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La città dei rifiuti. Giustizia ambientale e incertezza nella crisi dei rifiuti in Campania

Marco Armiero1 e Giacomo D´Alisa2

1. Introduzione

Come è noto, i movimenti per la giustizia ambientale affondano le loro radici nelle mobilitazioni delle comunità povere delle città americane (Pellow 2007), riconnettendosi idealmente alle battaglie per i diritti civili più che alla tradizione del movimento ambientalista (Melosi 2000). In pochi ricordano che quando venne ucciso Martin Luther King Jr. si trovava a Memphis per sostenere uno sciopero di lavoratori neri nella gestione dei rifiuti (Bullard and Johnson 2000).

Lawrence Summer, presidente dell’università di Harvard e capo del Consiglio Nazionale Economico dell’amministrazione Obama, ha sostenuto, quando era presidente della Banca Mondiale, l’esportazione dei rifiuti nelle zone povere del mondo come la migliore delle soluzioni economiche possibili[3]. Una soluzione praticata e non solo teorizzata, come il caso dell’esportazione massiccia delle navi da smantellare ad Alang in India dimostra (De Maria 2010).

I rifiuti sono stati, lo sono e purtroppo lo saranno ancora nel futuro un problema di giustizia ambientale in un’economia che aspira ad una crescita illimitata. Questo è il motivo per il quale i rifiuti devono essere sempre più un aspetto centrale del dibattito sulle ingiustizie socio-ecologiche. Questo lavoro vuole contribuire a questo risultato e lo fa illustrando le difficoltà che incontrano attivisti e studiosi nel costruire il cammino per un efficace ecologismo popolare (Martinez-Alier 2009). Il caso analizzato è quello della Campania, regione del sud dell’Italia che da più di 17 anni vive in un regime di emergenza nella gestione dei rifiuti.


2. Un’icona muta

Negli ultimi dieci anni Napoli (capoluogo della Campania) è diventata l’icona mondiale del fallimento di una corretta gestione del ciclo dei rifiuti. Le immagini della città completamente invasa dai rifiuti hanno fatto il giro del mondo, riempiendo le pagine dei maggiori giornali e dei notiziari. Una semplice ricerca online può fornire un’idea della trasformazione della città in icona della bancarotta socio-ecologica. Articoli sulla crisi dei rifiuti in Campania sono apparsi sul Newsweek, The New York Times, The Economist, El Pais; dal 2006 ad oggi Le Monde ha pubblicato circa 30 articoli sulla questione, 32 sono comparsi su The Guardian. Una ricerca che utilizzi “Napoli” e “rifiuti” come parole chiave ottiene circa 20 risultati sia nel sito della CNN che in quello della BBC; gli oltre 2000 risultati ottenuti nel sito della Fox News impediscono una più attenta disamina, ma certo suggeriscono che si tratti di un tema rilevante. A conferma di questa impressione possiamo citare, infine, la madre di ogni ricerca virtuale: il motore di ricerca Google da più di un milione e mezzo di risultati se interrogato su “Napoli e rifiuti”.Tuttavia, a questa enorme massa di informazioni sulla crisi ecologica di Napoli non crediamo che abbia corrisposto un’approfondita conoscenza della situazione. Ci sembra esemplare in questo senso un articolo pubblicato nel 2007 da The New York Times, nel quale il giornalista scriveva:

En teoría, una solución permanente no es difícil. La solución ha sido propuesta por una comisión de emergencia: un mayor reciclaje y la apertura de varias incineradoras y de nuevos vertederos en Nápoles y en las provincias vecinas. Pero como ha sucedido en varias de las ciudades en estas últimas dos semanas, la población local protesta en voz alta (IAN FISHER Publicado: 31 de mayo de 2007).


