Sul filo del rasoio: "pace", capitolazione, guerra. O Thawra!
Le trattative Usa/Iran
di Lo Sparviero
Proseguono le trattative “sul nucleare” iraniano fra i delegati della Repubblica islamica e i negoziatori statunitensi guidati da Steve Witkoff il quale Witkoff, miliardario immobiliarista ebreo americano “prestato alla politica” e presentato dai media come un “feroce negoziatore” nel senso della feroce e concreta attitudine di costui nel concludere proficuamente gli affari, è l’incaricato di Trump anche per le trattative “di pace” sul fronte russo-ucraino/NATO. Anche questo fatto di dettaglio indica come siano intrecciate le vicende degli attuali fronti di guerra aperti e della possibile “pace” che si sta contrattando. In questa nota ci preme dire unicamente di un paio di punti che riguardano lo scenario di guerra in Asia occidentale. Un paio di punti (a nostro avviso) fermi di carattere generale, attorno ai quali ruotano le molteplici e imprevedibili variabili della lotta per la vita o per la morte cioè della lotta suprema in corso.
Scriviamo sopra di possibile “pace” fra virgolette perché essa per l’imperialismo è concepibile a una non contrattabile condizione: la capitolazione politica e operativa delle forze combattenti dell’Asse della Resistenza. La capitolazione di Hamas, quella di Hezbollah, delle milizie popolari irakene, degli Houthi yemeniti. Tutte forze che sono sotto continua e feroce pressione strangolatoria nel mentre che fra Usa e Iran “si tratta”.
“Si tratta” in perfetto stile imperialista, cioè con la pistola puntata alla tempia del governo di Teheran e dell’intero popolo iraniano. Un imponente dispositivo militare imperialista è infatti e intanto schierato, pronto a colpire qualora i negoziati fallissero secondo il criterio che lo sceriffo americano riterrà valido. Da parte del regime di Teheran che è fatto da uomini dalla tempra fortissima a cominciare dalla Guida Suprema Alì Khamenei, niente affatto disposti alla sottomissione, si accetta il terreno della trattativa pur sotto evidente scacco per cercare di evitare o procrastinare il più possibile uno scontro militare diretto con il tandem Usa/Israel, forse cercando di spezzarlo. Un tandem criminale che non ha nessunissimo scrupolo a usare il suo armamento nucleare se decide per la guerra, che in ogni caso sarebbe guerra devastante per l’Iran.
E non solo per l’Iran. La Repubblica islamica deve tenere conto di questa concreta e tremenda minaccia bevendo dall’amaro calice della “trattativa” con il Grande Satana, per giunta in un momento di grave crisi e tensione economico-sociale interna a cui si è accennato in altra occasione(1).
Il boia Netanyahu nell’assecondare (a denti stretti) la decisione di Trump di intavolare trattative col governo iraniano prima di passare “all’opzione militare” per tagliare quella che gli imperialisti e i loro accoliti definiscono “la testa del serpente” ha voluto precisare i termini della “trattativa”. I suoi termini di “trattativa”. Testualmente: “Siamo d’accordo con il presidente Trump che l’Iran non deve avere armi nucleari. Questo può avvenir con un accordo, ma solo se l’accordo è del tipo Libia (ndr: gli accordi del 2003 coi quali Gheddafi rinunciava alla ricerca nucleare, ma questa disponibilità non ha salvato la Libia dalla devastazione attuata in seguito dall’imperialismo nel 2011): entrare, distruggere le strutture, smantellare tutti i dispositivi, sotto la supervisione e con l’esecuzione americana va bene”.
Ma, se questi sono i suoi termini perentori non è affatto detto che le cose evolvano nel senso precisato dal boia capo del governo dell’entità sionista cioè che l’esito delle trattative in corso sia, alla fine e comunque, l’attacco militare diretto all’Iran da parte del tandem imperialista. Potrebbero esserci delle sorprese in vista, anche clamorose. E qui veniamo, non all’imprevedibile catena di sviluppi prossima ventura ma alla coppia di punti fermi di carattere politico generale di cui ci preme dire.
