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pensieriprov

La crisi turca e la sovranità nazionale

Una lettura

di Sandro Arcais

fassinoturchiaIn merito alla crisi turca, se ne sono dette tante, a partire dalle spiegazioni semplici per le menti semplici, gli autorazzisti, i tremebondi innamorati della superpotenza europea, i disprezzatori dell’italiano (soprattutto se povero, poco istruito, disoccupato, di provincia e meridionale), i convinti sino al fondo dell’ultimo neurone che gli Italiani non sono governabili, gli adoratori impotenti della potenza dell’euro.

Io vi propongo una lettura di ciò che sta avvenendo basata su alcune idee e concetti di un libro che dovreste assolutamente leggere da cima a fondo, per poi riprenderlo e rileggerlo nuovamente da cima a fondo facendo sedimentare bene concetti, processi, sistemi e costellazioni causali. Sto parlando di L’imperialismo globale e la Grande Crisi, di Ernesto Screpanti (qui un'intervista all'autore sul suo libro).

Nella parte finale del paragrafo dedicato alla disciplina finanziaria (pagg. 92-100) con cui il grande capitale delle multinazionali governa il mondo, apre le economie al libero mercato e le asserve alla produzione del valore (il loro delle multinazionali) e alla accumulazione (sempre la loro delle multinazionali), Screpanti prende in esame il ruolo della speculazione:

Gli speculatori, senza saperlo, svolgono un ruolo essenziale nell’attivazione della disciplina finanziaria su scala globale. Quando un paese in via di sviluppo ha un deficit “strutturale” nella bilancia dei pagamenti o quando assiste a un deflusso prolungato di capitali, la speculazione può aspettarsi una svalutazione della moneta nazionale. (Ernesto Screpanti, L’imperialismo globale e la Grande Crisi)

Che poi è la situazione in cui si trova da tempo la Turchia, che da una parte macina tassi di aumento del PIL alla cinese …

Il ritmo di crescita del pil turco è stato paragonabile solo a quello della Cina: +8,5% nel 2010, +11.1% nel 2011, +4,9% nel 2012, +8,5% nel 2013, +5,2% nel 2014, +6% nel 2015, +3,2% nel 2016, +7% nel 2017, +4,1% quest’anno. (Guido Salerno Aletta, In graticola con Tayyip)

… ma con la cruciale differenza che i suoi saldi commerciali con l’estero sono cronicamente in passivo

La enorme differenza con la Cina è stata rappresentata daI conti esteri, strutturalmente negativi: il saldo della bilancia dei pagamenti correnti è sempre stata passiva sin dal 2002. Negli anni della crisi la situazione è continuamente peggiorata: il picco negativo fu toccato nel 2011, quando il saldo fu di -74,4 miliardi di dollari, pari al -8,9% del pil. Nonostante il miglioramento di circa un punto di pil annuo realizzato da allora fino al 2015, quando i valori si assestarono rispettivamente a – 32,1 miliardi di dollari, pari -3,7% del pil, successivamente si è verificato un nuovo trend di peggioramento, con il risultato negativo previsto per quest’anno in -49,1 miliardi di dollari, corrispondenti al -5,4% del pil. In totale, tra il 2008 e quest’anno, il saldo negativo della bilancia dei pagamenti correnti è stato di 486 miliardi di dollari, accumulando anno dopo anno una percentuale sul pil pari al 57%. (Guido Salerno Aletta, In graticola con Tayyip)

E siccome il culto del pareggio di bilancio, l’orrore sacro nei confronti del debito pubblico e dell’intervento dello stato in economia, l’incantamento del libero mercato e della libera iniziativa privata hanno trovato i loro fervorosi discepoli anche in Turchia …

il deficit annuo non è mai andato sopra il 2,9% del pil, percentuale che sarebbe raggiunta solo quest’anno dopo essere stata sempre intorno al 2,3% sin dal 2012, mentre addirittura l’anno prima si era sfiorato il pareggio di bilancio. Anche il debito pubblico di Ankara è sempre rimasto a livelli ultra rassicuranti, secondo gli standard previsti dal Fiscal Compact: è stato ridotto costantemente a partire dal 2009, quando era pari al 43,8% del pil, per arrivare al 27,8% di quest’anno. (Guido Salerno Aletta, In graticola con Tayyip)