In queste righe ci sono molti degli elementi fondamentali che costruiscono l’immagine di Napoli come icona del fallimento; c’è lo stato di emergenza, l’autorità degli esperti, gli inceneritori, il riciclaggio, le discariche e la resistenza delle popolazioni. Il problema, però, è per il giornalista solo la “voce alta della popolazione”, che, a suo parere, impedirebbe la messa in opera delle soluzioni “non difficili” proposte dagli esperti. In questo caso la voce sembra non aver contenuto, non dire nulla; per questo la definiamo un’icona muta. In questo articolo vogliamo proporre, invece, una visione diversa, precisamente opposta, della crisi dei rifiuti e lo vogliamo fare mettendo in discussione proprio i pilastri fondamentali sui quali si fonda l’immagine stereotipata della città dei rifiuti. A differenza del giornalista riteniamo che solo attraverso le lenti del conflitto (Armiero 2008) si possono svelare le ragioni di quella protesta; non si comprende la verità sulla crisi dei rifiuti senza ascoltare “voce alta della popolazione”.


3. Campania quale giustizia ambientale

Le immagini dei cumuli d’immondizia hanno fatto il giro del mondo diventando nell’immaginario l’emblema della crisi della città; per questo nel 2008 il Primo Ministro poteva dichiarare la fine dell’emergenza campana perché “le strade della città di Napoli sono di nuovo ordinate e pulite”[4].

Con questo articolo vogliamo dimostrare che quelle immagini e queste risposte del governo non hanno rivelato molto sulla natura di quella crisi. Piuttosto, riteniamo che quelle immagini abbiano contribuito a nascondere più che rivelare la complessità della crisi dei rifiuti in Campania, assolutamente non riducibile alla domanda di pulizia e di ordine nelle città. La domanda alla quale proveremo a dare risposta è semplice: sono davvero le 170.000 tonnellate di rifiuti accumulati nel 2007 nelle strade di Napoli il problema principale? A nostro parere questo tipo di impostazione del problema è superficiale e fuorviante; piuttosto, come scriveva Urlic Beck, nel suo classico sulla società del rischio, la novità della società industriale sta proprio nell’invisibilità dei rischi che produce (Beck, 1992): siano tossine o radiazioni nucleari, esse sfuggono alla percezione comune. La risposta a tale invisibilità è affidata all’intervento degli esperti, che pretendono di avere il monopolio della loro valutazione e misurazione - o meglio ai quali viene concesso tale monopolio per depoliticizzare il dibattito. Da questa considerazione sorge la seconda domanda a cui proveremo a dare risposta: cosa possono dire gli esperti a partire dai dati disponibili sulla generazione e gestione dei rifiuti in Campania? Come vedremo più avanti, la risposta a queste due domande conferma la nostra tesi: il problema dei rifiuti campani sta soprattutto in quello che non si vede o, in altre parole, nel conflitto tra quello che gli esperti e i dati ufficiali mostrano e quanto resta nascosto. Un nascosto che emerge solo guardando gli eventi con gli occhi degli attivisti (Armiero 2008). A questo si collega l’altra tesi portante di questo articolo: la resistenza delle popolazioni locali, quel loro opporsi a inceneritori e discariche è ciò che ha messo in discussione il monopolio della valutazione e della misurazione degli esperti mainstream e che ha fatto emergere i limiti della definizione ufficiale del problema.

Da questo punto di vista, la vicenda dei rifiuti campani si iscrive tra i classici esempi di conflitti per la giustizia ambientale; a Napoli, come a Love Canal (Levine 1982) o a Los Angeles (Pulido 2000, p. 32), gli attivisti si trasformano in esperti, non tanto mettendo in discussione la scienza in quanto tale (Beck, p. 72), ma piuttosto proponendo un approccio scientifico post normale che richiede partecipazione democratica e consenso (D’Alisa et al. 2010). Il conflitto sulla legittimazione del sapere e sull’affidabilità dei dati e delle agenzie di controllo è, infatti, un tratto distintivo delle lotte per la giustizia ambientale; un ambientalismo che non nega la scienza, ma piuttosto un movimento che reclama la necessità di riportare la scienza nell’arena della politica.


