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la citta futura

L'economia robotica

di Marco Beccari

Nonostante l’introduzione dei robot e la crescente automazione, l’elemento attivo nella produzione sociale di valori d’uso rimane il lavoro umano, i robot industriali non sono mai completamente autonomi dall’uomo

fde415699381776e109824569e233fb5 XLL’articolo trae spunto dal materiale didattico (lucidi) preparato e presentato da Domenico Laise, docente dell’Università La Sapienza di Roma, ad un seminario, su: “La Teoria del valore-lavoro nell’epoca della robotica”, tenuto presso l’Università Popolare A. Gramsci nell’anno accademico 2017-2018. Il riferimento bibliografico essenziale dei materiali presentati in tali seminari è: D. Laise, La Natura dell'impresa capitalistica, Egea, Milano, 2015.

In un precedente articolo abbiamo visto come nel processo lavorativo sia solo l’uomo l’elemento attivo, e come, invece, le macchine e gli animali siano degli elementi passivi, che non possono essere considerati dei sostituti dell’uomo nella produzione di valori d’uso. In un secondo articolo abbiamo poi esaminato la Teoria del valore-lavoro in Marx giungendo alla conclusione che il lavoro astratto è l’unica fonte di valore, e nel capitalismo, di plusvalore (lavoro non pagato) in quanto il lavoro umano è la fonte attiva del valore d’uso. Possiamo sostenere che le macchine non possono sostituire l’uomo nella produzione di plusvalore. Solo il lavoro umano astratto crea valore e, quindi, plusvalore; infatti, come sostiene Marx, le macchine non aggiungono mai più valore di quanto non ne perdono per il loro logorio [1].

Scopo di questo articolo sarà quello di mostrare come le tesi di Marx mantengano la loro validità anche quando le macchine assumano la loro forma più evoluta di "robot". Per arrivare a queste conclusioni dovremo, innanzitutto, definire che cosa è un robot.

Che cosa è una macchina robotica o robot? Occorre notare che non esiste una definizione univoca di macchina robotica, e diversi autori ne hanno dato definizioni differenti. In questo articolo faremo riferimento alla definizione adottata da Wiener, padre della cibernetica [2].

Si definisce robot un automa, macchina automatizzata, dotato di meccanismi di autocontrollo e autoregolazione, in grado di imitare il comportamento dell’uomo o dell’animale. Pertanto sono esempi di robot, il giocatore artificiale di scacchi Deep Blue, gli automi industriali come i robot saldatori e la tartaruga artificiale che imita quella naturale.

Dal punto di vista storico, il robot nasce dallo sviluppo dell’automazione, una tecnologia che consente di trasferire alla macchina le operazioni di controllo e regolazione che prima erano affidate all’uomo.

La rivoluzione industriale, nell’accezione di Engels [3], può essere divisa in due fasi: una prima fase caratterizzata dalla meccanizzazione e una seconda dall’automazione. Se la prima fase si basava sulla svalutazione delle braccia, sostituendo con le macchine alcune operazioni manuali svolte dall’uomo, la seconda si fonda sulla svalutazione del cervello, trasferendo l’attività di controllo dall’uomo alla macchina. Quindi se nella prima fase della rivoluzione industriale si ha la sostituzione, nella tessitura, del telaio a mano con quello meccanico, nella seconda fase alla macchina controllata dall’uomo si sostituisce quella che si autocontrolla.

È possibile spiegare il concetto di automazione riferendosi al tornio che si autocontrolla, uno degli esempi utilizzati da Marx [1] che dimostra di possedere una elevata conoscenza delle innovazioni tecnologiche dell’industria del proprio tempo. Questa è una macchina a vapore regolata da un meccanismo di retroazione (feedback), detto servomeccanismo. La quantità di flusso di vapore in entrata determina la velocità in uscita, in giri al minuto, del tornio. L’uomo può fissare la velocità che desidera in uscita, stabilendo quella che viene chiamata norma. Se la velocità del tornio è maggiore della norma il servomeccanismo riduce la velocità diminuendo il flusso di vapore in entrata, se è inferiore esso la aumenta incrementando il flusso di vapore. Il processo di regolazione continua fino a quando il tornio non raggiunge la velocità desiderata. La macchina compie in sostanza una forma di autocontrollo e apprendimento per prova ed errore.

