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La goccia del Bahrein

Nicola Sessa

[Riporto questo articolo di Peacereporter perchè mi sembra una delle poche analisi in lingua italiana che cerchi di capire anche il contesto in cui si stanno svolgendo i drammatici fatti qui in Bahrain. Il Bahrain è l'altra faccia dell'osceno regime saudita, contemporaneamente il bordello dell'ipocrita oligarchia wahabita, che, dopo aver tuonato contro la dissoluzione dei costumi, qui passa il suo week end a base di alcolici e prostitute, e la base della quinta flotta americana, con il compito di garantire il flusso ininterrotto del petrolio per l'occidente. La feroce repressione al Pearl Roundabout, l'attacco brutale ai medici del Salmaniya Hospital che cercavano di curare le centinaia di feriti, anziani, donne, bambini, le forze di sicurezza congiunte bahrenite e saudite che sparano su ragazzini inermi per le strade svelano la vera faccia di regimi basati, al di là dello scintillio dei grattacieli e della Disneyland di Dubai, su un controllo sociale brutale e ossessivo, sullo schiavismo di massa, sulla segregazione delle donne. La fragilità del regime saudita, un guscio vuoto costruito a suo tempo per garantire il petrolio all'Occidente e gestire i relativi flussi finanziari, è il vero nodo della situazione]  tg da Manama

 

La rivolta nel cuore di Manama rappresenta un ulteriore aspetto del cambiamento in atto nel Medioriente

E ora, come finirà la rivolta in Bahrein? La scia di fuoco partita dalla Tunisia che sta percorrendo tutto il Medioriente ha raggiunto il regno della dinastia al-Khalifa, sull'isolotto nascosto in un'ansa del Golfo Persico. Non che l'opposizione sciita si sia svegliata solo adesso: il confronto con il potere sunnita è in atto da anni, ma adesso che anche il "Faraone d'Egitto" Hosni Mubarak è caduto, sembra essere giunto il momento della sfida finale.

La piazza Tahrir di Manama, capitale del Bahrein, si chiama Rotonda delle Perle. Da lunedì gli sciiti - che costituiscono i due terzi dell'intera popolazione (di poco superiore a 700 mila) - hanno occupato la piazza centrale della città per chiedere maggiori diritti e opportunità, le dimissioni del re Sheik Hamid ibn Isa al-Khalifa o, almeno, che il premier venga eletto dal popolo e non imposto dalla famiglia reale. Al momento, sembra che la casa reale non sia disposta al dialogo: i cinque morti, 60 dispersi e i quasi duecento feriti sono una risposta eloquente.

Secondo quanto raccontato ai microfoni di Al-Jazeera da un esponente del partito sciita al-Wifaq, i manifestanti sono stati attaccati mentre dormivano, durante la notte, senza alcun preavviso. Inoltre, quando una folla di persone si è messa in fuga, è stata accerchiata dalla polizia proveniente dalla parte opposta che ha cominciato a sparare gas lacrimogeni e bombe stordenti. "Un vero atto terroristico", lo ha definito Abdul Jalil Khalil, il deputato di al-Wifaq che era in piazza con i dimostranti. Da stamattina, i blindati e l'esercito hanno preso il controllo della piazza ma, secondo testimonianze locali, gli scontri si sono spostati anche in altri quartieri di Manama.

La situazione in Bahrein è altrettanto delicata: il rischio maggiore è che la protesta possa trasformarsi in guerra civile che vedrebbe contrapposta la maggioranza sciita - frustrata e impoverita - alla ricca e potente minoranza sunnita raccolta intorno al re Hamid.

La posta in gioco, però, è molto alta e non riguarda solo la fazione sciita e quella sunnita: tanto il gergo diplomatico, quanto quello degli analisti politici, sta facendo ricorso - a ragione - a termini quali "reazione a catena" ed "effetto domino", cercando di prevedere quale sia il tassello cruciale, la goccia in più che potrebbe spostare gli equilibri nel Grande Medioriente. Il Baherein, potrebbe essere proprio quel pezzo.

È vero, gli Stati Uniti stanno seguendo con attenzione gli sviluppi in Egitto - perno fondamentale nelle relazioni tra il mondo arabo e Israele; monitorano la Tunisia, l'Algeria e l'Iran. Ma Washington, in questo momento - crediamo - faccia bene a essere tutta concentrata su quanto potrebbe accadere nel Bahrein.

Il regno del Bahrein è strategicamente fondamentale per gli Stati Uniti che lo hanno scelto come base logistica di appoggio alla V Flotta della Marina. Le portaerei e le corvette che incrociano nelle acque del Golfo assicurano il transito tranquillo, ogni giorno, attraverso lo stretto di Hormuz del 20 per cento del petrolio mondiale. Dai ponti delle navi della V Flotta, gli Stati Uniti guardano negli occhi di Teheran e fanno sentire, a intermittenza, agli ayatollah la loro ingombrante presenza. Che cosa succederebbe se un cambio repentino di regime spingesse il Bahrein diretto, diretto nelle braccia dell'Iran? Il primo effetto sarebbe la perdita della base nel Golfo. L'altra, la più vicina, è quella di Diego Garcia, un puntino nel bel mezzo dell'Oceano Indiano che certamente non permetterebbe un pattugliamento efficacissimo nelle acque del Golfo.

Il Bahrein ha fatto parte dei territori iraniani fino al 1782, quando una banda di pescatori di perle e di pirati - il clan al-Khalifa - si impossessò dell'isola e siglò immediatamente accordi commerciali con la Gran Bretagna in cambio di protezione contro ogni tentativo di ritorsione da parte della Persia. La Gran Bretagna ne ha mantenuto il controllo fino al 1971, quando ha riconosciuto l'indipendenza del regno. Non appena lo scià di Persia Reza Pahlavi avanzò rivendicazioni, gli al-Khalifa si sono rivolti agli Stati Uniti che non si sono lasciati sfuggire l'occasione. Ancora oggi l'Iran continua a guardare al Bahrein come a un proprio possedimento e, inutile dirlo, gli sciiti del Bahrein guardano con un certo amore filiale a Teheran.

Nel Medioriente è in corso una Fitna (guarda il dossier di PeaceReporter curato da C. Elia), una vera e propria Guerra Fredda che vede protagonisti i sunniti contro l'asse sciita che va dal Libano all'Iran. Le maggiori preoccupazioni arrivano proprio dall'Arabia Saudita che teme lo sfondamento dell'Iran sciita. E a Ryadh sanno bene quanto importante sia il cuscinetto del Bahrein e della V Flotta degli Usa: l'ex agente della Cia Robert Baer ha definito il cordone di navi statunitensi la Linea Maginot del mondo sunnita. Caduta quella, niente fermerebbe l'espansione sciita. 

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