… rimane solo una strada: l’indebitamento privato. Ma siccome il risparmio dei turchi non è sufficiente ai miraggi di grandezza del pericoloso giocoliere che guida la Turchia, le aziende turche si sono indebitate con i risparmi stranieri …

La crescita degli investimenti è stata tumultuosa: a partire dal 2011, la loro percentuale annua sul pil non è mai scesa al di sotto del 22%, arrivando quest’anno al picco previsto del 31,3%.Il risparmio nazionale, pur estremamente elevato essendo sempre oscillato tra il 21% ed il 26% del pil, non è stato però sufficiente a finanziarli integralmente: il differenziale è stato coperto con il ricorso ai capitali esteri che hanno fronteggiato anche il gap della bilancia dei pagamenti correnti. In totale, tra il 2008 e quest’anno, la quota di investimenti annui non coperti con il risparmio interno è stata pari nel complesso a circa il 55% del pil. (Guido Salerno Aletta, In graticola con Tayyip)

… secondo il primo dogma della religione neoliberista:

Dogma I: efficienza del mercato. Il mercato alloca le risorse in modo efficiente in quanto le azioni dei soggetti sono mosse da incentivi economici e disciplinate dalla concorrenza. Il settore pubblico è inefficiente perché non opera in regime di mercato e non è guidato dal profitto. (Ernesto Screpanti, L’imperialismo globale e la Grande Crisi, pag. 104)

Ma torniamo a Screpanti:

Appena quest’aspettativa [la svalutazione della moneta nazionale, n.d.r.] si afferma, scatta la speculazione sui cambi, che è un tipo di speculazione con notevoli capacità di autorealizzazione. Se tutti vendono il peso argentino [nel nostro caso la lira turca, n.d.r.], nell’attesa che si svaluti, esso si svaluterà come semplice conseguenza dell’aumento delle vendite. I capitali fuggiranno dall’Argentina [la Turchia, n.d.r] e ciò farà peggiorare ulteriormente i conti esteri. La svalutazione inoltre farà aumentare il valore delle importazioni, e lo squilibrio del conto corrente potrebbe aggravarsi. (Ernesto Screpanti, L’imperialismo globale e la Grande Crisi, pag. 106-7)

E infatti …

La lira turca quest’anno ha perso il 45% contro il dollaro e venerdì scorso in una sola seduta è colata a picco, crollando fino a un massimo del 20% sull’annuncio del presidente americano Donald Trump del raddoppio dei dazi su acciaio e alluminio esportati dalla Turchia verso gli USA. (Giuseppe Timpone, Alle origini della crisi turca: niente complotto contro Erdogan, ma politiche suicide)

Ha ragione Giuseppe Timpone: non c’è nessun complotto. Basta lasciar fare ai mercati. Bastano loro a mettere in trappola un governante (e un popolo) con troppi grilli per la testa. E l’efficacia della trappola è potenziata proprio dalla necessità per un paese emergente di indebitarsi in valuta estera. Seguiamo ancora Screpanti:

Il paese bersaglio degli attacchi speculativi, se non è un paese avanzato, s’impoverisce anche per un altro motivo. I paesi in via di sviluppo sono colpevoli di un “peccato originale” inespiabile: data la debolezza, la marginalità e la rischiosità delle loro economie, sono incapaci di prendere a prestito nelle proprie valute e si devono indebitare in dollari o in altre monete dei paesi avanzati. Di conseguenza un deprezzamento del loro cambio fa aumentare il valore netto (in valuta nazionale) dei loro debiti esteri. In altri termini un attacco speculativo che porta a una crisi valutaria determina un impoverimento del paese oggetto dell’attacco perché fa aumentare la quantità di risorse nazionali che devono essere impegnate per ripagare un debito che si è rivalutato. (Ernesto Screpanti, L’imperialismo globale e la Grande Crisi, pag. 107)