4. Incertezza dei dati ed impossibilità a partecipare

L’assenza di dati certi è una della caratteristiche sistemiche per chi si trova ad operare con il mondo complesso dei rifiuti, e ovviamente non solo con quello (Powel et al 2001 p. XIII). La mancanza di dati affidabili, la modalità di produzione degli stessi, chi li genera, sono tutte questioni da sciogliere se si vogliono produrre analisi che possano contribuire a migliorare i processi di decisioni socio-economiche. Il problema dell’incertezza dei dati diventa endemica nel caso della crisi campana; qui non facciamo riferimento all’incertezza propria delle situazioni di rischio ambientale, per cui i rapporti di causalità sono sempre difficili da stabilire. Non ci soffermeremo, quindi, sul dibattito sorto, ad esempio, in ambito scientifico sulla correlazione tra discariche illegali di rifiuti tossici e patologie (Senior e Mazza 2004; Bianchi e al.), che pure è un classico esempio di quella politicizzazione della scienza e conflitto di autorità che caratterizza tutte le lotte per la giustizia ambientale[5]. In questo articolo vogliamo sottolineare che la incertezza dei dati su produzione e gestione dei rifiuti in Campania è più grossolana e, a nostro parere, funzionale all’opzione emergenziale[6]. La mancanza di dati chiari, trasparenti e consolidati, infatti, rende impossibile qualsiasi miglioramento dei piani di gestione efficaci, relegando il lavoro dei decisori politici, ricercatori e semplici cittadini ad un passivo ricevimento dei programmi di gestione e, di conseguenza, dell’impiantisca da implementare. Di conseguenza la gestione emergenziale, combinata con quest’aleatorietà di dati, ha come risultato una deriva fortemente autoritaria nella programmazione della tipologia e della dislocazione dell’impiantistica sul territorio. Un’aleatorietà non da poco, dato che a partire dai dati disponibili (1999-2007)[7] si rileva un ammanco per lo stesso periodo di circa due milioni di tonnellate di rifiuti, ovvero due terzi della produzione di un anno in Campania.


5. I dati.

I due milioni di tonnellate di rifiuti scomparsi sono solo l’eclatante rappresentazione di una generale approssimazione riguardo ai flussi dei rifiuti in Campania. Più di un decennio di regime di emergenza e un miliardo e mezzo di euro (o forse 2?) spesi non sono bastati a fornire un quadro certo della situazione – né d’altra parte era questo il loro obiettivo.

Ad esempio, il numero di discariche legali attive in Campania negli ultimi quindici anni è incerto. Secondo l’ARPAC, fino al 2001 in Campania sono state in funzione almeno 200 discariche (ARPAC, 2008, pp. 103-104).

La Fig.1 mostra la riduzione del numero di discariche dal 1999 al 2007. Il grafico è stato realizzato sulla base dei dati contenuti nei Rapporti ISPRA, rapporti che tuttavia presentano al loro interno numerose incongruenze. Il Rapporto 2004, ad esempio, nella tabella di sintesi del numero di discariche per provincia, riporta un numero totale di impianti pari a 27 nel 2003. Tale numero scende invece a 16 nella tabella dettagliata che abbiamo usato come base della nostra analisi. La provincia di Salerno, ad esempio, presenta 6 discariche nel 2003, 19 nella tabella sintetica. Le quantità smaltite sono invece le stesse. Tali incongruenze possono essere dovute ad errori materiali nella trascrizione dei dati, errori che comunque persistono nei successivi Rapporti, fino all’ultimo del 2008. Altre incongruenze si ritrovano nei dati concernenti la provincia di Napoli. La tabella sintetica riporta una quantità smaltita di oltre 1,3 milioni di tonnellate, a fronte di nessun impianto nel 2003. La stessa quantità è presente nella tabella dettagliata ma risulta essere smaltita nelle discariche di seconda categoria di Giugliano. La stessa incongruenza si rileva nel Rapporto ISPRA 2005.

