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dinamopress

Argentina: banalizzazione della politica e violenza del neoliberismo

Alioscia Castronovo intervista Diego Sztulwark

A dieci mesi dall'insediamento del governo Macri, pubblichiamo la prima parte di una conversazione con Diego Sztulwark su macro e micro politiche neoliberali, corruzione e nuove povertà, sfide dei movimenti e panorama politico argentino nella crisi del progressismo latinoamericano

f85053a1 a8d8 427e 87a7 5a42df3f1182Con il governo di Cambiemos in Argentina il panorama politico ed economico è pesantemente segnato dal ritorno delle politiche strutturali di austerità e dalle privatizzazioni: in pochi mesi vi sono stati migliaia di licenziamenti sia nel settore pubblico che nel privato, il Parlamento ha approvato nuove misure di indebitamento estero, per la prima volta dopo dieci anni sono ripartite le ispezioni del FMI. Intanto cresce senza sosta l’inflazione ed aumentano i prezzi dei servizi di base, dell’acqua, del gas, dell’elettricità e dei trasporti (con percentuali che vanno dal 300 all’800 per cento). Abbiamo vissuto mesi densi di mobilitazioni popolari animate da differenti settori sociali e politici, decine di scioperi e manifestazioni sindacali, giornate di lotta del movimento delle donne e degli studenti, significative mobilitazioni dei lavoratori delle economie popolari. Si è trattato di appuntamenti di piazza spesso differenti tra loro, che hanno cominciato a delineare una mappa della resistenza possibile, segnalando l’esistenza di una grande capacità di organizzazione popolare e di una diffusa disponibilità al conflitto in un quadro di violenta offensiva neoliberale.

Queste manifestazioni spesso moltitudinarie ed importanti, tanto nei numeri quanto rispetto alla capacità di mobilitazione della composizione sociale e politica di cui sono espressione, non hanno avuto però la capacità di fermare le politiche di austerità. Si tratta quindi di andare alla ricerca di dispositivi e forme di lotta efficaci rispetto alla possibilità di interrompere l’avanzata delle politiche neoliberali del governo del PRO: mentre il peronismo sta ridefinendo gli equilibri interni dopo la sconfitta elettorale, l’alleanza di governo procede spedita con le nuove misure di austerità. Quali spazi sono possibili per inventare nuovi dispositivi di lotta, di mobilitazione, di organizzazione per rendere possibile il potere di veto dal basso rispetto ai dispositivi neoliberali?

In tale contesto si situa questa conversazione con Diego Sztulwark del Collettivo Situaciones, attualmente editore della casa editrice indipendente Tinta Limón e del blog LoboSuelto!. Una conversazione utile per inoltrarci nelle complessità della fase che vive oggi l’Argentina analizzando alcuni dei principali discorsi, delle retoriche e delle questioni politiche ed economiche.

Una riflessione che si snoda a partire dai limiti del progressismo e le radici dalla crisi del modello kirchnerista, per poi riflettere attorno alla centralità del discorso anti-corruzione come dispositivo di governo dell’offensiva neoliberale, alla banalizzazione del discorso pubblico e della politica, alla repressione e la violenza di Stato. Un bilancio di questi primi dieci mesi di governo per immaginare strategie capaci di aggredire la fase politica, all’interno di un quadro regionale e globale in profondo mutamento, e riflettere attorno alle sfide politiche dei movimenti argentini nel pieno della crisi dei governi progressisti.

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Il governo Macri ha creato molta aspettativa attorno al secondo semestre, indicato dal presidente come l’inizio della ripresa economica di un’Argentina che sta vivendo una fase segnata da recessione, inflazione, licenziamenti, nuova povertà. Mentre la ripresa sembra ben lontana, possiamo affermare di trovarci nel pieno di una vera e propria offensiva padronale finalizzata ad una nuova accumulazione e concentrazione della ricchezza. Come siamo arrivati fin qui? Come possiamo fare una genealogia politica della situazione attuale? Quali processi politici di questi ultimi anni ci aiutano a comprendere il presente per poter intervenire in tale contesto mutato?