Primo punto. E’ assolutamente fuori discussione il sostegno “incrollabile” dell’Occidente (nelle due versioni: liberal/dem/progress-imperialista e sovranista/“patriottica”-imperialista) all’esistenza dell’entità statale sionista/Israele come baluardo imperialista insostituibile nell’area. Ma, secondo il nostro modo di vedere, questo sostegno senz’altro “incrollabile” non si deve confondere con il sostegno all’attuale governo “estremista” di Netanyahu, sostegno che giunti come siamo a un certo punto critico potrebbe anche venire a mancare. Il sostegno “incrollabile” è allo Stato sionista, non a questo o a un dato governo dell’entità statale sionista.
Data l’intensità dello scontro e la estrema gravità della situazione complessiva (compresa quella interna allo Stato sionista), l’imperialismo potrebbe trovare utile e necessario un clamoroso “cambio della guardia” al governo di Tel Aviv, per quanto la manovra sia rischiosissima dato il sostegno di massa di cui ancora gode il boia Netanyahu all’interno di Israele. Sulla carta (sulla carta!) questa anzi sarebbe l’opzione migliore per aprire la strada “alla pace”: via “l’estremista” Netanyahu da una parte e, naturalmente quello che sta a cuore dell’imperialismo, via “gli estremisti” (Hamas/Hezbollah/Houthi) dall’altra. In questo scenario alla Repubblica islamica iraniana potrebbe anche essere concesso di sopravvivere per qualche tempo oltre il naufragio politico e operativo dell’Asse della Resistenza.
Oltre e a parte le cancellerie borghesi, quante valanghe di “sinceri pacifisti” occidentali gongolerebbero in questo eventuale clamoroso possibile sviluppo! E, quanti governanti arabo-islamici “critici di Israele” a parole e complici/collaborazionisti dell’imperialismo nei fatti, altrettanto gongolerebbero!
Defenestrazione di Netanyahu spacciata come “svolta di e per la pace”. Manovra certamente difficile da realizzarsi, ma non impossibile. Anche considerando che gli stessi potentissimi circoli di potere ebraici (cosa diversa dalla massa dei comuni mortali ebrei) non sono affatto compatti nel sostegno a Netanyahu e alle forze di ultra-destra che attualmente sono determinanti per il suo governo. I centri di potere Rockefeller o quelli di Soros, ad esempio, contestano la politica dell’attuale capo dell’entità statale sionista. Così come la base popolare e di massa del presidente americano MAGA non è affatto composta solo da milioni di esaltati “sionisti cristiani” invocanti la ricostruzione del Terzo Tempio a Gerusalemme come preludio “alla venuta del Messia” (seppure un Pete Hegseth, uno dei rappresentanti di questa massa di esaltati, è attualmente a capo del Pentagono) ma è composta anche da una massa critica verso Israele e verso “gli ebrei” che secondo questi critici sarebbero i veri “padroni dell’America” (e del mondo) o la terrebbero sotto continuo ricatto. Ammettiamo che nell’ottica di questa critica (antisionista di destra), anche un dettaglio di contorno come il cercapersone dorato (!) regalato da Netanyahu a Trump in occasione della prima visita appena dopo l’insediamento del presidente MAGA è un dettaglio …leggermente inquietante, in effetti segnale di minaccia e ricatto. A ogni modo, per questi e altra serie di motivi, il sostegno dell’imperialismo occidentale a Netanyahu non è incondizionato e può venir meno. Il che di per sé non significa nulla di buono né per la causa palestinese in particolare né per quella anti-imperialista in generale.