La riduzione progressiva delle discariche è stata accompagnata nel 2001, anno della prima grande crisi, dall’apertura di oltre 183 siti di stoccaggio comunale, che, sebbene ai sensi dell’articolo 13 del D.Lgs 22/97 avrebbero dovuto essere usati provvisoriamente, sono ancora attivi nel 2008, con ingenti quantitativi di rifiuti stoccati in precarie condizioni di sicurezza (ARPAC 2008 pp. 103-104). In molti siti si è stoccato il combustibile da rifiuti (CDR), meglio conosciuto con il nome di ecoballe, anche se per legge sarebbero dovuti essere smaltiti in altri inceneritori, in attesa dell’avvio dell’inceneritore di Acerra. Lo scempio ambientale maggiore legato a questa pratica è avvenuto a Giugliano (precisamente nel sito di Taverna del re) dove circa 3,5 km2 di terra agricola sono stati eliminati per costruire tante piramidi di eco balle, le quali, se messe insieme, sarebbero la piramide più grande della storia.


Fig. 1 Numero di discariche dal 1999 al 2007 (ISPRA, 2001-2007)

La ricerca dei dati concernenti gli impianti di smaltimento è stata ancora più ardua a causa di una disarmante mancanza d’informazioni al riguardo. Le 800 pagine del primo Piano Regionale dei rifiuti in Campania (BURC 14 luglio 2007), ad esempio, non contengono informazioni chiare sullo stato delle discariche, pur essendo queste ultime, ad oggi, l’unica forma di smaltimento dei rifiuti in Campania. Stessa cosa per il Piano Regionale dei Rifiuti presentato nel 2005 (Gazzetta Ufficiale N. 70 del 24 Marzo 2006).

Incrociando i dati ARPAC con quelli dei Rapporti ISPRA e con altre informazioni presenti nel Piano Regionale presentato nel 2007 dal Commissario all’emergenza rifiuti Pansa (ai sensi dell’art. 9 L. 87/2007), è possibile dare una prima rappresentazione delle quantità smaltite e prodotte nel periodo analizzato.

La Tab. 1 è stata ricostruita sulla base dei dati per discarica presenti nei Rapporti ISPRA e mostra che dal 1999 al 2007 sono stati smaltiti in Campania circa 13 milioni e mezzo di tonnellate di rifiuti.


Tab.1 Rifiuti smaltiti in discarica (ton/a) dal 1999 al 2007 ISPRA


Il confronto con i dati ARPAC per il periodo 2002-2007 mostra che per l’Agenzia campana l’ammontare totale smaltito in discarica è stato inferiore a quello rilevato dall’Istituto Nazionale (Tab.1 e Tab.2).


Tab.2 Totale smaltito in discarica dal 1999 al 2007 ARPAC

Un confronto più puntuale delle due tabelle mostra però che in alcuni casi, come per le province di Benevento e di Salerno nel 2003, i dati ARPAC evidenziano smaltimenti superiori dell’Istituto Nazionale. Un primo tentativo di analizzare i dati a livello di singole discariche, nonostante le forti lacune e le incongruenze tra le diverse fonti, fa ipotizzare che le quantità smaltite in questi anni siano state superiori a quelle riportate nelle tabelle. Sarebbe necessario, tuttavia, un lavoro congiunto dell’Agenzia con l’Istituto per consolidare un data base affidabile, attraverso verifiche incrociate dei dati.

In questa sede ci limitiamo a dare una rappresentazione dei dati raccolti dalle diverse fonti per un’analisi preliminare della congruità delle quantità prodotte con quelle smaltite. La Tab. 3 mostra il Flusso di Rifiuti Indifferenziati per provincia in Campania dal 1999 al 2007.


Tab.3 Flusso di Rifiuti Indifferenziati per Provincia dal 1999 al 2007 (ISPRA)