A quel punto per il paese emergente con ambizioni di sviluppo e di crescita economica autonoma e “sovrana” (per avere un’idea delle ambizioni del governo turco e della cuccagna che queste ambizioni hanno rappresentato per il capitale multinazionale, anche italiano, è interessante la lettura di questo post di Lettera43 del 2012, in cui la Turchia è presentata come l’ “Eldorado delle imprese italiane” (e certamente noterete il ruolo che in questa nuova corsa all’oro delle ditte italiane ebbe allora il Fiero Passino della citazione per menti semplici (e di poca coerenza) d’apertura di articolo)), a quel punto, dicevo, si apre il destino degli aggiustamenti strutturali imposto dallo sceriffo finanziario internazionale, in arte FMI:

La speculazione svolge un ruolo decisivo nel disciplinare le politiche economiche nazionali: accelera i processi d’aggiustamento punendo le politiche “sbagliate”. Spesso ammaestra i governi riottosi anticipando le raccomandazioni del FMI. (Ernesto Screpanti, L’imperialismo globale e la Grande Crisi, pag. 108)

Ed è questa la prospettiva caldeggiata con fervore dalla Merkel e dai mercati internazionali:

Il Fondo monetario internazionale potrebbe aiutare la Turchia a superare la crisi della sua valuta. Il governo tedesco sarebbe favorevole a una simile misura d’emergenza, secondo quanto ha detto una fonte governativa tedesca a Reuters. (vedi qui)

Cosa significhi per una economia affidarsi alla coppia FMI-Germania lo sappiamo dalla Grecia, ma è utile farcelo spiegare nei dettagli da Screpanti:

Il Fondo [concede] prestiti, ma a condizione che i paesi debitori [accettino] i suoi piani d’aggiustamento strutturale, i quali [prevedono] normalmente politiche di: riduzioni salariali, svalutazioni monetarie, diminuzioni della spesa pubblica, aumenti dei tassi d’interesse, sfruttamento delle risorse migliori per le esportazioni. Queste politiche non sono il prodotto di menti particolarmente malefiche, bensì il risultato di una solida visione ragionieristica della gestione monetaria: chi presta i soldi vuole accertarsi della capacità dei debitori di ripagare i debiti. Se poi i soldi vengono benevolmente prestati anche nell’interesse dei creditori, che sono in buona parte banche del Centro imperiale, si capisce l’accanimento terapeutico imposto dai funzionari degli organismi internazionali. (Ernesto Screpanti, L’imperialismo globale e la Grande Crisi, pag. 93)

Per ora, pare che Erdogan abbia respinto il suggerimento peloso dell’aspide teutonica, ma le soluzione a cui sta pensando non sono molto diverse da quelle imposte dal FMI ai paesi in difficoltà:

Nella teleconferenza, il ministro [delle finanze turco] ha spiegato che il paese intende fare ampio uso di misure fiscali per ridurre il pesante deficit delle partite correnti e mettere un freno all’inflazione che corre al 16% annuo.

Albayrak ha aggiunto che il governo chiederà ai ministeri tagli delle spese compresi fra il 10 e il 30 per cento e che l’obiettivo è di arrivare ad avere un surplus primario di 6 miliardi di lire turche per il resto dell’anno.  La Turchia, ha aggiunto infine il ministro, sta progettando di inserire nella costituzione il principio della disciplina di bilancio. (vedi qui)

Del resto, anche per questa autoimposta disciplina, Screpanti ha una illuminante spiegazione:

In un mondo globalizzato in cui gli stati e le organizzazioni politiche sono immobili e il capitale è mobile, è questo che alla lunga detta legge. Le istituzioni si devono adeguare, se non vogliono subire le conseguenze negative delle discipline attivate dai mercati. Ecco l’essenza della sovereignless global governance: una volta stabilita la libera circolazione del capitale, la cieca legge del valore riesce prima o poi a disciplinare anche i soggetti politici. (Ernesto Screpanti, L’imperialismo globale e la Grande Crisi, pag. 87)

A questo punto anche per la Turchia si aprono le porte dell’austerità, dei tagli e della recessione, e quindi sofferenze bancarie e trasferimento del debito privato nel debito pubblico, che di conseguenza schizzerà in alto e a cui si risponderà con maggiore austerità, tasse e tagli che aggravveranno ulteriormente la recessione. Come illustrato in questo video pubblicato da Jeremy Corbyn su Twitter.