Per comprendere l’attuale situazione dell’Argentina dobbiamo tornare al 2013, un anno politicamente decisivo perchè alle elezioni parlamentari si divide il Frente para la Victoria, che raggruppava allora la maggioranza del peronismo. Si presenta così sulla scena un candidato peronista alternativo, Sergio Massa, intendente del Tigre (area nord di Buenos Aires), di formazione liberale e capo di gabinetto del precedente governo Kirchner. Massa vince le elezioni nella provincia di Buenos Aires nello stesso anno in cui l’arcivescovo di Buenos Aires Bergoglio, che si era scontrato duramente con i governi Kirchner per anni, diventa Papa. La situazione politica che si viene a creare rende impossibile una rielezione di Cristina: non c’è più una maggioranza parlamentare nè lo spazio politico per una nuova candidatura. Si apre così la discussione attorno alla sua successione: il candidato kirchnerista che esce vincitore è Scioli, che seppur interno al kirchnerismo, non è una figura politica capace di gestire lo scontro con i poteri forti, in grado di resistere alle pressioni del mercato mondiale e al modo in cui questo scarica i costi della crisi sull’Argentina. Si arriva così alle elezioni con tre candidati principali: il primo è Scioli, una figura docile espressione dell’incapacità di rinnovamento ed emblematica della crisi del kirchnerismo programmatico e militante. Il secondo è Massa, un politico a cui la classe dominante di questo paese deve molto, essendo colui che ha impedito la rielezione di Cristina e la continuità del suo progetto. Il terzo è Macri, figlio di un imprenditore molto conosciuto per aver gestito la Fiat in Argentina. Gli affari di Macri padre hanno prosperato a lungo grazie alla spesa pubblica e alla corruzione: si è adattato alla fase kircherista costruendo buone relazioni con il governo e gestendo per molti anni progetti di sviluppo legati alle relazioni con la Cina. Macri figlio, ex presidente del Boca, divenuto politicamente indipendente rispetto al padre, si candida come presidente dopo otto anni vissuti in politica come sindaco di Buenos Aires. Nella prima tornata elettorale arriva secondo dietro Scioli, prendendo meno del 30 per cento dei voti in alleanza con Carriò, figura chiave del radicalismo, simbolo di una politica moralista e anti-corruzione. Ma nella seconda tornata il Macrismo capitalizza il voto antikirchnerista di massa, ottiene tutti i voti antiperonisti e vince. In Argentina per fare politica e arrivare al governo è sempre stato necessario fare accordi con il peronismo: Macri invece vince senza il voto peronista.

 

Cosa accade dopo le elezioni nel mondo peronista? E quali sono state le prime mosse politiche ed economiche del governo di Cambiemos?

Subito dopo le elezioni, alla ricerca un leader alternativo a Cristina senza però trovarlo, il peronismo appare disorganizzato. Ed in assenza di un leader il peronismo diventa quasi una sorta di federazione di gruppi, incapace di definire una strategia. Questa condizione di incertezza lo indebolisce molto: se guardiamo alle due ali principali del peronismo, quella politica (ovvero i sindaci, i governatori e i parlamentari) in assenza di una strategia chiara finisce per avere un ruolo di co-governo, mentre quella sindacale si occupa di negoziare l’adeguamento salariale all’inflazione. Anche alcune organizzazioni sociali che sono state molto importanti durante il kirchnerismo stanno oggi continuando le proprie attività territoriali grazie ai finanziamenti del governo Macri. La crisi di leadership del peronismo è molto forte e siamo ancora in attesa di capire cosa accadrà all’interno di questa spazio politico, quando nel prossimo congresso si definirà la separazione tra una parte importante del peronismo e ciò che resta del kirchnerismo.

La seconda questione riguarda la politica di Cambiemos: che cosa ha fatto fino ad ora il macrismo? Innanzitutto ha dato il via ad un enorme trasferimento di beni e ricchezze dai settori popolari ai settori concentrati dell’economia. Si tratta di un insieme di operazioni politiche ed economiche finalizzate ad eliminare tutte le tassazioni sulle grandi proprietà e sulle esportazioni. Va ricordato che il conflitto principale del kirchnerismo con i grandi proprietari terrieri, il cosiddetto “conflitto del campo”, era esploso proprio attorno alle tasse sulle esportazioni, che il kirchnerismo aveva imposto per finanziare politiche pubbliche. L’eliminazione delle tassazioni sulle esportazioni è un fatto politico molto importante, perchè si tratta di una parte decisiva dell’economia argentina e in questo modo si indeboliscono pesantemente le entrate dello Stato. Il secondo aspetto centrale delle politiche di Macri è stato l’annullamento dei sussidi alle imprese dei servizi di luce, acqua e gas e di conseguenza un aumento spropositato delle tariffe, il cosiddetto tarifazo, con aumenti tra il 300 e il 900 per cento.

