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Europa: tra sovranismo e a-democrazia*

di Alfonso Gianni

europa distruzioneNon si può proprio dire che il cammino sulla strada che deve percorrere la Conferenza sul futuro dell’Europa, che dovrebbe concludere il suo tragitto nella primavera del 2022, sia cominciato sotto una buona stella. L’esplosione della pandemia ne aveva ritardato gli inizi. Finalmente il 10 marzo scorso era stato dato il segnale di partenza sulla base di una dichiarazione comune dei presidenti del Parlamento europeo e del Consiglio europeo, rispettivamente David Sassoli e Antonio Costa, e della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. I prodromi della Conferenza vanno ricercati nel tentativo di Valery Giscard d’Estaing, nella sua qualità di presidente della Convenzione europea (2002-2003), di elaborare un progetto di Costituzione europea, nella forma di un Trattato, che venne però affossato dal no nei referendum tenutisi in Francia e nei Paesi Bassi. In seguito si giunse alla firma del Trattato di Lisbona (2007) che distinguendo con puntualità le competenze fra Stati membri e la Ue, di fatto si frapponeva a una possibile direzione verso un’unione di tipo federale.

L’iniziativa della Conferenza ha in tempi più recenti ripreso le mosse sempre a partire dalla sponda francese. Emmanuel Macron si è molto attivato in questo senso anche perché la Conferenza dovrebbe concludersi proprio quando la presidenza della Ue verrà assunta dalla Francia. Le modalità di discussione presentano effettivamente delle novità.

Forse si è tratto insegnamento dal flop del Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa – questa era la denominazione ufficiale del progetto costituzionale liquidato dai referendum prima ricordati – che era stato confezionato da esperti, alcuni dei quali anche di grande valore, senza però alcun coinvolgimento né politico né emotivo da parte delle popolazioni europee. Lo svolgimento della Conferenza prevede invece un tentativo di coinvolgimento continuo, particolarmente ricercato tra i giovani, in modo che ogni cittadina e ogni cittadino potranno esprimere opinioni e proposte attraverso una piattaforma digitale multilingue interattiva (“Cofe”).1 Mentre un meccanismo di feedback garantirà che le idee formulate possano diventare raccomandazioni concrete per le future azioni della Ue. Le premesse, soprattutto grazie alle innovazioni tecnologiche, sembrano dunque essere accattivanti. Ma se dalle modalità si sale ai possibili contenuti della Conferenza il quadro cambia di colore e di parecchio.

 

I primi contrastati passi della Conferenza

Basta avere seguito il dibattito che da mesi oramai si sta sviluppando attorno a cosa succederà quando e se la pandemia verrà piegata o almeno contenuta in limiti controllabili, e quindi termineranno gli allentamenti alle maglie rigoriste dei trattati europei, per comprendere che il nocciolo della questione non riguarda soltanto il quando e il come rientrerà in funzione il Patto di stabilità e crescita, se le sue regole verranno modificate o reintegrate nella loro interezza, ma la stessa possibilità o meno di modificare il Trattato di Maastricht. Questo non significa che rispetto alla necessità di intervenire sulle regole del Patto di stabilità e crescita ci sia un parere unanime e tantomeno consolidato. Anzi, la polemica sull’argomento è aperta. A margine del G20 di Venezia2, il ministro delle finanze tedesco, Olaf Scholz della Spd, in una intervista a un quotidiano italiano ha sostenuto che le regole esistenti “hanno dimostrato di avere tutta la flessibilità necessaria per affrontare la situazione”, ragione per cui non vi sarebbe motivo di mettere mano innovativa al Patto di stabilità e crescita.3

Sulla necessità di rivedere il Trattato di Maastricht si sono espresse voci autorevoli. Non mi riferisco solo a noti economisti4 o esponenti politici, ma agli stessi responsabili delle istituzioni europee. Il Presidente del parlamento europeo, per fare un solo esempio, ma significativo, ha affermato di non considerare intoccabili i dettati di Maastricht.5 Ma alle dichiarazioni verbali non corrispondono per ora gli atti scritti. Il rischio che l’antico adagio latino – verba volant sed scripta manent – riconfermi ancora una volta la sua plurimillenaria saggezza è dunque estremamente alto. Infatti di eventuali modifiche al Trattato non si fa menzione alcuna nella Dichiarazione comune sulla Conferenza europea, firmata da Sassoli, Costa e von der Leyen, che nel titolo vuole esprimere un rapporto biunivoco con i cittadini (Dialogo con i cittadini per la democrazia- Costruire un’Europa più resiliente, parola, quest’ultima, che va di moda anche perché gravida di ambiguità). Il testo preferisce concentrarsi sulle modalità di svolgimento dei lavori ed enfatizzare al massimo questa scelta dialogante definendo la Conferenza addirittura come “un processo ‘dal basso verso l’alto’, incentrato sui cittadini” che conferirà loro “un ruolo più incisivo nella definizione delle future politiche e ambizioni dell’Unione, di cui migliorerà la resilienza.”

Malgrado ciò la reazione è stata immediata. Dodici paesi (Austria, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Malta, Olanda, Slovacchia e Svezia) in un loro documento hanno subito chiarito che bisogna salvaguardare l’attuale “equilibrio inter-istituzionale, compresa la divisione delle competenze”.6 Per loro quindi l’impianto istituzionale deciso a Maastricht resta immutabile.7

Ma gli intoppi sul cammino della Conferenza non si fermano qui. C’è ben altro. Innanzitutto il suo percorso si intreccia con le scadenze elettorali dei più importanti paesi europei. A cominciare dalla Germania ove il 26 settembre si voterà per l’elezione del Bundestag e quindi si concluderà la lunga stagione politica di Angela Merkel. Nella primavera del 2022 ci saranno le presidenziali francesi, cioè proprio quando la Conferenza dovrà concludersi tirando le fila di una lunga e sulla carta complessa discussione. Come si è visto nelle recenti scadenze elettorali francesi la stella di Macron non brilla. E’ vero che neppure la Le Pen ha raccolto i consensi che sperava, ma è altrettanto ovvio che non mollerà la presa e che molto dipenderà dalle scelte e dai consensi del repubblicano Xavier Bertrand dopo i confortanti esiti, per lui, delle elezioni regionali.