Secondo punto. Come lo Stato sionista è insostituibile baluardo imperialista in Asia occidentale così altrettanto lo è l’Arabia Saudita, per dire del “pesce grosso” determinante per gli equilibri di potere in tutta l’area. L’entità statale sionista e il Regno saudita sono il pendant l’uno dell’altro. L’imperialismo occidentale (nelle sue due versioni sopracitate) non può assolutamente permettere che un paese come l’Arabia Saudita sfugga dalla sua sfera di controllo. Perlomeno, non lo può permettere pacificamente.
Qui si tocca un nervo politico delicatissimo e purtroppo doloroso per le stesse forze anti-imperialiste. Nei loro piani politici esse infatti immancabilmente contano sulla vana speranza di poter staccare il regime saudita (e i regimi degli altri vassalli arabo-islamici) dal controllo dell’imperialismo e per questa via poter costituire una potente “nazione araba”, finalmente “libera e sovrana”. Lo stesso attacco del 7 ottobre 2023 è scattato proprio e anche per far saltare la stipula ufficiale dell’accordo fra i due pendant. Quindi con la micidiale (eterna) illusione di portare dalla propria parte e alla propria causa il potente “fratello arabo” saudita, inesorabilmente invece attratto dalla parte e dalla causa generale di Mammona. E del rappresentante principale di Mammona nell’area cioè lo Stato sionista.
Non che la borghesia stracciona saudita (e le altre borghesie vassalle) – stracciona anche se letteralmente ricoperta di oro – non senta essa stessa la presa del controllo imperialista che essa stessa cerca di allentare, ma il fatto è che essa non può spezzare l’intimo vincolo che la lega all’imperialismo. Per ragioni di classe, essa teme come la peste un movimento anti-imperialista che si prefigge la distruzione dell’entità statale sionista e la cacciata degli americani dall’Asia occidentale perché questo movimento scuote le fondamenta del suo potere. La sola stessa esistenza, attiva e combattente, degli Houthi yemeniti – per dire del movimento attualmente più radicale e coerente fra le forze anti-imperialiste – è una spina dolorosa per il regime saudita. E se vogliamo vedere le cose attraverso il loro rivestimento religioso, rivestimento che è un fattore di non poco conto in tutta l’area, possiamo anche dire che il loro Islam, l’Islam degli Houthi (o di Hamas) austero e plebeo è una minaccia per l’Islam di cui si serve la borghesia araba, serva dorata dell’imperialismo e stracciona. Azzardiamo un parallelo storico: così come il cristianesimo di un Lutero o meglio (nel caso degli Houthi) di un Thomas Muntzer lo era per “il mostruoso abominio” dei Papi della Roma cattolica.
La sola stessa esistenza, attiva e combattente, dell’Asse della Resistenza per quanto esso si sforzi di non entrare in aperta e dichiarata rotta di collisione col “pesce grosso” saudita e con gli altri regimi vassalli(2) è una minaccia in grado di far tremare le fondamenta dei palazzi dorati, dove i regnanti sauditi vivono nello sfarzo e nello scimmiottamento della modernità capitalistica. Si pensi solo agli avveniristici e allucinanti progetti della “Vision 2030” del principe ereditario e reggente saudita Mohammed bin Salman, e a quanto urtino con la realtà di Gaza, di Beirut ecc.
Alla faccia della predicazione del Profeta, di cui la borghesia saudita (e le altre vassalle) è oscena profanatrice. Alla faccia dell’oppressione in cui vivono le masse arabo-islamiche, il cui spirito di rivolta essa cerca di sedare e corrompere grazie al fiume di denaro di cui dispone. E, lo ricordiamo qui dato che nessuno lo ricorda nemmeno nel campo delle forze anti-imperialiste, alla faccia di milioni e milioni di proletari e proletarie immigrati/e che con il loro lavoro super-sfruttato tengono in piedi la baracca dorata del regno saudita e degli altri vassalli arabo-islamici.