 

A tal proposito, si parla di 4 milioni di nuovi poveri in Argentina in soli sei mesi di governo Macri, queste sono le cifre delle ultime inchieste pubblicate su Telesur. Tra le cause il tarifazo, ma anche i licenziamenti e l’inflazione. Mentre Macri continua a promettere una serie di investimenti di capitali esteri che però non sembrano arrivare. Cosa sta accadendo?

La nuova povertà dipende dal tarifazo che colpisce tanto le famiglie, impossibilitate a sostenere costi così alti di riscaldamento ed elettricità (tante sono le persone costrette a girare in giubbotto in casa per resistere al freddo) quanto le piccole e medie imprese, che non possono pagare spese così alte. Senza sussidi e con un tale livello di accentramento della ricchezza, siamo davanti ad un vero e proprio raffreddamento dell’economia, le piccole imprese tendono a chiudere o diminuire la propria attività. Questo è un elemento chiave per comprendere la nuova povertà: sempre più gente si trova senza lavoro o con meno lavoro. Ma l’aumento dei prezzi è generale e l’inflazione non si ferma più : è una questione decisiva per il macrismo. Il kirchnerismo difendeva l’inflazione alta, intesa come parte della contesa per la rendita, garantita dall’adeguamento dei salari ad un tasso più alto dell’inflazione stessa. I prezzi aumentano perché chi li controlla cerca di appropriarsi della plusvalenza: crescendo i salari più dell’inflazione, diventa possibile rompere con il discorso neoliberale secondo cui l’inflazione espropria i più poveri, perché così l’inflazione diventa uno strumento di lotta per la distribuzione della ricchezza. Con il macrismo l’adeguamento salariale è invece più basso del tasso di inflazione, e con il tarifazo e i trasferimenti di ricchezza ai settori imprenditoriali si determina una situazione segnata da più povertà, più licenziamenti, in generale meno aspettative e più rassegnazione.

Il macrismo ha commesso però l’errore di definire questa come una fase di passaggio, delimitata nel tempo, che sarebbe durata solo per sei mesi, presentando queste misure come un intervento necessario per poter risolvere i problemi economici e politici attribuiti al kirchnerismo. Il macrismo ha annunciato una ondata di investimenti per rilanciare l’economia, un rilancio garantito non dagli investimenti pubblici che generano inflazione, ma attraverso una via considerata “sana”, ovvero gli investimenti di capitali. Sono passati sei mesi, e di questi investimenti nemmeno l’ombra. Le condizioni in cui si trova oggi l’Argentina non hanno attirato capitale straniero, non si capisce nemmeno bene quali specifici investimenti dovrebbero arrivare per creare un maggiore dinamismo dell’economia da un punto di vista neoliberale.

Si tratta di una situazione difficile da definire, perché non vedo un paese sul punto di esplodere, vedo una situazione in cui ci sono ancora settori importanti del paese che continuano a credere che l’unica speranza, ora o tra dieci mesi, sia la promessa macrista. Questo avviene a causa dell’indebolimento all’interno del sistema politico della figura di Cristina, dell’offensiva del papa, del potere giudiziario, dei mezzi di comunicazione e del macrismo, di una confluenza del sistema politico e mediatico nel gestire la transizione dal kirchnerismo al macrismo, attraverso una logica dominante secondo la quale tutto quel che c’era prima era corruzione e che quel che accade adesso, sarà pure difficile, ma quantomeno sarà “decente”.

 

La questione della corruzione mi sembra molto importante, d’altronde è centrale in queste settimane in Argentina e non solo. Durante la trasmissione radio Clinamen, a proposito degli ultimi scandali, hai parlato di uso moralista e antipolitico della questione-corruzione da parte del macrismo, ovvero di come si stia affermando in un qualche modo nel paese un discorso pubblico che punta a legittimare una certa forma di accumulazione proprio attraverso il discorso anti-corruzione. Un discorso che riguarda tanto la dimensione politica quanto quella mediatica e giudiziaria: potresti approfondire alcuni aspetti di questa questione in relazione a quanto sta avvenendo in questi mesi?