In questo quadro carico di incertezze e di instabilità, si aggiunge come un elemento certamente negativo la presidenza semestrale della Ue da parte della Slovenia iniziata il primo luglio con l’insediamento di Janez Jansa, l’unico leader europeo a congratularsi con Donald Trump per l’elezione che si era autoattribuito. Il presidente di turno della Ue è alla guida del Partito democratico sloveno, di orientamento ultraconservatore che però si è mantenuto all’interno del Ppe. Si presenta all’alta carica sconfitto nettamente in patria, con oltre l’80% dei voti contrari, nel recente referendum tenutosi a difesa delle acque e dei terreni costieri

 

La carta dei valori dei sovranisti europei

Ma soprattutto l’elemento di maggiore novità che fa e farà sentire il suo peso nel dibattito europeo dentro e fuori la Conferenza, è la Dichiarazione sul futuro dell’Europa, un documento firmato da sedici partiti di destra e di estrema destra, ispirato al più smaccato sovranismo. Spiccano tra i firmatari il Rassemblement National di Marine Le Pen, Fidesz di Victor Orban, il partito polacco Diritto e Giustizia (Pis), lo spagnolo Vox, nonché la Lega di Salvini e Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni.8 Sono anche significative alcune assenze da questo schieramento, almeno per ora, quali la formazione di Geert Wilder, il Partito per la libertà olandese, o l’Afd tedesca. Quest’ultima ha presentato un programma per le prossime elezioni tedesche del 26 settembre in cui chiede tra le altre cose “l’uscita della Germania dalla Ue e la fondazione di una nuova comunità economica e di interessi europei”, quindi la scelta di non apporre la firma sotto una dichiarazione che si preoccupa del futuro dell’Europa appare coerente. Tuttavia il suo leader, Joerg Meuthen, ha già assunto pubblicamente una posizione non solo più possibilista rispetto a un’eventuale firma in un secondo momento, ma ha dichiarato esplicitamente di sostenere l’alleanza dei sovranisti europei.9

La Dichiarazione delle forze sovraniste è un testo relativamente breve che però conviene non snobbare, anzi merita più di un’attenzione. Il suo obiettivo è infatti quello di stabilire una “carta dei valori” della destra. Coerentemente con questo scopo viene abbandonata ogni intenzione di exit dalla Ue o dall’eurozona, quindi dalla moneta unica. L’euro non viene neppure nominato. A scanso di equivoci Salvini dichiara che “c'è molta pigrizia da parte della stampa estera, perché sul fronte economico siamo assolutamente liberali”10. Fin dalle prime righe viene esaltato il ruolo delle nazioni europee in difesa della loro sovranità e integrità territoriale. Ma di questa impresa viene menzionata esplicitamente solo quella di quei paesi che dopo la seconda guerra mondiale hanno dovuto lottare contro “il dominio del totalitarismo sovietico”. La garanzia della sicurezza e delle condizioni ottimali per lo sviluppo sarebbe stata fornita dal Patto atlantico. Con il che non fanno che sfondare una porta aperta, visto il piatto atlantismo che la Ue ha incentivato nel dopo Trump.

 

La retorica sulle radici giudaiche cristiane

Il processo d’integrazione, proseguono, ha portato al mantenimento della pace e alle buone relazioni tra Stati, un lavoro che “deve essere mantenuto come un valore di importanza epocale. Tuttavia la serie di crisi che hanno scosso l'Europa negli ultimi dieci anni hanno dimostrato che la cooperazione europea sta vacillando, soprattutto perché le nazioni si sentono lentamente spogliate del loro diritto ad esercitare i loro legittimi poteri sovrani”. Da qui la necessità di una profonda “riforma”, basata contrarietà alla creazione di un superstato europeo che distruggerebbe le istituzioni sociali di base e i principi morali. Le istituzioni europee sono accusate di un “iperattivismo moralista” che va di pari passo con l’intenzione di imporre un “monopolio ideologico”. Contro tutto ciò i dichiaranti rilanciano i valori della tradizione, il rispetto dei fondamenti giudaico-cristiani dell’Europa.

Questo richiamo costituisce indubbiamente il pezzo forte del sistema valoriale della destra e di per sé non è certo una novità. Viene agitato come uno scudo crociato contro ogni tentativo anche tiepido di modernizzazione del sistema e delle relazioni sociali. Vale la pena di ricordare come le stesse radici non vengono negate da papa Francesco ma lette in una luce completamente diversa. In una intervista “a tutto campo” rilasciata al giornale francese La Croix nel maggio del 2016, Francesco affermava che: “Bisogna parlare di radici al plurale perché ce ne sono tante. In tal senso, quando sento parlare delle radici cristiane dell’Europa, a volte temo il tono, che può essere trionfalista o vendicativo. Allora diventa colonialismo. Giovanni Paolo II ne parlava con un tono tranquillo. L’Europa, sì, ha radici cristiane. Il cristianesimo ha il dovere di annaffiarle, ma in uno spirito di servizio come per la lavanda dei piedi. Il dovere del cristianesimo per l’Europa è il servizio. Erich Przywara, grande maestro di Romano Guardini e di Hans Urs von Balthasar, ce lo insegna: l’apporto del cristianesimo a una cultura è quello di Cristo con la lavanda dei piedi, ossia il servizio e il dono della vita. Non deve essere un apporto colonialista.”11

La dichiarazione continua riproponendo il ruolo della famiglia quale “unità di base” delle nazioni europee. Anche qui siamo nel classico, ma questa volta alla famiglia viene attribuito un ruolo politico che viene giocato in chiave antimmigrazione, sostenendo che la crisi demografica dovuta a bassi tassi di natalità e l’invecchiamento della popolazione europea dovrebbero spingere a politiche a sostegno della famiglia “piuttosto che a favorire l’immigrazione di massa”. La parte finale del documento lamenta l’erosione della sovranità nazionale operata nei decenni precedenti attraverso una “reinterpretazione sostanziale dei Trattati”. A questa bisognerebbe opporsi stabilendo le competenze inviolabili degli Stati e valorizzando il primato delle loro Costituzioni. Il consenso – in altri termini l’obbligo della unanimità nelle decisioni – dovrebbe restare l’unico metodo per raggiungere posizioni comuni. Altrimenti – si afferma in chiusura della Dichiarazione – si arriverebbe a inibire di fatto la funzione degli organi costituzionali, tra cui “governi e parlamenti ridotti alla funzione di approvare decisioni già prese da altri”. Da cui l’invito, rivolto a chi condivide il documento, a “un lavoro culturale e politico comune, nel rispetto del ruolo degli attuali gruppi politici”.