Se prima dell’automazione chi controllava e regolava il funzionamento della macchina era l’uomo ora, con l’introduzione del controllore automatico (pilota automatico), la macchina regola se stessa. Taiichi Ohno descrive nel seguente modo le macchine che si autocontrollano: "Alla Toyota per macchine autoattivate (macchine che si autocontrollano) intendiamo quelle dotate di dispositivo di arresto che entra in funzione in caso di anomalia. Tali dispositivi conferiscono alla macchina un tocco di sensibilità umana" [4]. Anche Marx conosceva già questi meccanismi di autocontrollo descrivendoli così: sono invenzioni modernissime l’apparecchio che ferma da solo la filatrice meccanica appena si spezza un solo filo, e il “self-acting stop” che ferma il telaio a vapore perfezionato appena al rocchetto della spola manca il filo della trama [1].

Taiichi Ohno fa osservare anche che il robot industriale non ha autonomia comportamentale completa. Il motivo è ovvio. Un robot libero di scegliere il proprio comportamento non ha alcuna utilità per la Toyota. Difatti, il fine di un robot completamente autonomo non è di necessità la produzione di valori d'uso (automobili). Il robot industriale autonomo non è, cioè, assimilabile ad uno "schiavo meccanico" poiché, a differenza dello schiavo, non produce di necessità beni finalizzati alla riproduzione della società umana.

Quindi, le innovazioni tecnologiche conferiscono maggiore automazione alle macchine, ma non una reale autonomia. Chi fissa il fine, l'obiettivo, la norma del processo produttivo, rimane sempre l'uomo. Non bisogna quindi confondere il concetto di automazione con quello di autonomia completa del robot. La macchina ha sempre più funzioni, comprese quelle di controllo e apprendimento, ma non risulta completamente autonoma dall'uomo nello svolgere la sua funzione e, soprattutto, manca di quell'elemento di creatività per rispondere a problemi imprevisti, non programmati, che rimane ancora solo funzione umana. Ad esempio, un robot-siluro con ricerca automatica del bersaglio è una macchina provvista di automazione del controllo, ma non è autonoma. Il bersaglio è scelto dall'uomo, che progetta e costruisce il robot-siluro.

Alcuni autori erroneamente confondono il termine automazione con autonomia, usando il primo termine ma intendendolo come il secondo. Tra questi troviamo Marcuse e i suoi numerosi seguaci. Secondo Marcuse la macchina opera una “trasmutazione”, alterando la relazione tra “lavoro morto” e “lavoro vivo” [5]. Il lavoro umano non è più l'elemento attivo della produzione, la macchina stessa diventa un lavoratore. Essa ormai completamente autonoma, si può sostituire all'uomo nel processo lavorativo. Marcuse come McCulloch fa scomparire la differenza tra l'essere vivente e la cosa [6], e la “macchina-cosa” diventa la “macchina-vivente”. Marcuse assume, cioè, una forma di ideologia apologetica dell'artificiale.

L'automazione se correttamente intesa non può alterare la natura di “conoscenza morta” della macchina. Non è possibile, quindi, trasformare il “lavoro morto”, ovvero la “macchina-cosa”, in “lavoro vivo” o “macchina-vivente”. Anche con l'introduzione dell'automazione, nel capitalismo, il lavoro umano sociale rimane l'unico elemento attivo della produzione di valori d'uso, finalizzando l'attività dei robot. Se alla tecnologizzata Amazon, dove sono stati introdotti robot in mansioni prima svolte dall'uomo, i lavoratori umani incrociassero le braccia, nessun pacco sarebbe consegnato. Per cui la tesi di Marcuse non può essere accolta e il robot non può essere un sostituto del lavoro umano.

Il robot svolge da sé in modo parziale il lavoro, non essendo realmente indipendente dall'uomo che è la sua guida. Il lavoratore umano è il pastore del gregge delle macchine [7], come lo era del gregge di pecore quando le funzioni svolte dalle macchine erano svolte dagli animali. Marcuse applica una doppia trasmutazione facendo diventare l'elemento attivo, l'uomo, passivo e l'elemento passivo, la macchina, attivo. Il robot non ha, difatti, come suo fine “immanente” quello di produrre valori d'uso. Il robot-siluro non è completamente autonomo, almeno fino a quando il suo bersaglio è scelto dall'uomo.