Per ritrovare le radici di tale discorso occorre tornare indietro di alcuni anni, ben prima del governo Macri e del caso Lopez: occorre tornare al blocco all’acquisto dei dollari imposto dal governo di Cristina Kirchner nel 2012. Con l’impedimento del libero acquisto di dollari è davvero cambiato il clima nel paese: si tratta di un provvedimento che ha colpito la classe media e i settori dell’oligarchia e del potere economico, dopo la crisi del “conflitto del campo” e le elezioni vinte da Cristina con il 54 per cento, in un momento in cui il governo aveva un grande potere ed una forte egemonia nel paese. Con il blocco all’acquisto di dollari cambia il clima nel paese, si sente l’arrivo di una crisi che secondo la classe media e imprenditoriale deriva dall’assenza di incentivi per gli investimenti di capitale, comincia a diffondersi il timore di una statalizzazione dell’economia, in particolare con l’arrivo del giovane economista keynesiano Kicillof come titolare al Ministero dell’economia. Si diffonde la paura di un chavismo all’argentina, il timore di un potere descritto come burocratico e autoritario, si sente la minaccia di una limitazione alla proprietà privata, di un processo che possa condizionare il progetto di comando più nitido e violento del capitale.

Comincia allora a diffondersi un discorso attorno allo Stato inteso come fonte di corruzione, e della spesa pubblica come fonte di opacità. In questo momento fa il suo debutto in televisione un giornalista importante in Argentina, uno dei fondatori di Pagina 12, che in accordo con il Gruppo Clarin comincia ad intervistare personaggi poco chiari che appaiono in televisione affermando di essersi pentiti di aver gestito finanze e fondi statali del governo, appaiono immagini di valige pieni di dollari, accuse poco chiare relative a fondi nascosti nei paradisi fiscali che si sostiene che provengano dalla provincia di Santa Cruz, la stessa da cui provengono i Kirchner. Si narra che in casa dei funzionari del governo vi fossero tesori nascosti, bauli pieni di dollari, si elabora un discorso che comincia a orientare in senso anti governativo quel malessere sociale legato al blocco della possibilità di acquisto illimitata dei dollari.

La questione della corruzione appare così come un lietmotiv neoliberale, che costruisce un discorso secondo il quale in Argentina ci sono gruppi di persone, di truffatori, che hanno preso in ostaggio lo Stato in nome dell’uguaglianza, dei movimenti sociali e dei diritti umani, appropriandosi dello Stato e delle risorse pubbliche. Non vi è più una discussione su cosa sia giusto o no politicamente, il governo viene presentato semplicemente come un gruppo di ladri e corrotti che nel nome delle Madres de Plaza de Mayo e dei diritti umani si sono appropriati dello Stato. Un discorso neoliberale che nega lo spazio del conflitto e della politica: le opere pubbliche, i sussidi sociali sono solo corruzione, furto e saccheggio, ed in questo contesto ristabilire e difendere la democrazia significa semplicemente mandare via queste persone dallo Stato.

E’un discorso neoliberale che attraversa e connette diversi settori politici, anche peronisti, con il macrismo e con settori del radicalismo, costituendosi come universo discorsivo che comincia ad avere una certa egemonia nel mondo non peronista, che si dimostra più esteso ed influente del mondo peronista al momento. Macri arriva al governo con un mandato legato all’esigenza di trasparenza, di restaurazione repubblicana delle istituzioni. Sviluppando un discorso incentrato sulla trasparenza costruisce una catena di equivalenza tra diversi concetti particolarmente interessanti: trasparenza uguale repubblica, che a sua volta è uguale a neoliberismo. Risulta interessante riflettere su questa equivalenza: il neoliberismo come progetto per “rendere sincera ed onesta” la società, ovvero ripulirla dal furto, dalle retoriche eccessive del populismo, dalle mafie che stanno nelle istituzioni. Si tratta di un governo che arriva ad autodesignarsi come una forza che lotta contro la mafia, contro un progetto populista definito come un progetto basato sul saccheggio. Penso che questo sia l’unico elemento di legittimità che il macrismo abbia nella società: tutte le altre aspettative sono rimaste incompiute, eppure ancora oggi la grave situazione economica, la mancata uscita dalla crisi, l’aumento della povertà, vengono compensate dall’attribuzione totale della responsabilità della situazione attuale al kirchnerismo.