E alla fine il paese sarà pronto per la stagione delle privatizzazioni e dell’assalto alla diligenza turca da parte delle multinazionali cosmopolite. E così, tirate le somme, quando le acque si saranno calmate e i riflettori si saranno spostati a illuminare qualche altra crisi finanziaria provocata dal batterio ideologico neoliberista, i veri vincitori saranno come al solito loro, il sistema delle multinazionali finanziarie e non:

Quando prende corpo un’azione collettiva globale, quale può essere un’ondata di panico nei mercati finanziari, il “salvataggio” di un paese in crisi da parte del FMI e della BM, o una guerra per la libertà contro un paese canaglia, i vari soggetti decisionali possono perseguire obiettivi diversi, non solo una differente finalità per ogni soggetto, ma anche più di una per uno stesso soggetto. (…) Alcuni soggetti decisionali ne usciranno soddisfatti, altri frustrati. Va da sé dunque che gli effetti dell’azione potranno essere spiegati in diversi modi …

Tuttavia chi cerca una spiegazione che vada al nocciolo delle cose non può limitarsi a elencare varie osservazioni più o meno superficiali. Tra le tante cause deve essere in grado di individuarne qualcuna fondamentale che sia riconducibile all’azione e agli obiettivi dei soggetti dominanti nell’azione collettiva. Poi deve verificare se l’azione ha contribuito a conseguire gli obiettivi. Se questi sono determinati da interessi comuni ai molti attori, e se la numerosità dei soggetti e l’opacità delle loro intenzioni rende difficile individuare le motivazioni individuali, la spiegazione può assumere i caratteri di una giustificazione apparentemente olistica: l’azione ha prodotto risultati “funzionali” al conseguimento di quegli interessi comuni e dunque sono questi che vanno indicati come la causa fondamentale del fenomeno. (Ernesto Screpanti, L’imperialismo globale e la Grande Crisi, pag. 80-1)

E chi sono i “soggetti dominanti” in tutta questa facenda se non i creditori? E quali sono gli “interessi comuni” se non il loro interesse a non farsi sfuggire la preda  e a che i debiti vengano ripagati?

Secondo un articolo della Reuters del 13 agosto, i maggiori creditori in Turchia sono la spagnola BBVA, l’italiana UNICREDIT, la francese PNPP, l’olandese ING, e la britannica HSBA. Ora, visto che dire “spagnola” per la BBVA (per esempio, ma il discorso vale anche per le altre banche) è come dire che Marchionne era “italiano” …

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… la considerazione che rimane da fare è che il “soggetto dominante” in tutto questo psicodramma turco messo in scena a uso e consumo dell’opinione pubblica internazionale e occidentale soprattutto è un soggetto collettivo, il grande capitale finanziario occidentale, che fa il suo lavoro solito da una quarantina d’anni a questa parte: mettere in riga i paesi aspiranti a un minimo di sovranità politica attraverso il governo dei mercati.

In tutta questa storia Erdogan, Trump, Putin, Merkel, lo stesso Xi Jinping sono comprimari. Nessuno di loro ha reale interesse a mettere in discussione l’attuale assetto economico che sta consegnando tutti i popoli della terra al comune destino di produrre valore per le grandi multinazionali cosmopolite. Nessuno di loro ritiene veramente opportuno mettere le briglie alla bestia. Nessuno di loro ha forse l’esatta percezione del pericolo letale per l’umanità. Tutti loro pensano di potersi servire della bestia contro i nemici esterni e interni e di riuscire a cavalcarla senza sella e briglie. Ma finora ogni volta il momento della verità ha rivelato che è la bestia a servirsi di loro.

Guardatevi dalla Bestia!

Comments

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Riccardo
Thursday, 23 August 2018 17:32
Non ditelo a quelli di Keynesblog...
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