Tuttavia, se supponiamo che il robot con lo sviluppo della tecnologia assuma un grado così elevato di autonomia da decidere da solo il proprio fine, chi ci garantirà che il suo fine coinciderà con quello deciso dall'uomo? Infatti Marcuse non è in grado di spiegare perché un robot autonomo nelle finalità dovrebbe scegliere come proprio fine la produzione di valori d'uso e non la distruzione dell'uomo stesso e la sua sostituzione con una società di robot finalmente liberi dalla schiavitù del lavoro imposto dall'uomo. Il robot, come un novello Frankenstein o come il Golem che si rivolta al proprio creatore [8], potrebbe preferire un altro fine a quello ipotizzato dal suo creatore. Su questa possibilità innumerevoli sono le speculazioni fantascientifiche, tanto che lo scrittore Asimov fu costretto ad introdurre nei propri libri le tre leggi della robotica [9], che di fatto non rendono i robot realmente autonomi e liberi nelle proprie scelte.

In conclusione, un robot non ha completa autonomia e pertanto non può essere inteso come sostituto completo dell'attività umana. Se l'automazione è intesa come completa autonomia il robot non può essere inteso come un sostituto del lavoratore umano perché non svolge di necessità attività finalizzata alla produzione di valore d'uso per l'uomo. Se, invece, si intende correttamente l'automazione, come intesa dagli stessi esponenti della borghesia industriale, come trasferimento alle macchine dell'attività di controllo e regolazione allora il robot non può sostituire il lavoratore umano poiché il proprio fine è sempre dettato dall'uomo, e non svolge di conseguenza attività autonoma finalizzata alla produzione di valori d'uso. In ogni caso il robot non può essere inteso come un completo sostituto del lavoratore umano. Il robot, infatti, non è un lavoratore e, di conseguenza, elemento "attivo" del processo sociale lavorativo.


Note
[1] Karl Marx, Capitale, libro I, Capitolo 13, Macchine e grande industria
[2] Norbert Wiener, La Cibernetica – Controllo e Comunicazione nell’animale e nella macchina, Il Saggiatore, Milano, 1968 Norbert Wiener, Introduzione alla cibernetica – L’uso umano degli esseri umani, Boringhieri, Torino, 1966
[3] Friedrich Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra, Editori Riuniti, Roma, 1992
[4] Taiichi Ohno, Lo Spirito Toyota, Einaudi, Torino, 1993. Il grassetto è stato aggiunto dell’autore di questo articolo.
[5] Herbert Marcuse, L’uomo a una dimensione. L’ideologia della società industriale avanzata, Einaudi, Torino, 1967
[6] Karl Marx, Storia dell’economia politica. Teorie sul plusvalore, terzo libro, Editori Riuniti, Roma, 1993
[7] Conduttore del sistema di macchine di Fiat Mirafiori e Melfi.
[8] Norbert Wiener, Dio & Golem S.p.A., Boringhieri, Torino, 1967
[9] Prima legge: un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno. Seconda legge: un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla prima legge. Terza legge: un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la prima o la seconda legge.