 

Il senso della iniziativa sovranista

Le ultime parole escludono, per ora, la creazione in tempi prevedibili ovvero programmati di un gruppo unico dell’estrema destra nel Parlamento europeo. Ma non per questo la mossa dei firmatari del documento va sottovalutata. Il loro intento, peraltro niente affatto mascherato, è quello di influire e pesare direttamente nel dibattito su una possibile riforma delle istituzioni e del sistema di governance europei. Il punto specifico, nell’immediato, è il mantenimento del criterio dell’unanimità, quindi la difesa a oltranza del diritto di veto. Quello che ostacola il cammino della Ue verso l’approvazione della global minimum tax, vista l’opposizione manifestata da Irlanda, Ungheria ed Estonia; quello che è stato messo in atto proprio contro l’Italia per bloccare la redistribuzione dei migranti approdati sui lidi del nostro paese, malgrado la decisione a maggioranza da governi e Parlamento, per l’ostinazione dell’Ungheria e della Polonia.

Ma i sovranisti coltivano un obiettivo di ben più lungo respiro, quello di impedire qualunque soluzione o passo in avanti in senso federalista da parte dell’Unione europea. A questo sono finalizzate tutte le frasi del documento che si riferiscono ai poteri sovrani dei singoli paesi e comunque alla necessità di fissare limiti invalicabili per le competenze della Ue tali da non invadere quelle che restano specifiche degli stati nazionali. La difesa dei poteri di governi e di parlamenti nazionali che sarebbero ridotti a meri esecutori delle volontà assunte dalle oligarchie europee viene proclamata in questa chiave. Ovvero – ed è questo uno degli elementi della pericolosità dell’operazione politica che abbiamo di fronte, poiché tocca un punto sensibile e reale di cui però vengono rovesciate le cause – la perdita di autorevolezza e di potere reale da parte dei parlamenti non derivano dal processo di ademocratizzazione, con il corredo nel caso italiano di leggi elettorali persino incostituzionali, da tempo in atto da parte delle modalità di governance attuate dal capitalismo globale, ma dalla prevaricazione degli organi europei. Da qui, per dirla con le stesse parole di Giorgia Meloni: “Adesso o credi nell'Europa federale o sei tacciato di antieuropeismo e non è così, c'è anche l'opzione dell'Europa confederale che era l'idea di De Gaulle”. L’obiettivo non è la fuoriuscita dall’Europa ma il mantenimento della stessa in un’orbita puramente confederale. Una sorta di antistorica riedizione circoscritta al contenente europeo della Società delle Nazioni, la prima organizzazione intergovernativa.12

Ma proprio qui sta forse il pericolo maggiore contenuto dalla mossa della destra, al di là delle intenzioni e dei progetti dei suoi stessi protagonisti. Il suo effetto, già evidente e in parte in atto, può essere quello di costringere il dibattito, dentro e fuori la Conferenza, in un alveo puramente neoliberista, riducendolo ad uno scontro interno fra reazionari ed elite interpreti della storia e della tradizione dell’Unione europea lungo i suoi vari passaggi, entrambi sordi a qualsiasi alternativa fino ad espungerla dalla discussione stessa. Con l’aggravante del fatto che la destra sfida sul terreno dei valori, per quanto negativi e distorti a noi possono apparire. Risulta difficile respingerli, come fa Enrico Letta, richiamandosi ai “valori della Ue”, così evanescenti a fronte delle regole di una governance che, anche quando allenta i cordoni della borsa, persiste nel mostrare un algida lontananza dalla più elementare umanità in tema di accoglienza dei migranti o di sospensioni dei brevetti sui vaccini. In ciò facilitati dallo stato della sinistra non certo entusiasmante, neppure allargando lo sguardo all’insieme del quadro europeo, la quale verrebbe spinta obiettivamente ad una sorta di alleanza auto annichilente con le elite di comando contro una destra ben capace di trovare consensi anche in ampi ambiti popolari.

 

