaton-Watson, Enzo Biagi, Enrico Serra e Indro Montanelli. Scopriamo inaspettatamente che con il personaggio pubblico con cui si scontrò maggiormente era legato da un rapporto di amicizia. Chi l’avrebbe mai pensato.


Note
[1] Angelo Del Boca, Un testimone scomodo, Grossi, Domodossola 2000, p. 289. L’autobiografia è stata successivamente ripubblicata e ampliata di due capitoli, si veda. id., Il mio Novecento, Neri Pozza, Vicenza, 2008.
[2] Tutte le informazioni sono prese da A. Del Boca, Un testimone scomodo, op. cit.
[3] Una parte venne pubblicata in Angelo Del Boca, Africa aspetta il 1960, Bompiani, Milano, 1960.
[4] Angelo Del Boca, L’altra Spagna, Bompiani, Milano, 1961.
[5] Angelo Del Boca, Apartheid: affanno e dolore, Bompiani, Milano, 1962.
[6] Townsend Harris, Angelo Del Boca, Occhio giapponese, De Agostini, Novara, 1963; Angelo Del Boca, Vietnam: la guerra dei vent’anni, in AA.VV., Lotte di liberazione e rivoluzioni, Istituto di Storia della Facoltà di Magistero dell’Università di Torino, Giappichelli Torino, 1968.
[7] A. Del Boca, Un testimone scomodo, op. cit., p. 215.
[8] A. Del Boca, Un testimone scomodo, op. cit., p. 228.
[9] Angelo Del Boca (a cura di), I gas di Mussolini, Editori Riuniti, Roma, 1996.
[10] Riccardo Bottoni (a cura di), L’impero fascista. Italia ed Etiopia (1935-1941), il Mulino, Bologna, 2008.
[11] Raffaele Ciasca, Storia coloniale dell’Italia contemporanea. Da Assab all’impero, Hoepli, Milano 1940.
[12] Roberto Battaglia, La prima guerra d’Africa, Einaudi, Torino, 1958; Angelo Del Boca, Gli italiani in Africa orientale, 4 voll., Laterza, Roma-Bari, 1976-1984, Einaudi, Torino, 1958; Nicola Labanca, Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, il Mulino, Bologna, 2002.
[13] Bottoni, L’impero fascista, op. cit., p. 33.

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