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L’Europa del mercato

di Franco Russo

 1.

L’aggressione dei centri finanziari contro i debiti sovrani degli Stati dell’Unione Europea dimostra la loro forza devastante, a sanzione che le politiche pubbliche anche delle economie a scala continentale come quella europea devono sottostare alle leggi del mercato e del profitto (in questo caso alla speculazione sui titoli pubblici). La Grecia è l’anello debole della catena, tirata per coinvolgere l’intero sistema dell’euro, BCE in testa. Il patto di stabilità, quello che sancisce i livelli massimi del debito e del deficit pubblici al 60% e al 3% del PIL, è già saltato per i massicci aiuti che gli Stati hanno concesso nel 2008-10 per salvare le banche dal tracollo. Saltati i parametri di Maastricht, ora la BCE vede modificarsi i suoi obiettivi che finora erano solo quelli del controllo dell’inflazione e della stabilità dei prezzi. Come ha rilevato Paolo Leon la BCE ha ampliato, sotto l’urgenza della crisi, le sue funzioni perché l’euro non è emesso più solo in relazione ai fabbisogni commerciali, bensì anche per quelli finanziari potendo comprare ‘debito pubblico’ – sostituendo in pratica obbligazioni nazionali con quelle emesse dalla BCE. È in atto un altro salvataggio delle banche, dato che il debito pubblico greco è in gran parte nei portafogli delle banche soprattutto francesi e tedesche.

Il governo greco sta realizzando un piano di rientro del debito che, dal dicembre 2009 al maggio 2010, ha comportatoilancio misure per 21,6 miliardi di euro fra tagli alle spese e nuove entrate. Il piano è basato, come al solito, sul congelamento degli stipendi, sull’abolizione della tredicesima e quattordicesima mensilità per gli stipendi superiori ai 3mila euro e al tetto dei mille per quelli inferiori; sull’aumento dell’IVA, sulle tasse su carburanti, alcolici, sigarette; sull’aumento dell’età pensionabile e sul taglio delle pensioni; sul congelamento dei salari; sul divieto dei rinnovi dei contratti di lavoro a tempo determinato; sulla privatizzazione di società pubbliche e la liberalizzazione di almeno 60 professioni. A queste condizioni l’UE e l’FMI forniranno i 110 miliardi di prestiti al 5%, che saranno erogati a tranche dopo puntuali verifiche dell’attuazione del piano: la Grecia è in amministrazione controllata da parte del Consiglio europeo e dell’FMI. Come ha scritto il sindacalista Makis Mpalaouros è un programma che distrugge il già debole Stato sociale greco e demolisce i diritti dei lavoratori, con l’abolizione dei contratti nazionali e del sistema pubblico delle pensioni.

La crisi del debito sovrano dei paesi dell’EU ha scosso i pilastri su cui si fonda l’euro: la stabilità dei prezzi e la disciplina di bilancio. E ha messo in discussione l’intera strategia delle élites europee di procedere all’unificazione dell’Europa mediante la creazione e il funzionamento del mercato unico. Il mercato non si è rivelato una buona strada per fondare ‘l’unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa’, come recita il preambolo del Trattato di Lisbona.


2.

Fin dal 1950 il Piano Schuman, alla base del processo di unificazione europea, connetteva strettamente la realizzazione della pace del Continente, minacciata dall’opposizione secolare tra Francia e Germania, con l’integrazione economica. Questo grande sogno di unificazione e pacificazione europee si è infranto su due scogli: su quello politico del Trattato costituzionale, respinto dai popoli attraverso i referendum del 2005 e sostituito con il Trattato di Lisbona, e ora sui ‘fallimenti del mercato’con le crisi finanziarie e dei debiti sovrani.

I ‘padri fondatori’ delle Comunità europee avevano conosciuto i drammi della crisi economico-sociale degli anni Trenta e gli orrori delle due guerre mondiali, a cui reagirono con una risposta ‘ardita’: la pacificazione dell’Europa attraverso l’integrazione delle economie francese e tedesca a partire dai due settori chiave della produzione bellica – il carbone e l’acciaio. Questo grande disegno rimase assolutamente incompreso alla sinistra storica, a cominciare dal PCI che fu per questo impotente a contrastarne la logica economicista del mercato.

L’atto ardito consistette nel legare pace e processi produttivi dei Paesi da sempre nemici. I ‘padri fondatori’ lo compirono con gli strumenti politici ed economici della società capitalistica, forti dell’attrezzatura culturale del federalismo liberale di Lionel Robbins e di Luigi Einaudi, e dal funzionalismo sociale di David Mitrany e di Jean Monnet. Einaudi e Robbins fin dagli anni ’30 parlarono esplicitamente di Stati uniti d’Europa per superare un’organizzazione internazionale basata sulle sovranità degli Stati indipendenti e misero in correlazione federalismo e mercato per garantire a livello sovranazionale le quattro libertà di movimento delle merci, dei capitali, dei servizi e dei lavoratori, che sarebbero poi divenute le quattro divinità dell’Unione europea. Fu Mitrany, tra gli altri, a individuare la strada per oltrepassare le sovranità nazionali proponendo una soluzione innovativa: il metodo funzionalistico, quello seguito in tutti questi decenni. In una visione consapevolmente tecnocratica scrisse, fin dal 1943, che occorreva far derivare l’autorità pubblica da specifiche attività economico-sociali in modo da spezzare il legame tra potere statale e territorio nazionale, cosicché la sovranità potesse essere trasferita attraverso singole funzioni a organi sovranazionali (come è poi accaduto con i Trattati mediante l’attribuzione di specifiche ed enumerate competenze). Per questo avanzò l’idea di procedere ad aggregazioni per ambiti economici al fine di mettere insieme e gestire a livello sovranazionale le più importanti risorse e infrastrutture – carbone, acciaio, ferrovie, porti, aviazione, comunicazioni. Mitrany teorizzò la contrapposizione tra una ‘voting democracy’ e una ‘working democracy’, sostenendo che l’autorità si legittima attraverso i risultati che consegue, ciò che oggi si definisce out-put legitimacy in quanto dipendente dall’efficienza, in primo luogo del mercato dove quotidianamente il consumatore ‘vota’ con i piedi scegliendo il venditore che soddisfa a più basso prezzo la sua domanda. Chiaro fu il disegno di oltrepassare i confini dello Stato per un’organizzazione economica sovranazionale, mentre la sinistra in Occidente si attardava nella ristretta dimensione nazionale e nell’internazionalismo a sostegno del campo sovietico. Anche da qui sono discesi i suoi fallimenti.