I diritti indifesi

Già qualche mese fa, in questa rivista, si era rilevato come il tema della difesa dello Stato di diritto avesse fatto la parte della cenerentola nel testo finale che sanciva quello che giustamente il manifesto, in un suo titolo di apertura, aveva chiamato il “compromesso storico” raggiunto dalla Unione europea nel luglio 2020. Ne abbiamo una riprova nello scontro in atto tra la Ue e l’Ungheria e la Polonia sul grande tema dei diritti Lgtbi. Ursula von der Leyen ha indubbiamente usato parole molto dure al riguardo: “Non possiamo restare a guardare quando ci sono regioni che si dichiarano libere dagli Lgtbi. Non lasceremo mai che parte della nostra società sia stigmatizzata a causa di quello che si pensa, dell’etnia, delle opinioni politiche o credi religiosi”.13 Ma a queste parole non sono finora seguiti atti efficaci. Eppure il Parlamento europeo il 24 giugno scorso aveva adottato a maggioranza una risoluzione assai puntuale e articolata14 sulle tematiche della libertà e dei diritti sessuali, cui naturalmente avevano votato contro i gruppi dei Conservatori (di cui fa parte Fratelli d’Italia) e di “Identità e democrazia” (di cui fa parte la Lega di Salvini) e contro la quale si era espressa anche la Commissione delle Conferenze episcopali Ue (Comece). Ma si è trattato di una semplice risoluzione non avente forza di legge. La Ue sta quindi combattendo da anni con Polonia e Ungheria sulle questioni relative alle violazioni dello stato di diritto, ma con armi se non spuntate assai poco affilate. Finora le procedure non hanno portato a punizioni concrete, né a un cambio di atteggiamento dei governi polacco e ungherese. Inoltre, Orbán e i suoi hanno alleati importanti anche in paesi della Vecchia Europa e il primo tra questi è l’Italia. Giovedì 1°luglio Matteo Salvini ha rivendicato con una lettera al Corriere della Sera15la sua affinità con i governi di Ungheria e Polonia, una posizione in questo caso praticamente identica a quella esposta da Giorgia Meloni. Anche in questa occasione però la minaccia di fare venire meno di vantaggi economici per garantire dei diritti mostra la corda, troppo esposta sia alla critica che non si possono fare ricadere su un popolo intero le colpe dei suoi governanti e nemmeno della maggioranza, ma al netto dell’astensione, che li ha eletti e che ancora li sostiene; sia alla difficile praticabilità, se non altro per l’intreccio di interessi economici che si sono venuti già creando o che vengono fortemente attesi. Prova ne sia che ai primi di luglio i mass media parlavano di uno stop alla valutazione del piano di rilancio ungherese (sono in gioco 7,2 miliardi di euro) e che era stata annullata la visita a Budapest della von der Leyen, che doveva rientrare nel suo giro per le capitali europee man mano che i rispettivi Pnrr vengono approvati. Ma qualche giorno dopo la portavoce faceva sapere che tale visita non era mai stata annunciata e che quindi non poteva essere stata annullata, mentre il commissario all’Economia Paolo Gentiloni spiegava che la valutazione stava proseguendo.

 

Per un’Europa federale dotata di una sua Costituzione.

Per uscire da questa costrizione non vi è che una strada, per quanto impervia. Quella di puntare con decisione, pur considerando attentamente tutti i vari passaggi necessari alla riuscita dell’impresa, alla costruzione di una Unione europea su base federale che poggi la sua autorevolezza non tanto sul consenso dei governi dei singoli paesi membri, ma su un processo costituente capace di coinvolgere a ogni livello e in tutte le sue espressioni la società reale e civile per giungere ad una Costituzione che raccolga e valorizzi il meglio delle costituzioni europee esistenti e che non si presenti come un prodotto già chiuso e confezionato al giudizio popolare, ma inglobi nel processo della sua definizione i popoli europei. Ma vi sono studiosi di valore - che hanno affrontato il tema europeo sotto vari aspetti politici, istituzionali ed economici compiendo un ottimo lavoro sul piano analitico, impreziosito anche da proposte di riforma non certo banali, e perciò neppure di facile attuazione - che si ritraggono di fronte alla necessità di costruire un percorso che abbia come obiettivo esplicito il raggiungimento di una dimensione federale dell’Europa. Francesco Saraceno, ad esempio, che ha scritto con sempre maggiore intensità e profondità su questi temi negli ultimi tempi in particolare, dopo avere illustrato le varie e molteplici difficoltà che impediscono alla Ue di fare un balzo in avanti, come la situazione della crisi pandemica-economica richiederebbe, scrive che “sono tutte difficoltà che non sussisterebbero se si avesse un’organizzazione propriamente federale, degli Stati Uniti d’Europa; peccato che si tratti di un cammino non praticabile nell’immediato (un immediato che probabilmente durerà qualche generazione ancora)”. Ma è ancora più un peccato che sulla base di questo pessimismo l’autore giunga a concludere che “Si tratta in fondo di tornare alle origini, alla scommessa che fecero Jean Monnet e Robert Schuman il 9 maggio 1959, proponendo che la sovranità nazionale francese e tedesca fosse sciolta nella Comunità del carbone e dell’acciaio per meglio servire gli interessi dei due Paesi. Insomma, il Fondo per la ripresa potrebbe essere il treno che ci porterà fuori dal tunnel; ai Paesi della periferia, soprattutto all’Italia, spetta l’onere di sedere nella cabina di guida.”16 Come se non fosse proprio quella concezione funzionalista del processo di unità europea, dall’economia alla politica a piccoli passi, la responsabile di avere dato vita ad una costruzione a-democratica. Come se bastasse un controllo sull’implementazione del Piano di ripresa e resilienza, e non invece la discussione e la contestazione dei suoi contenuti e l’avanzamento di proposte concrete e alternative, per evitare che la situazione economica e sociale ritorni allo status quo ante o più probabilmente a una situazione ulteriormente peggiorata. Quando necessiterebbe invece, come giustamente sostengono Riccardo Bellofiore e Francesco Garibaldo “una ridefinizione della struttura della domanda. della offerta e della distribuzione, nella forma di un intervento ‘dall’alto’, ma che interagisce con un conflitto ‘dal basso’ “17

Non c’è dubbio, comunque, che un processo verso il federalismo e la definizione di una Costituzione europea condivisa sia già difficile da pensare oltre che naturalmente da attuare. Bisogna “cercare ancora” perché esso ci appare, almeno in punto di teoria, come l’unica via d’uscita all’implosione del progetto europeo implicito non tanto nell’avanzata delle posizioni di destra, anche se più affinate rispetto ad un rozzo e primigenio antieuropeismo, quanto nei meccanismi economici del moderno capitalismo che non tollera la democrazia e che si affida sempre più a gestione di elite tecno-oligarchiche del potere.18

 

Il necessario superamento della proprietà intellettuale

Ma è la stessa realtà che ci richiama ad andare alla radice dei problemi, quello che appunto si intende, o si dovrebbe intendere, per radicalità. La questione dei vaccini ha fatto emergere il grande tema della proprietà intellettuale. Viste le modificazioni che sono intercorse nel capitale a livello globale con l’accresciuta importanza del capitalismo cognitivo, la proprietà intellettuale riguarda il cuore della questione proprietaria ai nostri tempi. Mettere in discussione la protezione della proprietà intellettuale attraverso il vigente sistema dei brevetti significa colpire uno dei punti più sensibili, anche se solo apparentemente meno esposti, del capitalismo moderno. Quello che si è accresciuto e alimentato proprio nel corso dell’attuale crisi pandemica. Quello che oggi dovrebbe essere sottoposto alle lenti della critica dell’economia politica. Ed è proprio su questo tema fondamentale per la sopravvivenza di miliardi di persone, non solo ora, ma anche in futuro, visto che crisi pandemiche possono ripetersi perché le loro cause sono a guardar bene più endogene che esogene, che la Ue ha mostrato tutti i suoi spaventosi limiti.