Comments

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Mario Galati
Sunday, 09 September 2018 14:58
Alcune domande vengono poste perché non è chiara la differenza tra profitto e plusvalore, tra lavoro produttivo e lavoro improduttivo. Non è chiara neppure la differenza tra il momento della creazione del plusvalore e la ripartizione del prodotto sociale. Mi sembra che Barone e Della Volpe abbiano già risposto nei loro commenti.
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CLAUDIO DELLA VOLPE
Sunday, 09 September 2018 12:22
già ma l'economia della lavanderia è basata su una massa enorme di lavoro in quanto essa è soggetta ad essere costruita e manutenuta, chi svolge questo lavoro? chi la apre, la pulisce ne ripara i guasti , in altre parola chi ne controlla il funzionamento? puoi non vederlo ma c'è; di solito non lo vedi perchè opera negli orari di chiusura; se lo fa lo stesso padrone si tratta di un artigiano; se lo fa una persona a pagamento si tratta di un lavoro vero e proprio, i tutti i casi il lavoro è necessario
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Roberto
Sunday, 09 September 2018 11:51
Una lavanderia completamente automatizzata, come già tante che si vedono in giro, senza alcun dipendente, se non per sporadiche manutenzioni non comporta una profitto al suo proprietario? Altrimenti perché resterebbe aperta?
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Eros Barone
Sunday, 02 September 2018 21:35
Mi scuso per lo scambio di articolo: il commento che ho erroneamente inserito in questa sede si riferisce infatti all'articolo del Collettivo Comunista "Genova City Strike".
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Eros Barone
Sunday, 02 September 2018 21:31
L'analisi condotta nell'articolo manca di una categoria fondamentale, elaborata proprio dall'Internazionale Comunista nel corso della sua storia (1919-1943): la categoria di fascistizzazione. La fascistizzazione dello Stato è infatti la forma che assume la reazione della borghesia quando essa avverte come un vincolo al suo dominio le stesse libertà democratiche borghesi. Essendo la tendenziale riscossa della borghesia, che in questo modo punta a salvare il suo dominio, la fascistizzazione è comune come 'tendenza' a quasi tutti gli Stati imperialisti. Naturalmente la fascistizzazione assume varie forme e vari aspetti a seconda dei vari paesi. Quelli che appaiono in Italia sono un diffuso anticomunismo, la mobilitazione reazionaria, la xenofobia e il razzismo, la recrudescenza dell'attività dei gruppi di estrema destra e, causa ed effetto ad un tempo dei fattori precedenti, la costituzione di un governo razzista e antioperaio, al servizio dell'estrema destra statunitense. Chi porta avanti il processo di fascistizzazione? Esso, come ho sottolineato or ora, parte innanzitutto dal governo Conte-Salvini-Di Maio. Con ciò non intendo affermare che tutto il governo ha scelto la via della fascistizzazione, ma solo dire che il governo è al centro di un processo che coinvolge uomini e dirigenti dellla Lega e del M5S, i quali trovano in esso il centro di irradiazione, se non di partenza, di tutte le manovre reazionarie. Né intendo affermare che tutto l'apparato statale è ormai conquistato dalla reazione: occorre infatti distinguere tra i settori civili e quelli militari dello Stato, come pure tra gli impiegati e i gruppi dirigenti e anche all'interno di tali gruppi. Inoltre, anche all'interno degli organi statali - mi riferisco ad alcuni settori chiave: polizia, forze armate, magistratura - la svolta reazionaria incontra una resistenza più o meno accanita. Per quanto riguarda infine le forze economiche che sostengono la svolta reazionaria, esse vanno individuate nella piccola e media borghesia, ma anche in alcune frazioni della grande borghesia interessate ad un allentamento del vincolo esterno e ad una contrattazione più energica ed assertiva con la UE per ottenere margini più ampi di manovra e di espansione in determinate sfere di mercato. Credere che costoro abbiano scelto definitivamente la strada della reazione pura è certamente una forzatura, ma pensare viceversa che costoro abbiano accettato senza reticenze di stare alle regole del gioco democratico è un errore madornale. I comunisti, naturalmente, non devono aspettare fatalisticamente che il processo di fascistizzazione si compia. Esso può essere fin d'ora arrestato e battuto, perché è segno di debolezza e non di forza della borghesia. Per batterlo però è necessario creare un vasto fronte popolare sui temi del lavoro, della democrazia e della pace. Pensare di arrestare la politica reazionaria della Lega e del M5S solo con il ritorno del PD al governo significa nella pratica voler ripetere la fallimentare esperienza del centro-sinistra (da Prodi a Renzi). Non dimentichiamo che il governo Conte-Salvini-Di Maio non è piovuto dal cielo, ma è maturato dal grembo del centro-sinistra.