Un primo confronto tra queste prime tre tabelle evidenzia che dal 1999 al 2000 le quantità smaltite sono state superiori a quelle prodotte, in particolare nelle province di Napoli e Caserta. Sebbene una parte del dato riguardante il 1999 possa essere attribuito a quote del 1998, resta da interpretare il dato del 2000. Nel 2001, anno della prima grande crisi, si registra una drastica riduzione dello smaltito in discarica, circa 1,655 milioni di tonnellate contro i 2,598 milioni del 2000 (Tab. 1) ma soprattutto rispetto ai 2,582 milioni di tonnellate di Flusso dei Rifiuti Indifferenziati prodotti (FRI) in Regione (Tab. 3). Le ragioni della sottoutilizzazione di alcuni degli impianti disponibili in quegli anni restano ancora tutte da chiarire. Il caso della discarica di Pianodardine a Benevento è emblematico al riguardo: in base ai dati ISPRA del 1999, il confronto tra le capacità e gli sversamenti dichiarati evidenzia una capacità residua di almeno 500 mila tonnellate, tuttavia nel Rapporto ISPRA del 2000 la discarica risulta essere esaurita. Inoltre nella seconda metà del 2001, nonostante l’entrata in funzione degli impianti di Caivano, Avellino e Santa Maria Capua Vetere (ARPAC, 2008) e l’esistenza di due cave gestite dalla FIBE - cava Giuliani e cava Bianco - dal volume complessivo di 1,8 milioni di metri cubi (Impregilo, 2002), tali disponibilità sono rimaste inutilizzate.

D’altronde i pubblici ministeri che hanno indagato sui vertici della FIBE e dell’agenzia per l’emergenza rifiuti hanno ipotizzato che alcune delle cosiddette crisi campane dei rifiuti fossero create ad arte dalla FIBE stessa al fine di imporre rapidamente l’accettazione delle sue scelte aziendali in materia di localizzazione di impianti e siti di stoccaggio. Insomma più immondizia era per strada e più rapida e senza controlli sarebbe stata la accondiscendenza delle autorità alle richieste della azienda (Rabitti, 2008).

La Tab. 4 é stata costruita sulla base dei dati dichiarati dalla Impregilo dal 2001 al 2004 sulle quantità FRI trasformato in CDR, frazione organica stabilizzata (FOS) e sovvalle. Il CDR è stato negli anni stoccato in siti appositamente allestiti in attesa della costruzione dell’inceneritore di Acerra; il FOS, destinato in principio ad essere utilizzato per interventi di bonifica ambientale, vista la scarsa qualità realmente prodotta negli impianti campani, è stato smaltito in discarica insieme al sovvalle e agli altri scarti.


Tab.4 - Dati raccolti dai rapporti ambientali Impregilo

Il confronto con la Tab. 5, basata sui dati ARPAC, mostra evidenti differenze nei dati sullo stoccaggio delle ecoballe. In presenza di informazioni divergenti per uno stesso anno, si è preferito utilizzare i dati dell’Impregilo, essendo questa la società che gestisce gli impianti, piuttosto che quelli dell’Agenzia campana. Sommando dunque i dati dei Rapporti Impregilo, dal 2001 al 2004, con i dati ARPAC, dal 2006 al 2007, emerge una quantità che supera i 5,5 milioni di tonnellate accumulate sul territorio campano.


Tab.5 - Stoccaggio ecoballe a partire dai dati ARPAC


La Tab. 6 mostra il FRI trattato negli impianti campani per il CDR, non destinato allo smaltimento in discarica. Tali quantità, sommate al totale smaltito fuori regione, forniscono l’ammontare complessivo di rifiuti non smaltiti nelle discariche campane. Stando ai dati dell’ARPAC si tratta di un quantitativo rilevante: oltre 1,5 milioni di tonnellate.


Tab.6 - Rifiuti trattati dagli impianti campani ma non destinati a discariche campane, dal rapporto ARPAC 2002-2007.

Una volta distinti i vari flussi di smaltimento è stato possibile ricostruire le quantità di FRI e le loro destinazioni finali. Sottraendo al FRI la quantità totale di ecoballe stoccate, la quantità dei residui non smaltibili in discarica e quella dei rifiuti destinati comunque allo smaltimento fuori regione, si è ottenuto un risultato che avrebbe dovuto coincidere con la quantità smaltita in discarica. Tuttavia il totale da smaltire in discarica supera di quasi 2 milioni il totale effettivamente smaltito, stando ai dati raccolti (Tab. 7).