Gli interessi non solo dello Stato sionista e dell’imperialismo ma anche della borghesia saudita serva dorata dell’imperialismo e stracciona convergono su un obiettivo di fondo essenziale: la capitolazione politica e militare delle forze dell’Asse della Resistenza.
Questo è ciò che ci premeva di dire, di carattere assolutamente generale e detto in maniera assolutamente schematica, prima che l’intricatissimo nodo di Gordio venga in un modo o nell’altro tagliato.
Intanto sentiamo che, mentre “si tratta”, si moltiplicano le voci su un prossimo attacco via terra contro gli Houthi (dal 15 marzo flagellati quotidianamente dagli attacchi aerei e missilistici americani) condotto dal governo yemenita fantoccio di Aden (la cui sede in realtà si trova in un hotel 5 stelle di Riad) legalmente riconosciuto dalla famigerata “comunità internazionale” che avrebbe il supporto (oltre che degli imperialisti) delle carogne di Dubai cioè degli Emirati Arabi Uniti e di una massa di decine di migliaia di qaedisti mobilitati per la sporca bisogna. Forse sono solo “voci”. Forse è “solo” pressione psicologica per tentare di smussare gli angoli dei tetragoni combattenti Houthi i quali al momento, da soli insieme ad Hamas, tengono in piedi l’Asse dal punto di vista militare.
Intanto una terrificante esplosione ha fatto saltare in aria il porto iraniano di Bandar Abbas (da cui transita il 70% delle merci iraniane), in un botto che ricorda quello terrificante dell’agosto 2020 nel porto di Beirut. Apprendiamo che un parlamentare iraniano ha affermato che “non si è trattato di un incidente, prove evidenti confermano il coinvolgimento di Israele”(3). In questo scenario nulla può essere escluso. Nemmeno che il solo Israele disperatamente si azzardi a lanciare un attacco contro l’Iran. Nemmeno si può escludere l’evento che tutti i sinceri anti-imperialisti di ogni razza e colore del mondo aspettano con vera trepidazione: che, non diciamo una portaerei ma una qualsiasi delle numerose navi da guerra Usa in agguato fra il Mar Rosso e il Golfo di Aden, sia fatta colare a picco dai razzi dei fierissimi combattenti Houthi. Un evento del genere sarebbe un potente fattore di galvanizzazione non solo delle forze dell’Asse ma dello spirito di rivolta delle masse dell’intera area (ed oltre).
Intanto che “si tratta”: 26 aprile 2025, esplosione terrificante al porto iraniano di Bandar Abbas.
Alla fine di questa ultra-schematica nota, forse vi domandate che cosa significa la parola Thawra che abbiamo messo nel titolo. Significa una cosa che sta assolutamente fuori dai tavoli delle trattative. Una cosa a cui effettivamente nessuno pensa e che effettivamente è fuori dalla “concreta realtà” degli attuali rapporti di forza. Ma che lo stesso e nonostante tale evidenza non rinunciamo a evocare. Se non prendiamo un granchio, Thawra vuole dire Rivoluzione in arabo. Sollevamento rivoluzionario delle masse contro l’imperialismo, i suoi manutengoli, le borghesie arabo-islamiche serve dorate e straccione. E’ l’idra rivoluzionaria che si alza, cambia radicalmente le carte in tavola e rovescia i tavoli delle cancellerie borghesi. Che manda al diavolo la cosiddetta real-politik la quale 99 su 100 con la scusa di un presunto “realismo” da rispettare non conduce a nulla di buono per le masse degli oppressi. Che non si fa terrorizzare da nessuna arma in mano dell’imperialismo, nemmeno da quella atomica. Che è essa la vera e decisiva “arma atomica” nelle mani degli oppressi e degli schiavi del capitale.
Visione folle o da folli? E così sia! (del resto scriviamo per un sito intestato al Don Chisciotte, e se non su Come Don Chisciotte, dove altrimenti?!)