Almeno a parole, assai meno nei fatti, Joe Biden si è mostrato assai più disinvolto nel trattare la questione. Nel caso della Ue non si tratta di una particolare cattiveria o di una sorda insensibilità, almeno non solo, quanto del posizionarsi sul tema della brevettazione vaccinale di una competizione interna ai maggiori paesi della Ue – in questo caso ricomprendendo il Regno Unito malgrado la Brexit – che può essere sospinta o addirittura vinta solo proiettandosi nella geopolitica mondiale della produzione e distribuzione dei vaccini. Così nel caso degli Usa, ove la materia rientra, come altre, nello scontro diretto con la Cina per l’egemonia mondiale, sia dal punto di vista economico che politico.

Questo gioco geopolitico ha esiti mortali per molta parte della popolazione del pianeta. Produce e alimenta, nel mentre che a parole afferma di volerla ridurre, una terribile diseguaglianza nell’accesso all’immunizzazione di massa. Appena tre mesi fa veniva calcolato che solo l’1,5% della popolazione mondiale ha ricevuto l’inoculazione, di cui l’80% sono concentrati in dieci paesi del globo terrestre.19 Siamo di fronte ad una sorta di genocidio per apartheid medico, come l’ha chiamato Gianni Tognoni.20 Proprio per queste ragioni è particolarmente importante l’iniziativa di raccolta di un milione firme in vari paesi europei, attualmente in corso, come prevista dalla regolamentazione Ice (iniziativa cittadini europei): Nessun profitto sulla pandemia che chiede alla Commissione europea di fare tutto ciò che è in suo potere per rendere i vaccini e le cure anti-pandemiche un bene pubblico globale, accessibile gratuitamente a tutti e tutte. Ovvero un obiettivo che si propone la salvaguardia della vita e il benessere delle persone si incrocia positivamente con la disarticolazione di un punto chiave dell’attuale sistema capitalistico e compie un passo avanti concreto nella pratica della democrazia diretta dentro l’Unione europea. Come si vede non è poi così difficile, né tantomeno impossibile fare avanzare quel progetto di trasformazione dell’Europa che spesso viene rigettato non in quanto sbagliato ma perché puramente utopistico.

 

Il G20 di Venezia e la tassazione delle multinazionali

La crisi pandemica ha scosso le certezze su cui era costruita l’impalcatura europea e non solo. Il problema è evitare di assistere all’ennesima versione di quelle rivoluzioni passive con le quali il capitalismo cambia salvaguardando la sua sostanziale identità. La questione si ripropone con la globalizzazione della questione fiscale che è stata al centro della riunione del G20 di Venezia. L’enfasi, condensata nell’iperuso dell’aggettivo ‘storico’, desta i più naturali e fondati sospetti. Allo stesso tempo sarebbe davvero miope negare che un cambiamento si è messo in moto. I suoi contenuti specifici e soprattutto i suoi esiti sono ancora impregiudicati. Anche perché quanto è stato convenuto a Venezia è stato definito da tutti un accordo ‘politico’, ma non nell’accezione migliore del termine, bensì intendendo che molto deve essere ancora precisato e dettagliato e che le vere decisioni verranno prese in successivi appuntamenti.

Trattandosi poi di materia fiscale la determinazione dei dettagli e la loro conoscenza è addirittura decisiva per formulare un giudizio fondato. Vale comunque la pena di ripercorrere i passaggi, almeno i più recenti, fin qui compiuti. Molti ascrivono il merito di quanto si profila all’iniziativa americana. Non è proprio così, anche se quest’ultima, con la presidenza Biden, ha fornito un’accelerazione non trascurabile. In realtà l’Ocse stava lavorando sulla materia dal 2018. Nella riunione del 1° luglio dell’organizzazione parigina 130 paesi (su 139) hanno aderito al progetto di riforma delle regole di tassazione internazionale, basato su due pilastri (Pillar 1 e 2), che intende garantire che le multinazionali paghino una quota “equa”, o presunta tale, sui propri profitti indipendentemente dai paesi in cui esse operano. I nuovi modelli impositivi dovrebbero quindi spostare la tassazione nel paese ove si trovano i consumatori (Pillar 1) e allo stesso tempo assicurare che tutti paghino non meno di un minimo concordato, pari al 15% (Pillar 2). Di fatto si tratta di una “tassazione compensativa” sulle multinazionali, più o meno come quella pensata da Emmanuel Saez e Gabriel Zucman.21

Come si sa inizialmente la proposta statunitense era nettamente superiore: il 21%. Già Joseph Stiglitz e altri autorevoli studiosi avevano scritto a Biden chiedendogli di alzare l’asticella al 25%. Anche qui non si trattava di una conversione etica, ma della necessità dell’Amministrazione Biden di alzare le tasse in patria ed evitare nel contempo la fuga di capitali all’estero. La differenza tra l’una e l’altra aliquota è evidentemente molto sensibile. Ad esempio con una tassa minima del 25% l’Unione europea aumenterebbe le sue attuali entrate fiscali di circa 170 miliardi di euro nel 2021, potendo con questi proventi più del 10% il 12% della spesa sanitaria totale attuale nella Ue. Mentre l’Italia percepirebbe 11 miliardi di euro in più all’anno, coi quali potrebbe sostenere il proprio sistema di welfare. Gli effetti di una simile soluzione sarebbero quelli di depotenziare la convenienza a localizzare articolazioni dell’azienda madre nei paradisi fiscali o comunque in quelli che praticano una bassa tassazione reale (spesso vi è una differenza notevole tra questa e quella nominale), perché tale scelta non cambierebbe il prelievo complessivo.