Mitrany teorizzò, inoltre, la crescita spontanea delle istituzioni comunitarie ‘branch by branch’, settore per settore, perché ogni funzione avrebbe generato le altre gradualmente. È la grande illusione che l’integrazione economica avrebbe prodotto quella politica − la stessa illusione di Monnet quando elaborò il piano per fondare la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), che avrebbe dovuto condurre attraverso l’integrazione successiva di tutti i comparti economici alla Federazione politica europea. Il mercato unico si è costituito, ma la Federazione politica europea non è venuta alla luce.

Oggi siamo di fronte a una costituzione economica, sancita da ultimo anche nel Trattato di Lisbona, che ha rovesciato i principi delle Carte costituzionali del Novecento. La costruzione delle Comunità e ora dell’Unione europea ha accentuato il ruolo del mercato, dell’impresa e della finanza, divenuti gli ‘ordinatori’ delle relazioni economiche, sociali e istituzionali. L’articolo 119 del TFUE, stabilito a Lisbona, prescrive il coordinamento delle politiche degli Stati membri conformemente al principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza ed eleva il mercato a paradigma costituzionale fondamentale, guida delle azioni dell’Unione e parametro dei giudizi della Corte di Lussemburgo. Il dominio dell’economia sulla società, quell’economicismo così caratteristico della cultura capitalista, trova una sua strumentazione specifica negli articoli 34 e 35 del Trattato di Lisbona, definiti a ragione l’economic due process clause, e nel Trattato di Maastricht, recepito nei Protocolli n. 11 e 12 che prescrivono la stabilità dei prezzi, il contenimento della spesa pubblica e le politiche di convergenza. Essi sono le leve della destrutturazione dello Stato sociale e della deregolamentazione del mercato del lavoro, che si spinge fino alla cancellazione dell’azione collettiva tramite la ‘libera’ e individuale contrattazione tra le parti.

Una ‘comunità di diritto’ non poteva non prevedere la garanzia di alcuni diritti fondamentali, ma questi sono funzionalizzati e depotenziati avendo come fine il funzionamento del mercato interno, in modo da evitare le distorsioni della competizione − per consentire insomma il fluido scorrimento degli scambi di mercato.


3.

Il disegno d’integrazione economica è andato avanti, ma ha mancato il suo obiettivo finale, enunciato esplicitamente nella Dichiarazione di Schuman, quello della creazione della ‘Federazione europea indispensabile alla preservazione della pace’. Esso non è stato raggiunto, perché l’economia di mercato non è in grado di fondare una compiuta società politica. Si può dire che finora i Trattati hanno codificato norme regolative dell’esistente, ora è tempo di elaborare norme costitutive che creino diritti e sanciscano procedure decisionali democratiche.

Tre sono oggi, a mio avviso, le ‘grandi vie’ per costruire l’Europa dei/delle cittadine attraverso la fondazione di norme costitutive che mettano in discussione i parametri di mercato e ne individuino di nuovi. La prima è di affermare la centralità dei i ‘beni comuni’ naturali − l’acqua, la terra, l’energia, la preservazione della natura e la ricostituzione dei cicli naturali (facendo leva su di un rinnovato ruolo dell’agricoltura). La seconda è la conquista dei diritti sociali come quelli dell’abitare, dell’educazione e della conoscenza, della salute, del lavoro decente, del reddito di cittadinanza, della mobilità sostenibile. La terza è l’affermazione a livello europeo dei diritti di libertà della persona, a cominciare da quelli del migrare, e della cittadinanza di residenza con il suo corredo di diritti politici.

L’atto ardito richiesto da questo momento storico è di chiedere l’abbandono del metodo intergovernativo, senza pensare che l’alternativa sia il ritorno al ‘compromesso democratico’ dello Stato-nazione. Questo il Social Forum Europeo l’ha ben compreso, anche se non è stato capace di promuovere una strategia orientata al multilevel constitutionalism, con l’obiettivo di ‘separare la Costituzione dallo Stato’, e di istituire una democrazia costituzionale a livello sovranazionale. Si tratta di praticare una linea che esplori le ‘tre vie’ attraverso l’alleanza tra movimenti, associazioni, sindacati e forze politiche capace di mettere in comunicazione società e istituzioni, battendosi per i diritti fondamentali, per nuovi parametri economico-sociali non mercantili, per procedure di partecipazione diretta e di rappresentanza democratica: sarebbe un modo per ‘fare’ la Costituzione europea.

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