 

Intanto siamo appena entrati nel secondo semestre del governo di Macri: tra Panama Papers e altri scandali, nemmeno i ministri-imprenditori dell’attuale governo sembrano al riparo dalla corruzione. Perché secondo te nel discorso pubblico si producono forme di rappresentazione differente della corruzione nei casi che riguardano le politiche e gli scandali di esponenti del kirchnerismo rispetto a quelli che chiamano in causa esponenti del nuovo governo?

Appena Macri arriva al governo escono una serie di dati che tutti sapevamo sarebbero apparsi, ovvero i dati della corruzione della famiglia Macri, del governo, dei suoi ministri. Macri già sapeva che sarebbero usciti i suoi dati nei Panama Papers, vengono diffusi anche dai giornali di regime come Clarín o La Nación. La risposta del governo è la seguente: i Panama Papers non sono corruzione, perchè non riguardano lo Stato. Si tratta piuttosto di una sorta di “peccato” di ogni buon imprenditore. Macri si giustifica di fronte al paese dicendo che “ogni persona ricca fa investimenti, viaggia, acquista, studia in Svizzera e mette i soldi nei paradisi fiscali. Si tratta di progetti, di investimenti, ma non di risorse pubbliche, come per il kirchnerismo, che con una retorica truffaldina in nome dei diritti umani ha saccheggiato le risorse dello Stato. Io no, io sono un imprenditore che mi sono fatto da solo, e arrivo al governo per ripulire lo Stato”. Questo è il discorso del Macrismo. Credo che il presidente Macri fosse a conoscenza dei Panama Papers da almeno un mese, che sapesse che sarebbe uscito il suo nome sui giornali, e ha così costruito una strategia vera e propria, pensata e ragionata con i suoi bravi strateghi del marketing elettorale e della comunicazione che dopo avergli garantito la vittoria elettorale, si muovono avendo ben chiaro cosa è necessario smantellare per aprire il campo alla legittimazione delle politiche neoliberali. A tal proposito stupisce con quanta facilità abbiano dismesso buona parte degli avanzamenti e delle conquiste sociali dal kirchnerismo a livello dello Stato e della struttura economica, e quanto tutto ciò sia avvenuto velocemente. Cristina prima delle ultime elezioni ha fatto un discorso in cui affermava che oggi in Argentina vi sia una società più organizzata, più militante, meno docile verso le imposizioni del potere. E’ vero, sicuramente la società argentina è oggi più organizzata, rafforzata. Se nel 2001 la capacità di organizzazione nella società era molto più bassa rispetto ad oggi, come mai il Macrismo avanza così velocemente?

 

In questo contesto discorsivo e politico arriva lo scandalo di Lopez, il ministro dei Lavori pubblici arrestato mentre tentava di nascondere milioni di dollari stipati in delle valige all’interno di un convento. Ma attraverso il discorso sulla corruzione si vuole andare a colpire molto altro: in un certo senso, per il Macrismo oggi attaccare il kirchnerismo in quanto "corrotto" (come vediamo nel caso di Milagro Sala) vuol dire soprattutto delegittimare le politiche di redistribuzione della ricchezza che hanno trovato spazio nel decennio precedente.

Il Kirchnerismo in generale deve fare un bilancio pubblico del rapporto su tre questioni rispetto al rapporto tra politica e denaro, tra militanza e fondi pubblici. La prima riguarda una questione vecchia di un secolo almeno, ovvero la questione della corruzione legata ai fondi pubblici. Per affrontarla in modo serio andrebbe fatta una riforma, ma nessuno vuole farla, perché il Macrismo denuncia il Kirchnerismo solamente per legittimare la propria corruzione. C’è un’ipocrisia politica generalizzata funzionale ad attaccare il governo precedente, senza fare nulla per cambiare la situazione.