Tab. 7 – Differenza tra rifiuto da smaltire in discarica come residuo dei trattamenti e quello realmente smaltito. (1) Ottenuto sottraendo al FRI i rifiuti trasformati in ecoballe, i materili ferrosi, i fanghi e il percolato, e infine la quantità smaltita fuori Regione. (2) Sono i valori dei rifiuti finiti in discarica secondo i dati ISPRA.

I quasi 2 milioni di rifiuti che mancano all’appello destano non poche preoccupazioni, in una regione ad alta densità di discariche illegali e con una fortissima ecomafia (Fontana et al. 2008) quale è la Campania.


6. Conclusioni

Il regime emergenziale ha imposto inceneritori, siti di stoccaggio e discariche a comunità che avevano già pagato un prezzo molto alto in termini di inquinamento e marginalità; se la repressione e la forza militare, accompagnate da qualche promessa di compensazione, hanno reso possibile questa imposizione, è anche vero che il regime emergenziale non si è accontentato di imporre le sue politiche con la forza. Insieme a inceneritori e discariche, esso ha imposto una narrazione della crisi campana, funzionale a quelle scelte; secondo questa narrativa i campani ed i napoletani sarebbero incapaci di mettere in pratica la raccolta differenziata, irresponsabili nel gestirla e colpevoli di opporsi “a voce alta” alle soluzioni semplici, possibili e rapide che vengono proposte. In questo articolo abbiamo dimostrato la superficialità di questa affermazione. Le 170.000 tonnellate presenti nelle strade durante il culmine della protesta tra il 2007ed il 2008 non erano altro che la punta di un iceberg molto più grande formato da più di 2.000.000 di tonnellate tra il 1999 ed il 2007 che non si sa dove sono stati sepolte, se in discariche legali ma non rispettandono i parametri di legge oppure direttamente in discariche illegali governate e controllate dalla camorra, la mafia napoletana. Di fronte a numeri così grandi e soprattutto a una così evidente assenza di dati certi, anche la questione delle 30.000 tonnellate di rifiuti campani che dovrebbero arrivare in Andalusia ci sembra piuttosto marginale, anche se, proprio per le incertezze strutturali che caratterizzano la crisi napoletana, sono comprensibili i sospetti da parte del governo andaluso[8].

La voce alta degli attivisti e della popolazione esprime un contenuto che emerge dalla semplice lettura delle statistiche ufficiali: non esistono le basi in Campania per una chiara e documenta partecipazione ad una programmazione seria; la confusione nei dati, nelle scelte tecniche e nelle localizzazioni di inceneritori e discariche é funzionale al perpetuarsi del regime emergenziale; la crisi è il prodotto dell’intreccio tra intessi economici, industriali legali, i sistemi politici a diverse scale ed il potere malavitoso; il risultato di tutto questo sono i milioni di euro sperperati inutilmente lasciando alle popolazioni inquinamento, distruzione del paesaggio e paura legata alla repressione dello Stato delle manifestazioni e della mano violenta della camorra. Uno sguardo attento ai dati mostra che un esperto non avrebbe molto da dire se non confermare la incongruenza degli stessi, un’incongruenza che avvalora la tesi degli attivisti sulla necessità di un controllo serio dei flussi dei rifiuti e non solo quelli urbani per poter ripensare ad una gestione di lungo periodo. Ciò che non si vede in questi dati ovvero 2.000.000 di tonnellate sono una parte dei rifiuti illegalmente smaltiti nella regione e la parte meno impattante, se si considera l’importazione illegale dei rifiuti nocivi che da anni la camorra, con la collaborazione di alcuni industriali senza scrupoli del nord che pur di minimizzare i loro costi si disinteressano del destino finale dei loro scarti industriali. A partire da questi dati è chiaro la versione ufficiale della crisi campana non può essere accettata né si può lasciare il monopolio della valutazione e misurazione della stessa ai soli esperti “accreditati”. In Campania, come in ogni conflitto per la giustizia ambientale, quegli esperti che partecipano ad una depoliticizzazione delle scelte, presentando le loro relazioni come puramente tecniche, si rendono complici dell’ingiustizia ambientale che affligge i campani. Invece proprio quelle comunità in lotta, con il loro mettere in discussione, con i propri corpi e le proprie conoscenze locali, la legittimità del sapere, l’affidabilità dei dati e delle scelte tecniche, offrono un contributo fondamentale ai movimenti di giustizia ambientale, a loro stessi e alla loro terra.