Tutto bene, quindi? Non proprio. Si tratta di verificare l’esistenza di una clausola che limiterebbe l’applicazione della nuova normativa alle aziende con fatturato globale superiore a 20 miliardi di euro e redditività superiore al 10%, in questo modo società come Amazon potrebbero farla franca. Ma sarebbe un esito davvero paradossale. In ogni caso – e questo è probabilmente il problema maggiore – la soluzione sopra descritta non risolverebbe la questione della distribuzione del gettito tra i Paesi. Se il punto chiave è rappresentato dalla distribuzione geografica delle vendite, è evidente che i paesi dove vivono le popolazioni più povere trarranno un vantaggio assai minore o quasi nullo dalla riforma, contribuendo quindi all’incremento delle diseguaglianze a livello globale. Si comprende quindi l’aspro giudizio di Gabriela Bucher, direttrice esecutiva di Oxfam International, che afferma: “con questa riforma fiscale i paesi del G7 e dell’Unione Europea intascheranno più di due terzi del nuovo denaro prodotto dall’aliquota del 15%. I paesi più poveri del mondo recupereranno meno del 3 per cento, nonostante ospitino oltre un terzo della popolazione mondiale... Questo non è un accordo ‘storico’. È la storia che si ripete. È solo un’altra forma di colonialismo economico”.22

 

L’inusuale intervento della Yellen all’Eurogruppo

Ma i problemi non si fermano qui. La segretaria al Tesoro statunitense Janet Yellen, con una pratica del tutto inusuale, è intervenuta direttamente alla riunione dell’Eurogruppo a Bruxelles. Un segnale forte della volontà dell’amministrazione Biden di tenere rapporti molto stretti, per non dire invasivi, con la Ue e l’acquiescenza di quest’ultima al riguardo. Lo ha fatto con due obiettivi. Il primo riguarda la politica monetaria, fiscale ed economica. In particolare la Yellen ha messo in riga i timori per un innalzamento dell’inflazione, peraltro finora ancora infondati quantomeno nella loro misura, raccomandando conseguentemente di continuare a sostenere l’economia con nuove immissioni di denaro pubblico.

In pratica ha benedetto la decisione già assunta dalla Bce nei giorni scorsi con la modificazione del target di inflazione che assomiglia non poco a quello già deciso falla Fed tempo addietro. Il Consiglio direttivo della Bce ha deciso all’unanimità che il 2% dell’inflazione non è più un tetto invalicabile, superato il quale sono necessari tempestivi interventi restrittivi da parte della Banca centrale. Il 2% è ora concepito come un obiettivo “simmetrico”. Mentre prima la Bce puntava a un’inflazione “minore ma vicina al 2%”, questo limite ora potrà essere superato per un periodo transitorio in cui “l’inflazione si colloca su un livello moderatamente al di sopra dell’obiettivo”. Il 2% diventa come una porta basculante dalla quale si può entrare o uscire, ma sempre con la dovuta moderazione. Questa modifica in apparenza minimale, ha la sua importanza per respingere gli attacchi dai nostalgici dell’austerity e può preparare condizioni migliori per quando e se si discuterà della riforma del Patto di stabilità e crescita. Nel frattempo se gli acquisti previsti dal programma Pepp dovessero contribuire a fare salire l’inflazione un po’ sopra il target non per questo gli acquisti dovrebbero essere interrotti o dovrebbe prendere il via un precipitoso tapering.

Ma il motivo del viaggio della Yellen resta un altro, anch’esso conseguito a quanto pare. La Commissione europea avrebbe deciso di accettare la richiesta americana di sospendere o cancellare il proposito di adottare una tassa digitale con la quale finanziare il bilancio comunitario. Questa avrebbe senz’altro penalizzato i colossi americani del settore e naturalmente il rinfocolato atlantismo europeo non poteva dare questo dispiacere alla nuova amministrazione di Joe Biden. Anche dal punto di vista economico-finanziario, oltre che da quello del mantenimento della pace e della riduzione delle tensioni sullo scenario internazionale, l’autonomia della Ue dagli Usa dovrebbe essere considerata come un bene strategico da coltivare gelosamente e con la massima cura. Ma la classe dirigente di questa Ue non riesce a prendere il meglio dalle politiche di Biden, senza pagarne il pegno del peggio.

 

Neoliberismo e ordoliberismo: contatti e differenze

Una volta messe in luce tutte le negatività, già in essere o potenziali, di quanto si va profilando in termine di tassazione delle multinazionali, ci si deve tornare a domandare come mai un tema che pareva intoccabile è stato al centro delle maggiori assisi del capitalismo globalizzato contemporaneo. Certamente quest’ultimo mostra una duttilità a fronte delle nuove situazioni di crisi che si aprono e che da esso stesso sono create, che possiamo anche chiamare spregiativamente camaleontismo, ma che comunque dimostrano la sua vitalità. Tanto più in assenza di una sinistra capace di una analisi della situazione concreta basata sulla critica dell’economia politica.

Poiché la novità è soprattutto determinata dal protagonismo dell’intervento pubblico è opportuno tornare a riflettere sui rapporti fra stato e capitalismo. Fernand Braudel, nel corso di un giro di conferenze che tenne negli Stati uniti verso la fine degli anni Settanta si è espresso in termini molto decisi “Lo stato moderno, che non ha costruito il capitalismo ma lo ha ereditato, talora agisce a suo favore, talaltra ne ostacola i propositi; a volte gli permette di espandersi liberamente, ma in altri casi distrugge le sue risorse. Il capitalismo può trionfare solo quando si identifica con lo stato, quando è lo stato”. Il grande storico francese concepisce quindi i rapporti fra stato e capitalismo come segnati da una grande e continua tensione, ove i ruoli dell’uno possono ingigantirsi rispetto all’altro e viceversa. Ma in ultima analisi egli, dalla nascita dello stato moderno, concepisce come ineliminabile questo rapporto. Infatti se guardiamo anche alla storia recente, pur scontando la perdita di peso dello stato-nazione e la globalizzazione del sistema capitalistico, vediamo che questa relazione non si è mai interrotta. Il liberismo e il neoliberismo allo stato puro non sono mai esistiti se non nella propaganda dei loro propugnatori – “lo stato non è la soluzione ma il problema” - e nella scarsità di capacità critica dei loro avversari. Il social-liberismo, ovvero la politica della sinistra moderata che progressivamente della sinistra ha perso anche il nome - nell’accezione che a questo termine ha dato Riccardo Bellofiore - per quanto aggrappato al mantra dell’equilibrio del bilancio pubblico, non può dirsi nemico di un intervento del pubblico in una tiepida funzione redistributiva.23