La seconda questione riguarda il discorso del kirchnerismo rispetto alla necessità di fare cassa per poter fare politica, discorso secondo il quale ci sarebbe una certa illegalità tollerabile che serve ad accumulare potere economico per poter fronteggiare i monopoli e gli oligopoli della classe imprenditoriale e delle destre. Riproducendo in questo modo una certa illegalità che non si è saputa differenziare dalla corruzione, che ha continuato a riprodurre meccanismi di accumulazione basati su forme di spoliazione predatorie (tutte le imprese legate al kirchnerismo hanno mantenuto relazioni di lavoro precari e riprodotto meccanismi di sfruttamento brutali per poter competere sul mercato). Si tratta di una logica perversa, corrotta in sé e strutturalmente precaria che finisce con il ledere l’autorevolezza di questa forma stessa della politica, una politica che diventa così facilmente criminalizzabile e che di fatto viene oggi criminalizzata.

Vi è però un terzo aspetto, che è sì decisivo: sono state sperimentate in questi anni delle forme legali e legittime di trasferimento di fondi pubblici alle organizzazioni sociali. Si tratta di una delle cose più interessanti che siano accadute sul delle politiche degli Stati in America Latina negli ultimi anni, e questo va difeso. Il fatto che nel discorso pubblico non vengano distinti questi piani, che si finisca con il criminalizzare queste esperienze e questo esperimento politico, è una responsabilità politica del kirchnerismo. Per questo il kirchenrismo deve affermare con chiarezza che Milagro Sala, dirigente di una organizzazione sociale di massa nel nord del paese, la Tupac Amaru, non è uguale a Lopez (l’ex sottosegretario dei Lavori Pubblici sorpreso con valige contenenti nove milioni di dollari in contanti mentre provava a nasconderli in un convento): si tratta di logiche politiche differenti, bisogna dire che una la difendiamo e l’altra no, e deve essere il kirchnerismo ad affermarlo con chiarezza. In caso contrario, quello che accade è che il moralismo neoliberale cerca di iscrivere tutto questo nel significante vuoto della corruzione, facendoci retrocedere di decenni, sferrando un attacco decisivo sul terreno della redistribuzione, mettendo in atto una vera e propria rivincita e vendetta di classe attraverso il discorso anti-corruzione. In questo senso tutti i sussidi sociali, i sostegni al reddito, le politiche sociali diventano nel discorso neoliberale un aspetto in più della corruzione, vengono ascritti al piano delinquenziale, e così come avviene anche con i diritti umani, diventa materia per i giudici e la polizia. Questo è quello che abbiamo chiamato banalizzazione della cultura e del discorso, ovvero il tentativo di negare la discussione attorno alla giustizia sociale, alla distribuzione della ricchezza, di chiudere gli spazi di critica politica rimettendo tutto nelle mani di giudici e polizia.

Abbiamo creduto di esserci lasciati alle spalle tutto questo, invece vediamo oggi come questi discorsi tornino ad essere nuovamente vettori capaci di organizzare in maniera efficace la lettura della realtà: con queste retoriche si cerca di smantellare un sistema di valori, di politiche pubbliche di cui non sono stato parte attiva ma che credo vadano difese, essendo state esperienze interessanti. La situazione in cui ci troviamo oggi rende impossibile un bilancio politico della fase, tutto è relegato ad un discorso giustizialista e alla logica della (anti)corruzione. Oggi la società non vuole il ritorno di Cristina, e seppure riconosce che le politiche di Macri stiano portando alla fame milioni di persone, è in attesa di un cambiamento. Il conflitto politico si gioca però piuttosto su altri fronti: lo scontro interno al peronismo ci mostra chiaramente un possibile scenario futuro. Se Macri rappresenta le imprese transnazionali, il potere finanziario, Massa rappresenta gli interessi dei gruppi locali del potere imprenditoriale nazionale: c’è un conflitto tra borghesia nazionale e potere delle banche, un conflitto interno a settori del potere che potrebbero determinare i prossimi posizionamenti del peronismo e dei sindacati. Lo scontro non sarebbe allora tra movimenti sociali ed elites, ma tra settori di potere differenti. Lo scenario delle prossime elezioni del 2017 mi sembra che possa essere questo, con una mobilitazione sociale da canalizzare secondo logiche interne ai settori al potere: si dirà che Massa non è poi cosi neoliberale come Macri, e i sindacati magari staranno con lui. Come si costruisce una alternativa a queste logiche, che si sono imposte sulla scena politica già con la candidatura di Scioli nel 2015, è un altro grande problema politico dell’Argentina di oggi.  

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