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Eros Barone
Sunday, 02 September 2018 13:28
Esistono aziende (ad es., negli USA) che, grazie ai robot, producono decine/centinaia di migliaia di prodotti in più (a seconda del tipo di merce), senza dover assumere alcun operaio. Certo che i robot non producono alcun valore, ma quelle aziende strapperanno, nella spartizione del plusvalore complessivo, una quota di sovrapprofitti, perlomeno fino a quando le concorrenti non raggiungeranno lo stesso livello tecnologico. Quando anche le aziende concorrenti lo avranno raggiunto, per tutte si ripresenterà, ancora più temibile, lo spettro della caduta del saggio (medio) di profitto.
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CLAUDIO DELLA VOLPE
Sunday, 02 September 2018 08:48
Marineo a meno che il robot non sia costruito e manutenuto da altri robot a loro volta costruiti e manutenuti da altri robot ci saranno sempre uomini che lo supportano, controllano, ed infine anche oggi posso essere un taglia cedole singolo e quel singolo padrone diventerebbe un tagliacedole, ATTENZIONE: avrebbe profitto solo in proporzione al capitale investito NON al plusvalore prodotto perchè non ne produrrebbe affatto. quanto a Barone direi che anche lì il problema si sposta a chi alleva le scimmie, le cura e le controlla a meno che non voglia egli sostituire anche chi alleva e controlla e cura le scimmie con altre scimmie. Questi discorsi sono stati già criticati al tempo di Tugan-Baranowsky.
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Eros Barone
Saturday, 01 September 2018 23:37
E se invece dei robot ricorressimo alle scimmie? I costi di sostentamento e allevamento delle scimmie sarebbero, comunque, minori di quelli relativi alla ricerca, alla realizzazione e allo sviluppo dei robot. I costi sarebbero minori anche dal lato della manutenzione, poiché quando una scimmia si ammala o muore si potrebbe subito sostituirla con un’altra prelevata dall’allevamento. Forse il problema più scabroso da affrontare sarebbe quello delle associazioni animaliste, qualora queste si accorgessero che una scimmia viene trattata alla stregua di un operaio. Sennonché il problema della sostituzione di lavoro umano con lavoro artificiale svolto da robot va affrontato in un modo del tutto differente, cioè secondo un'ottica marxista, che risulta, peraltro, assente nell'approccio "umanistico" seguìto dall'autore di questo articolo. Se è vero che i robot si dimostrano adatti a sostituire gli operai in molte mansioni, è altrettanto vero che, più le macchine sostituiranno il lavoro, più il capitalismo si avvierà verso la sua fine. In gioco è proprio una delle fondamentali scoperte di Marx (scoperta della quale non vi è traccia nell'articolo in parola): la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto. Un certo Benedetto Croce provò a confutarla, suscitando l'ilarità di Plechanov e di Gramsci. Il presupposto della “critica” crociana era un presunto “errore del Marx”, il quale avrebbe attribuito “inavvedutamente” un valore [progressivamente] maggiore al capitale costante che viene messo in movimento dalla stessa forza-lavoro, laddove - obiettava Croce - il progresso tecnico fa scendere il valore delle materie prime ed ausiliarie impiegate come capitale costante in rapporto al valore della forza-lavoro. Sennonché a Croce sfuggiva un fatto assolutamente elementare, e cioè che allo stesso modo che il progresso tecnico fa scendere il valore delle merci impiegate come capitale costante, in modo altrettanto progressivo permette all’operaio di mettere in movimento una quantità notevolmente maggiore dello stesso capitale. In effetti, se il Croce si fosse premurato di leggere anche il cap. 15°, oltre al 13°, del terzo libro del "Capitale", avrebbe scoperto che tale legge non funziona solo in presenza di un aumento della composizione organica del capitale, ma anche, come ben sanno i vari Marchionne, con la diminuzione del numero degli operai impiegati sulla base di un determinato capitale. Si tratta della tendenza del capitale alla massima riduzione possibile del numero degli operai da esso occupati: tendenza che è in contrasto con la sua assoluta necessità di produrre la maggior massa possibile di plusvalore. Questa contraddizione ha un ruolo cruciale nella teoria marxiana, perché conduce a un punto di rottura che è storico e non soltanto logico.
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Vincenzo Marineo
Saturday, 01 September 2018 18:18
Pensiamo un robot controllato non da un lavoratore salariato, ma dal suo proprietario, che gli “detta i fini”. Chi produce valore?
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