Come ha osservato Francesco Saraceno “il Nuovo Consenso di matrice anglosassone e l’ordoliberismo si sono saldati nel processo di costruzione europeo, pur partendo da presupposti diversi. Il primo enfatizza l’efficienza dei mercati, e il secondo la loro sostanziale incapacità ad autoregolarsi. Ma entrambi concordano sulla necessità di imbrigliare l’azione pubblica, che in alcun caso può sostituirsi ai mercati nella regolazione macroeconomica. La tradizione ordoliberale tedesca pesa mei negoziati per il trattato di Maastricht.”24 Tutte queste teorie sono varianti di modalità di gestione del capitalismo in particolare nel suo rapporto con lo stato. Anche se nella realtà non si incontrano se non in implementazioni spurie, non sono uguali. Quello che è importante, per cogliere la specificità del rapporto fra capitalismo e stato in questa contingenza segnata dalla crisi e da un massiccio fluire di finanziamenti pubblici, è porre l’attenzione sulla differenza fra neoliberismo e ordoliberismo.

Contrariamente a quanto spesso si sente dire, l’ordoliberismo non è affatto una versione edulcorata del neoliberismo. Possiamo, a questo riguardo, prendere in prestito la definizione che un non economista come Michel Foucault fornisce della differenza fra liberismo e ordoliberismo: “gli ordoliberali sostengono che bisogna (…) porre la libertà di mercato come principio organizzatore e regolatore dello stato, dall’inizio della sua esistenza sino all’ultimo dei suoi interventi”25. Detto altrimenti: uno stato sotto sorveglianza del mercato, anziché un mercato sotto la sorveglianza dello stato”. Mentre i neoliberisti stabiliscono i limiti oltre i quali il pubblico non può andare, essendo regno del mercato, i secondi intendono trasformare l’intera finalità del pubblico in funzione del mercato.

Se leggiamo l’intervista a Dario Scannapieco insediato dal governo Draghi a capo della Cassa Depositi e Prestiti, il cui capitale è detenuto dal Mef per oltre l’83%, troviamo esattamente questo snaturamento dell’intervento pubblico.26 Ma anche Fabrizio Palermo, suo predecessore, aveva detto nella sostanza le stesse cose quando sosteneva che la Cdp non sarebbe mai diventata una nuova Iri, poiché non ci sarebbe “la nuova via italiana al capitalismo misto, pubblico e privato […] è il capitalismo paziente che investe lì dove ci sono i fattori per lo sviluppo”.27 Quasi un antipasto del Pnrr. Il che dimostra - sia detto qui per inciso - una linea di continuità, al fondo, fra questo governo e quelli che l’hanno preceduto.

Quindi la denuncia di una spudorata ripresa dei mantra del neoliberismo rivolta al governo Draghi e più in generale alla politica economica della Ue, non è forse sufficiente a comprendere quanto sta avvenendo. L’ordoliberismo si rende garante dell’implementazione del principio della concorrenza, non più come via libera agli spiriti animali del capitalismo, ma come strumentazione ordinata da un quadro legislativo. Non è quindi un capriccio che tra le riforme collegate al Pnrr vi sia quella sulla concorrenza. L’intervento pubblico può tranquillamente avvenire in un quadro sovrannazionale, nel quale si impone una elite politicamente e tecnicamente agguerrita, in un quadro di a-democratizzazione dell’ordine politico, interno ai singoli paesi e al di là dei loro confini, capace di resistere in primo luogo ai bisogni e alle aspirazioni delle popolazioni ed anche, se si presenta il caso, alle grandi multinazionali quando esagerano nel volere costruire uno spazio giuridico e fiscale proprio. Se guardiamo i recenti atti e comportamenti della Ue attraverso questa lente è forse possibile una maggiore comprensione dei processi che stanno avvenendo, sia a livello economico, che a livello politico-istituzionale e che caratterizzano il moderno capitalismo.


* Editoriale del numero 61 di Alternative per il Socialismo

Note

1 Il sistema è già operativo visto che nei quotidiani compare il relativo QR code per le informazioni necessarie.

2 Il G20 sull’economia si è tenuto all’Arsenale di Venezia tra il 7 e l’11 luglio 2021

3 Tonia Mastrobuoni “Scholz ‘Anche chi è contrario dovrà adeguarsi a questa intesa’ in la Repubblica del 9 luglio 2021. L’intesa a cui il ministro Scholz si riferisce riportata nel titolo alla sua intervista è quella relativa alla minimum global tax del 15% sui profitti delle multinazionali.

4 Tra le molte dichiarazioni di economisti che vogliono mettere in soffitta i famosi parametri di Maastricht, possiamo qui ricordare Philippe Martin, Jean Pisani Ferry e Xavier Ragot autori di uno studio per conto del Conseil d’analyse économique (Cae), un centro-studi che procede ad analisi sulle questioni economiche di interesse del governo francese, assai attivo in questa fase in tema d’Europa, visto anche l’incipiente venir meno del protagonismo di Angela Merkel. Lo studio propone di rinunciare all’obiettivo di un rapporto deficit/Pil al 3% e sostituire la soglia del rapporto debito/Pil del 60% con un plafond diverso per ogni singolo paese. Sulla base della convinzione che: “La crisi del Covid ha reso ancora più evidente il decalage tra questo quadro di regole e la realtà. Il consensus intellettuale su questo tema è che le regole non hanno più niente a che vedere con il mondo di Maastricht”