Bibliografia

Armiero M. (2008). “Seeing Like A Protester: Nature, Power, and Environmental Struggles”. Left History, Vol 13, No 1

Bianchi, F., Comba, P., Martuzzi, M., Palombino, R., Pizzuti R. (2004). “Italian ‘Triangle of death’”. The Lancet Oncology 2004: 5 (12)

Bullard, R. D. and Johnson, G. S. (2000). “Environmentalism and Public Policy: Environmental Justice: Grassroots Activism and Its Impact on Public Policy Decision Making”. Journal of Social Issues, 56: 555–578. doi: 10.1111/0022-4537.00184

Beck, U. (1992). Risk Society: Towards a New Modernity (London-Newbury Park, Calif.: Sage Publications)

Levine, A. (1982). Love Canal: Science, Politics, and People (Lexington, Mass.: Lexington Books)

De Maria, F. (2010). “Shipbreaking at Alang–Sosiya (India): An Ecological Distribution Conflict”. Ecological Economics Vol. 70, Issue 2

Martinez-Alier, J. (2009, 3ª edición). El ecologismo de los pobres. Conflictos ambientales y lenguages de valores (Barcelona: Icaria)

Melosi, M. (2000). “Equity, Eco-racism, and the Environmental Justice Movement”, in J. D. Hughes, M. E. Sharpe (eds.), The Face of the Earth. Environment and World History (New York: Armonk)

Pellow, D. N. (2007). Resisting Global toxics. Transnational Movement for Environmental Justice (Cambridge, Mass. : MIT Press)

Powell J.C., Turner R. K., Bateman I. J., (eds.) (2001). Waste Management and Planning. Managing the Environment for Sustainable Development (Cheltenham, UK; Northampton, MA, USA : E. Elgar Pub.)

Pulido, L. (2000). “Rethinking Environmental Racism: White Privilege and Urban Development in Southern California”. Annals of the Association of American Geographers, Vol. 90, No. 1

Senior, Kathryn, Mazza, Alfredo, Italian “Triangle of death” linked to waste crisis, The Lancet Oncology - 1 September 2004 (Vol. 5, Issue 9, Pages 525-527 )


Note

1 Marie Curie Fellow – Project 235728, ICTA-UAB

2 Research Fellow, ICTA-UAB

3 http://www.whirledbank.org/ourwords/summers.html

4 http://video.it.msn.com/watch/video/napoli-tornata-citta-occidentale-18-07-2008-ore-22-54/6cdx4duh

5 Ci riferiamo, ad esempio, alla polemica sui mesoteliomi tra il professore Giuseppe Comella e il professor Massimo Menegozzo; il primo ha sostenuto il legame tra esposizione ambientale e mesotelioma, mentre il secondo ha difeso il rapporto di causalità tra esposizione professionale e malattia. In intervista al dott. Paolo Fierro, in ACE (Archivio della Conflittualità Ecologica), in possesso degli autori.

6 Dal 1994 il governo nazionale ha decretato, infatti, per la Campania lo stato di emergenza in materia di rifiuti, costituendo un’apposita agenzia con poteri straordinari in grado di operare in deroga alle normative vigenti con conseguenze eclatanti in termini di corruzione, assenza di controllo, e perdita di democrazia (D’Alisa et al. 2010)

7 I dati utilizzati provengono dai Rapporti Rifiuti annualmente pubblicati dall’ISPRA (ex APAT) e i dati dell’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Campania (ARPAC). Tali informazioni sono state integrate con quelle presenti nei Rapporti Ambientali della Impregilo s.p.a., società parte del consorzio FIBE che dal 2000 gestisce il sistema dei rifiuti in Campania.

8 http://www.elpais.com/articulo/sociedad/Andalucia/rechaza/basura/Napoles/queria/llevar/Jerez/elpepusoc/20110312elpepisoc_7/Tes

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