5 Vedi anche la registrazione video di un webinar inserito nel ciclo La lezione del 2020. Spunti per il futuro. Quasi un festival, 16-18 aprile 2021, “L’Europa e il nodo del debito” domenica 18 aprile ore 10.00 Alfonso Gianni (introduzione), David Sassoli, Juan Mena Arca, Antonella Stirati, Vincenzo Visco: https://youtu.be/BFcL7aL5Gg0

6 La versione inglese del documento è reperibile al seguente link:

https://www.permanentrepresentations.nl/documents/publications/2021/03/24/non-paper-on-the-conference-on-the-future-of-europe

7 Per queste ragioni una giornalista estremamente attenta alle vicende europee, Angela Mauro, titolava un suo articolo “La conferenza sul futuro dell’Ue parte zoppa” in Huffpost 10 marzo 2021

8 In tutto si tratta di sedici formazioni; oltre a quelle già citate vi sono partiti più piccoli di Austria (Fpoe), Belgio (Vlaams Belang), Paesi Bassi (Ja21), Danimarca (Dpp), Estonia (Ekre), Finlandia (Ps), Lituania (Llra-Kss), Grecia (El), Bulgaria (Vmro) e Romania (Pnt-Cd)

9 Il testo integrale dell’appello è reperibile (in francese) nel sito del Rassemblement National

10 Intervista a Salvini del Financial Times 2 luglio 2021, vedi https://www.romadailynews.it/politica/salvini-al-financial-times-il-covid-ha-costretto-lue-a-ascoltarci-0584311/

11 https://www.la-croix.com/religion

12 La Società delle Nazioni o Lega delle Nazioni nacque il 28 giugno del 1919 nel contesto della Conferenza di pace di Parigi e venne estinta il 19 aprile 1946, dopo la tragedia della seconda guerra mondiale

13 La citazione è tratta da Giovanni Maria del Re “Omofobia. Ungheria, in vigore la legge. La Ue assedia Orban (e Varsavia)” in L’Avvenire del 8 luglio 2021

14 Vedi https://www.europarl.europa.eu/news/it/press-room/20210621IPR06637/garantire-l-accesso-universale-alla-salute-sessuale-e-riproduttiva-nell-ue e il testo completo della risoluzione https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/A-9-2021-0169_IT.html

15 Matteo Salvini “Salvini: le nostre alleanze in Europa? Contro l’austerità non per ideologia” in Corriere della sera del 1 luglio 2021 dove si può leggere: “Questa è l’Europa che mi piace: libera e democratica. Di questa Europa fanno parte a pieno titolo l’Ungheria e il suo popolo, la Polonia e il suo popolo. E il popolo, in un regime democratico, decide i suoi governanti e le proprie priorità. Mi chiedete se sono più vicino a Londra o a Budapest? Mai come oggi Londra e Budapest, a proposito di critica alla Ue, sono state così vicine. E ricordo che — se il nocciolo è questo — il partito di Orbán è stato membro del Ppe per anni, prima di dire addio nel marzo scorso. Sono anche consapevole che i nostri rapporti con gli Usa sono fondamentali, indipendentemente dal colore dell’amministrazione. Mi sorprende invece che altri movimenti politici (e media italiani) abbiano ripetutamente attaccato il precedente presidente degli Stati Uniti durante tutto il suo mandato. Sono diventati atlantisti solo negli ultimi sei mesi?”. Ove tra l’altro difende come più autentico il suo atlantismo, certificato anche dalle foto con Trump.

16 Francesco Saraceno La riconquista. Perché abbiamo perso l’Europa e come possiamo riprendercela, Luiss University Press, Roma, 2020. Le citazioni sopra riportate si trovano a pp. 199 e 200.Vedi anche sempre di Francesco Saraceno il precedente La scienza inutile. Tutto quello che non abbiamo voluto imparare dall’economia, Luiss University Press, Roma, 2018

17 La citazione è tratta da un paper di Riccardo Bellofiore e Francesco Garibaldo “Quo vadis, Europa. Un percorso critico in tre movimenti e mezzo” reperibile sul sito della Fondazione Claudio Sabattini: http://www.fondazionesabattini.it/news/quo-vadis-europa-un-percorso-critico-in-tre-movimenti-e-mezzo

18 Allargando di molto lo sguardo e il discorso, sono, come al solito, assai stimolanti le riflessioni di Luigi Ferrajoli Perché una Costituzione della Terra? Giappichelli, Torino 2021

19 Vedi Nicoletta Dentico “Covid-19 e l’asfittico vicolo cieco del profitto” in Alternative per il Socialismo n.60, aprile-maggio-giugno 2021, Castelvecchi, Roma

20 Gianni Tognoni “Chiudere la Pandemia” in Volerelaluna” online 8 aprile 2021, https://volerelaluna.it/noi-e-il-virus/2021/04/08/proposte-per-chiudere-con-la-pandemia-covid-19/?print=printa

21 Emmanule Saez, Gabriel Zucman Il trionfo dell’ingiustizia. Come i ricchi evadono le tasse e come fargliele pagare. Einaudi, Torino 2020

22 La citazione è tratta dall’articolo di Roberto Ciccarelli “Con un’aliquota al 25% 119 miliardi in più in 10 anni per l’Italia” in Il manifesto di sabato 10 luglio

23 Riccardo Bellofiore La crisi globale, l’Europa, l’euro, la Sinistra Asterios, Trieste 2012

24 Francesco Saraceno La riconquista … cit.

25 Michel Foucault Nascita della biopolitica (1978-1979), Feltrinelli, Milano 2005

26 Andrea Greco “La svolta di Scannapieco in Cdp. Addio al capitalismo di Stato” in la Repubblica del 28 maggio 2021

27 Maurizio Molinari “Palermo: ecco la ricetta per un capitalismo paziente che cambi il nostro paese” in la Repubblica del 30 agosto 2020 https://rep.repubblica.it/pwa/intervista/2020/08/31/news/palermo_ecco_la_ricetta_per_un_capitalismo_paziente_che_cambi_il_nostro_paese_-265936507/

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